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Autore: Francine    27/01/2015    8 recensioni
Le giornate strane ti cadono in testa come tegole dispettose.
Quelle storte le riconosci subito, appena apri gli occhi, o quasi. Hai quella sensazione – come un formicolio sotto la pelle, hai presente? – e il tuo sesto senso ti dice che è meglio marcare visita e starsene a letto, oggi. E di solito, ha ragione lui. Ma le giornate strane, no; le giornate strane non le distingui dalle altre appena ti svegli, ma solo dopo. Solo a sera. Solo quando sono esplose come fuochi d’artificio nella notte e hanno già fatto il loro lavoro. Scombussolarti le carte, ad esempio. O cambiarti la vita. In un battito di ciglia.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sappi che ogni storia, in qualche punto profondo, si rifà a una grande verità, anche se questa non sempre ci è chiara. 
(David Grossman - Qualcuno con cui correre, 2000)


1.
 
Le giornate strane ti cadono in testa come tegole dispettose.
Quelle storte le riconosci subito, appena apri gli occhi, o quasi. Hai quella sensazione antipatica – come un formicolio sotto la pelle, hai presente?  – e il tuo sesto senso ti dice che è meglio marcare visita e starsene a letto, oggi. E di solito, ha ragione lui. Ma le giornate strane, no; le giornate strane non le distingui dalle altre appena ti svegli, ma solo dopo. Solo a sera. Solo quando sono esplose come fuochi d’artificio nella notte e hanno già fatto il loro lavoro. Scombussolarti le carte, ad esempio. O cambiarti la vita. In un battito di ciglia.
 
2.

Chiedete ad Hanamichi Sakuragi di commentare la sua giornata.
Hanamichi, capelli rossi, aria spavalda, ala grande della squadra di basket del liceo Shohoku – prefettura di Kanagawa – ha collezionato cinque falli nella partita di oggi. Fin qui, tutto nella norma.
Quello che ha lasciato Hanamichi stupito – stupito e perplesso e incredulo, se posso dire la mia – non è stato uno slam dunk da manuale – e per uno che a malapena infila un canestro è un miracolo – ma le parole di Kaede Rukawa. Non gli ha detto idiota, no. Non gli ha detto nemmeno mentecatto, imbecille o incapace. Gli si è avvicinato e l’ha chiamato con un «Ehi». Tanto per farlo voltare. E quando Hanamichi gli ha piazzato i suoi occhi scuri addosso, pronto a rispondergli per le rime, Rukawa ha aggiunto: «È stata una bell'azione, mi dispiace!». E poi è tornato dal resto del quintetto.
Ora, voi penserete che non ci sia nulla di strano, vero? Che questo sia un comportamento normale. Educato. Rispettoso dei valori sportivi. Civile, alla fine. E avreste ragione, se non fosse che Hanamichi Sakuragi e Kaede Rukawa proprio non si possono soffrire. O meglio. Hanamichi lo detesta. Con tutta l’anima e con tutta quell’assurda caparbietà di cui sono capaci le persone testarde.
E Rukawa – e Kaede –?
Rukawa – Kaede – non è da meno, in quanto a testardaggine, ma non è di lui che stiamo parlando, adesso. Hanamichi, dicevamo. Hanamichi è uscito dal campo – e se non si fosse sbrigato a momenti il Gorilla, come lo chiama lui, quasi ce lo faceva uscire a pedate – e si è seduto accanto a Mitsui. Ed è stato zitto.
Muto.
Un pesce nella sua boccia tonda avrebbe fatto più rumore.
E questa non è una reazione normale, da parte di Hanamichi; il quale è solito incensarsi anche quando compie un’azione di pura routine per un giocatore di basket – tipo infilare la palla nel cerchio tirando dalla lunetta.
Non ha detto a Mitsui: «Hai visto come si fa, baciapiselli?».
Non ha fatto la ruota con gli altri compagni.
Non ha risposto con una fanfaronata delle sue quando Ayako gli ha passato l’asciugamano. Le ha solo detto: «Sono un po’ stanco», e s’è lasciato cadere sulla sedia accanto a Mitsui. E stanco doveva esserlo davvero, visto che non ha fiatato, con somma gioia degli altri. E quando la partita è finita  è rimasto lì, da solo, con l’asciugamano sulla testa e l’espressione stravolta – a dispetto del suo ginocchio dolorante Mitsui è schizzato in campo nemmeno fosse un petardo, semmai ve lo steste chiedendo – fino a quando Akagi – il Gorilla – non lo ha richiamato sul parquet per il saluto finale.
Tutto qui, direte?
No. Questo è solo l’inizio.
Perché mentre salutava gli avversari e guadagnava lo spogliatoio con gli altri e crollava svenuto sul pavimento, Hanamichi era davvero troppo stanco per rielaborare quello che era successo.
Ok, Rukawa gli ha fatto un complimento inaspettato. Quindi?, direte voi.
Avete mai ricevuto una secchiata d’acqua ghiacciata, di quelle che vi annaffiano all’improvviso mentre state passeggiando per i fatti vostri, ignari che qualcuno, sopra di voi, abbia deciso di regalarvi una doccia fuori programma, magari quando fuori ci saranno, che so?, quaranta gradi all’ombra?
Ecco.
Hanamichi ha provato una cosa del genere. E mentre lui sveniva dalla stanchezza, il suo cervellino no – è un ragazzo testardo, ve l’ho detto. Il suo cervellino continuava a processare le informazioni ricevute nell’ultima ora.
Rukawa gli fa i complimenti.
Rukawa è sincero mentre gli dice che gli dispiace.
Rukawa che lo sprona a tirare fuori le palle – parole sue.
Rukawa che gli sta accanto durante il saluto.
Rukawa che, quando Hanamichi si sveglia, se ne sta sdraiato sul pavimento, accoccolato su un fianco, la testa in una posizione scomodissima e l’espressione più beate ed innocente che vi possa venire in mente.
Hanamichi aggrotta le sopracciglia, mentre in sottofondo gli giungono i mugugni di Ryota – che ha scambiato il suo polpaccio per un cuscino. A che gioco stai giocando?, pensa. Fissando Rukawa. Perché Hanamichi è sicuro che il volpastro – come lo chiama lui – sta architettando qualcosa. Perché c’è sempre un secondo fine, nelle sue azioni.
Anche Haruko ne è convinta, con la differenza che lei no, non è obbiettiva nei confronti del volpastro. «Lo fa per spronarti», gli dice la sua vocina, rimbalzandogli nella testa. E dandogli fastidio. «Per farti tirare fuori la grinta.» Peccato che Hanamichi creda che Rukawa si diverta a vederlo arrabbiarsi e dare in escandescenze. Che lo faccia apposta. Per dispetto. Nemmeno fosse una scimmia. O una volpe dispettosa.
Haruko è troppo buona, pensa alzandosi – Ryota protesta, chiama «Ayakuccia mia…» e torna a ronfare – e guadagnando le docce.
 
