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Autore: Adeia Di Elferas    27/01/2015    5 recensioni
Breve affresco della vita di una donna dalla visita di Hitler a Roma nel 1938 fino alla vecchiaia. ((L'idea dell'inizio è stata vagamente ispirata dal film 'una giornata particolare'))
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature, Dopoguerra
- Questa storia fa parte della serie 'Prima, durante e dopo il il suono delle bombe'
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 Marisa aprì la finestra, annusando un momento l'aria che sapeva di nuovo e di entusiasmo, prima di venir di nuovo presa dalla sua famiglia, che si muoveva per casa come un gruppo informe di formiche.
 “Mamma!” si lamentò il piccolo Luigi, andando da lei di corsa. “Che c'è, Luigi?” chiese Marisa, abbasandosi verso il figlio più piccolo.
 Il bambino, di otto anni appena, le mostrò, con labbro tremulo, un piccolo taglio che si era fatto al dito chissà con cosa.
 “Luigi, non dare fastidio a tua madre!” lo rimproverò Gianni, il padre: “Piuttosto, va' a prendermi la camicia, che è ancora stesa in bagno!”
 Luigi si rimise subito sull'attenti, un Figlio della Lupa ancora per poco, infatti ancora qualche mese e sarebbe stato un Balilla. L'orgoglio di papà, la gioia di mamma.
 Teresa, la sorella maggiore, stava litigando con Edda, la sorella minore, entrambe decise ad usare la stessa spazzola per sistemarsi i capelli.
 “Vi sgualcite tutte le divise!” le rimproverò Marisa, avvicinandosi a loro per dividerle. Nel mentre si sentì Luigi informare il padre che non poteva prendergli la camicia perchè in bagno c'era Mario, che non voleva assolutamente essere disturbato. “E allora dicce a tuo fratè che mo lo disturbo io, lo disturbo!” si alterò Gianni, alzandosi di scatto e cedendo alla cadenza romanesca.
 Marisa, nel frattempo, stava porgendo alla terza figlia – in realtà la più grande di tutti – la bustina perfettamente smacchiata. Era stata un'impresa renderla così immacolata, ma alla fine la Gina avrebbe avuto una divisa da giovane fascista perfetta.
 Ci vollero ancora più di venti minuti e quando tutti furono vestiti e pronti, Gianni li fece mettere in fila, dal più vecchio al più giovane. Gina, Mario, Teresa, Edda e Luigi. Li controllò uno per uno. Sistemò colletti, baveri e cappelli e alla fine dichiarò: “Tutti pronti per andare.”
 
 Mentre scendevano le scale del grande palazzo di Trastevere, altre famiglie, molte numerose come la loro, si accalcavano sulle porte e sui gradini, nella speranza di non far tardi.
 “Sarà una grande giornata!” esclamò Gianni, quando incontrò il vicino sul pianerottolo. “Grande!” ricambiò Romolo: “Da raccontare ai nipoti!”
 La tromba delle scale era attraversata dalle voci tonanti delle ragazze del Trio Lescano, che arrivavano dalla radio della portineria, accesa a tutto volume. Quella canzone, così allegra e ritmata, aumentava il senso di festa e gioia che permeava tutti i presenti.
 Quando passarono accanto alla portinaia, che non sarebbe accorsa a vedere l'ospite di Roma, Marisa si fermò un momento: “Vi spiace non venire?” le chiese, con un sorriso un po' triste. La signora Bica scosse le spalle: “So' vecchia, Marì... Me accontento de senti' a la radio quello che sta a succede... Che te devo di'...” Allora Marisa le mise un momento una mano sul braccio: “Non si preoccupi, signora Bice. Ce lo dico io, poi, com'era Hitler!”
 La signora Bice, quindi, si unì ai saluti di quelli che restavano in casa e il palazzo restò pressochè vuoto.
 Stando davanti a tutti i figli, con la moglie Marisa a chiudere la file, Gianni condusse il piccolo corteo fino alla strada principale.
 Dopo aver attraversato il ponte, si diressero a marce forzate verso il monumento. Lì ci sarebbe stato il grande incontro...

