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Autore: fireslight    27/01/2015    1 recensioni
«Osi darmi del bugiardo?» il suo tono le fece accapponare la pelle, non di paura.
Clary sospirò lievemente, poggiando la fronte sulla spalla del ragazzo, i lunghi capelli sciolti come scie sanguigne sulla camicia di Jace.
[..]
«Stai congelando, Clary. Forza, sotto le coperte.»
«Non credi di aver passato sufficiente tempo, sotto le coperte?»
Clary si voltò, osservandolo attentamente. Jace ridusse la distanza fra i loro visi, baciandola e stringendola a sé.
«Non si passa mai troppo tempo sotto le coperte.»

[Jace/Clary♥]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jace Lightwood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A greater distance from which fall.
 
 
 
 
“.. tutto ciò che ci ha lasciato questa discendenza dagli angeli
è una maggiore altezza da cui precipitare quando cadiamo.”
 
         
                   

                   «Hai freddo?»
Le luci dei quartieri di Brooklyn gettavano ombre argentee sulla strada, sui taxi affollati vicino ai marciapiedi di quel sabato pomeriggio di Novembre. L’aria era gelida, e sebbene Clary indossasse un lungo cappotto pesante e scuro, ben misera era la protezione che quest’ultimo le offriva contro il rigido clima invernale.
«Sto bene, davvero.» l’aria si condensava di fronte al suo viso in piccole nuvolette pallide che, alla luce dei lampioni della strada, si sollevavano al cielo scuro con grazia, quasi danzando.
Jace camminava al suo fianco e prima che lei potesse accorgersene, fece scivolare una mano nella sua, stringendola forte tra le dita, quasi non volesse perderla di vista nel caos del quartiere.
«Hai le mani congelate, Fray.»
«Non chiamarmi in quel modo.»
Lui sorrise, attirandola a sé e baciandole piano il capo, i capelli che assumevano sfumature viola scuro alle luci che li inseguivano come lucciole giocose.
«Non manca molto, resisti.» quella volta, era stato il turno di Clary di sorridergli conciliante, docile come un bambino che seguirebbe suo padre nel bel mezzo di una tempesta. Avevano svoltato ad un angolo di uno dei numerosi palazzi, e le guglie appuntite dell’Istituto erano adesso ben visibili anche da un isolato di distanza.
Arrivati presso i portoni, Jace non dovette neanche invocare le benedizioni rivolte all’Angelo perché questi si aprissero.
La cattedrale era immersa nel buio, le navate illuminate unicamente da alcune candele dalla cera sciolta, solitarie in una cappa di oscurità. Clary alzò gli occhi verso gli alti soffitti e le parse che piccoli, invisibili fiocchi di neve fluttuassero verso il basso, depositandosi con delicatezza sul suo viso.
Anche Jace se n’era accorto, e Clary vide lo stupore nei suoi occhi dorati di fronte a quel piccolo incantesimo.
Sorrise, pensando al fatto che vedere Jace così spensierato fosse più unico che raro.
«Vieni.» le sussurrò il ragazzo, intrecciando le loro mani e trascinandola verso l’ascensore, mentre le grate decorate a rombi si aprivano lentamente, non senza qualche cigolio.
«Dovrò ricordarmi di dire a Maryse di farlo riparare.»
«Vuoi davvero parlare di Maryse?» il tono della ragazza nascondeva sorpresa, quella di chi non fa del sarcasmo la sua corazza.
Gli occhi di Jace non si staccarono mai dai suoi mentre le sia avvicinava lentamente nella cabina stretta dell’ascensore, costringendola con le spalle ad una delle pareti.
«Credo che parlare potrà solo essere superfluo.»
Clary sentì le sue mani sul volto, − delicate quanto le carezze di sua madre quand’era bambina, prima di rimboccarle le coperte − le sue dita sottili e affusolate sulla nuca, e pochi attimi dopo, le labbra di Jace sulle sue, che la sfioravano quasi pigre, indolenti, carezze volte a farle desiderare di più.
Ad un tratto non vi fu più niente. Non lo scampanellio all’apertura delle grate metalliche, né l’espressione stupita di Isabelle davanti a loro, quasi in procinto di infilarsi nell’ascensore senza controllare che fosse vuoto. Isabelle si schiarì la gola, ed in quel momento Jace si staccò lentamente dalla ragazza fra le sue braccia, fissando la sorella con espressione accigliata, vagamente ironica.
«Izzy, splendida serata, non trovi?»
«Prendetevi una camera, Jace.»
Isabelle alzò gli occhi al cielo, arrotolando la frusta di elettro al polso alla stregua di molteplici braccialetti d’argento, mentre Clary, arrossendo lievemente, strinse una mano a quella di Jace, in un silenzioso invito ad allontanarsi di lì.
Trovarono Church acciambellato fuori dall’ascensore, e Jace, il volto mortalmente serio, soffiò un: «Sparisci.»
Il gatto soffiò a sua volta, stiracchiandosi ed allontanandosi per un corridoio a destra.
«Perché lo hai fatto?»
Clary aveva il tono di chi non credeva che lui potesse davvero trattare male un gatto e il Cacciatore provò l’insano e quanto mai forte impulso di baciarla, nuovamente, adorando la sua espressione di finto disappunto. Eppure, Jace si trattenne, sollevando impercettibilmente le labbra in un sorriso.
«Non mi è mai stato troppo simpatico, quel gatto.»
«Bugiardo.»
Improvvisamente, Clary si ritrovò tra le sue braccia, la schiena premuta con forza ad una delle pareti ed il volto di Jace a pochi centimetri dal suo. Osservò i suoi occhi dorati, il sottile cerchio dell’iride ormai affogato nel nero della pupilla come della panna in una tazza di cioccolata, la linea degli zigomi, e infine le labbra sottili.
Era come osservare un angelo da vicino, come in uno di quei dipinti che l’avevano sempre affascinata.
«Osi darmi del bugiardo?» il suo tono le fece accapponare la pelle, non di paura.
Jace percorse con mani sicure le sue spalle, le scapole, soffermandosi sui fianchi e sfiorandole delicatamente la base della schiena con le dita ghiacciate dal freddo di New York, al di sotto della felpa scura, fino a risalire per l’intera lunghezza della spina dorsale. Clary sospirò lievemente, poggiando la fronte sulla spalla del ragazzo, i lunghi capelli sciolti come scie sanguigne sulla camicia di Jace.
«Jace..»
«Cosa?»
«Non qui..»
«No, hai ragione. Sul tappeto.»
Un lungo tappeto di pregiata fattura correva per l’intera lunghezza del corridoio, sino ad un angolo e anche oltre. Clary pensò che se solo Maryse Lightwood avesse sentito ciò che Jace aveva appena detto, lo avrebbe cacciato fuori dall’Istituto senza alcun ripensamento.
La ragazza rise piano, stringendosi contro il corpo di Jace, godendo del calore che esso emanava contro la sua pelle gelida.
«Maryse ti ucciderà.»
«Non lo saprà mai.»
La distanza per arrivare sino alla camera del ragazzo non era mai stata più breve.
 