3.

Però – perché c’è sempre un però – Hanamichi è costretto ad ammettere con se stesso che gli ha fatto piacere ricevere la considerazione di Rukawa. Oh, se gliene ha fatto. E gli ha fatto piacere leggere della sincera simpatia nel suo sguardo – profondo e blu. Oh, se gliene ha fatto! E non gli avrebbe fatto piacere se al posto di Mitsui ci fosse stato Rukawa a dargli le pacche sulla schiena? Oh, se gliene avrebbe fatto!
Hanamichi sfila accanto a Rukawa, barcollando. Sono a pezzi, pensa. Passandosi una mano sulla fronte sudata. Niente che una bella doccia non possa sistemare, si dice. Fermando un istante – uno solo – per osservare Rukawa stramazzato al suolo prima di raggiungere le docce, aprire il rubinetto e lasciare che l’acqua pensi al resto.
«È così bello… sembra quasi Narciso.» Haruko gliel’ha detto un giorno, sospirando alle nuvole rosate del tramonto, per poi spiegargli per filo e per segno la triste vicenda di Narciso. Un idiota che s’è innamorato di se stesso ed è affogato per baciarsi.
E Rukawa steso sul pavimento non aveva le labbra socchiuse, come se aspettasse un bacio?
Certo che sì.
E non se lo merita un bacio, per quello che ti ha detto?
Certo che… occazzo!
Hanamichi spalanca gli occhi. Davanti a sé, la sua mano puntellata sulle piastrelle bianche. Sopra di sé, lo scroscio dell’acqua. Sotto di sé, una inaspettata sorpresa.
Oh cazzo cazzo cazzo cazzo…
Hanamichi ha sedici anni, ed il suo corpo lo conosce molto, molto bene. E quello che sta succedendo sotto lo scroscio della doccia no, non è normale. Affatto.
Stavo pensando ad Haruko. Ecco perché. Mi basta pensare alla sua voce per, ma dentro di sé Hanamichi sa di mentire. Ma mentire è la soluzione migliore, adesso. Non pensarci, non prendere nemmeno in considerazione quello che il suo cervello gli sta dicendo: «Mai dire mai, Hanamichi», con lo stesso tono snervante che Mito tira fuori quando sa di avere ragione.
Opporca… Non dovrà venirlo a sapere nessuno. Nessuno!!
Hanamichi resta a fissarsi la mano, come se quelle cinque dita potessero fornirgli la soluzione a tutti i suoi problemi. O una dritta. O cavarlo fuori dai pasticci. Magari schioccando tra di loro, o una roba del genere. Ed è uno schiocco di dita a risvegliarlo.
«Che fai, dormi? Spostati!»
Hanamichi resta congelato mentre Rukawa avanza e si pone sotto al getto dell’acqua.
Silenzio. Hanamichi sa che dovrebbero parlare. Sa che dovrebbe dirgli «Grazie» per lo sprone che gli ha dato durante la partita di oggi. O solo che dovrebbe mantenere la sua parte da spaccone e vantarsi di quanto sia stato bravo e forte e assolutamente figo, oggi. E che è stato grazie a quel canestro disperato se hanno vinto la partita – e per una volta tanto è vero, e non il solito delirio d’onnipotenza di Hanamichi. Ma Hanamichi tace. Per imbarazzo. Per vergogna. E perché l’aria si è fatta irrespirabile non appena Rukawa è entrato nelle docce. Così apre il rubinetto di un’altra doccia e si piazza sotto al getto, per non prendere freddo e non sembrare un perfetto cretino.
Eppure, che c’è di diverso dalle altre volte? Non prendono per il culo le misure di Miyagi, o il "coso" storto di Mitsui? L'unico in commentabile è il Gorilla. Perché i suoi pugni fanno un male cane.
Adesso me ne vado. Giro sui tacchi e via. Pensasse quello che gli pare, ma…
«Allora, com’è?», gli chiede Rukawa. Che deve aver preso una bella botta in testa se ha voglia di mettersi a chiacchierare. Con lui, poi. Oppure ha capito tutto e lo sta facendo apposta!, pensa Hanamichi. «Infilarla dentro, intendo…»
E Hanamichi arrossisce.
Che c’è di strano? Non fate sempre battute di questo tipo, durante gli allenamenti?
Sì, ma per colpa di quelle oche infoiate del suo fan club!
Raccontalo ad un altro, Hanamichi…

«Ehi, ci sei?», gli chiede Rukawa. Insaponandosi i capelli. Ma Hanamichi non risponde. Resta a fissare le piastrelle davanti a sé, come se vi avesse scoperto il segreto dell’universo sopra. Rukawa si stringe nelle spalle.
«Chi è che non dovrà mai venire a sapere cosa?»

