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Autore: BlueButterfly93    28/01/2015    3 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 18

Fare del bene in segreto








Erano bastati quei pochi messaggi per stravolgermi i piani. Trovarmi, di nuovo davanti, quel Castiel mi fece tremare dall'emozione.

Dopo la breve euforia del momento restai immobile al centro della stanza come un ebete a fissare un punto fisso e vuoto. 

Mi tremavano le gambe, le braccia, tant'è che mi cadde il telefono dalle mani. Fece rumore, ma non mi spaventai. Non riuscii neanche ad abbassare lo sguardo per controllare se quel pezzo di tecnologia fosse ancora intero. 

Continuai a restare inerme come se avessi avuto uno shock, come se fossi appena stata avvisata di una notizia terrificante, ma in realtà non era accaduto nulla di così allarmante. Un imbecille terribilmente attraente, mi aveva mandato dei maledetti messaggi, ed io come un pesce ero nuovamente rimasta intrappolata nella sua rete di seduzione. Probabilmente aveva giocato allo stesso modo con altre ragazze difficili da sedurre. Probabilmente le aveva attirate con i suoi messaggi idioti proprio come aveva appena fatto con me. E se un tempo non ci sarei cascata, in quel momento fu difficile non farlo. Per quanto mi dolesse ammetterlo, Castiel mi mancava terribilmente. Sì, avevamo battibeccato solamente poche ore prima a scuola, ma quello di quella mattina non era lo stesso ragazzo che aveva sin dall'inizio attirato la mia attenzione. Castiel; Castiel il ragazzo dei messaggi imbecilli, il donnaiolo, il ragazzo dal sorriso sghembo stronzo ma sincero, il ragazzo incontrato sull'aereo per Parigi, il ragazzo che per fatalità aveva la mia stessa valigia, il ragazzo che stupiva quando meno te lo aspettavi.. quello era il Castiel che sempre mi sarebbe mancato. 

Ancora una volta quel pomeriggio volli illudermi che -invece- il fidanzato zerbino di Debrah fosse soltanto una copia venuta male del ragazzo dai capelli rossi, e che avesse un qualche strano e giusto motivo per comportarsi da cagnolino fedele con lei.

Dopo un breve tempo finalmente riuscii di nuovo a muovermi, anche se di poco. Girai il volto a destra ed intravidi la mia immagine riflessa nello specchio della consolle. Voltai nella stessa direzione il resto del corpo e cominciai a fissarmi. 

Era da parecchio tempo, forse mesi, che non lo facevo approfonditamente.

Così, per guardarmi meglio -a passi lenti- mi avvicinai all'immagine riflessa. Forse avrei dovuto mantenere una distanza di sicurezza maggiore, perché quella ragazza raffigurata nello specchio mi fece paura, quella non ero io, non era la vera Micaela Rossi.

Guardai gli occhi della ragazza allo specchio. Quelli non potevano essere i miei. I miei occhi non avevano mai avuto uno sguardo del genere. Non avevano mai avuto uno sguardo d'odio. Quelli raffigurati in quello specchio erano occhi pieni d'invidia, egoismo, io non avevo mai provato quei sentimenti neanche per chi -al contrario di me- aveva avuto tutto dalla vita. Perchè avrei dovuto provare quelle sensazioni dopo sedici anni di vita per la prima volta?!

Un senso di frustrazione mi pervase il corpo. La situazione mi stava sfuggendo di mano. E se fossi diventata io, la cattiva della storia?!? 

Quando lo sguardo passò ai capelli finalmente riacquistai un briciolo di lucidità. «Miki ma dove cazzo credi di andare in queste condizioni?» rimproverai me stessa. E mi odiai, mi odiai talmente tanto d'arrivare a schiaffeggiarmi da sola. Mi sarei meritata più di uno schiaffo. 

Ero diventata un mostro. Un mostro non nell'aspetto ma nell'animo. Perché se fosse vero che gli occhi sono lo specchio dell'anima, allora io dovevo ritenermi davvero rovinata. Non riuscii a comprendere come fossi giunta a quel punto, in quello stato così pietoso, ma una cosa era sicura, avrei dovuto ringraziare Castiel per avermi aperto gli occhi. Certo, lo aveva fatto inconsciamente ma grazie a lui, mi ero fermata a riflettere; grazie a lui, dopo molto tempo mi ero guardata allo specchio, non per vedere come fossi vestita ma per leggermi dentro. Nei giorni passati avevo solamente pensato a vendette, a fare del male a tutti e tutto, ma mai a qualcosa di bello, a qualcosa per me, a qualcosa che mi avrebbe resa felice. Castiel mi aveva ferita, vero, aveva giocato con i pezzi del mio cuore che segretamente gli avevo donato, verissimo, ma lui non poteva saperlo, non mi aveva letteralmente tradita perché non stavamo insieme prima dell'arrivo di Debrah. Un bacio non voleva dire niente. Certo, i suoi modi bruschi restavano discutibili, ma quello era il suo carattere e non poteva cambiarlo solo perché a me non andava bene. Ero stata solo e soltanto io a creare castelli in aria ed ero ancora solamente io l'unica colpevole di quelle illusioni.

Finalmente riuscii a fare i conti con la vera realtà e sorrisi sinceramente verso il mio riflesso, sorrisi a me stessa per la prima volta dopo tanto tempo perché non ero più incazzata con il mondo intero. 

Mentre ancora mi guardavo, venni distratta. Sentii scuotermi i piedi da una vibrazione del pavimento. Mi voltai di scatto abbassando lo sguardo e capii cos'era. La cover -a causa della caduta- si era staccata per metà dal cellulare, e l'arrivo di un messaggio aveva reso tutto molto rumoroso. Con gesti lenti mi diressi nuovamente al centro della stanza, m'inginocchiai e prendendo il cellulare lessi il messaggio. Era di nuovo lui.

CASTIEL: spazzolino comprato ;) 

Ed ecco la sua ennesima entrata apparentemente ridicola. In quel momento avrei tanto voluto chiedergli se per caso avesse litigato con Debrah, se mi stesse usando come ruota di scorta o come scacciapensieri, ma lasciai stare. A dirla tutta, a primo acchito non sembrava neanche Castiel il ragazzo scherzoso e spensierato di quei messaggi. Non era da lui voler passare per un'idiota, eppure lo stava facendo. 

Come una tipica adolescente alle prese con la sua prima cotta cambiai nuovamente umore. Nella mia testa, nel mio cuore, stavano combattendo tra loro tre sentimenti: rabbia, confusione, felicità. Rabbia perché Castiel era un cretino capace di stravolgermi completamente. Confusione perché seppure mi sforzassi non capivo le sue intenzioni. Felicità perché era stato lui a cercarmi, forse almeno un minimo, a volte -per qualche minuto- rientravo anch'io tra i suoi pensieri. L'illusione di lui intento a pensarmi iniziò a far svolazzare le prime farfalle nel mio stomaco. Per quanto mi sforzassi di pensare al provino che si sarebbe tenuto tra qualche ora, ogni mio sentimento era legato principalmente ed inesorabilmente al rosso. Anche se in quelle settimane avevo voluto negarlo, tutto girava intorno a lui. Ogni cosa; Tutto.

Non pensai a zia Kate e alla delusione che avrei letto nei suoi occhi una volta che mi avrebbe trovata pronta per una festa di Halloween invece che per un provino con un famoso stilista. Non pensai a Ciak alle sue parole, ai suoi consigli, non pensai a Rabanne. Grazie alle dritte datomi dal mio migliore amico, capii con chi avrei avuto a che fare. Lo stilista non amava ricevere un "no", se non lo si assecondava era capace di chiudere tutte le porte per il futuro e non solo per quello della moda, ma in tutti i rami. E a quel punto non sapevo più come comportarmi. Ero stata una tale stupida quel pomeriggio... non avrei dovuto!

Non risposi al messaggio di Castiel. Non per cattiveria, ma perché in quel momento ero in pieno conflitto con me stessa e valutai non fosse il caso di scrivere parole per cui a mente fredda mi sarei amaramente pentita. Quindi restai accovacciata poggiando braccia e testa sulle gambe e continuando a riflettere per trovare una soluzione.

«Non posso presentarmi al provino. Non ci andrò. Una come me non merita un'opportunità del genere!» ripetei ad alta voce. Avevo ragione. Non meritavo un provino, non meritavo niente del bene che mi era stato offerto. Tante ragazze avrebbero pagato per essere al mio posto, ed io avrei ceduto volentieri il mio ingaggio a qualcun'altra con il non presentandomi quella sera. 

Ero diventata un mostro, mi era bastato guardarmi realmente allo specchio per capirlo. Erano due settimane ormai che continuavo a scaricare colpe sugli altri senza fermarmi un attimo. Non avrei dovuto; perché l'unica colpevole per ogni avvenimento accaduto ero io. 

