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Autore: Ryuke    26/01/2015    0 recensioni
"L’universo. Un’accozzaglia di spazio inutilizzato, stelle, pianeti e asteroidi. Mucchi di terra che girano su se stessi all'infinito. Palle di fuoco che splendono nell'eternità fino a consumarsi del tutto. Eppure esse non sono come il resto. Tutto ciò che un giorno vive, quello successivo muore. Ogni cosa ha il suo tempo. Tutto, nell'intero universo, ha una fine. Ma non le stelle.
No, loro no. Privilegiate pupille dell’universo, esse continuano la loro vita pure dopo la morte. Quando si spengono o cessano d’esistere, si reincarnano in una creatura nuova, così piccola eppure così raggiante e meravigliosa. E possono vivere altri cento, anzi altri mille anni e anche di più. Non c’è niente al mondo che possa distruggere una stella." [cit. da Prologue]
Nilin, stella di Leo, ha vissuto i suoi primi venti anni di vita come una comune mortale sul pianeta terra, convinta di essere la figlia della dea Atena. Ma un misterioso guerriero, un "Guardiano" sta per arrivare a sconvolgere tutte le sue certezze.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Stars - capitolo uno

Stars

P R O L  O G U E

L’universo. Un’accozzaglia di spazio inutilizzato, stelle, pianeti e asteroidi. Mucchi di terra che girano su se stessi all’infinito. Palle di fuoco che splendono nell’eternità fino a consumarsi del tutto. Eppure esse non sono come il resto. Tutto ciò che un giorno vive, quello successivo muore. Ogni cosa ha il suo tempo. Tutto, nell’intero universo, ha una fine. Ma non le stelle.
No, loro no. Privilegiate pupille dell’universo, esse continuano la loro vita pure dopo la morte. Quando si spengono o cessano d’esistere, si reincarnano in una creatura nuova, così piccola eppure così raggiante e meravigliosa. E possono vivere altri cento, anzi altri mille anni e anche di più. Non c’è niente al mondo che possa distruggere una stella. O quasi.
Esse vivono nelle loro reincarnazioni, gli tramandano il calore e la luce della quale un tempo splendevano. E’ lasciato un importante compito a questi figli: le stelle da vive rappresentano la luce che respinge l’oscurità, e il calore che permette la vita. Ogni singolo pianeta sarebbe inabitabile se non avesse una stella che lo riscalda. E’ questo il compito che i loro figli ereditano da esse: rappresentare la luce e il calore di cui tutti hanno bisogno. Devono essere luminose guide nell’oscurità, proteggere e rispettare le creature viventi e respingere ogni minaccia verso queste.
Sono i guardiani della pace e della vita, sono la giustizia e la conoscenza. Non sono dei, sono molto di più. Sono figli delle stelle.
Ma anche delle creature splendenti e superiori come loro hanno bisogno di un aiuto. Di una guida. Di un guardiano, che li mantenga sempre sulla retta via. E’ per questo che nello stesso periodo nascono il figlio di una stella e il suo Guardiano. Essi sono sempre di sesso diverso, e il destino del guardiano è uno e uno soltanto: quello di guidare sulla retta via il figlio della stella. Di insegnargli il valore dei suoi poteri, e come utilizzarli. E se necessario dare la vita per la salvezza di esso.

 

 

 

* * *

 

 

N I L  I N
-Alin..
La donna teneva stretto il fagottino a se, e sembrava che non volesse lasciarlo andare. Avvolta tra le fasce bianche, una splendida bambina si divertiva a giocare coi lunghi ricci scuri della madre. L’uomo che l’aveva chiamata fece due passi verso di lei e le carezzò il viso, asciugando la lacrima che non riuscì a trattenere.
-Alin…noi…
L’uomo guardò la bambina sorridergli, e si sentì mancare. Avvertì come la presenza di un martello nel suo petto che stava facendo a pezzi tutto quello che c’era. Guardò la moglie negli occhi, e pensò che doveva essere così che si sentiva lei.
-Milos, che razza di genitori fanno questo alla propria bambina?
L’uomo strinse la donna e la bambina a se.
-Il destino che la attenderebbe se restasse sarebbe cento volte peggiore…
Milos allontanò la moglie da sé e carezzò con un dito la guancia della piccina, che rise divertita.
-Io so che lei vivrà. Lei sopravvivrà a questa maledizione, diventerà forte e compirà il suo destino. Lei è nata dalla forza naturale più potente mai esistita: il nostro amore. Il suo Guardiano la troverà, e la salverà. Devi avere fede!
Gli occhi neri di Milos brillavano come non mai, di una luce intensa, ma anche a causa delle lacrime che cominciavano ad affiorare e che a stento l’uomo riusciva a trattenere. Alin diede un ultimo sguardo alla figlia, e la baciò sulla fronte. Poi, mentre contraeva le labbra sforzandosi di non piangere, la porse a Milos. Quest’ultimo la prese e la sollevò. La librò un poco in aria, facendola ridere, e poi si fermò per dirle queste parole.
-Tu sei Nilin, stella della galassia di Leo. Non dimenticarlo mai.
L’uomo strinse a se la bambina un’ultima volta. Poi la pose nella navicella che l’avrebbe tratta in salvo, via dall’orrore che si era scatenato su quel pianeta proprio per trovare lei.