 
4.

Hanamichi si sente morire. Il cuore si ferma per un istante eterno, per poi riprendere a battere all'impazzata. Occazzo! Devo aver parlato ad alta voce! Non riesce a voltarsi verso Rukawa, eppure deve apparire disinvolto o sembrerà un bambino colto con le mani nel vasetto delle caramelle. Glom. Così Hanamichi si volta, pronto ad affrontare lo sguardo di ghiaccio del compagno.
Che, del tutto inaspettatamente, sorride.
Ebbene sì. Kaede- pezzo di ghiaccio- Rukawa sta sorridendo, mostrandogli le sue labbra di pesca ed una fila di denti bianchissimi.
«Cazzo hai da ridere, Rukawa?» gli intima a brutto muso, per riacquistare fiducia in sé stesso, sperando che l’altro non abbia sentito. Non abbia sentito troppo, almeno.
«Mpf...», e Rukawa risponde chinando la testa e scuotendola.
«Allora? Devo spaccarti la faccia?» Hanamichi alza la voce, pregando di essere convincente e di indurlo ad andarsene. Sente che se Rukawa si sta facendo pericoloso, ma non vuole cedere terreno. Come due leoni maschi che si sfidano per il territorio – sì, Hanamichi ragiona con la parte più istintuale del suo cervello.
Se non se ne va… Se non se ne va non rispondo di me stesso…
«Quando si fanno certi discorsi, è buona norma accertarsi che non ci stia ascoltando nessuno, idiota che non sei altro!», lo rimprovera lanciandogli un'occhiata che lo passa da parte a parte.
Dio, quegli occhi!
Mai dire mai, Hanamichi…

«Che...che discorsi?» E se Rukawa avesse sentito troppo? Se avesse sentito tutto? «Mi stavi spiando?!»
«Eh? Guarda che sei tu che ti sei messo a parlare da solo», gli risponde con un'espressione tra il divertito e il sadico.
«Che cosa hai sentito esattamente?» gli chiede, incurante del fatto che la sua voce si stia incrinando. E che la testa gli gira. Fa troppo caldo. Ecco cos’è.
«Devo ripetere tutto?» chiede Rukawa. Avvicinandosi. Troppo. «Vediamo, com’era? Opporca… Non dovrà venirlo a sapere nessuno. Nessuno!! Credo sia tutto, o sbaglio?»
Il cervello di Hanamichi registra due cose.
La prima è che Rukawa ha un futuro come imitatore.
La seconda è che la voce dell’altro, bassa e profonda, lo ha fatto tremare. Dentro. E anche fuori. Di paura e piacere.
«Ru...Rukawa...io...io...» Hanamichi balbetta, cercando di mettere in fila due parole di senso compiuto che costituiscano una spiegazione convincente.
I loro sguardi si incrociano. E si parlano. Si rispondono. Inizia così. Con quello scambio di sguardi. E la voce di Rukawa che dice «Vieni qui». È un ordine, certo. E Hanamichi potrebbe ubbidire senza battere ciglio?
«No. Vieni qui tu.»
Certo che no.
Così Rukawa scatta. Obbedisce. Spinge Hanamichi contro la parete della doccia. E lo bacia. Hanamichi è troppo sorpreso per ribattere. Per opporsi. Per non seguire Kaede in quel bacio. Per non sentire il proprio cuore battere così forte da poter sfondare la cassa toracica e schizzare fuori. Sul pavimento. E continuare a battere. Mentre l’acqua scroscia.
Occazzocazzocazzo…
Poi Rukawa si stacca. Senza preavviso. E Hanamichi sente freddo. Un freddo assurdo ed immotivato. Rukawa – Kaede – non dice nulla. Riprende ad insaponarsi, mentre le gambe di Hanamichi si sono fatte di burro e lo accompagnano con le chiappe sul fondo della doccia.
«Ru.. Rukawa, ma che cosa...?» Hanamichi trova la forza per balbettare, sempre più incredulo, rivolgendogli uno sguardo dal basso.
Per tutte risposta, Rukawa – Kaede? – raccatta le sue cose e si siede sui talloni di fronte a lui. «Idiota! E se al posto mio ti avesse sentito qualcun altro?», gli dice  prima di allontanarsi.
«Dove vai?», gli chiede Hanamichi. Allarmato. Senza accorgersi di aver alzato la voce. Senza accorgersi che l’acqua si sta raffreddando.
«Non so davvero se tu sia più idiota o più sordo…», ribatte Rukawa – Kaede… – da sopra la spalla.
«CHE COSA?!», sbraita Hanamichi poco prima che Akagi – il Gorilla – e gli altri entrino.
«SAKURAGI!! RUKAWA!! POSSIBILE CHE DOBBIATE SEMPRE LITIGARE?!» tuona Akagi avvicinandosi a grandi passi e dividendoli. E assestando un poderoso pugno in testa ad Hanamichi.
«Ma perché?»
«Perché sì. Sakuragi! Finisci la tua doccia e lascia il posto agli altri! Rukawa, fila a cambiarvi. Voglio tutti pronti in un quarto d’ora, intesi?!»
Kaede ubbidisce, sparendo oltre la porta a vetri. Hanamichi resta inebetito, la zucca dolorante, il cuore a tremila e una grande confusione in testa.
«CHE CAZZO, SAKURAGI!? Ma ti fai la doccia ghiacciata! Avverti, almeno!!» gli sbraita dietro Mitsui, dopo esser schizzato come un fulmine da sotto il getto d'acqua.
Hanamichi lo fissa in cagnesco e poi esce.
«Che diamine gli avrà preso?», domanda Ryota. Perplesso.
Mitsui si stringe nelle spalle. «Vallo a capire, quello lì…»
 
5.