Mi resi conto di essere colpevole persino dei comportamenti di Castiel. Se mi fossi dimostrata sincera sulla mia attrazione nei suoi confronti, forse non sarebbe corso così facilmente nelle braccia di Debrah. Se mi fossi mostrata senza maschere davanti a lui, forse si sarebbe invaghito di me, avrebbe avuto maggior voglia di conoscermi. Le mie erano solo supposizioni, ma in quell'istante mi sembrarono vere più che mai. Ero stata persino capace di farmi odiare dal mio migliore amico. Che poi... chi volevo prendere in giro? Come potevo ancora definire "migliore amico" un ragazzo innamorato di me? Come avevo potuto, fino a quel momento, fingere che lui fosse il mio ragazzo? Quanto ero stata egoista? Tante erano le domande, ma a tutte non vi era neanche una risposta. Non ci poteva essere giustificazione davanti ad un comportamento come al mio. 

Nonostante tutti gli aspetti negativi scoperti dopo aver aperto gli occhi, ringraziai qualunque cosa mi avesse spinta -quella sera- a guardare la realtà.

Quel pomeriggio vidi persino la questione più banale come un problema irrisolvibile. Mi sentivo fragile... Così, senza capacitarmi delle mie azioni, mi tolsi con odio i vestiti di dosso e m'infilai uno dei miei caldi, comodi, anti-estetici pigiami di pile. In quegli abiti mi sentivo me stessa.

Poi decisi di riempire il volto di puntini rossi, in quel modo zia Kate avrebbe pensato che mi fossi presa il morbillo e di non potermi recare -per forza maggiore- a fare quel provino. 

Non avevo nessuna intenzione di andarci. La moda seppur mi attirasse non era parte dei miei sogni. Il mio futuro non era da modella. In quel momento oltretutto stavo dando possibilità ad una delle migliaia ragazze che non desideravano nient'altro che quello: diventare modelle. Rabanne avrebbe trovato sicuramente la modella giusta per Castiel, di sicuro qualcuna migliore di me. Non ero io quella giusta per lui. Lo stilista continuava a dire il contrario, che insieme fossimo perfetti. Già... ma se non ero stata capace di conquistarlo nella vita quotidiana, come potevo su un set, proprio io che di pose e sensualità ne sapevo meno di zero?!?

Mi resi conto di aver esagerato nel rendermi impresentabile, mi sarei vergognata persino ad uscire di casa in quelle condizioni. Sembrai quasi una bandiera, svolazzavo da un pensiero all'altro in base alla direzione del vento. Dopo essermi disegnata i puntini, nascosi il pennarello. Poi corsi per casa alla ricerca del termometro per misurare la temperatura; quando lo trovai in un mobiletto del bagno principale, lo passai sotto l'acqua calda, facendo così salire la temperatura a trentanove. Se prima di venire a contatto con la realtà avevo pensato di presentarmi nello studio di Rabanne vestita da barbona, dopo una lunga riflessione capii che non sarebbe stato il caso di farlo e optai d'ingannare zia Kate. 

Rientrata nella mia camera, posai il termometro sul comodino in bella vista a chiunque sarebbe entrato nella mia stanza; e mi sdraiai sul letto coprendomi con il piumone fin sopra la testa.

-

«Guarda Kate... è proprio questo l'aspetto più odioso di Rabanne. Per lui bisogna essere sempre disponibili, anche quando avverte mezz'ora prima di un servizio, altrimenti sarebbe capace di metterti sul libro nero e addio carriera. È assurdo!»

La voce di Ciak ed il rumore delle chiavi che giravano nella serratura della porta d'entrata, mi fecero aprire gli occhi di scatto. Emisi un sussulto dallo spavento. Mi ero addormentata per minimo un'ora e la sveglia sul comodino segnava ormai le otto di sera. Stava per arrivare il momento del provino, ma io ero malata e non avrei potuto prenderci parte. Ciak si trovava in compagnia di zia Kate, sparlava di Rabanne, ma non ne capivo il motivo. Alla fine si era deciso di non far fare a tutti e tre quel maledetto provino, ma solamente a me e Castiel. E allora cosa ci faceva a casa mia Ciak? E perché dalle sue parole ebbi la sensazione che a quel provino avrebbe dovuto prender parte anche lui?

«Miki, sei pronta?» urlò la zia dal piano inferiore.

Decisi di non rispondere. Volevo far credere di stare malissimo talmente tanto da aver perso la voce. Poi sentii dei passi salire le scale. Di sicuro qualcuno stava venendo a controllare. Chiusi gli occhi, mi voltai in direzione opposta alla porta e finsi di dormire. 

Qualcuno aprì la porta ed entrò dentro la mia stanza senza proferire parola.

Era zia Kate: «Oh Signore!» uno schiocco di mani mi fece intuire che la zia le avesse unite a mo' di preghiera per la disperazione; per poco non scoppiai a riderle in faccia «Ciak, corri... Sali di sopra..» era preoccupata; e vedendomi in quello stato chiamò i rinforzi. 

Da sotto le coperte, incrociai le dita, sperando con tutta me stessa che Ciak non scoprisse la mia menzogna. Questi trucchetti mi erano stati insegnati propri da lui qualche anno prima, quando per non andare a scuola inventava di essere un moribondo. Salì le scale quasi correndo e con passo lesto entrò nella mia stanza. Senza perdere tempo si avvicinò al mio letto. Si abbassò verso il mio volto. Potevo sentire il suo respiro sul viso, vista la misera distanza che ci divideva. Dopo aver strofinato un lembo di pelle per cancellare -con una mano- il primo dei tanti puntini che incorniciavano il mio volto, sussurrò accanto al mio orecchio: «Miki, tesoro sono stato io ad impararti questi trucchetti... Vuoi che non li riconosca?!» gli scappò una mezza risata. Forse anche lui aveva dato spazio ai ricordi del passato. Della nostra amicizia sincera e ingenua restavano solo quelli; i ricordi. Nient'altro.

Vedendo che non mi attingevo a dargli segni di vita, ad aprire gli occhi e a rispondergli, Ciak scosse tutto il corpo per incitarmi. Non risposi ugualmente. Non avrei ceduto. 

«Mi spieghi perché pensi sempre e solo a te stessa?» sospirò e poi proseguì «ho parlato così tanto di te a Rabanne da convincerlo a farmi fare il provino con te. Ci sarà anche Castiel, ma non importa, la nostra alchimia lo convincerà a scegliere me per fare coppia con te e non lui» la sua convinzione per un attimo mi fece rabbrividire. «Non mi deludere ancora Miki, ti prego!» e furono quelle le parole che mi diedero il colpo di grazia. 

Aprii gli occhi e mi alzai di scatto, rimanendo seduta sul letto «Perché non riesci a capire che quello non è il mio mondo? Io non voglio diventare una fottuta modella!»

Mi voltai in direzione della porta attendendo un rimprovero di zia Kate per aver utilizzato un linguaggio scurrile, ma lei non c'era. Ci aveva lasciati soli. Aveva riposto tacitamente tutte le speranze su Ciak.

«Se neanche ci provi come puoi saperlo? Ho visto milioni di persone -dopo averci provato- innamorarsi di un lavoro che prima odiavano. Dai, cambiati o faremo tardi».

«No! Non ho proprio nulla da fare lì!»

La conversazione continuò in quei toni per circa cinque minuti. Lui insisteva per farmi provare quella nuova avventura mentre io restavo irremovibile.

Quando poi guardò l'orologio e si rese conto che a quell'ora saremmo già dovuti essere nello studio di Rabanne, m'inveì contro. 

«Ma cazzo Miki, sei diventata così egoista... Non capisci. Non capisci che così facendo ci andrò di mezzo anch'io? Mi stai mettendo nei guai. Ed io ti ho fatto da finto fidanzato, ti ho dato finti baci, ho rischiato di farmi pestare per te. E tu, tu come mi stai ripagando? Con il tuo cazzo di egoismo?!? Ti avevo chiesto un favore Miki, solo uno, e tu non sei neanche stata capace di aiutarmi. Come ci tieni a dire sempre: Parigi ti ha cambiata realmente Miki, sì, ma in peggio!»

Quelle frasi mi trafissero il cuore come se fossero delle spille appuntite. L'aveva pronunciate con una tale rabbia da farmi rabbrividire. Si alzò dal letto, dove si era seduto per cercare di convincermi, e si recò sull'uscio della porta. Si voltò un'ultima volta nella mia direzione, ed anche se da lontano, lessi tutta la delusione possibile in quegli occhi blu. 

Vederlo in quelle condizioni mi fece reagire. Con le sue parole ancora in testa abbandonai definitivamente il letto. 

Sarei andata a quel provino. 

Non potevo continuare a mantenere le sembianze di un mostro, dovevo tornare ad essere me stessa; non potevo continuare ad essere l'egoista di turno e ancor meno nei suoi confronti dopo tutti i sacrifici fatti per me.

Per non perdere altro tempo, indossai i vestiti che precedentemente avevo tagliato. Sarei stata orribile, Castiel avrebbe riso di me, Rabanne mi avrebbe tolto dal suo studio ancor prima di metterci piede, ma non potevo mettermi a cercare abiti decenti nel mio armadio, vista l'ora e l'enorme ritardo. 