 

 

* * *

 

E D G E

-Ha il marchio!
Esclamò il medico, che appena raccolto il bambino si era preoccupato di ripulirlo dal sangue e dal liquido amniotico rimasto appiccicato alla sua pelle. Lo consegnò a un’infermiera, che lo portò via.
-No! Fermi! Cosa fate?! Il mio bambino?! IL MIO BAMBINO!!
La donna che aveva appena partorito, si agitò sul letto e fece per alzarsi, ma altre infermiere la fermarono.
-Vi prego non potete farlo…non portatelo via…è il mio bambino…
Il medico le sia avvicinò, e le carezzò la fronte mentre si agitava.
-Calmatevi, vi prego…sapevate che sarebbe potuto accadere…
Cercò di tranquillizzare la donna. Quella scoppiò in lacrime disperata, mentre le infermiere la lasciarono andare dopo un cenno del medico. Lui le strinse la mano, mentre lei si rannicchiò in posizione fetale mentre piangeva e singhiozzava.
-Ditemi, come volevate chiamarlo?
La donna lo guardò con gli occhi strabuzzati, sperando almeno per un attimo nell’impossibile.
-E…Edge…
Riuscì a balbettare tra un singhiozzo e l’altro.
-Mi assicurerò che si chiami così signora, glielo prometto - disse il medico.
Proprio quel nome. Una coincidenza?
-Sia fiera di suo figlio…in ogni giorno della sua vita. E’ destinato a grandi cose.
Si voltò e se ne andò via mentre le infermiere si riavvicinavano per occuparsi della donna. Uscito dalla sala, svoltò a destra e inseguì l’infermiera che teneva in braccio il bambino.
-Non mi ci abituerò mai… - disse alla giovane mentre con passo svelto si dirigevano all’ufficio d’ispettorato.
-E’ una pratica barbarica… - rispose l’infermiera con tono velenoso.
-Abbassate la voce signorina, se la sentono dire certe cose potrebbero anche metterla agli arresti - disse il dottore bisbigliando e controllando che nessuno potesse aver sentito. Alla fine del corridoio svoltarono a sinistra e si fermarono davanti a una porta. Il medico bussò due volte e poi aprì la porta, seguito dall’infermiera.
-Dottor Jegghins, si accomodi pure.
Disse l’omone grosso e pelato che stava seduto dietro la scrivania posta di fronte la porta, mentre sorrideva sornione.
-Collins, abbiamo un possibile Guardiano.
Rispose in fretta quello, mentre l’infermiera lo superava con il fagottino azzurro in braccio.
-Ohoh ciao ragazzone.
Disse divertito Collins mentre prendeva in braccio il bambino. Un neonato stranamente silenzioso.
-Ma è vivo?
Commentò sarcastico mentre lo scuoteva delicatamente tra le braccia.
-Si chiama Edge.
Disse con voce ferma il dottor Jegghins. Collins lo guardò abbastanza imbruttito, quasi come sul punto di esplodere.
-Abbiamo già discusso di questa storia e.. - provò ad aprire la questione, ma il dottore fu inamovibile.
-Ho detto che si chiama Edge. – tuonò di nuovo.
Negli occhi aveva un che di minaccioso che convinse Collins a non insistere. Quest’ultimo si diresse verso il lato destro della stanza, dove vi era un lettino. Poggiò il bimbo su di esso e cominciò ad esaminare il simbolo. Era posto sulla spalla sinistra della piccola creatura, ed era costituito da quattro linee curve collegate tra di loro per mezzo di una sola di esse. Si diresse poi alla scrivania e prese un libro da uno dei cassetti, per poi cominciare a sfogliarlo velocemente, alla ricerca di una corrispondenza.
-Galassia di Leo, Nilin! - esclamò indicando il simbolo sul libro.
-Cazzo … non può essere … - commentò il medico passandosi la mano tra i capelli.
-Non esplodeva una stella da troppo tempo, sapevamo che sarebbe arrivato il momento. Il bambino deve partire per il monastero. ORA.

 

 

 

* * *

 

T E R R A

-Ogni volta è sempre la stessa storia! – sbottò la ragazza seccata. L’erba le arrivava fin quasi alla vita, rischiando di macchiare le pompose e colorate vesti rosse e gialle. Quei colori così sgargianti e splendenti erano diventati un simbolo della dea, temuta e rispettata sulla terra. La giovane si passò una mano tra i lunghi capelli neri mentre continuava ad arrancare tra le sterpaglie.
-“Sei la dea della guerra, è ora che cominci a prenderti le tue responsabilità”. – disse mimando gli atteggiamenti di suo padre Zeus.
-Che poi chi è che lo ha eletto “re degli dei”, eh? Solo perché è scampato per primo alla follia del porco
1.
Continuò a farneticare mentre si avvicinava alla cima della collina. La notte era calata da poco e l’arrivo della dea Atena necessitava un certo non so che di trionfale, dopo gli ultimi avvenimenti. Ateniesi e Spartani infatti, per l’ennesima volta, si volgevano al combattimento e nonostante lei fosse la dea della guerra non ne poteva davvero più di questa storia. Aveva intenzione di porre fine una volta per sempre al conflitto tra le due città mostrando cosa succede a contrariare una divinità.
O meglio, in realtà era quello che le aveva chiesto di fare Zeus, spazientito come lo può essere un padre all’ennesimo litigio dei proprio figli. Quindi la dea era scesa sulla terra, dall’altro lato della collina dove si erano accampati i due eserciti, per non farsi scoprire ed arrivare a sorpresa nel mezzo dello scontro. Secondo Ecate
2 infatti gli ateniesi avevano intenzione di attaccare di notte l’accampamento dei loro avversari, cogliendoli alla sprovvista e assicurandosi di fatto la vittoria.
Atena, dalla cima della collina avvertì le prime grida e quando fece per catapultarsi nel vivo dell’azione accadde qualcosa di imprevisto. Alzò lo sguardo al cielo e vide una palla di fuoco di medie dimensioni precipitare a gran velocità. Si dirigeva verso il campo di battaglia inesorabile. Fu un istante: l’impatto generò un forte boato che fece tremare la terra per chilometri. L’accampamento degli ateniesi era stato raso al suolo, e al suo posto ora c’era un gigantesco cratere.
-Ma che diavolo sta succedendo? Che sia opera di Ares
3?
Si chiese Atena mentre cercava di vedere qualcosa all’interno della cortina di polvere che si era alzata. Ma non c’era nessuna traccia di suo fratello. Allora decise di cogliere la palla al balzo. Si catapultò nell’accampamento degli spartani, dove entrambe le fazioni avevano cessato il combattimento e restavano allibite ad osservare e a cercare di capire che cosa fosse successo. Con la sua voce altisonante, la dea attirò l’attenzione di tutti i soldati.
-Ora basta. Se resterete qui con le spade sguainate ancora per un solo istante lo considererò come un affronto nei miei confronti, la dea Atena!
-Tu, come osi! Blasfema!
Gridò un uomo additandola. La dea trasalì. Scomparve nel nulla, per poi riapparire dietro colui che l’aveva ingiuriata. Con un movimento rapido della mano destra gli sfilò la spada dal fodero e lo trafisse da dietro. Quello ebbe giusto il tempo di afferrare la lama che lo aveva trapassato, prima di stramazzare al suolo privo di vita.
-Ade
4 reclama la tua anima. - disse ancora furente Atena, con un tono dispregiativo.
-Passeranno altri cento anni come minimo prima che un ateniese versi il sangue di uno spartano o viceversa. Se uno solo di voi mi contrarierà, l’intera sua città ne pagherà il prezzo. Tornate dalle vostre mogli se non volete un biglietto di sola andata per gli Inferi!
Esclamò la dea mentre manifestava tutto il suo potere scatenando una spropositata energia che si diffondeva in ogni angolo della valle in cui si trovavano. Poi lasciò l’accampamento. Gli uomini avrebbero sicuramente creduto che l’esplosione fosse collegata al suo arrivo, ma lei sapeva che non era così. E se non era stato Ares, ne un’altra divinità, chi poteva essere stato? O meglio, cosa poteva essere stato? Questo si chiedeva Atena mentre si avvicinava al centro del cratere. Raggiunto il punto d’impatto non credette ai suoi occhi. Una strana struttura metallica ovale stava in mezzo al cratere, e al suo interno una piccola creaturina si muoveva.
-Ma è…è una bambina.
Sibilò tra se e se la dea. Cercò un modo di aprirla, di liberare la bambina, ma non ci riuscì.
-E va bene, vorrà dire che userò le maniere forti
Atena afferrò la parte superiore della struttura da una sporgenza e mentre con l’altra mano la teneva ferma tirò con forza strappandola in due. Gettò la parte vuota e prese in braccio la piccola che aveva iniziato a piangere. Notò che sulla spalla destra aveva un tatuaggio molto particolare, un simbolo che lei non aveva mai visto prima.
-No, no piccolina, non piangere…no…
Cercò di calmarla con la voce, cullandola un poco. Ci riuscì. I loro sguardi si incrociarono per un istante e il sangue le si gelò nelle vene. Sentì all’improvviso la voce sibilante di Ecate riecheggiarle nella testa, fin quasi a fargliela scoppiare.
“UCCIDILA PRIMA CHE LEI CI DISTRUGGA, UCCIDILA”.
La giovane cadde sulle ginocchia, e chiuse gli occhi. La voce svanì. Quando riaprì gli occhi, notò che tra le coperte vi era un piccolo foglio di carta. Lo prese e lo lesse.
-Nilin…è così che ti chiami? Nilin…devo portarti al sicuro.
Disse infine stringendo il fagottino al suo petto.