Rukawa – Kaede?! – non fiata. Non dice una sola parola. Non lo guarda neppure. Come se Hanamichi non esistesse. Si riveste, si asciuga i capelli, infila le proprie cose nella borsa ed esce. «Sono qui fuori, senpai», dice. All’indirizzo di Mitsui, che è apparso da dietro la porta  a vetri, un asciugamano sui fianchi e l’aria sfinita.  Mitsui annuisce e si siede a peso morto sulla panca.
«Che sfinimento…», mormora, ma Hanamichi non lo sente. Hanamichi è troppo impegnato a fissare la porta dietro cui è sparito Rukawa – Kaede!! – per obiettare alcunché. Non capisce cosa stia succedendo. Perché Rukawa – Kaede… – ha fatto quello che ha fatto? Per sfotterlo? Per pigliarlo per il culo? Per fargli vedere chi è che comanda, tra loro due?
Sì, ma sono stato io a dirgli «Vieni qui tu», obietta con se stesso, le braccia incrociate e l’aria truce.
E questo cosa cambierebbe?, ribatte il suo cervello.
Che è stato lui a baciare me.
La sua mente abbandona il dialogo. Getta la spugna. Tanto lo sa che quando Hanamichi è partito non c’è nulla da fare. Bisogno solo aspettare che si fermi. Impattando contro qualcosa di più grosso e più duro di lui. Sperando che non gli faccia troppo male.

Parlo della realtà delle cose. La realtà. Perché, che avete capito?
Comunque sia, Hanamichi se ne resta perso nei suoi pensieri, un asciugamano sotto le chiappe ed un calzino infilato alla rovescia, la canotta stretta tra le dita con la stessa forza con cui vorrebbe cingere il collo di Rukawa, in questo momento.
«Non ti sei ancora vestito, Hanamichi…», sibila la voce del Gorilla – la voce di Akagi – alle sue spalle. Svegliandolo da una ridda di pensieri sempre più truci.
«Ho fatto, ho fatto», risponde, coprendosi alla bell’e meglio, stipando le proprie cose nella borsa e litigando con la zip, e infilando scarpe e porta quasi in contemporanea.
«Deve averla data forte la craniata sul parquet», commenta Miyagi, un asciugamano in testa e uno sguardo perplesso.
«Ma almeno è riuscito ad infilare una palla! E che palla!», obietta Mitsui.
«Però… c’è qualcosa di strano in Hanamichi, oggi…», prosegue Ryota.
«In che senso? Quello è tutto strano!»
«Non ha commentato la sua impresa.» Ryota incrocia le braccia. «Mi sarei aspettato qualcosa di più coreografico. O che non la finisse più di parlare. Invece…»
Akagi si siede sulla panca, l’asciugamano sulle spalle. «Sarà, ma io lo preferisco così.»
«Non so, capitano. Così mi fa quasi impressione…»
 
 
6.

Rukawa – Kaede! – se ne sta seduto davanti ad un distributore automatico. Sorseggia un Calpis alla fragola con aria distratta, guardando oltre le vetrate del palazzetto.  Hanamichi lo raggiunge, infila qualche moneta nel distributore, seleziona una lattina di caffè e lo sorseggia dandogli le spalle. Si ignorano. O fanno finta di ignorarsi. Hanamichi beve, Kaede sorseggia. Nessuno fiata. Poi uno dei due dice: «Conosci il parco che c’è davanti al caffè nuovo che hanno aperto vicino il liceo?».
E l’altro ribatte: «Sì. A che ora?».
«Stasera stessa.»
«Alle sette?»
«Alle nove. Dammi il tempo di tornare a casa.»
«Andata.»
Poi entrambi lasciano cadere le loro lattine nel cestino dei rifiuti, raccolgono le loro borse e raggiungono il resto della squadra all’esterno del palazzetto seguendo strade diverse.
Ayako li aspetta fuori, una borsa a tracolla e i capelli sciolti.
«Siete stati grandiosi!», trilla, come un fringuello a primavera, le braccia spalancate ed un sorriso per tutti. Anche per Ryota.
«Il signor Anzai?», chiede Mitsui.
«È andato a casa», spiega Ayako. «Ma prima mi ha lasciato i biglietti per la metropolitana.»
Akagi annuisce. «Allora, ragazzi. Si torna a casa!»
«Ho un’idea, capitano. E se ci fermassimo a mangiare strada facendo?», propone Ayako.
Il capitano si volta. «Come, scusa?» E la scruta.
«Oramai s’è fatto tardi. Fermiamoci a mangiare un boccone mentre torniamo a casa. Così poi tutti a nanna. Che ne dici?»
Ma anche no, pensa Hanamichi. Perché a lui di passare una serata intera gomito a gomito con Rukawa proprio non va. Non prima di aver scambiato quattro chiacchiere con quella volpastra dispettosa.
«Mi sembra un’ottima idea, Akagi.»
«Dì pure geniale, Kogure!»
«Eddai, capitano! Dobbiamo pur festeggiare, non credi?»
«Anche il signor Anzai è d’accordo.» Ayako sostiene lo sguardo di Akagi – del Gorilla – un sorriso rosa confetto ad inarcarle le labbra. «Allora?», chiede. Stringendosi nelle spalle. Alzando un poco all’indietro la gamba destra. E Hanamichi spera che il Gorilla – Akagi – neghi il permesso. Figuriamoci, uno come lui che vuole festeggiare, pensa.
«Perché no?», concede Akagi.
Cosa?!
«Perfetto, conosco il posto che fa per noi!»
«Io non vengo.»
Dodici paia di occhi si voltano in direzione di Hanamichi.
«Come, scusa?», gli domanda Ryota.
«Non me la sento. Sono stanco morto e voglio infilarmi dritto a letto.» E in fondo non è una bugia. Anzi. Hanamichi è stanco morto e vorrebbe sprofondare sul materasso ancora  vestito, ma adesso ha un’altra urgenza. Parlare con Rukawa – Kaede… – e spendere il tempo che lo separa dal loro chiarimento immaginando eventuali scenari e possibilità. Provando frasi ad effetto. Facendo prima chiarezza dentro di sé. O almeno provandoci. E poi, se il locale lo sceglie Mitsui, finirà per alzare il gomito. E quando alza il gomito Hanamichi tende ad essere molto, molto loquace…
«Stai bene, Hanamichi?»
Annuisce. «Certo. Si capisce. Dopo tutto, sono un genio, io!», e ride. Da solo. Come uno scemo che ha sentito la barzelletta più divertente del mondo. «Ci vediamo domani a scuola, allora!», aggiunge allontanandosi e salutando con la mano.
«Hanamichi! Il biglietto!», ma la voce di Ayako non riesce a raggiungerlo. «Ragazzi, ma che gli  prende?»
«Starà mettendo un po’ di sale in zucca», dice Akagi.
«Neppure io posso venire», dice Rukawa. «Avevo già un altro impegno. Mi dispiace.» E si allontana prendendo la direzione opposta a quella di Hanamichi.
Gli altri restano a fissare la sua schiena fino a quando non scompare tra la folla. Akagi scuote la testa. «Allora, vogliamo andare o no?»
«Certo che sì! Da questa parte», ribatte Mitsui. Mettendosi alla testa del corteo.
 