Senza finire di levarmi i puntini di pennarello rosso dal volto e senza curarmi dei capelli a mo' di riccio, uscii dalla mia stanza definendomi pronta. Scesi le scale lentamente, come se avessi passato interi giorni a letto. I miei programmi per quella serata erano altri, eppure io stessa avevo deciso di stravolgerli. Le parole di Ciak mi avevano ferita, ma non ero risentita nei suoi confronti. Ero in collera con me stessa. Dopo i messaggi di Castiel, dentro me era scattata come una scintilla, come se qualcuno fosse entrato dentro il mio cervello e avesse premuto il tasto play. 

Avevo capito di aver sbagliato ogni cosa in quelle settimane. Il peggior errore che potessi mai commettere era stato durante la sera del gala, a Capodanno. Non avrei dovuto baciare Ciak, non avrei dovuto raccontare bugie a Castiel, ma soprattutto non avrei dovuto fingere di stare insieme al mio migliore amico. Mi fermai prima di scendere l'ultimo gradino e m'imposi di raccontare a tutti sulla verità del mio rapporto con Ciak, forse l'avrei fatto dopo il ritorno dal viaggio a Roma, forse da quel momento tutti mi avrebbero odiata, ma non importava. Non potevo più vivere in quelle condizioni, non potevo sopportare lo sguardo d'odio con il quale il mio amico continuava a guardarmi. Ero stata bendata per troppo tempo ed era giunta l'ora di reagire. 

«Neanche Naomi Campbell si è mai fatta attendere per così tanto tempo!» disse Ciak continuando a guardare l'orologio seccato. Non disse quella frase con divertimento o per battuta ma solo per rabbia.

Lui indossava un abito elegante che portava divinamente, come ogni outfit d'altronde. 

«Ci toglieranno da quello studio a furia di calci nel sedere stasera, ne sono sicura. Miki, ma come ti sei conciata?» per la prima volta nella sua vita zia Kate ebbe occasione di rimproverarmi sul mio modo di vestire. Aveva ragione, ma ero nervosa, delusa, arrabbiata, quando avevo scelto il completo da indossare.

«Sì, sbrighiamoci sono le venti e quindici, è tardissimo. Non può cambiarsi ormai. Andiamo!» disse con fretta Ciak e prendendo dal braccetto me e zia Kate, ci trascinò fuori nel giardino dove stranamente non trovai l'autista e l'auto lussuosa ad aspettarci.

Di fretta entrammo nell'auto di zia Kate e partimmo diretti allo studio del fantomatico stilista.

«Devi ancora spiegarmi dove volevi andare a parare con questo tuo atteggiamento. Volevi per caso farmi perdere il posto? Rispedirmi in Italia perché qui ti sto troppo stretto? Continui a combinare una cazzata dietro l'altra da quando sono qui, cazzo Miki!» cominciò a sbraitare Ciak sbattendo le mani per rabbia contro il sedile davanti a lui; era seduto affianco a me, nei sedili posteriori mentre zia Kate era alla guida.

«In realtà io... non sapevo ci fossi anche tu questa sera...» cercai di giustificarmi mantenendo il volto basso.

«Sì ma non sono ugualmente modi questi! Ti ho presentato io Rabanne, avresti solamente dovuto ringraziarmi, non sabotarmi il lavoro»

Lui continuava a rimproverarmi ed io a testa bassa subivo i suoi attacchi. Non avevo voglia di contraddirlo, volevo solo permettergli di sbollentare la rabbia. Sperai di riuscirci entro la fine di quel breve tratto di strada. 

All'improvviso vidi una luce fuoriuscire dalla tasca anteriore dei miei jeans, in contemporanea la vibrazione del cellulare mi fece tremare la gamba. Era arrivato un messaggio. Presi il cellulare con svogliatezza pensando fosse un sms di buona fortuna mandatomi da Rosalya, ma non fu così. Sgranai gli occhi per la sorpresa e nel leggere il suo nome sul display un sorriso spontaneo mi si dipinse sul volto. Passò un minuto, ero ancora a fissare quel nome, come se fosse il primo messaggio ricevuto da lui. Quelle attenzioni che in quelle poche ore mi stava rivolgendo, mi fecero sorridere il cuore.

CASTIEL <3 : poi sarei io lo smemorato tra noi due? Dove cazzo sei?

Noi due. 

Aveva appena utilizzato un solo pronome personale per descriverci. 

Noi due.

Persi un battito del cuore nell'immaginare la sua voce pronunciare quelle due parole.

Non era uno di quei messaggi dolci, uno di quei messaggi che facevano piangere, no, lui non li avrebbe mai mandati probabilmente.. Ma anche con una parolaccia, anche con la sua arroganza, era capace di farmi emozionare. Forse era preoccupato per me; O era solamente preoccupato di non riuscire a fare il provino per causa mia?

MIKI: Sto arrivando!

Non potevo evitarlo. Dopo aver pigiato il pulsante d'invio, spontaneamente mi portai il cellulare sul cuore. In quel momento, dopo quelle sottospecie di attenzioni, sarei stata capace di deporre l'ascia da guerra con il rosso anche solo se per poco. Sapevo di essere contraddittoria ma non riuscivo ad agire diversamente.

«L'hai finita con questo teatrino?» la voce schifata di Ciak interruppe il mio momento d'illusione romantica con Castiel «Non riuscirò mai a capire cosa ci hai trovato in quello lì!»

Evidentemente aveva sbirciato il contenuto dei messaggi o il nome del mittente, e aveva poi esaminato la mia espressione di contentezza nel ricevere attenzioni da lui. 

Feci per aprire bocca ma intervenne zia Kate che, spostando lo specchietto retrovisore verso il volto di Ciak e guardandolo attraverso quello, rispose al posto mio «Ma insomma Ciak, la vuoi smettere? Di te ho sempre apprezzato la maturità che solitamente utilizzi in tante occasioni, ma stasera stai dimostrando di avere dieci anni non quasi diciassette. Miki ha sbagliato in alcune cose, ok, ma capita a tutti di fare errori e non per questo deve finire al rogo. Sicuramente troverà il modo di farsi perdonare. Torturarla così non porterà da nessuna parte. Quindi smettila, mi stai facendo venire il mal di testa con i tuoi lamenti!»

Con quell'affermazione, zia Kate, aveva riottenuto totalmente la mia stima. Non era solita difendermi, e se lo aveva fatto in quell'occasione allora voleva dire che Ciak era diventato davvero insopportabile con le sue lamentele. In effetti, era diventato pesante, anzi no, pesantissimo. Il mio amico aveva tutte le ragioni del mondo per prendersela con me, sì, ma era inutile ripetere le stesse cose per venti minuti. 

Così, ritenendomi soddisfatta della risposta di zia Kate, non replicai al moro, restai in silenzio fino al nostro arrivo allo studio di Rabanne. Ed anche Ciak parve del mio stesso avviso, si ammutolì all'improvviso. 

ROSALYA: In bocca al lupo, honey! Ti raccomando, mettimi una buona parola con lo stilista ;) Aggiornami quando finisci.. Un bacio <3

Il messaggio di Rose mi fece sorridere. Anche lei -come Rabanne- avrebbe voluto fare la stilista dopo il diploma. 

Scendendo dall'auto -al nostro arrivo allo studio di Rabanne- non potei fare a meno di ammirare l'enorme struttura imponente davanti ai nostri occhi. Era terribilmente grande. Era un palazzo bianco, con finestre e tetto di legno. Pareva una villa, non uno studio. Subito dopo il parcheggio, iniziava una via con pietre da percorrere a piedi. Lungo la stradina che avrebbe portato all'entrata della villa, posti ad una distanza regolare l'uno dall'altro, vi erano dei cipressi altissimi. Poco più distante da dove avevamo posteggiato l'auto, mi si presentò davanti agli occhi la moto di Castiel. La conoscevo bene quella.

Percorremmo la via con i cipressi e proprio accanto alla porta d'ingresso, i miei occhi puntarono la figura di Castiel. Era poggiato di spalle con un piede al muro della struttura intento a fumare una sigaretta. A differenza di Ciak, non aveva cambiato il suo abbigliamento per quel provino, indossava i soliti jeans neri e la sua immancabile giacca di pelle. 

«Stai andando ad una festa in maschera e non mi hai invitato? Sono terribilmente offeso!» ed eccolo entrare in scena con le sue battute esilaranti. 

«Ciao anche a te Castiel, è un piacere vederti!» risposi semplicemente accennando un sorriso. 

Ciak lo guardò male senza salutarlo.

«Evita di fare la simpatica. Ti sembra l'ora di arrivare questa? Non solo sei arrivata vestita da barbona, ti permetti anche il lusso di farlo aspettare!» arrivò anche il rimprovero del rosso, come se non mi fossero bastati gli altri due. Nella sua voce c'era una sorta di timore e urgenza, non capii per cosa.

Evitai di rispondergli, non potevo che dar ragione anche a lui. 