 
Alcune ore più tardi, Clary si perse nell’osservare le luci della città dalla finestra della camera di Jace, affascinata dal gioco di chiari e scuri che dipingevano le strade come il Guernica di Picasso.
Jace le si avvicinò piano, circondandole il busto con le braccia nude, ricoperte di sottili cicatrici argentee e posò il capo sulla spalla della ragazza, sentendola rabbrividire. Clary indossava solo una leggera maglia del ragazzo, ma nonostante il freddo clima di New York stringesse i quartieri nella sua morsa gelida, non era il freddo in sé a procurarle quei brividi.
«Stai congelando, Clary. Forza, sotto le coperte.»
«Non credi di aver passato sufficiente tempo, sotto le coperte?»
Clary si voltò, osservandolo attentamente. Jace ridusse la distanza fra i loro visi, baciandola e stringendola a sé.
«Non si passa mai troppo tempo sotto le coperte.» mormorò con voce roca, prendendola in braccio e facendola stendere sul letto, i capelli sparsi sui cuscini candidi come lunghe spire purpuree. Incapace anche solo di fiatare, Clary lo osservò estasiata − incapace di chiudere gli occhi per paura che quello si rivelasse unicamente un sogno.
Si perse nell’osservare il suo volto ancora una volta, imprimendosi nella mente ogni dettaglio del viso di Jace, del suo corpo da guerriero sospeso sopra il suo, i gomiti poggiati sul materasso ai lati del proprio viso così da non gravarla del suo peso.
Lentamente, Jace poggiò il capo sulla spalla della ragazza, seppellendo il viso fra i capelli rossi di Clary e aspirandone il profumo di miele.
«Dimmi se ti faccio male, Clary.»
«Non potresti mai farmene.»       
Clary lo sentì sospirare contro il collo, prima che le baciasse una tempia, − come faceva sempre quando pensieri funesti gli attraversavano la mente come coltelli roventi sulla pelle.
«Clary.. Non dire così.»
«Tu non mi faresti mai del male.»
«Eppure te ne ho fatto.» Jace la attirò a sé, facendole poggiare il capo sul petto coperto solo da una canottiera scura, intrecciando le loro gambe al di sotto delle pesanti coperte. «Ti ho causato molte sofferenze, più di quante tu non avresti mai dovuto subire. E questo mi addolora.»
«Non dire così, Jace. Non pensare a quanto successo a Idris, non più. Io sto facendo di tutto per dimenticare.»
«Certe cose non si possono dimenticare. A volte, penso ancora a quanto mi sentissi sbagliato, pensando che in me c’era sangue di demone..»
«Non sarebbe cambiato nulla, e ad ogni modo, non sei tu ad avere sangue di demone.»
Jace sbuffò infastidito, rigirandosi fra le dita una ciocca dei capelli di Clary.
«Certo che no, è tuo fratello.»
«Per mesi ho creduto che tu fossi mio fratello. In quel bar, quando mi dicesti di non provare niente, che ti saresti comportato come un fratello, io.. Non puoi neanche lontanamente immaginare come mi sia sentita.»
«Mi dispiace, Clary.. Mi dispiace tanto.»
Jace la strinse a sé ancora di più, quasi temendo di farle del male. Eppure Clary non osò sottrarsi al suo calore, alle sue braccia che la reclamavano come un assetato reclama dell’acqua in un deserto, godendosi quei momenti come fossero gli ultimi. Sperava non lo fossero davvero.
Jace le baciò il profilo del viso, scendendo lentamente e trovando libero accesso alle sue labbra, circondandola interamente e impendendole quasi di muoversi, imprigionandola fra il materasso il suo petto.
«Non lasciarmi, Jace.»
«Questo mai.»
  