7.
 
«Un hip hip hurrà per il nostro campione! Per Hanamichi Sakuragi Hip-hip…»
«Hurrà!», esclamano gli altri tre, ma Hanamichi quasi non si accorge di loro. Sfila accanto ai suoi amici, gli occhi bassi e la testa persa dietro chissà quali foschi pensieri. Le mani nelle tasche, l’aria decisa, il mento serrato la borsa a tracolla e le peggiori intenzioni possibili nell'anima, Hanamichi cammina con le gambe rigide ed il cuore che ha iniziato a battergli forte mano a mano che si allontanava da Rukawa – Kaede.
«Ma che gli prende?», chiede Takamiya mangiucchiando una banana.
«Ma dove le tieni tutte queste banane?», gli domanda Noma.
«Segreto…»
«Aspettate un secondo», e Mito rincorre Hanamichi, gli si affianca, lo prende per un braccio e chiacchiera con lui. Un botta e risposta rapidissimo, con Hanamichi che guarda davanti a sé e Mito che ascolta. E annuisce. E gli dà una pacca sulla spalla. E Hanamichi si irrigidisce. Mito sorride e torna dagli altri, le mani in tasca.
«Si può sapere che cosa gli prende?»
«Ha un appuntamento con Rukawa», soffia fuori Mito.
«Un… cosa?» Lo sguardo di Okusu segue la schiena di Hanamichi allontanarsi lungo il viale.
«Devono fare quattro chiacchiere. Tra uomini», spiega Mito.
«Per Haruko?»
«In un certo senso.»
«Ma allora dobbiamo…»
«Starne fuori.»
«Ma sei impazzito?» Noma ci prova a protestare. Mito lo lascia chiacchierare. «Mettere quei due assieme è come avvicinare il fuoco alla benzina!»
«Ha ragione», insiste Okusu. «Non pensi che dovremmo trovarci nei paraggi?»
«Hanamichi potrebbe aver bisogno di una mano», insiste anche Takamiya, la banana mangiucchiata a metà.
«No. Devono vedersela tra loro.» Mito è irremovibile. E quand’è così, e meglio lasciar perdere.
«Tu dici…»
«Fidatevi.» Mito si stiracchia le braccia e sorride. «Sta arrivando Haruko. Acqua in bocca, intesi?», sibila. Mentre gli altri mettono su i loro sorrisi migliori e Haruko Akagi si avvicina assieme alle sue amiche.
«Ciao, ragazzi! Avete visto Hanamichi?», pigola la ragazza.
«Sì. È tornato a casa. Vero, ragazzi?»
«Sì, sì, sì», replicano in coro.
«Perché lo cercavi, Haruko? Hai bisogno di qualcosa?», le domanda Mito.
«No, no», pigola lei. «Volevo solo fargli i complimenti. Oggi è stato bravissimo.»
«Devi scusarlo, ma era stanco morto.»
«Lo credo bene! Pazienza. Gli parlerò domani a scuola. Ci vediamo domani!», e Haruko si allontana assieme alle sue due amiche, salutandoli con la mano.
«Che dici? Secondo te l’ammazza?», bisbiglia Okusu guardando Fuji e sorridendole.
«Secondo me s’ammazzano a vicenda», risponde Noma sotto i baffi. «Allora, hai deciso? Glielo chiedi?»
Okusu annuisce, l’aria distratta. «In settimana, pensavo… Hanno aperto un nuovo parco giochi. O è meglio il cinema?»
«Cinema», sentenzia Noma. «In bocca al lupo.»
«Crepi, fratello.»
 
8.
 