 Mentre ascoltavano le parole di Hitler, in mezzo a tutti gli altri, tutti in divisa, tutti ordinati e fieri, Marisa – che di divise non ne aveva, se non quella di una madre che ha ben cinque figli pronti da offrire alla causa – guardò suo marito a lungo.
 Gianni era concentrato, guardava in direzione del Duce e di Hitler, rispondendo a voce alta, quando c'era da rispondere e stando attento ad ogni parola, perfino a quelle che non capiva.
 Lui era tutto ciò che una donna poteva volere: padre, marito e soldato.
 Marisa si beò nel guardarlo ancora a lungo, quasi tutto il tempo.
 
 Quando tornarono a casa, tutti ancora pieni di entusiasmo e di incredulità per quello che era successo – certi di aver appena preso parte ad un evento che i libri di storia avrebbero per sempre visto come glorioso – la radio della signora Bice era ancora accesa.
 L'EIAR stava trasmettendo una cronaca in differita della visita di Hitler, nessuna canzone.
 Questo a Marisa un po' dispiacque. Sarebbe stato più rasserenante tornare a casa accompagnati da una qualche bella melodia.
 Invece la voce del cronista raccontava passo a passo quello che loro avevano appena vissuto.
 “Com'era Hitler?” chiedeva Bice a tutti quelli che passavano.
 “Oh, che uomo affascinante!” esclamò una donna che viveva al piano terra. “Un valido alleato per il nostro Duce!” esclamò Romolo, sorridendo. “Bello, bello, bello!” fece, quasi isterica, una ragazza sui diciotto che si era da poco trasferita lì con la famiglia.
 “Com'era Hitler?” chiese ancora Bice, quando Marisa le fu accanto. Marisa avrebbe voluto dirle che per tutto il tempo aveva guardato più suo marito che non Hitler, ma alla fine rispose, con un dolce sorriso: “Un uomo deciso e a modo.”
 Bice parve molto soddisfatta ed alzò ancora un po' il volume della radio e tutti loro tornarono in casa quasi a passo di marcia, accompagnati dalla rivisitazione del giorno di primavera più eccitante della loro vita.

*

 Non sapeva nemmeno lei com'era arrivata fino a lì. La Ciociaria in primavera era per lei un sogno, ma sola com'era, si era tramutata in un incubo.
 Stava scappando, ma sapeva che non avrebbe mai più trovato pace.
 Avrebbe passato ancora mezza giornata tra gli sfollati, lì, su quella specie di collina che non conosceva. E poi si sarebbe spostata verso sud. Con un nome falso, documenti falsi... Non c'erano sconti, per la moglie di un fascista, per la madre di soldati fascisti, per qualcuno che ci aveva creduto troppo.
 Il ragazzo senza un occhio che era arrivato quella mattina, accese la scalcinata radio che avevano trovato qualche giorno prima in una casa abbandonata.
 Una canzone del Trio Lescano... Da quanto tempo non ne sentiva una.
 Il solo pensiero, le fece stringere il petto. Le tornò in mente quella mattina di maggio in cui lei, i suoi figli e il suo adorato Gianni erano andati a vedere quel tedesco che sembrava tanto una brava persona...
 Gianni... Era stato il suo unico amore. Si erano conosciuti in un giorno d'Aprile, ed era stato un giorno d'Aprile a separarli per sempre...
 “Spegni quella radio.” ringhiò Cesira, una donna di una certa età che aveva passato gli ultimi anni a nascondersi, prima dai tedeschi, poi dagli italiani ed ora anche dai mongoli.
 Il ragazzo grugnì, ma spense.
 Non appena ci fu silenzio, Cesira, che di bello aveva solo la voce, cominciò a cantare: “È primavera, svegliatevi bambine, alle cascine messer Aprile fa il rubacuor... E a tarda sera, madonne fiorentine, quante forcine si troveranno nei prati in fior...”