 

 

* * *

 

P R O F E Z I A

-Ottimo lavoro Figlia mia
La voce calda e profonda di Zeus riempì la stanza in cui la giovane Atena lustrava l’armatura, seduta ad un banco.
-Con l’armatura? - rispose la ragazza facendo finta di nulla. Zeus fece qualche passo superando così l’uscio della stanza, per potersi avvicinare a sua figlia.
-No, con gli Ateniesi. - rispose divertito il Cronide
5. La splendida armatura d’oro rifletteva le fattezze del padre degli dei, ormai non più così giovane. I lunghi e ispidi ricci erano oramai ingrigiti, così come la folta barba che ne camuffava il viso. Eppure il suo prestante fisico sembrava non risentire del passare degli anni. Atena fece per voltarsi, e vide una figura scura passare dietro lo stipite della porta socchiusa. Avvertì una sensazione fastidiosissima, come se stesse congelando dall’interno.
Si alzò dalla sedia di scatto e senza dir nulla corse fuori. Guardò a destra e vide Ecate stare in piedi di fronte a lei. Quest’ultima si voltò e continuò a camminare, come se volesse essere seguita. Atena seguì quel mantello nero per i corridoi della reggia, in attesa di risposte. Improvvisamente però, quando le era ormai vicinissima, quella svanì come fosse uno spettro. La giovane si voltò, e si ritrovò al collo la mano della stessa Ecate, che stringeva con forza. Gli occhi grigi e glaciali di quest’ultima si piantarono fissi su quelli azzurri e candidi della prima. La sua corona d’oro cadde a terra provocando un tintinnio che rimbalzò sulle pareti di pietra del corridoio. Quel suono metallico, così pungente, ipnotizzò Atena, che cominciò a vedere strane cose. Nella sua visione, le apparve una giovane ragazza dai capelli rossi e gli occhi iniettati di sangue che teneva in mano la testa di suo padre Zeus, mentre dietro le faceva da sfondo una scena apocalittica: esplosioni, lampi, tuoni e un cielo nero. Città in fiamme e gente morta.
-Questo è il destino a cui ci condanni, se la bambina vive noi moriamo. - sibilò al suo orecchio la dea indovina, richiamando Atena dalla visione al presente.
-Tu…dimentichi chi sono! - esclamo la giovane indispettita. Afferrò il polso della sua avversaria con la mano destra e lo torse con tale forza da romperlo. A quel punto le fu impossibile continuare a stringere la presa sul candido collo della figlia di Zeus, e fu costretta a lasciarla andare. Ma Atena continuò a stringere la presa fino a che Ecate non cadde sulle ginocchia per il dolore.
-Non osare mai più sfidarmi - disse minacciosa - Se ne parli con qualcuno, io ti ammazzo. Sai che lo farò.
Quella sbarrò gli occhi atterrita, e mentre si teneva il polso rotto con l’altra mano corse via. Atena si guardò intorno, e raccolse la corona. Si diede una sistemata e si avviò verso le sue stanze.