Entrammo nello studio. Pavimenti e mura erano in legno, ma non di legno rustico, di un legno sofisticato e di ottima qualità. A sinistra della porta d'entrata vi era una scrivania in stile ottocentesco. Dietro la scrivania c'era una ragazza sulle trentina, molto magra, con occhiali da vista e capelli biondo cenere raccolti in uno chignon laterale. Quella di sicuro doveva essere la segretaria di Rabanne, o qualcuno di simile. Appena ci vide entrare corse contro una porta enorme e di vetro. La porta occupava un'intera parete, ma nonostante fosse di vetro, non si poteva guardare oltre, perché formata da decori vari, un vetro molto spesso e non trasparente.

«Vi sembra l'ora di presentarsi ad un provino, questa?! Tutti sanno che non tollero i ritardatari, e voi che fate? Ritardo. Siete degli ingrati!» arrivò contro di noi lo stilista infuriato. 

Nonostante fossi fuori di me nell'ultimo periodo, decisi di prendermi ogni responsabilità. Mi feci spazio tra Ciak e zia Kate e sollevando la mano destra: «È solamente colpa mia, Signor Rabanne. Non avevo alcuna intenzione di recarmi al provino, questa sera, per cui mi hanno quasi portata di forza qui» fui sincera al massimo. 

Lo stilista, dopo le mie parole, mi guardò sconcertato dalla testa ai piedi e poi mi rispose con un'espressione schifata «Mi dispiace avvertirla che i suoi tentativi di sabotare il provino sono stati vani, signorina. Cosa le sembrava: un provino da quattro soldi? Proverete la pubblicità con degli abiti da scena e prima di entrare sul set dovrete tutti; e dico TUTTI rifarvi il look!» marcò l'ultima frase guardando di sottecchi Castiel. Il rosso, ero sicura, fosse contrario a truccarsi e acconciarsi a comando. Infatti sin da quando avevo scoperto che lui lavorasse per lo stilista non riuscivo a capacitarmi di come facesse e soprattutto del motivo per cui non avesse ancora cambiato lavoro. Quello non era il mondo per un tipo come lui. 

Quando il rosso sentì le parole di Rabanne s'irrigidì di colpo, per poco non gli risi in faccia per la sua espressione.

«Più tardi faremo un discorsetto io e lei, signorina!»aggiunse per ultimo Rabanne, lanciandomi un'occhiataccia. Contrariamente a come avrei dovuto fare, sostenni lo sguardo e guardai lo stilista proprio come aveva fatto lui con me. Ma senza intimorirsi minimamente girò i tacchi e sparì dietro quell'enorme porta. 

Lasciò alla segretaria il compito di darci istruzioni.

«Buonasera, sono Molly, la segretaria di Paco Rabanne. Potrete andare a sistemarvi nei camerini quando ve lo comunicherò io. Nel frattempo accomodatevi pure.» c'indicò delle poltrone presenti nella hall di quell'enorme studio. 

Silenziosamente acconsentimmo e ci recammo nello spazio indicatoci da Molly. I divani esaltavano molto quella stanza, erano di un colore bianco perla, davano l'idea di essere molto comodi visto il loro tessuto di pelle morbida. Mi accomodai sguaiatamente approfittando del fatto che quella sera avevo indossato i pantaloni. Vicino a me si accomodò Ciak, e vicino a lui zia Kate. Avevamo occupato il divano a tre posti. Di fronte alla mia visuale vi era una poltrona. Lì si accomodò Castiel. 

Sin dal primo momento in cui, quella sera, ci eravamo visti di persona -a differenza dei messaggi di qualche ora prima- il rosso cercava in tutti i modi di evitare il mio sguardo. Sembrava quasi essere offeso da qualcosa. Non capivo.

I suoi occhi, invece, andavano in direzione di zia Kate. Purtroppo, a differenza mia, non aveva ancora perdonato i suoi genitori e soprattutto lei. Di sicuro la riteneva essere la causa della fine del matrimonio dei suoi genitori, e come dargli torto? La guardava con odio ed in silenzio, mentre lei, da colpevole e codarda, tenne per tutto il tempo lo sguardo basso e altrove senza mai guardare lui. Ciak, nello stesso tempo guardava Castiel con invidia, rabbia. Ed io in tutto ciò che ruolo avevo?! Beh, stavo in silenzio a fare da spettatrice alla scena. Forse guardavo più Castiel che gli altri. 

Capitò un evento strano in quella sala d'aspetto. Nel momento in cui il rosso aveva lo sguardo da tutt'altra parte, io contemplavo e guardavo minuziosamente la sua figura; mentre quando lui spostava lo sguardo nella mia direzione io mi voltavo concentrandomi sull'arredamento di quel posto. Strano ma vero, non riuscivamo a guardare l'uno negli occhi dell'altra.

Quando poi il cellulare di Castiel squillò, il nostro strano gioco terminò. Senza curarsi dei presenti, rispose. Non si scomodò ad alzarsi, preferì che tutti ascoltassero la sua conversazione.

«Ehi amour, dimmi...»

Sì... Era stato lui. Sì, proprio lui aveva appena risposto al telefono facendo fuoriuscire dalla sua bocca quella parola. Restai interdetta ed uno strano senso di rabbia riempì il mio corpo. Da sempre era talmente orgoglioso da non riuscire neanche a pronunciare un "mi manchi", mentre con lei... con lei abbassava tutti i muri. Proprio come accadeva nei libri, nei film d'amore. Perché con me stava attento a nascondere ogni attenzione, mentre con lei gli veniva tutto così spontaneo, anche pronunciare uno stupido nomignolo romantico? Cosa aveva lei più di me?

Perché lei era tutto ed io niente.

«Vaffanculo, Cass...»

"Oops... ho pronunciato la maledizione ad alta voce" 

Tutti i presenti in sala sgranarono gli occhi, me compresa, ed anche il destinatario della mia maledizione si girò sconvolto verso me. Quella volta non ci sarebbero stati equivoci, quella volta era tutto chiaro anche a lui. Si era capito quanto fossi gelosa di lui e Debrah.

Valutando le urla che sentii provenire dal microfono interno del cellulare del rosso, anche la vipera aveva udito la mia dolce parola. Stranamente dal solito Castiel non rispose alla mia provocazione involontaria, continuò a parlare con la sua amata, quasi come se volesse farmi un dispetto.

«Mi manchi, sai? Vorrei essere nel nostro letto, proprio ora, invece che qui..»

Disse quella frase sensualmente e senza urlare, la sua voce roca ed il suo sguardo lussurioso percorsero il mio corpo facendomi rabbrividire e arrossire contemporaneamente. Sembravo quasi io la destinataria delle sue frasi piccanti e non la sua ragazza. 

Mi alzai di scatto dal divano per non illudermi ulteriormente. Erano rivolti a lei i suoi desideri -non più- segreti, non alla sottoscritta. Dovevo smetterla di pensare a fatti impossibili.

Andai avanti ed indietro, dalla porta d'entrata alla scrivania di Molly. Contavo i minuti, non per l'imminente provino ma per la durata infinita della chiamata tra Castiel e la vipera. Continuava a chiamarla usando l'appellativo "amore". A tratti posai le mani sulle orecchie per tapparle, per porre fine a quella lenta tortura. Stava diventando tutto troppo insopportabile e non ero neanche legittimata ad essere gelosa. Lui non era niente per me.

Ciak, in quel frangente di tempo mi uccise con lo sguardo mentre per la rabbia strinse la pelle del divano. Sapevo di fargli del male mostrandogli quanto in realtà m'importasse di Castiel, ma non potevo più fingere, avevo passato tutta la mia vita a farlo era il momento di smetterla. 

«Potete entrare ognuno nei rispettivi camerini, prego...» c'informò Molly alzandosi dalla sedia ed indicando la strada per i camerini. Salutai zia Kate che ci avrebbe aspettati su quei comodi divani, e mi diressi a prepararmi. 

Fui grata per quella intromissione, finalmente le mie orecchie non sarebbero più state costrette ad ascoltare la voce di Castiel rivolgere attenzioni alla sua ragazza. 

Vedere il camerino attrezzato di ogni cosa, mi fece brillare gli occhi. A differenza del resto della struttura, quella stanza gigante era con mura e linoleum grigio scuro. Non vi era nessun tipo di arredamento, era stato lasciato tutto libero per poter contenere trucchi e vestiti in abbondanza. Non potei contarli tutti, ma credo che fossero presenti più di cento vestiti eleganti in quei guardaroba. Per tutta la lunghezza della stanza vi erano depositati appendiabiti stracolmi di vestiti meravigliosi e luccicanti. Quando un'aiutante prese il mio, restai quasi delusa. Mi sarei aspettata un vestito più romantico e vistoso, ma ovviamente decisi di restare in silenzio. Prima d'indossare quell'abito, la parrucchiera passò ai capelli ed al trucco facendomi accomodare su una poltrona rosa in camoscio. Non potei fare a meno di notare le tante consolle presenti in quella stanza. Ce n'erano dieci, tutte uguali ed in fila. Ognuna conteneva tutto il necessario per il make up ed uno specchio con le luci intorno. 