Kaede – Rukawa!! –  appare dalla direzione opposta di Hanamichi, un pallone sottobraccio ed un’espressione indecifrabile sul viso.
«Quello lì ha sempre l’aria scazzata. Sempre!», ha detto – ha ringhiato – agli altri della truppa meno di una settimana fa.
E se i ragazzi sapessero che vi siete baciati sotto le docce?, gli chiede il suo cervello.
Una cosa per volta. E adesso è Hanamichi a ringhiare. Contro se stesso, ché l’altro è un mistero indecifrabile. Più del solito.
Si fermano, si fissano per qualche istante e poi Rukawa infila l’entrata che dà sul campo da basket. E Hanamichi lo segue.
La porta cigola alle loro spalle. Rukawa si avvicina al canestro, palleggia una, due, tre volte e poi infila il canestro. Ancora. E ancora. E ancora. Hanamichi lo guarda. Bravo è bravo. Elegante è elegante. Ma non è lì per guardarlo infilare canestri uno dietro l’altro. È lì per parlare. Perché se non risolvono la faccenda il prima possibile – e nel linguaggio di Hanamichi questo significa subito – non riuscirà a dormire stanotte. Lo sente. Ma Hanamichi aspetta. Si è detto che, per una volta, non avrebbe dovuto caricare a testa bassa e avrebbe permesso a Rukawa di spiegarsi. Parlare. È stato lui a cominciare tutto, e questo a prescindere da chi abbia baciato chi per primo. Solo che la teoria è una cosa. La pratica un’altra. Perché nella ricostruzione di Hanamichi sarebbe stato Rukawa – Kaede – a spiegarsi. A dirgli «Guarda, non so cosa m’è preso. Scusami», e la questione sarebbe finita lì. Invece Rukawa – Kaede! – se ne resta zitto e muto, da brava volpe dispettosa qual è.
Hanamichi aspetta.
Rukawa – Kaede – insacca l’ennesima palla e si asciuga il sudore dalla fronte. E si gira. E Hanamichi freme. E Hanamichi frigge, come il burro nella padella calda. E Hanamichi sa che Rukawa – che Kaede – lo sa. E che lui sa che lo sa. E che…
«Allora? Vogliamo fare giorno?»
Hanamichi sbatte le palpebre. «Eh?»
Rukawa sospira – uno sbuffo spazientito – e si volta, le dita intrecciate alla recinzione foderata di plastica verde. «Non hai niente da dire?»
«Io?!» Hanamichi avanza di un passo, con le peggiori intenzioni possibili. Tipo sollevare Rukawa e infilarlo nel canestro. Di testa. E toglierselo dai piedi. Una volta per tutte. «Tu, piuttosto! Che ti è preso per…»
Rukawa si stacca dalla rete di protezione e si avvicina. «Per baciarti sotto la doccia?», chiede. A bassa voce. A pochissimi centimetri da lui.
Hanamichi si guarda attorno. Allarmatissimo. Poi gli piazza una mano sulla bocca e gli grida sussurrando: «Pazzo! E se ci sentisse qualcuno?!».
Rukawa – Kaede – scosta quelle cinque dita da davanti alle sue labbra. «Basta non gridare, mentecatto.».
«Mentecatto?!»
«Per l’appunto», dice Rukawa. Indicandolo. L’espressione più atarassica del suo repertorio stampata in faccia. Hanamichi molla la presa e lui se ne torna a guardare il panorama, le mani in tasca. Come se la cosa non lo riguardasse. «Non hai nulla da dire?», domanda Rukawa – Kaede – dandogli le spalle. Silenzio. Silenzio. E ancora silenzio.
Rukawa – Kaede – si stacca dalla ringhiera e torna verso il canestro. Raccoglie il pallone. «Se è così possiamo considerare la faccenda chiusa», gli dice. Sfilandogli accanto. Intenzionato a tornarsene a casa. A dormire. Quando la mano destra di Hanamichi lo afferra per un braccio. E la sua voce gli dice: «Aspetta un secondo, Rukawa…».
 
9.
 
Hanamichi non lo guarda in viso.
Hanamichi osserva qualcosa davanti a sé, un punto invisibile che Rukawa – Kaede… –non riesce a vedere.
«Io non so che cosa sta succedendo. Dio solo sa quanto mi costi ammetterlo, ma…»
«Allora siamo in due.»
Hanamichi si volta. Si volta e piazza i suoi occhi scuri in quelli di Kaede – Alla buon’ora!! – e annuisce. «Bene», dice.
«Bene?», chiede Rukawa. «Bene un cazzo!»
«Bene perché per una volta siamo pari, Rukawa», gli dice Hanamichi. Senza avere il pudore di nascondere un sorrisetto sfrontato. Uno di quelli che attira i pugni come fa il miele con gli orsi.
«È questo l’aspetto più importante per te?», gli chiede Rukawa – Kaede – aggrottando le sopracciglia.
«No», risponde l’altro. «Ma almeno non brancolo nel buio da solo», gli dice.
«Brancolare in due non è poi tanto meglio.»
«No. Ma almeno sei in compagnia», ribatte Hanamichi. Gli lascia andare il braccio, si porta le mani in tasca – per non metterle attorno al collo di Rukawa e stringere, stringere, stringere… - e fa un paio di passi avanti. «Ci ho pensato. A quello che è successo, dico…»
«E?»
Hanamichi sbuffa. «E non lo so. Non lo so davvero. Ho una grossa confusione in testa…»
«Sai che novità!»
«Ah, ma davvero? Perché per te è tutto chiaro, invece?»
«Abbassa la voce», sibila Rukawa – Kaede non ti entra proprio in testa, eh? – gli occhi ridotti a due fessure. «E no. Non è chiaro nemmeno a me perché è successo. È successo e basta.»
«È successo e basta?»
«Cos’è, volevi la dichiarazione?», lo punzecchia Rukawa. E sì, sembra che ci stia prendendo gusto.
«Perché devi essere sempre così stronzo?»
«E perché tu devi essere sempre così imbecille?»
«Dio!», esclama Hanamichi alzando il viso al cielo, le mani strette a pugno nelle tasche dei pantaloni. «Lascia perdere. Finiamola qui. Abbiamo scherzato. Ok?» E si volta verso l’entrata del campetto, intenzionato a sbattersi la porta alle spalle.
Abbiamo scherzato un par di palle, si dice Rukawa – Su, ripeti con me. Ka. E. De. – fissando la sua schiena.
«Aspetta», gli dice. Convinto che Hanamichi lo ignori. Convinto che Hanamichi tiri dritto e se ne torni a casa. Invece i miracoli succedono. Perché Hanamichi si ferma. Si gira su se stesso. E si piazza davanti a lui.
«Devi dirmi qualcosa?»
 