 
Più tardi, Jace ricordò d’improvviso alcune parole che Hodge aveva detto a lui e Alec, quando da bambini li istruiva sulle origini dei Cacciatori, sul fatto che la discendenza dagli angeli altro non aveva lasciato loro che una distanza più grande dalla quale precipitare quando sarebbero caduti.
Se gli fosse successo qualcosa, − qualsiasi cosa − si promise in quell’istante che non avrebbe mai lasciato che Clary affondasse con lui. Lei era qualcosa di elementare, una parte di sé stesso che non avrebbe mai accettato di perdere, o di sapere perduta; Clary era parte di lui, era l’altra metà della sua testa e del suo cuore, qualcuno del quale non avrebbe potuto − né voluto mai − fare a meno.
 
 
 
 




    Note dell'autrice.
    Buon pomeriggio, gente. Avevo scritto questa shot dopo aver letto Città di Vetro, essendo
    sicura che questi cosetti (?) potessero finalmente stare insieme.. but, non avevo ancora 
    cominciato Città degli Angeli Caduti e non sapevo cosa Sebastian/Jonathan avrebbe fatto a 
    Jace. Però niente, avevo questa idea e l'ho messa nero su bianco, ew.
    Spero questa shot senza pretese possa piacere, e ringrazio chi è arrivato fin qui, chi ha letto e 
    chi vorrà recensire, cosa sempre apprezzata, aw.
    Alla prossima,
    fireslight.
 
 
 
 
 
 
  
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