Iniziarono quasi a piacermi quelle coccole da star. 

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CASTIEL

Adoravo terribilmente vedere Miki innervosirsi. Inizialmente avevo accettato la chiamata di Debrah davanti a tutti, non per farle un dispetto ma per pigrizia. Ero stanco, e a dirla tutta non avevo neanche intenzione di protrarre quella chiamata. Ma poi... quando Miki mi aveva mandato letteralmente a quel paese ne avevo approfittato. Non sapevo se le desse fastidio il fatto di sentire Debrah, o il fatto di sapere me con lei in certi atteggiamenti. In realtà, non ero mai stato dolce, neanche con Debrah. Quella sera divenne tutto automatico, forse aveva pensato a tutto il mio subconscio ed avevo iniziato a mentire pur di vedere Miki innervosirsi. 

A dirla tutta non ero neanche ancora riuscitoad andare a letto con Debrah. Dal suo ritorno non avevamo avuto un rapporto completo, solo preliminari, niente di entusiasmante o trascinante. Non provavo neanche più lo stesso desiderio di anni prima per lei.

C'era sempre qualcosa a bloccarmi, che mi portava a respingerla e non riuscivo a capire neanche cosa fosse di preciso. Evidentemente avevo intenzione di metterla alla prova, per capire se lei fosse tornata con me solo per del buon sesso o per secondi fini; in realtà non mi fidavo di lei come un tempo, non credevo alle sue parole d'amore, non ero così scemo e innamorato come tutti pensavano. 

E se fosse Miki il motivo per il quale non riuscissi ad andare oltre con Debrah? Scossi la testa e mi diedi mentalmente dell'imbecille per quel pensiero stupido. Miki non era nient'altro che una possibile e bellissima scopata. 

E invece cos'era che mi teneva così legato a Debrah?!? Le ombre del passato? I rimorsi? Di certo non l'amavo come prima, l'avevo capito in quei pochi giorni, perché se avessi provato per lei ciò che provavo in passato, non avrei aspettato neanche un giorno prima di saltarle addosso.

Un altro dubbio che torturava la mia mente era quel Francois o Ciak come diamine si chiamava. Non riuscivo a capire quanto fosse importante per Miki o che ruolo realmente avesse nella sua vita. Non che m'importasse qualcosa, ma non sembravano una vera coppia. Nei primi mesi dal suo arrivo a Parigi io e Miki eravamo diventati quasi amici, ci raccontavamo parecchie storie o fatti accaduti all'altro, ma non mi aveva mai nominato Ciak; se fosse stato realmente il suo ragazzo non avrebbe fatto altro che parlare di lui, la conoscevo almeno un minimo ormai. Forse per chiarire ogni dubbio avrei dovuto finalmente decidermi ad aprire e leggere la copia del suo diario segreto, chiusa a chiave in un cassetto della mia stanza. 

Mentre quella stronza della truccatrice non faceva altro che spalmarmi delle strane creme sul viso -a detta sua essenziali per una migliore luce nelle foto- io continuavo a pensare a lei. Era entrata nella mia mente da quattro mesi ormai, e non riuscivo ad eliminarla in nessun modo. Era talmente strana e misteriosa quella ragazza, da riuscire a colpirti il cuore e quando ti colpiva, lo faceva così profondamente, da non lasciarti più alcun scampo. O eri cotto di lei o la odiavi, non esisteva una via di mezzo.

«Mi spieghi che intenzioni hai con Miki?»

Quella specie di bambolotto vivente del suo ragazzo, poi, continuava a tartassarmi di domande. A tratti appariva più che altro come il suo migliore amico, come qualcuno che la volesse proteggere, e non come il suo ragazzo. Era geloso, ma si conteneva, quasi come se non fosse legittimato ad esserlo. Se Miki fosse stata mia, di certo, non mi sarei rivolto in quei termini al mio eventuale rivalegli avrei spaccato direttamente la faccia che era ben diverso dal suo comportamento.

«Credo di avere una mosca nell'orecchio... Devo eliminarla prima che diventi troppo fastidiosa».    Non riuscivo a farmelo stare simpatico, era più forte di me.

«Avessi avuto io la tua fortuna...» lasciò quella frase in sospeso che mi spiazzò facendomi aggrottare la fronte.

Stavo per chiedergli cosa intendesse con quelle parole, ma venni bloccato da Clark, il costumista che ci comunicò l'abbigliamento che avremmo dovuto indossare per il provino.

«Indossate questi. Dovrete stare a piedi scalzi e dorso nudo!»

Dovevamo indossare solamente un pantalone elegante e nero, saremmo rimasti quindi, a petto nudo e piedi scalzi. Preferivo quel tipo di abbigliamento piuttosto che un abito ingessato. Ero piuttosto in confidenza con il mio corpo, grazie agli allenamenti giornalieri avevo sviluppato un fisico di cui andavo parecchio fiero e di certo non temevo di stare a dorso nudo, non temevo i bambocci come Ciak dal fisico gonfiato da chissà quale droga. 

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CIAK

Se dodici ore prima non ero infastidito da Castiel, le cose si erano completamente ribaltate. Avevo cominciato a non sopportarlo. Voleva far ingelosire Miki a tutti i costi e non mi piacevano i suoi comportamenti da maschio alfa. Voleva illuderla, farle credere che lui non provasse niente per lei. La guardava in un modo strano, con interesse, bramosia, conoscevo quello sguardo; quando decideva di non guardarla o di non rivolgerle attenzioni era solo per orgoglio. Mi feriva vedere Miki così tanto interessata ad un ragazzo che non fossi io; s'infastidiva per qualsiasi cosa quando si trattava di lui, anche solo per una chiamata alla sua ragazza, mentre con me non aveva avuto alcuna reazione nonostante le avessi urlato parole pesanti. Per me non aveva l'alcun minima considerazione. 

Pian piano, magari, avrei accettato quella situazione, avrei accettato che lei avesse occhi e cuore solo per lui.. ma a distanza di qualche giorno da quella scoperta, ancora faceva tremendamente male vederli in quegli atteggiamenti. Lui poteva averla, poteva prendersi cura di lei, poteva ricevere il suo amore, eppure non si attingeva neanche a farle capire di essere interessato a lei. Lasciava solo che soffrisse, che la gelosia le logorasse l'anima.

Dopo aver ricevuto le indicazioni dal costumista, ci vestimmo. Eravamo in camerino insieme. Quando terminammo i battibecchi e il nostro look era completo ci recammo sul set fotografico.

Avremmo dovuto pubblicizzare un profumo. La nuova fragranza di Paco Rabanne: Ivre.

«Come dice la stessa fragranza, ivre: gli uomini dovranno essere ubriachi del profumo, che in questo caso sarà incarnato da Miki. Proverete uno per volta. Prima toccherà a Francois.» ci avvertì Rabanne. Poi continuò: «Ricordatevi che questo sarà un provino. Vi verranno scattate solamente delle foto. La pubblicità del profumo si farà in riva al mare, e lì sarà realizzato un video-clip per i media di tutto il mondo. Oggi, dovrò solo capire chi sarà la coppia giusta per questo lavoro e qualora alcune foto scattate mi piaceranno particolarmente ne sceglierò qualcuna per le riviste».

Rabanne era stato chiaro.

"Voglio essere io colui che farà la pubblicità." 

Appena Rabanne finì di darci indicazioni, vidi sbucare Miki dalla porta del suo camerino. I suoi tentativi di fingersi malata, di vestirsi male, risultarono vani. Era bellissima, ancor più del solito. Era truccata perfettamente, quasi da sembrare una bambola di porcellana. Aveva un vestito ampio e dorato, uno di quelli che solitamente lei amava, eppure sembrò essere a disagio in quell'abito. Il corpetto era molto stretto, fatto praticamente solo di paillettes dorate, mentre il resto del vestito scendeva morbido, composto completamente di tulle dorato. Quel colore le donava molto.

Ogni mio tentativo di odiarla, d'infastidirmi con lei -dopo averla vista vestita della sua bellezza particolare- andò a scemare.

-

MIKI

Amavo i vestiti come quello appena indossato, ma in quel momento niente mi avrebbe resa felice. Quel corpetto era incredibilmente scomodo, sentivo entrare nella pelle le migliaia paillettes dorate. Per di più sebbene avessi un corpo esile, il costumista aveva continuato a dire -per tutto il tempo passato in camerino- che con quel capo stretto si sarebbe di conseguenza nascosto il mio filo di pancia. Pesavo sessantadue chili ed ero alta un metro e settanta, non ero di certo in sovrappeso. E invece no... secondo la mente bacata del costumista, e secondo quel mondo stupido -fatto di gente che neanche si sedeva a tavola a mangiare per non ingrassare duecento grammi- avevo dei chili di troppo. Era tutto abbastanza ridicolo. Per distrarmi dalle cose negative che nel giro di un'ora mi erano capitate, dopo aver abbandonato il camerino diedi un'occhiata allo studio, era in stile ottocentesco. Ma quello che catturò ancor di più la mia attenzione, furono le luci e l'ambientazione della sala. Dalla parte opposta alle macchine fotografiche, c'era un telone che raffigurava il mare e degli scogli. Tutto pareva tranne che un provino. Sembrava di essere già sul set del videoclip. 