 

 

* * *

 

G U A R D I A N O

-E’ il calore che senti nel petto, quello che ti scalda quando c’è la neve. Quello che ti permette di andare avanti ogni giorno, di affrontare la vita. Di rialzarti quando sei caduto. Ciò che ti da la forza di combattere anche quando non c’è più nessuna speranza, la forza più grande che esista nell’intero universo. Più forte persino di una stella. E’ il potere che scaturisce dall’amore che proviamo per i nostri cari. Ed è una cosa che nessuno potrà mai toglierci e –
Le labbra di Jonine interruppero quel flusso infinito di parole, poggiandosi con delicatezza sulle sue. Edge restò pietrificato, con gli occhi sbarrati a fissare la giovane che sembrava non volersi più staccare. Per qualche istante restarono seduti sulle gradinate di pietra del teatro, mentre dietro di loro il sole scendeva accompagnando via le ultime luci del giorno. Lui pensò che sarebbe stato brutto spingerla via, quindi continuò ancora per qualche secondo a guardare le sue palpebre, fin quando questa capì che il suo bacio non sarebbe stato ricambiato. Lentamente si distaccò, e si morse un labbro nel tentativo di non piangere.
-Io…beh…mi…dispiace. - farfugliò Edge mentre guardava negli occhi lucidi la giovane.
-Perché? - riuscì a domandare lei, mentre ormai le lacrime già le solcavano le guance.
Edge s’imbarazzò un po’. Non aveva mai detto a nessuno quello che sentiva dentro, ciò che era legato alla sua percezione del mondo. E Jonine era davvero molto carina, in quel momento si sentì anche un po’ stupido. Molti giovani le avevano fatto la corte, in fondo era alta, atletica, prosperosa nelle forme e aveva degli splendidi occhi verdi. Eppure lui la stava respingendo. Qualcuno avrebbe potuto pensar male di lui.
-Non fraintendermi Jo’, sei una bellissima ragazza e abbiamo un bel rapporto, ma…ma il mio cuore appartiene già ad un'altra… - disse il ragazzo rialzando lo sguardo e sorridendo un poco. Jonine si avvicino a lui, passò una mano tra la sua barba ispida e una tra i suoi capelli lunghi e biondi.
-Ma non sai neanche se la incontrerai mai… - rispose mentre copriva di baci il suo viso e bramava le sue labbra. Edge la afferrò per le spalle e la allontanò con decisione da se.
-E’ il mio destino…mi dispiace. – affermò convinto. Poi si alzò e se ne andò lasciandola lì. Non sapeva che non l’avrebbe mai più rivista. Scese i gradoni che portavano al centro della scena, e poi all’uscita dietro le quinte. Una volta fuori, vide che c’era il maestro Wuh ad aspettarlo.
-Maestro, come facevate a sapere dov’ero? - chiese il ragazzo entusiasta correndo verso il vecchietto. Si trattava di un arzillo anziano, minuto e simpatico. Da che Edge si ricordasse, era sempre stato pelato e con una lunga e folta barba che gli arrivava fino alle ginocchia. La teneva ben curata e pettinata, legata in un codino con un elastico all’altezza della vita. Da qualche anno aveva iniziato a girare con il bastone. In realtà non ne aveva bisogno, camminava benissimo, ma disse che gli dava un tocco di stile. Si trattava di un uomo molto simpatico e scherzoso, ma che sapeva essere severo quando ce n’era bisogno. In realtà non era proprio il suo maestro, ma lui era abituato a chiamarlo così. In realtà Wuh lo aveva cresciuto come fosse suo figlio, per volere dell’ordine dei Guardiani, l’ente universale che si occupava dell’addestramento dei Guardiani delle stelle. Anche lui in passato era stato un Guardiano, uno dei più stimati. Ma dopo la morte della stella Parmenis, decise che non avrebbe mai più combattuto e si ritirò a vita privata. Quando gli dissero che gli avrebbero affidato un giovane, rifiutò. Ma qualcosa, quando vide il bambino, gli fece cambiare idea. I suoi occhi verdi come il mare, gli ricordarono quelli della sua amata stella. Così lo crebbe, e gli insegnò tutto ciò che sapeva.
-Un maestro sa sempre dov’è il suo allievo. - rispose sorridendo. Poi gli fece cenno di seguirlo.
-Vieni Edge, devo mostrarti una cosa.
Il giovane lo seguì fino a casa, senza dire una parola per tutto il viaggio. Per tutta la sua vita gli avevano ripetuto che quando avrebbe compiuto venti anni avrebbe dovuto raggiungere la sua stella. Beh, lui li aveva compiuti da un mese ormai, e ancora nessuno si presentava alla sua porta. Ogni volta che il maestro gli rivolgeva la parola sussultava.
Per quanto il suo cuore palpitasse dalla voglia di raggiungere la sua stella, sapeva che sarebbe stato doloroso lasciare la sua patria.
Giungendo verso casa, da lontano Edge scorse un uomo ben vestito. Indossava un completo blu, con delle sottili righe verticali scure, e una cravatta grigia piuttosto orrenda. Aveva dei capelli corti neri letteralmente sparati in aria, e gli occhi del medesimo colore. Quando furono a poco meno di un metro, il giovane gli rivolse la parola.
-Voi chi siete?
-Wuh, è da un pezzo che non ci vediamo - disse quello, ignorando del tutto il ragazzo.
-Maestro, voi lo conoscete?
-Certo, è colui che ti ha portato qui, venti anni or sono.
A quel punto l’uomo si voltò verso il giovane.
-Il mio nome è Timothy. Per te, è giunto il momento di partire. Sai già dove trovare la stella?
Edge lo guardò indispettito.
-Regola numero uno, mai rivelare a nessuno posizione ed identità della stella. - rispose freddo.
-Oh, hai fatto i compiti - commentò sghignazzando.
-Beh, vi lascio il tempo per gli ultimi saluti. Edge, ti aspetto al porto spaziale tra un’ora
Il giovane annuì, e seguì in silenzio il maestro dentro casa.
-E’ una vita che aspetto questo giorno, dovrei sentirmi felice? - domandò il giovane dopo aver chiuso la porta dietro di se. Wuh non era mai stato uno che esternava i propri sentimenti, e nemmeno Edge. Ma a loro stava bene così. Non si sarebbero mai scambiati frasi sdolcinate, nessuno dei due avrebbe pianto. Ma sapevano che entrambi avrebbero sofferto in silenzio.
-Sarai un grande Guardiano. - rispose il maestro. Poi prese una scatola bianca, che era poggiata sul tavolo, e la porse al giovane.
-Questo è il mio regalo d’addio. Ti farà comodo. Ora va a prepararti.
Il ragazzo, con la scatola in mano, salì le scale che portavano al piano superiore, e seguì il corridoio fin nella sua stanza. Poggiò la scatola sul letto e la aprì. Avvolti nella carta, vi erano gli abiti neri da Guardiano, gli stessi che indossava Wuh prima di ritirarsi a vita privata. Si trattava di abiti collegati spiritualmente al proprietario, in grado di apparirgli addosso ogni volta che quest’ultimo attiva la “Gad Mode”, la trasformazione dopo la quale il Guardiano può attingere ai suoi massimi poteri. Richiuse la scatola e si affrettò a prepararsi per andare. Si aggiustò la lunga sciarpa rossa che portava appesa al collo e che gli scendeva davanti al petto fin quasi a toccare terra. Si assicurò che le fasce e le fibbie di cuoio che teneva allacciate intorno al ventre e alla vita fossero ben strette, in modo da poterci legare eventuali borse o armi maneggevoli. Poi indossò un mantello bianco legato al collo, e un comodo cappuccio del medesimo colore che oltre ad avvolgere il capo copriva anche le spalle davanti e dietro. Controllò che la maglia e i pantaloni di lana nera che indossava non fossero strappati e si lucidò gli stivali rossi. Quando fu pronto lasciò la sua stanza e scese di sotto, dove Wuh lo aspettava sull’uscio della casa. I due si guardarono per qualche istante. Entrambi sorrisero malinconicamente. Edge superò la soglia, diretto verso l’ignoto, mentre ad ogni passo il cuore di entrambi si lasciava stringere sempre più forte dalla tristezza.