*

 “Signora Marisa, venga...” stava dicendo la ragazza con la maglietta verde. Marisa la fissava con gli occhi vacui, le braccia e le gambe troppo deboli per riuscire a eseguire quel semplice ordine.
 “Avanti, l'aiuto io...” fece allora la ragazza, afferrando l'anziana sotto le ascelle e prendendola quasi di peso.
 Quando riuscì a metterla seduta sul letto le chiese, con gentilezza: “Ha sete? Vuole qualcosa da mangiare?”
 Marisa scosse la testa: “Siete gentile, ma no, grazie...” sussurrò, con la voce roca. “Signora Marisa, non mi dia del 'voi'...” rise la ragazza.
 Marisa la osservò un momento. Avrà avuto al massimo venticinque anni. La stessa età che aveva la sua Gina l'ultima volta che l'aveva vista. Eppure era così diversa da sua figlia...
 “Cosa c'è in televisione, signorina?” chiese Marisa, cercando di rivegliarsi dal torpore che la stava per prendere.
 “Vediamo subito, signora Marisa.” obbedì diligente l'infermiera.
 Mentre attendeva che la tv si accendesse, Marisa si specchiò nel vetro che stava davanti ai tubi catodici.
 A rispondere al suo sguardo era una vecchia che non riconosceva. C'erano rughe, laddove c'era stato un sorriso, c'erano occhi spenti laddove c'erano state pupille vive di speranza.
 Aveva passato da poco i novant'anni, eppure la sua vita le sembrava ferma a quella giornata particolare, quella mattina di primavera, in cui il mondo era bello, pieno di entusiasmo e la sua famiglia era tutta lì, pigiata in una casa minuscola, ma piena d'amore.
 Quando le immagini riempirono lo schermo, l'infermiera prese il telecomando: “Mi dica quando devo fermarmi.” disse.
 Marisa annuì lentamente e lasciò che la ragazza cercasse un canale di suo gradimento. C'erano programmi a premi, studi pieni di gente che litigava, film d'importazione... Il mondo era cambiato. In fretta.
 Marisa si era sempre reinventata, era rinata dalle sue stesse ceneri ed era sempre stata forte. Aveva vissuto mille vite diverse, ma nessuna era mai stata davvero sua, dopo la prima.
 All'improvviso delle immagini in bianco e nero catturarono la sua attenzione. “Qui...” bisbigliò e la ragazza smise di fare zapping.
 Un audio un po' rovinato e un filmato d'epoca. La visita di Hitler a Roma, maggio 1938.
 Il cronista stava raccontando l'incontro e in sottofondo, come in un sogno, risuonava la canzone del Trio Lescano.
 In realtà la canzone era solo nella mente di Marisa, ma bastò a farle lacrimare gli occhi. “Signora Marisa, sta bene?” chiese la ragazza.
 L'anziana annuì: “È solo che io c'ero.” La ragazza guardò ammirata la donna: “Ha visto Hitler dal vivo?” chiese.
 Marisa annuì. “E com'era? Com'era Hitler?” chiese la ragazza, con gli occhi spalancati e un'espressione di attesa in volto. Per un momento a Marisa parve di aver di fronte ancora una volta la signora Bice. Stavolta però rispose: “Sembrava diverso da quello che poi è stato...”
 Quando il filmato storico terminò, cominciò un ex cursus sulla musica del periodo della guerra e del dopoguerra. Il viso di Rabagliati riempì lo schermo, mentre la sua voce prendeva a cantare la seconda strofa di una canzone che Marisa conosceva bene: “Fiorin di noce, c'è poca luce, ma tanta pace... Fiorin di noce, c'è poca luce, fiorn di brace... Madonna Bice non nega baci, baciar le piace, che male c'è?”
 “Prova a vedere se c'è ancora 'Ok, il prezzo è giusto', cara...” disse piano Marisa, distogliendo lo sguardo dallo schermo. L'infermiera annuì e cambiò canale, fino a che non incontrò Iva Zanicchi che incitava il pubblico a gridare: “Cento! Cento!”
 “Vado a preparare il tè.” informò l'infermiera.
 Marisa annuì, ancora annebbiata dalle lacrime.
 In pochi istanti, la casa fu scossa dai rumori proveniente dalla cucina. Rumori rassicuranti, che le davano un po' di pace.
 E intanto nel suo cuore rimbombava ancora quella canzone: È primavera, svegliatevi bambine, alle cascine messer Aprile fa il rubacuor... È primvera, che festa di colori! Madonne e fiori tentaste il genio di un gran pittor! E allora a sera fiorivano gli amori... Gli stessi amori che adesso intrecciano i nostri cuor...



 

   
 
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