Rabanne era parecchio concentrato, stava discutendo degli ultimi preparativi con il fotografo e nello stesso tempo parve essere molto nervoso, stranamente pensavo di sapere il perché. 

«Per il bene di tutti ti consiglio di non farlo irritare ulteriormente. Hai già contribuito fin troppo ad innervosirlo!» Molly giunse alle mie spalle spaventandomi.

«Voi siete tutti matti qui dentro!» mi venne spontaneo affermare dopo lo spavento avuto nel sentire la sua voce alle spalle. 

Forse utilizzai un tono di voce alto visti tutti gli occhi puntati sulla sottoscritta, da quel momento. 

Castiel e Ciak si diressero verso di me, entrambi con espressione corrucciata. 

«Quando pensi di finirla di fare la ragazzina?!» Castiel mi rimproverò. 

Come avessi fatto a non notare il suo abbigliamento poco vestito non lo sapevo, ma non appena abbassai lo sguardo sul suo petto scolpito e scoperto arrossii di colpo. Gli dii greci erano facilmente paragonabili al suo fisico asciutto e muscoloso. 

Ciak -anche lui nello stesso abbigliamento di Castiel- aggiunse la sua: «Oh! La prima cosa intelligente detta da questo beduino da quando lo conosco. Ha ragione, Miki, fa' la persona matura, ti prego!» unì le mani a mo' di preghiera.

«Ehi testa di plastica, beduino a chi?» s'intromise giustamente Castiel difendendosi. 

Ciak ignorò l'entrata del rosso e si rivolse a me «Comunque tesoro, i capelli lisci ti stanno divinamente. Dovresti portarli spesso così!» sfiorò gli ormai lunghi capelli. 

Quella sera avevo scoperto un ulteriore novità: le piastre professionali facevano miracoli. I miei boccoli, grazie alla bravissima parrucchiera dello Staff Rabanne, erano diventati lisci come la seta arrivandomi fin sotto la spalla. Mi erano stati lasciati liberi, senza alcun fermaglio. Così, naturali.

Sapevo quanto quel provino fosse importante per Ciak, ma fino a quell'istante non avevo immaginato quanto potesse esserlo anche per Castiel. Non l'avevo mai visto così nervoso. Riuscì addirittura a contenersi dinanzi allo snob di Ciak limitandosi solo a stringere i pugni lungo il corpo dopo non aver ottenuto risposta. Era quasi come se fosse frenato, come se non potesse sfogarsi come voleva per la troppa importanza di quel provino. Avrei tanto voluto scoprire cosa ci fosse dietro, Castiel ometteva sempre i fatti importanti della sua vita. 

I due uomini indossavano un pantalone nero mentre il petto era scoperto. Che Ciak avesse un fisico mozzafiato era fuori ogni dubbio; l'avevo visto e rivisto mille volte, in costume, in boxer, ormai ci ero abituata... Ma la vera sorpresa quella sera fu Castiel. Quel ragazzo non finiva mai di sorprendermi. Sotto le sue t-shirt non troppo strette immaginavo nascondesse un fisico carino e muscoloso, ma a vederlo dal vivo, senza immaginazione, era davvero perfetto. Aveva un addome parecchio muscoloso, uno di quei fisici che fuoriescono solo dopo anni e anni di allenamento. 

«Sappia che non tollero altri capricci da parte sua, Mikì.» si avvicinò a me lo stilista «Le spiego subito la sua parte in questo provino. Lei incorporerà la fragranza letale, quella che farà ubriacare l'uomo, l'ammalierà e lui penderà dalle sue labbra. Dovrà essere espressiva, sicura di sé, sensuale, una vera e propria femme fatale!» Rabanne spiegò il mio ruolo, ma non avevo proprio idea di come riuscire a mettere in mostra tutti quegli aspetti. 

Sarei stata un disastro, ne ero già convinta e consapevole. 

Dopo ulteriori indicazioni anche ai due uomini, lo stilista c'informò che era tutto pronto. Ci avrebbero scattato delle foto a turni. I primi a salire sul set saremmo stati io e Ciak.

Rabanne mi diede tra le mani una boccetta di profumo. Era una piccola bottiglia di vino. Al centro, su un'etichetta nera, era intagliato il titolo del profumo "Ivre" con sotto il nome del celeberrimo stilista. Non avevo mai sentito quel profumo, mai vista quella forma particolare di boccetta. Come ogni profumo di Paco Rabanne che si rispetti, anche quella bottiglietta era di color dorato. Aveva lo stesso colore del mio vestito, scelto a sua volta volutamente per quel motivo. Le idee di quel signore iniziarono ad intrigarmi molto, aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Ma restava fissa nella mia testa l'unica sua scelta più sbagliata, e cioè: io. Non facevo parte di un'agenzia di moda, non ero alta, non ero abbastanza esile per come richiedeva quel mondo, non ero una modella. Continuavo a non capacitarmi perché lo stilista avesse insistito più volte nel farmi fare quel maledetto provino.

Qualcuno ci stava dando delle indicazioni, sulle pose da assumere, ma io mi ero distratta e non sentii. Quando percepii le braccia di Ciak stringermi forte, m'irrigidii, il suo petto a contatto con la mia schiena mi fece sussultare. A quel punto il corpetto iniziò a torturarmi ancor di più. Assunsi un'espressione disgustata e dolorosa. Di sicuro quella, non aveva nulla a che vedere con la femme fatale desiderata da Rabanne.

«No, no, e no. Mikì ma che stai combinando? Lo devi sedurre, devi essere potente, devi fargli girare la testa. Rapirlo. Un volto disgustato non venderà mai e poi mai dei profumi». Per la prima volta, lo stilista, si rivolse a me con un tono informale, lo avevo talmente tanto esasperato da fargli dimenticare persino il bon ton tanto seguito da lui. 

Come volevasi dimostrare Ciak era risultato impeccabile, io no. Lui era un modello, quello era il suo lavoro, non il mio. Vedere la mia faccia spiaccicata su riviste o chissà dove nel mondo, era l'ultimo dei miei sogni. Non volevo assolutamente diventare famosa o lo zerbino di uno stilista. Avrei voluto continuare ad amare la moda dall'esterno, vestirmi, apprezzare le brave modelle ma non divenire una di loro.

Non riuscii ad ascoltare i consigli di Rabanne, continuai a fare di testa mia restando assente sia con lo sguardo che con il corpo. Ciak mi stringeva mentre io ero persa nei miei pensieri; sognavo di dormire nel mio letto caldo, da sola, fuori da quel mondo fatto solo di apparenze e telecamere. Io non avevo niente a che vedere con la bellezza e perfezione del mio migliore amico. 

-

CASTIEL

"Si, ma non c'è bisogno che la stringa in quel modo!" ripetevo tra me e me ad ogni stretta di Ciak intorno al busto di Miki."Geloso, mio bel fustacchione?" intervenne la mia indiscreta coscienza. "Chi? Io? Ma sei matta? Torna a dormire per piacere, la sbronza di ieri deve averti fatto male!" sapevo di poter risultare pazzo agli occhi degli altri, visti i miei dialoghi interiori, ma nessuno avrebbe scoperto che di tanto in tanto mi ritrovavo a litigare con una vocina dentro la mia testa chiamata da tutti coscienza. "Falla bere a qualcun altro. Con me non funziona. Io non bevo le tue balle. Ti ricordo di essere la tua coscienza, quella particella che dovrebbe farti ragionare, farti aprire gli occhi; ed io sto cercando di farlo dalla tua nascita, se solo mi stessi ad ascoltare..." scossi la testa eliminando e smettendo di ascoltare le parole di quella parte petulante della mia testa, e mi concentrai nuovamente sulla scena che si stava presentando davanti ai miei occhi. 

Percepivo uno strano fastidio sulla bocca dello stomaco. Forse delle fitte, forse un formicolio. La sera prima avevo esagerato con l'alcol eppure qualcosa mi suggeriva di non essere esattamente quello il motivo del mio malessere. 

Miki non era felice con Francois, l'avevo capito grazie a quel siparietto nello studio di Rabanne, solo... Non comprendevo il motivo per il quale non lo avesse ancora lasciato. Ogniqualvolta il bamboccio di plastica sfiorava il corpo longilineo della ragazza dai capelli ramati, le mani mi prudevano. Avrei tanto voluto sbattere al muro la testa di quel coglione fino a fargli perdere i sensi. M'infastidiva la loro vicinanza ma non per ciò che aveva sostenuto la mia coscienza... o forse sì?! Fatto stava che ancora non ero pronto ad ammettere verità scomode e, molto probabilmente, non lo sarei mai stato. 