 

 

* * *

I L   G I O R N O   D E L  L  A   V E R I T A

-Ci siamo.
Disse la giovane davanti alla bancarella del pesce. Lesse un’ultima volta il foglietto che la matrigna le aveva dato per non sbagliare, e si diresse con passo sicuro verso il pescatore. La giovane, poco più che vent’enne, era molto affascinante. La matrigna la mandava sempre a far spese con la speranza che qualche mercante le facesse dei regali. La sua pelle bianca e candida era oggetto dell’invidia di molte donne, e nonostante avesse dei comuni capelli castano scuro, il fatto che li portasse corti le dava fascino e attirava l’attenzione. Spesso e volentieri indossava una gonna bianca con uno spacco a destra in diagonale, che lasciava intravedere le gambe lunghe e sode. Sopra indossava un drappo colorato di due diverse tonalità di rosso, che dalla spalla destra le scendeva a coprire le forme perfette e le lasciava libero il braccio sinistro, mentre avvolgendosi su se stesso scendeva fin sotto la cintura, mentre dei semplici sandali le avvolgevano i piedi delicati.
-Mi scusi, avete delle trote?
Il pescatore guardò la giovane che gli sorrideva e pensò a un mucchio di battute sconce che avrebbe potuto fare, con la vana speranza di abbordare una così bella ragazza nonostante i suoi denti rancidi e i capelli grigi e unti. Ma, per fortuna, la cortesia prevalse.
-Ehm, si mia signora, a volontà.
Rispose indicando una cassetta piena di pesci. La ragazza sorrise.
-Oddio per me i pesci sono tutti uguali, non avrei mai saputo riconoscerle, potrebbe darmene due?
E scoppiò in una risata isterica, carica di imbarazzo. La scenata della ragazzina ingenua in genere funzionava sempre, ma dire certe cose la metteva in ogni caso non poco a disagio.
Il pescatore allocco ne incartò tre, e se ne fece pagare soltanto una. E poco gli importava che avesse incassato poco, mentre con la bava che gli colava dalla bocca guardava la ragazza sculettare via contenta.
-Oh tesoro mio, tu sai proprio come ammaliarle le persone.
Esclamò la matrigna di Nilin mentre scartava tutta contenta i tre pescioloni. Ma la giovane non stava ad ascoltarla. Passava le sue giornate così, tra una commissione e l’altra, perdendosi nei suoi pensieri quando poteva. Sentiva di non essere al posto giusto, sentiva il bisogno di avere uno scopo nella vita. Erano passati anni dall’ultima volta che la sua vera madre, o quella che lei credeva esser la sua vera madre, ovvero Atena, le aveva fatto visita. Si domandava come fosse possibile che la figlia di una dea fosse costretta a fare una vita così inutile. Spesso si era chiesta se per entrare nell’Olimpo non dovesse fare altro che dare una prova del suo valore. Ma non avrebbe saputo neanche da dove iniziare. Quella notte, sarebbe cambiato tutto.

 