10.
 
«Non ho la più pallida idea di che cosa mi sta succedendo.»
La semplicità con cui Rukawa… con cui Kaede soffia fuori questa frase è disarmante. La bellicosità di Hanamichi sfuma. Annuisce. Come a dirgli: «Vai avanti, ti ascolto.».
Rukawa chiude gli occhi, poi li riapre e li piazza in quelli di Hanamichi.
«Ho scoperto che non faccio altro che pensare a te», gli dice. Sganciando una bomba da un milione di megatoni con la stessa noncuranza con cui la gente normale chiede l’ora. O se il 23 barrato è passato da molto – per vostra informazione, il 23 barrato è un autobus fantasma. Non passa mai. –
«All’inizio pensavo che fosse perché mi dai davvero sui nervi.»
«La cosa è reciproca.»
«Non interrompermi o facciamo davvero giorno.»
«Senti…»
«Devo prenderti a pugni, o cosa?»
Hanamichi alza le mani. «Prego», gli dice.
«In realtà, mi sei entrato nella testa da subito. Da quando ti ho visto, o quasi. Quando… quando ti ho visto sbavare dietro alla sorella di Akagi, ho sentito salirmi il sangue al cervello!»
«Anche a te piace Haruko?»
Rukawa ride.
«Che c’è di così divertente?»
«Non mi piace la Akagi. Lei guarda il giocatore. Il trofeo», risponde Rukawa. E Hanamichi si chiede cosa si provi ad essere attorniato da uno stuolo di ragazze. Possibile che dopo un po’ uno si annoi?, si chiede. «A me interessa qualcun altro. Qualcuno che» Kaede prende fiato. «Ok, me ne pentirò a vita. Qualcuno che ha grosse potenzialità. Qualcuno che è una sfida costante. Qualcuno che mi prende. Mentalmente. Fisicamente. Tu.»
Hanamichi tace. Tace e pensa alle parole che Rukawa – … Kaede. Non è difficile, no? – ha appena detto. E gli ingranaggi del suo cervellino si mettono in moto. Fanno due più due. Si accendono le lampadine. E Hanamichi esclama: « Allora lo ammetti che sono un Genio!».
E Rukawa scatta. Solo che… Kaede – va bene così?! – non è placido e tranquillo come sembra. Kaede – può andare, grazie – è un vulcano quiescente. Kaede è dritto come un fuso e preciso come un bisturi. E Kaede gli afferra lo scollo della maglia e se lo tira al viso. «Puoi lasciare fuori il basket da questa conversazione, per cortesia?»
«Nemmeno morto! Non dopo che tu…», ma qualcosa interrompe il delirio d’onnipotenza di Hanamichi. Le labbra di Kaede. Che catturano le sue in un bacio lunghissimo. Facendolo tacere. Almeno per qualche minuto.
Hanamichi se ne resta immobile, congelato come uno stoccafisso al mercato, le braccia allargate e le dita che formicolano. Vorrebbe stringere Kaede. Vorrebbe fargli capire chi è che comanda, tra di loro. Ma quella volpe scorbutica riesce sempre a prenderlo in contropiede. E infatti il bacio finisce troppo presto. E Hanamichi fissa Kaede come a chiedergli perché si sia interrotto.
«Vuoi ascoltarmi?», gli domanda l'altro. Il respiro corto. Come se la partita fosse finita adesso, e non tre ore fa. Hanamichi annuisce.
«Grazie a Dio. Ascoltami. Io non lo so che mi sta succedendo. Io sono solo curioso. E la cosa è reciproca, o mi avresti preso a pugni sotto la doccia. Può essere una fase. Può essere di tutto. Non lo so. Ma sono intenzionato a capirlo. O quantomeno a divertirci strada facendo. Che ne dici?»
Hanamichi non è certo di aver capito. «Quindi… sostanzialmente… tu stai dicendo che…»
«Non regalo fiori ad un uomo. Toglitelo dalla testa.»
«Ma chi li vuole i fiori?!»
«Né cioccolatini, né tutte quelle altre stronzate che piacciono tanto alle ragazze.»
«Ti ho detto che…»
«Sarà un segreto tra me e te.» Gli occhi di Rukawa scintillano pericolosi. «Ci stai?»
«Quindi non cambia niente tra di noi?»
«Sì. E no.» Rukawa si ficca le mani in tasca. «Diciamo che stiamo insieme, se così si può dire. Se così ti piace. Ma non dovrà venirlo a sapere nessuno. O ci sbatteranno fuori dalla scuola. E fuori dalla squadra.»
«No, questo no!»
Rukawa annuisce. «Quindi, per il resto del mondo tu ed io continueremo a punzecchiarci. A litigare. Come se non fosse successo nulla.»
«Ma?»
«Ma poi avremo i nostri momenti.»
«Fino a quando?», chiede Hanamichi.
L’altro si stringe nelle spalle. «Non lo so, te l’ho detto. Sono curioso. Come te d’altronde. O devo pensare che tu ti sia innamorato di me?»
«Certo che no!», replica Hanamichi, ignorando quella lucina che s’è accesa nella sua mente.
«Immaginavo», ribatte Rukawa. Facendosi più vicino. «Senza impegno?»
«No, un momento» Hanamichi alza una mano, come a prendere la parola. «Condizione numero uno, voglio l’esclusiva.»
Rukawa soppesa quelle parole, poi dice: «D’accordo.». Perché, anche se non vuole ammetterlo davanti all’altro, è Hanamichi ad intrigarlo, ad incuriosirlo, ad essergli entrato nella testa. Solo Hanamichi. E nessun altro.