-

MIKI

Sentivo i suoi addominali scolpiti eppure non provavo niente. Non riuscivo a smuovermi, a fingere come avevo continuato a fare durante la nostra finta relazione. Sembrava quasi che il mio cervello si fosse sconnesso totalmente dalle altre parti del corpo. In quel momento risultò difficile, e anche disgustoso a dirla tutta, restare avvinghiata al mio migliore amico. Mi stavo comportando da vera stronza nei suoi confronti, si sarebbe infuriato ne ero certa.

Tra tutte le foto scattate da Frank -il fotografo- probabilmente neanche in una avevo osservato gli ordini impartitami dallo stilista.

«È un disastro. Un completo disastro» Rabanne si portò entrambi le mani tra i capelli, esasperato. Aveva ragione, ma io lo avevo avvertito di non essere in grado di stare davanti ai riflettori. «Francois cedi il tuo posto a Castiel!»

Già solo sentendo pronunciare quel nome sussultai come scossa da una scarica elettrica. E, improvvisamente mi risvegliai.

«Anche in questo caso ti sei dimostrata essere la solita egoista. Grazie Miki, grazie molte!» mi rimproverò Ciak; poi mi diede un'ultima occhiata accusatoria e abbandonò il set.

Non gli risposi. Non riuscii neanche a chiedere scusa al mio migliore amico. Il mio cervello si era appena bloccato, inceppato alla frase precedente pronunciata da Rabanne. Quelle parole si ripetevano nella mia mente ininterrottamente: "Francois cedi il tuo posto a Castiel".

Come avrei reagito dinanzi alla troppa vicinanza con il ragazzo dai capelli rossi? Mi avrebbe ancora una volta scatenato le stesse sensazioni, sarei andata in combustione già solo con un suo tocco? Improvvisamente divenni nervosa, fin troppo, ma nello stesso tempo una strana gioia iniziò quasi a sovrastare le altre emozioni.

Era da troppo tempo che le sue braccia non stringevano il mio corpo.

Era da troppo tempo che il suo fiato non solleticava il mio collo.

Da troppo tempo la sua bocca non sfiorava la mia.

Era da troppo tempo che mi mancava...

Precisamente sette giorni, un'ora, quarantacinque minuti e dieci secondi che non avevo un contatto ravvicinato con il mio Castiel.

Era passato troppo tempo dall'ultima volta.

Lui non ebbe nessuna trepidazione, nessun timore ad avvicinarsi a me. Lo fece con una tale naturalezza da far paura, inconsapevole che con un solo passo in più del dovuto avrebbe rischiato di frantumare le mie certezze. 

Si posizionò alle mie spalle, allungò le mani verso la mia vita e, spingendomi contro il suo corpo, mi abbracciò. In un microsecondo mi ritrovai attaccata al suo addome muscoloso e nudo. Ero in totale balia dei suoi gesti, stregata dal suo profumo; un misto tra buchu selvatico e menta piperita. Non era lui a dover essere ubriaco di me? Perché quella sera l'unica ubriachezza che percepii fu la mia. 

Ero totalmente ubriaca di lui. Allora era quello ciò che provocava l'astinenza dalla droga per troppo tempo... Assaggiarla di nuovo e non essere più capace d'intendere e volere; provarla e sentirsi nuovamente, totalmente e incondizionatamente dipendente da lui. Maledizione!

Dopo qualche scatto poggiò la testa sulla mia spalla ed io d'istinto feci lo stesso con lui, alzai lo sguardo verso il cielo e chiusi gli occhi.

Neanche il corpetto dalle mille paillettes era più un problema, magicamente non lo sentii più stretto. Il mio cervello era annebbiato. In quel momento ero disposta a percepire solo ogni battito del suo cuore, ogni suo respiro sul collo ed in contemporanea ogni brivido sulla pelle che la sua vicinanza mi faceva emettere. 

Un battito di mani interruppe il mio momento di magia. Ogni cosa bella dura sempre troppo poco, era un dato di fatto.

Poi la sua voce: «Bravi, bravi, bravi» tre battiti di mano «Sembravate quasi veri. Devo ammettere che recitate bene. Peccato però che Castiel vuole solo me, piccola troia!» sgranai gli occhi davanti al suo nomignolo e per la rabbia strinsi i pugni. 

Doveva smetterla di definirmi una troia, quello casomai era il suo lavoro non il mio. 

«Debrah, ma che cazzo c-ci f...» lasciò la frase in sospeso Castiel, staccandosi bruscamente dal mio corpo. 

Improvvisamente sentii freddo, e rabbrividii. Certo, lei restava pur sempre la sua preferita. Come avevo potuto dimenticarlo in quei minuti in cui si era stretto a me? 

«Signorina, signorina» col fiatone irruppe correndo, Molly, interrompendo l'attimo di sgomento e silenzio generale per l'entrata di Debrah. «L'ho già avvertita che in questa sala è vietato l'ingresso al personale non autorizzato. Se vuole aspettare il suo ragazzo, lo attenda fuori nella sala d'attesa».

Evidentemente da testarda nata, Debrah, non aveva osservato le indicazioni della segretaria, e si era introdotta sul set senza alcuna autorizzazione.

«Ed io ti ho detto che quella...» m'indicò «vuole rubarmi il ragazzo. È mio diritto stare qui!» ribatté la vipera. 

Per poco riuscii a trattenere le risate. Debrah e la sua figuraccia davanti a professionisti, mi fece quasi pena. Ero quasi tentata di rispondere alle sue accuse nei miei confronti, mi ritenni però di gran lunga superiore ad una ragazza senza cervello. Continuai a non capire cosa le avesse visto Castiel di così speciale, reputavo il rosso molto più intelligente di lei. La bellezza non era tutto nella vita. Una come lei non poteva essere considerata una compagna di vita degna per uno come Castiel. 

Ma una cosa era certa, se quella ragazza era arrivata addirittura ad interrompere un provino a causa della sua gelosia, voleva dire che non era poi così tanto certa dei sentimenti di Castiel verso di lei. Quel possibile aspetto mi destabilizzò. Forse Castiel dopotutto non era realmente il cagnolino fedele di Debrah, non pendeva dalle sue labbra come faceva credere a tutti... Forse.

Il rosso non era rimasto contento dell'entrata poco trionfale di Debrah nello studio fotografico, infatti fissò per tutto il tempo la vipera con sguardo d'ira, sorpreso e con risentimento. Di certo con quella reazione non era a conoscenza del suo intento di sabotare il provino, quello era poco ma sicuro. 

I miei pensieri furono interrotti da un Rabanne furioso e stanco di tutti quegli imprevisti «Se ne vada Signorina, non la voglio vedere neanche in sala d'attesa. Abbandoni all'istante lo studio prima che mi decida a chiamare la polizia!» puntò le dita in direzione della porta, intimandole di uscire. 

Debrah riconoscendo sicuramente il volto di Rabanne come uno dei più potenti ed influenti stilisti del momento -nel mondo della moda e non solo- non aggiunse altro. La sua sfuriata era appena giunta al termine, per fortuna. Si limitò ad uscire permettendosi addirittura di sbattere l'enorme porta di vetro. 

Dopo la breve ma intensa invasione di campo, Rabanne c'impose di continuare con gli scatti. Ci fece posizionare l'una di fronte all'altro, con il profumo in bella vista. Se prima c'era qualche speranza di riuscire ad essere quantomeno un minimo espressiva, da quel momento non ci sarei più riuscita. L'intrusione di Debrah mi aveva sbattuto nuovamente in faccia la realtà; nella rabbia, nella gelosia, nel rancore.

Castiel mi si avvicinò nuovamente, avrei dovuto guardarlo negli occhi come ci stava indicando lo stilista, ma arrivati a quel punto non ci riuscii. Ripensai alla telefonata di un'ora e mezza prima, a come il rosso si era allontanato da me non appena la ragazza era entrata sul set. Il suo amore era sempre rimasto lei, il suo unico pensiero era Debrah nonostante i dubbi della ragazza. 

E quel nostro contatto anche se pura finzione per lui, mi provocò dolore, rabbia... A me che dall'inizio del provino non ero riuscita a fingere neanche un istante; a me che impazzivo anche solo per la sua vicinanza, per un suo lieve tocco. 

«Mikì, così non va. Castiel accarezzale i capelli. Tu Mikì, spruzza il profumo».

Cercammo entrambi di osservare le indicazioni dello stilista per porre fine a quella tortura il prima possibile, ma appena Castiel cominciò a sfiorare una ciocca dei miei capelli, il profumo che avevo tra le mani cadde sul pavimento rompendosi.

Rabanne invece di adirarsi maggiormente applaudì. «Ivre... Oui... Questo sì che rende il vero significato del profumo. La boccetta rotta. Hai scattato tutti i momenti Frank?»

Il fotografo fece cenno con la testa per rispondere alla domanda dello stilista e come per indicare di pensarla allo stesso modo di Rabanne.

Bene, visto che avevo dato abbastanza, potevo anche ritirarmi arrivati a quel punto. Anzi, avevo dato anche troppo... più di quello che avrei dovuto. Non avevo bisogno di mettermi ancora in ridicolo.