-Ci siamo.
Esclamò Edge mentre la sua navicella spaziale monoposto si avvicinava al pianeta Terra.
-E’ qui che si trova, ne sono certo.
Chiuse un istante gli occhi per concentrarsi, e percepire meglio la posizione esatta della stella, tanto per essere sicuro di non sbagliare. La sua navicella, gentilmente donatagli dall’ordine dei Guardiani, aveva una forma piuttosto particolare. Si trattava di una struttura di forma ovoidale di cristallo, che conteneva la cabina di pilotaggio, circondata da una serie di tubuli in una lega di metallo speciale che le conferivano la forma di una piramide con l’apice rivolto in avanti, dal quale era possibile sparare dei raggi per difendersi in caso di attacco. Mentre scendeva a grande velocità verso il pianeta, con il radar cercava una zona che non fosse eccessivamente lontana dal suo obiettivo. Individuò una piccola isola deserta poco al largo della costa vicina al punto in cui percepiva la sua Stella. Le prime luci dell’alba cominciavano a fare capolino dietro di lui, dunque si affrettò per piombare su quell’isola deserta silenziosamente, con un atterraggio controllato. Scese con calma dalla navicella spaziale. Le forme di vita che aveva rilevato sembravano piuttosto primitive, quindi pensò bene di nascondere la sua nave coprendola con delle fronde. Fatto questo si librò in volo grazie alle sue speciali abilità, e si diresse verso il suo obiettivo. Si fermò appena fuori le imponenti mura di una grossa città con il sole che era già alto da un po’, e scese a terra senza essere visto con l’intento di mischiarsi tra la folla.
-“Atene”.
Recava una scritta che indicava la città. Edge si assicurò che il cappuccio lo coprisse per bene ed entrò nella città. Non fu difficile per gli abitanti riconoscere lo straniero, visto che indossava degli abiti poco comuni. Ma la sicurezza del suo passo e la sua totale indifferenza gli conferiva un aspetto quasi rassicurante. La gente dopo poco sembrava quasi essersi abituata. Dopotutto erano soliti vedere mercanti provenienti da ogni dove girare per la città, ma questo Edge non poteva di certo saperlo.
Si aggirava per la città come se la conoscesse a memoria, come se l’avesse costruita lui o se ci vivesse da sempre. Seguiva un percorso ben preciso, finché in una piazza il suo cuore perse un battito. Fu allora che per la prima volta la vide. Dall’altro lato della piazza, tra la folla, scorse il suo viso e la riconobbe in mezzo a mille.
-Nilin…
Sibilò a bocca asciutta. Si fece largo tra la gente, nel tentativo di raggiungerla. Cercò di starle dietro e di non farsi vedere. La seguì fin quando non fu sola. Portava un sacco di borse, penso che potesse essere un buon pretesto per avvicinarla.
-Serve aiuto? - la ragazza lo guardò sorridendo. Edge rimase qualche istante ipnotizzato dal sorriso della meravigliosa fanciulla.
-Oh…grazie - disse Nilin, porgendo due delle quattro borse che portava al giovane - Come vi chiamate? – domandò infine incamminandosi.
-Edge, mi chiamo Edge. - lui si fermò dopo solo qualche passo e lasciò andare le buste a terra con delicatezza, in modo che il contenuto non si rovesciasse.
-Perché vi siete fermato?
-Nilin, io devo parlarvi.
-Come conoscete il mio nome? Mi stavate forse seguendo? Cosa volete da me? Rispondete!
-E’ tutta la vita che vi cerco.
-Che significa?
-Nilin, voi non sapete chi siete?
La ragazza sussultò. Come poteva lo straniero sapere che era figlia di Atena?
-Si, io sono la figlia di Atena..
-La figlia di chi?
-Della dea Atena.
Edge scoppiò in una grassa risata.
-Che avete da ridere?!
-Voi siete molto più che la figlia di una sconosciuta dea della Terra.
-Di cosa state parlando?! Siate chiaro!
Il giovane guardiano si avvicinò a Nilin.
-Voi siete Nilin, figlia della Stella Nilin di Leo!
-Che cosa state farneticando?
-Voi…non sapete nulla… - sussurrò tra se e se Edge, mentre indietreggiava con lo sguardo perso nel vuoto.
-Questo è un bel guaio…chi vi ha messo in testa questa storia sulla dea Alena?
-Atena stessa! E comunque io sono sua figlia, lei mi ha detto questo e sono certa che sia la verità. Non conosco la Stella di Leo di cui voi parlate! - Rispose la giovane.
-Non è una persona, ma una stella! Come il Sole! - disse Edge indicando con il dito verso la gigantesca sfera luminosa che si stagliava in cielo.
-Ecco, questa è la prova che voi siete completamente pazzo! Ridatemi le mie borse, torno a casa da sola! - Commentò seccata. Ma lui la afferrò per il braccio con delicatezza.
-No, ora mi condurrai dalla dea Atena!
-Cosa?! Ma vuoi farti ammazzare? Gli dei stanno sul monte Olimpo, quelli come me e te non ci possono entrare! - disse lei indicando l’entroterra, e divincolandosi dalla presa di Edge. Quest’ultimo le si gettò addosso abbracciandola. La ragazza chiuse gli occhi e gettò un urlo atterrita. Quando li riaprì, si ritrovò in un luogo vagamente familiare. Il terreno sembrava fatto di nuvole, e davanti a loro una gigantesca reggia si stagliava a qualche centinaio di metri.
-Immagino che questo sia il monte Olimpo di cui parlavi, l’ho notato arrivando qui – esordì Edge -  Vedi, nell’intero universo vige un equilibrio che permette la vita. Questo equilibrio è mantenuto dai figli delle stelle, che nascono ogni volta che una stella muore. E tu sei una di loro, e ora che hai compiuto venti anni è ora che tu cominci il tuo addestramento. Io sono il guardiano incaricato di guidarti e proteggerti, per questo sono venuto a cercarti.
Quella storia pareva a Nilin una favoletta, eppure quando sentì quelle parole le venne quasi da tirare un sospiro di sollievo. Come se quella pressione che aveva sempre sentito, quel pensiero che le sussurrava ogni notte che non stava adempiendo a uno scopo, avesse quasi acquisito un senso.
-Quando gli dei scopriranno che siamo qui, ci uccideranno!! - disse la ragazza spaventata.
-Gli dei non possono farci nulla. - rispose l’altro con sicurezza. Ma una voce, che arrivava da dietro di lui, lo smentì.
-Al tuo posto non ne sarei così sicuro.