«Condizione numero due, comando io.»
«Col cazzo.»
«Immaginavo. Condizione numero tre, Mito deve saperlo. Non posso tenere questo segreto con lui.»
«Guarda che Mito lo sa già.»
Hanamichi strabuzza gli occhi. «Come, scusa?»
«Mito è venuto a parlarmi dopo la rissa in palestra», gli confessa Kaede. Come se stesse parlando del tempo o di una nuova maglia che ha visto in centro. «Mi ha detto di parlarti. Di vuotare il sacco. Lì per lì volevo farlo a pezzi, ma poi gli ho chiesto come avesse fatto a capire. L’amore e la tosse non si possono nascondere, giusto? Ha detto che con un testone come te, le sottigliezze non servono...», conclude tornando a posare i suoi occhi blu in quelli di Hanamichi.
Che replica con uno sbigottito: «Ah.».
«Non prendertela con Mito. Se non fosse stato per lui, a quest'ora io e te non ci staremmo parlando.»
«Non ce l'ho con Mito, Rukawa…»
«Puoi chiamarmi Kaede...»
«Sono solo ancora… non lo so nemmeno io. È tutto nuovo, per me.»
«Anche per me», gli assicura Kaede. «Allora, do we have a deal?», gli chiede. Tendendogli la mano.
Hanamichi si gratta la testa. «Ecco…»
«Accetti la mia offerta? Va bene quello che ti ho proposto? Abbiamo un accordo?», gli traduce Kaede.
«Guarda che lo so», mente l’altro. Rimediando un «Sì, come no?» in risposta.
«Va bene», dice Hanamichi. Avvicinandosi a Rukawa. E baciandolo per primo, questa volta. Prendendo il controllo sull’altro. Dirigendolo dove e come vuole lui. Impacciato. Confuso. Perché Hanamichi non ammetterà mai che quello che si sono scambiati sotto lo scroscio dell’acqua è stato il suo primo bacio. Nemmeno scuoiato vivo.
Quando si staccano hanno entrambi il fiato corto e lo sguardo liquido.
«Mi dispiace per il pugno che ti ha assestato il Gorilla prima», sussurra Kaede, con un tono pericolosamente basso e caldo nella gola. «Ti ha fatto male?»
«Stavo meglio prima», risponde Hanamichi massaggiandosi il punto in cui è spuntato un bel bernoccolo rosso.
«Immagino», ed un lampo pericoloso in quegli occhi blu fanno intuire ad Hanamichi cosa sta per succedere. Di nuovo. Ancora e ancora e ancora. Dopo tutto, si tratta di un esperimento, no? «Non qui. Potrebbe vederci qualcuno», dice Rukawa riprendendo fiato. E staccandosi da lui.
«Non dovevamo… capire la faccenda?»
«Ho casa libera. Ti fermi da me per cena?»
«Dopocena incluso?»
«Chiaro.» Rukawa raccatta il pallone.
«Dì, non ti andrebbero un paio di tiri, prima», propone Hanamichi. «Tanto per scaldare l’atmosfera…»
«Andata.» Rukawa sorride. Maliziosissimo. La smorfia del gatto che sta per papparsi l’uccellino. «Chi infila per primo dieci canestri sta sopra», dice. E senza dargli il tempo di prepararsi, lo scarta, lo supera ed insacca la palla per primo.
«Ehi, così non è leale!», protesta Hanamichi. Abbandonando la giacca a terra.
«In guerra e in amore è tutto concesso, pivello…»
E Rukawa gli lancia la palla. E Hanamichi la fa rimbalzare sul campo – tum tum tum tum tum – mentre gli occhi azzurri del volpino non si staccano dalle sue mani. Nemmeno per un attimo. «Coraggio, bellezza… Prova a fermarmi….»
E finisce così questa giornata particolare. Con Hanamichi che insacca un canestro – con Kaede che glielo lascia insaccare – e Rukawa che segue ogni sua mossa. Bloccandolo prima che possa infilare un’altra palla dentro. Stoppandolo. Marcandolo stretto. Forse un po’ troppo stretto. Ma divertendosi. Come un matto. Sentendo il sangue pompargli forte nelle vene. E regalargli la certezza che forse – ripeto: forse – non è più solo. Che il basket può essere un gioco di squadra, quando hai finalmente trovato qualcuno con cui correre.





Ho scritto questa storia nel giugno del 2003. Allora si chiamava "Kimi ga suki da to Sakebitai!" - scelta poco sagace, me ene rendo conto, ma alzi la mano chi non ha mai scelto un titolo cretino almeno una volta nella sua vita. Su, non siate timidi! - ed era di una semplicità imbarazzante. La storia seguente, "Uno su un milione" era forse anche peggio. Le ho tolte dall'archivio dieci anni dopo, promettendo a me stessa che avrei dato una sistemazione migliore - leggi: meno imbarazzante - a quei delirii in prosa. 
Ci provo oggi, quasi dodici anni dopo. Se sono migliorata, o peggiorata, questo potete dirmelo solo voi.
Ricordate: pomodori a detsra e carote a sinistra, grazie.
E adesso vado a farmi un caffè come si deve. Qualcuna di voi si aggrega?

 
   
 
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