Un uomo piccolo e magro fluttuava in aria alle loro spalle, vestito solo di un drappo bianco e con una corona di alloro intrecciata tra i riccioli d’oro. I due si voltarono e Nilin riconobbe il dio.
-Quello è Ermes, il messaggero degli dei!
-Lasciate questo luogo, o morirete - Disse quello, mentre poggiava i piedi a terra con fare sicuro e pieno di se.
-Dobbiamo vedere la dea Atena. - replicò il guardiano muovendo qualche passo verso il messaggero degli dei. Quest’ultimo lo guardò con aria di sfida.
-Non siete voi che decidete chi incontra chi. Se non ve ne andate.. - proseguì con aria minacciosa. Ma Edge lo interruppe.
-Che fai? Ci cacci? Eh, nano?
Ermes s’indispettì, e provò ad aggredire il giovane in preda alla collera, ma qualcosa si frappose tra i due.
-FERMATI ERMES!
Una voce femminile risuonò nell’aria, mentre la figura di Atena si stagliava a pochi centimetri dai due potenziali sfidanti.
-Madre!
Gridò sollevata Nilin.
-Dunque siete voi la dea Atena. Dovete delle spiegazioni alla vostra presunta figlia! –esclamò a sua volta Edge.
-Io non devo nulla a nessuno. Se te ne vai adesso, ti risparmierò.
La dea sembrava sicura di se, ma non poteva neanche lontanamente immaginare cosa la aspettasse.
-Cacciami. – gli intimò Edge.
La dea si liberò dal drappo bianco che indossava per potersi muovere più agevolmente e attaccò frontalmente il giovane, cercando di colpirlo con un pugno sul volto. Il lunghi capelli neri le fluttuavano sinuosi dietro le spalle, mentre la tunica aurea le danzava sulle gambe scossa dal vento. Un destro secco, un dritto micidiale che si piazzò sulla guancia sinistra di Edge, che non fece una piega. La dea lo colpì ancora con un gancio sinistro sulla guancia opposta, poi con un destro sul naso e di nuovo un sinistro nello stomaco, per chiudere la serie con una ginocchiata sul volto e un calcio rotante sul petto che fece fare un volo di qualche metro al ragazzo. Questi cadde come un sacco di patate con un gran tonfo, e alzando una nuvola di polvere. Restò qualche istante a terra, mentre la dea lo guardava soddisfatta. Ma come se niente fosse Edge si alzò, battendo le mani sugli abiti impolverati.
-Non avrei mai detto che le nuvole fossero così impolverate. – osservò sarcastico. Con calma esemplare si tolse il mantello e il cappuccio, e li gettò a terra.
-Riprovaci. – disse ad Atena inclinando il capo prima da un lato e poi dall’altro. Questa, leggermente infastidita dai modi non curanti del suo avversario, attaccò con insolita cattiveria. Svanì nel nulla, per poi riapparire ad una velocità impressionante di fianco ad Edge, alla sua sinistra. Provò a piazzare un gancio destro, ma solo quando il colpo fu assestato si rese conto che il suo obiettivo non c’era più.
-Perso qualcosa? – la voce di Edge le arrivò da dietro. Istintivamente cercò di affondare una gomitata all’indietro con il braccio destro, che Edge evitò, e poi avvitandosi su se stessa in senso orario cercò di andare a segno con una serie di colpi che il suo avversario si limitò a schivare girandoci intorno, fin quando non si aprì un varco nei colpi che l’avversaria sferrava con frequenza sempre minore. Con tempismo perfetto bloccò un pugno di Atena e ne approfittò per metterla sotto scacco.
-Non voglio farti del male, voglio solo che tu dica la verità. – le disse.
-Non c’è nessuna verità da rivelare. – rispose Atena.
Edge, spazientito aprì la guardia della Dea, per poi colpirla con un destro violentissimo nello stomaco, facendole perdere tutte le forze, e annebbiandole addirittura la vista per qualche istante. Atena si accasciò sul braccio del suo avversario, che si limitò a scostarsi e a lasciarla cadere con un gran tonfo. Poi si accovacciò sulle ginocchia e le parlò.
-Se sei intelligente come credo, avrai capito che non puoi sconfiggermi. E avrai anche capito che il tuo amico messaggero codardo può essere andato a chiamare anche tutti gli amici che hai mentre combattevamo, ma non servirà. E’ una questione troppo importante, devi dire la verità.
Mentre finiva il suo discorso, Edge percepì l’arrivo di altre personalità rilevanti, molto probabilmente dovevano essere i rinforzi. Oltre al già conosciuto Ermes, vi erano altre due figure, una molto più potente dell’altra. I tre comparvero dopo pochi istanti, e uno di loro, che indossava una sfolgorante armatura d’oro con mantello e criniera sull’elmo vermigli, provò subito ad attaccare Edge.
-ARES, NO! - gridò Atena mentre cercava a fatica di rialzarsi, tenendosi lo stomaco con un braccio.
Il guerriero si fermò all’istante. I due si guardarono e si scambiarono un cenno d’intesa. Edge, che stava tra i due, intuì cosa stava per succedere. Molto probabilmente avevano intenzione di attaccarlo simultaneamente, il che avrebbe significato continuare a perder tempo e lui non voleva saperne. Ma qualcuno prima di lui, più saggio e assennato, lo anticipò.
-Ora basta! - tuonò la terza figura apparsa con Ares ed Ermes. Si trattava di un uomo grosso e muscoloso, ma piuttosto datato con dei lunghi e setosi capelli grigi e una folta barba sul volto del medesimo colore: Zeus, il padre degli dei.
-Ma padre – si voltò indispettito Ares – ha violato l’Olimpo e aggredito la dea Atena! Merita una punizione! – concluse voltandosi con aria minacciosa verso il Guardiano.
-Taci, Ares. Non saremmo in grado di dargli una lezione neanche tra mille anni – disse con pacatezza il re degli Dei.
I due fratelli abbassarono lo sguardo, umiliati dal richiamo del padre. Ares strinse i pugni iracondo, e dovette mordersi un labbro sotto all’elmo aureo per riuscire a non ribattere al padre. Ma inaspettatamente a quel punto fu la giovane Nilin a prendere la parola.
-Insomma, si può sapere che cosa succede? Io non ci capisco più niente! Giravo per le strade a fare le commissioni della mia matrigna, poi compare questo tizio che mi dice che sono figlia di una stella, e che tutta la mia vita è una menzogna! Io voglio la verità! Madre, voi me la dovete!
Esclamò la giovane, con gli occhi scarlatti che le brillavano colmi di lacrime. Sentiva dentro una tempesta, un’impetuosa serie di emozioni che la sconvolgevano da dentro. Per tutta la vita si era sempre sentita fuori posto, come se fosse destinata a qualcosa di più grande e stesse sprecando la sua vita. E aveva sempre attribuito questa sensazione al non essere stata accolta nell’Olimpo assieme agli altri dei. Ma non ne aveva mai fatto una colpa ad Atena, anzi. Sentiva una sorta di immensa e esauribile gratitudine verso Atena. Questo l’aveva convinta che non potevano esserci dubbi sul fatto che lei fosse sua madre. Ma forse, in realtà, era come se sapesse che l’aveva salvata. Forse inconsciamente conservava un piccolo e insignificante frammento di memoria che influenzava ogni suo sentimento e ogni sua decisione. Per questo ora, tutti quei sentimenti contrastanti, necessitavano di una risposa secca e definitiva.
-Atena, ti prego, dille la verità. – disse pacato Edge. La dea si voltò verso Nilin, e riuscì finalmente a mettersi in piedi. Poi mosse qualche passo incerto verso la giovane, con un’espressione in viso che valeva più di mille parole.
-No… - sibilò la ragazza, non riuscendo più a trattenere le lacrime. Lentamente si lasciò scivolare sulle ginocchia, sbigottita dalla notizia ricevuta. Il suo sguardo restò fisso nel vuoto. Tutta la sua vita, era stata basata sull’inganno e sulle menzogne.
-Io.. – esordì la dea – non avevo idea di chi fossi. Una notte ti ho trovata, sei arrivata dal cielo e ho sentito che dovevo salvarti. Per proteggerti dagli altri ho dovuto mentire anche a te…
Edge sentì il cuore stretto in una morsa dolorosissima mentre vedeva la sua stella così stravolta. Mai avrebbe voluto arrecarle un simile trauma. Per qualche istante si sentì tremendamente in colpa, e in collera con Atena per aver causato tutto. Ma tenne tutto quanto per se, non c’era bisogno di scenate.
-Se avete quello che vi serve, potete andarvene. – disse Zeus con una nota di astio nella voce.
-Si… - disse sconsolato - ma non avrei voluto che le cose andassero così…io me ne torno di sotto, confido che mi riportiate Nilin quando tutte le spiegazioni saranno state date – concluse infine con un tono di voce completamente diverso da quello usato fin ora, molto più malinconico e sommesso. Poi si limitò a svanire nel nulla.
Continuava a ripetersi che aveva fatto la scelta giusta, che quel dolore era stato necessario. Per un  bene superiore. Ma nonostante tutto non riusciva a perdonarsi per averla fatta soffrire. Dopotutto, era questa la pesante eredità dei guardiani delle stelle: un destino triste come quello di pochi: passare la propria vita ad amare la propria protetta, senza che questa lo sappia mai. Per l’Ordine era severamente vietato rivelare il proprio amore ad esse, se non in punto di morte di uno dei due. Perché solitamente anche le stelle, presto o tardi, si innamorano dei propri Guardiani. Ma il loro destino infelice impedisce loro di amarsi e stare insieme.
Era sceso sulla spiaggia dell’isola dove aveva nascosto la sua nave spaziale, seduto su una duna di sabbia. Ne teneva stretta un po’ nel pugno destro e si divertiva a farla scivolare da una mano all’altra. Lo rilassava, lo aiutava a scaricare la tensione.
Nel mezzo di quelle infelici riflessioni Edge si rese conto che c’era una strana tensione nell’aria, e che qualcosa non andava. Si alzò in piedi, lasciando che il vento improvvisamente innalzatosi trascinasse via la sabbia che gli pioveva dalla mano.
-Il nostro re – esordì una voce maschile pungente e fastidiosa – vi manda i suoi ringraziamenti per averlo condotto fino alla Stella.
Il giovane inclinò la testa verso sinistra, per guardarsi alle spalle senza voltarsi. Tre soldati in delle scintillanti armature nere lo osservavano sghignazzando. Sembravano membri di un esercito, dato che indossavano tutti lo stesso tipo di corazza, composta da una serie di placche metalliche esagonali poste a protezione del torace, legate a degli spallacci parecchio sporgenti e appuntiti, schinieri e antibracci coordinati e un elmo che raffigurava le fauci di un drago nero aperte sulla testa. I tre, senza aggiungere altre parole passarono all’azione, attaccando simultaneamente e da tre direzioni diverse il Guardiano: dall’alto, dalla sua destra e dalla sua sinistra. Cercano di colpirlo con tre stili di combattimento diversi ma con la medesima inefficacia. Per lui infatti fu semplice parare il pugno che arrivava dall’alto con il palmo della mano sinistra, e i calci che arrivavano dai due lati rispettivamente con la mano destra per il calcio proveniente dalla sinistra e con il ginocchio destro quello proveniente dalla destra. I tre restarono sorpresi dall’agilità dell’avversario. Edge, avvitandosi su se stesso con grande velocità e forza riuscì a scacciare i tre avversari scagliandoli lontano.
-Chiunque sia questo vostro re, non è stato molto intelligente a mandarmi solo tre pedine
I suoi avversari, finiti a terra a distanza di metri, si rialzarono storditi.
-Chi ha detto che siamo solo in tre? – disse sghignazzando quello che aveva già parlato in precedenza, mentre attorno a loro centinaia di altri soldati apparivano dal nulla.
-Preparatevi a morire. – si limitò a commentare lui mentre lo attaccavano.

 

 

* * *

 

NOTE

1. Cronos, Padre di Zeus e dei suoi fratelli. Nella mitologia greca Cronos mangia i suoi figli per paura che questi diventino più forti di lui, ma Zeus riesce a salvarsi e a salvare i suoi fratelli.

2. Ecate, divinità primordiale della mit. Greca, è la dea della profezia e dei riti magici ed è considerata in grado di viaggiare tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In questa storia è più la dea del destino, in grado di prevedere ogni possibile futuro.

3. Fratello di Atena, anch’esso divinità della guerra, ma egli ne rappresenta il lato più rozzo e barbarico, a differenza di Atena che rappresenta le guerre nobili o difensive.

4. Fratello di Zeus, dio dei morti e degli Inferi.

5.  Cronide, figlia di Cronos. Epiteto di Zeus.

   
 
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