«Adesso basta!» scoppiai, aggiudicandomi gli sguardi sorpresi di tutti i presenti «Sono del tutto inadatta per questo ruolo. Sembro una stupida. Smettete di applaudire. Rabanne cercati un'altra, io me ne vado!» la pressione dell'intera giornata scoppiò all'improvviso. Dovevo immaginarlo che mi sarebbe accaduto. 

Sapevo di non potermi permettere il lusso di rivolgermi al grande stilista con quei toni, ma non ce la facevo più. Con passo deciso e senza guardare più nessuno, abbandonai il set recandomi nel camerino. 

La vicinanza con Castiel mi aveva reso debole. In un certo senso Debrah, mi aveva salvata... mi aveva portata a contatto con la realtà. Mi aveva permesso di ripensare a quella telefonata e a quanto lui fosse così innamorato di lei e così poco interessato a me. Lui con me stava solo fingendo. 

Presi una salviettina struccante e cominciai a togliere il trucco...

Insieme al trucco avrei tanto voluto levare anche l'impronta di Castiel, ma sapevo fosse impossibile, almeno per il momento. Il suo tocco era impresso sulla mia pelle quasi come un tatuaggio, sperai che perlomeno fosse uno di quelli semi-permanenti in modo da avere la possibilità di poterlo dimenticare prima o poi. 

Avevo ripreso ad odiarlo, nuovamente. Sebbene amassi l'illusione romantica di lui creata dalla mia mente non potevo permettermi di sognare, dovevo essere realista. 

«Si tolga i vestiti ed indossa i suoi. Poi vada nella sala d'attesa. Rabanne le vuole parlare!» Molly entrò senza bussare e con aria distaccata mi comunicò le volontà dello stilista.

Da lì a poco mi sarebbe spettata una di quelle ramanzine che non si dimenticano facilmente nella vita, ma per la prima volta non potevo che trovarmi d'accordo con lo stilista. Mi meritavo un rimprovero con i fiocchi.

-

CIAK

Ero terribilmente risentito e offeso dai comportamenti tenuti da Miki per l'ennesima volta dal mio arrivo a Parigi. Sapeva quanto fosse importante per me quel lavoro, maledizione. In mia presenza era stata più tesa di una corda di violino, mentre poi le era bastato sentire il nome di Castiel per iniziare a sciogliersi, per entrare nel personaggio. Era così incredibile, così ingiusto ciò che era capitato in quella stanza da farmi sentire ferito nell'orgoglio. Io ero mille volte migliore di quel finto pellerossa. 

«Ecco, Francois, sarò schietto con te... tu sei perfetto, troppo perfetto. La tua perfezione oscura la modella, in questo caso Mikì. Con te ho delle intenzioni serie, voglio assumerti a pianta stabile rendendoti protagonista. Ho molti progetti perfetti per te, ma lavorerai come modello singolo.»

Una botta al cuore mi affannò il respiro. Rabanne alla fin dei conti mi aveva elogiato facendomi dei complimenti, ma per quella pubblicità sosteneva non fossi adatto. Pellerossa era stato migliore di me, avrebbe preso parte a quella campagna. Sarebbe stato il volto del nuovo profumo. Sarebbe diventato famoso al posto mio insieme alla ragazza che amavo. Se solo Miki si fosse comportata diversamente, se solo avesse collaborato il ruolo di "homme ivre" sarebbe stato mio. Era stata tutta colpa sua. Aveva lasciato scegliere il cuore, non aveva ragionato, non mi aveva pensato, anzi aveva preferito lui a me -di nuovo e per di più inconsciamente- cosa ancora più grave. 

Annuendo sconfitto, uscii dall'ufficio dello stilista. Volevo scappare e non vederla mai più, ma nello stesso tempo volevo restare e rimproverarla. Miki era diventata un ossessione, avrei dovuto dimenticarla, faceva solo male vederla ogni giorno ma non poterla avere mai.

Ma quella volta era stato troppo, non potevo più giustificarla. Non sentiva neanche la metà dei sentimenti che provavo per lei. Era un dato di fatto. Ma non l'avrebbe più passata liscia ed io non avrei sorvolato. Già troppe volte ero stato la ruota di scorta, il cretino di turno, troppe volte mi aveva deluso, usato, non aveva avuto nessuna premura per me.

Mi accomodai nella sala d'attesa di quel maledetto studio e alla fine decisi di aspettarla impaziente.

-

MIKI

Mi spogliai e vestii velocemente. Andai verso l'uscita del camerino per dirigermi nella sala d'attesa ed aspettare di parlare con Rabanne, ma una voce mi distrasse dalla mia intenzione di aprire la porta. Se fosse stata la voce di un ragazzo comune non mi sarebbe interessato, ma quella voce era del ragazzo più importante e nello stesso tempo più odioso per me; Castiel. Il suo tono di voce era parecchio teso. Era al telefono proprio fuori dal mio camerino.

«Senta, le prometto che le porterò i soldi, mi dica solo quanto tempo ho ancora prima che....»

Poi non riuscii più a sentire nulla. Molto probabilmente si era allontanato perché stava camminando verso chissà dove. Ero incuriosita, volevo capire in quale guaio si fosse cacciato. Finiva spesso nei guai per come mi era stato raccontato e per come avevo avuto modo di apprendere in quei mesi di sua conoscenza. Ma avrei dovuto rimandare i miei istinti da detective in un secondo tempo, in quel momento mi spettava una discussione aspra con lo stilista più potente del panorama della moda. Così aprii la porta del camerino e mi diressi verso l'entrata dello studio. Non sapevo dove si trovasse l'ufficio di Rabanne. Mi era parso di capire che avesse uno di quegli uffici con scrivanie enormi, dove discuteva, firmava ed entrava in affari. 

Nella sala d'attesa, ritrovai zia Kate e Ciak. Debrah sembrava essersi volatilizzata nel nulla.

Mi avvicinai ai divanetti e sussurrai «Zia, hai visto per caso Debrah?»

«Non ti seguo tesoro, cosa dici? Chi è? Com'è andato il provino? Sembri piuttosto scossa» mi chiese disorientata zia Kate.

Ma certo, ero stata stupida! Avevo dato per scontato che lei la conoscesse. Mi era capitato di raccontarle qualcosa di Debrah, ma svolata com'era, se n'era dimenticata. In ogni caso non aveva mai avuto occasione di vederla. La descrissi fisicamente e dopo un po' le venne l'illuminazione.

«Ah sì, si è messa ad urlare di voler assistere necessariamente al provino, ma poi la segretaria l'ha intimata ad abbandonare lo studio perché altrimenti avrebbe chiamato le forze dell'ordine. Aveva una voce sin troppo acuta per i miei timpani, proprio insopportabile! Quindi quella sarebbe la famosa ragazza che ha rubato il cuore di Castiel? Certo che non ne ha preso per niente dal padre in fatto di donne, pensavo avesse gusti migliori...»

Zia e le sue battute infelici. Davvero, davvero simpatica. 

Per fortuna non sarei più stata costretta a vedere quell'arpia di Debrah. Pericolo -di strapparle i capelli e di essere arrestata per tentato omicidio- scampato. 

«Miki dobbiamo parlare. Vieni fuori con me!» non mi permise di replicare a zia Kate, la voce di Ciak alle mie spalle.

La sua non era una richiesta, era un ordine. Mi afferrò il braccio destro e mi portò fuori, nell'aria gelida, all'entrata dello studio. Quello che mi si era parato davanti dopo il provino non era né Ciak e né Francois, piuttosto aveva delle somiglianze molto evidenti con i modi scorbutici di un certo ragazzo di mia conoscenza con nome Castiel.

«Perché ci tieni così tanto a rovinarmi la vita? Eh Miki? Me lo spieghi?»mi chiese infuriato, io non capivo o meglio non volevo capire. 

Evidentemente non gli era andato a genio il mio provino e soprattutto il mio cambio repentino di modi. Ma come spiegargli che "al cuor non si comanda"?

«Che vuoi dire, Ciak?» mi uscirono a malapena le parole, non ero abituata a quella sua nuova versione.

«Dico che l'hai fatto di proposito, non sono scemo. Volevi che il ruolo fosse assegnato a Castiel, e per questo con lui hai posato bene, hai seguito alla lettera i comandi di Rabanne, anzi l'hai addirittura stupito nel rompere la maledetta boccetta... E invece con me che hai fatto? Sembravi una morta vivente. Questo è stato un colpo davvero davvero basso, non me lo sarei mai aspettato da te. Mi spieghi che cazzo ha lui più di me? Io sono un vero modello, lui è un cazzo di lavapiatti, te ne rendi conto Miki? Mi hai tolto la possibilità di diventare famoso insieme a te, era questo che desideravo una volta che mi se n'era presentata l'occasione. Cazzo!» concluse lanciando due pugni contro il muro della struttura, ai lati del mio corpo. Istintivamente sgranai gli occhi, non aveva mai perso le staffe in quel modo.

Mentre parlava, mi aveva puntato il dito contro per tutto il tempo, accentuando ancor di più la mia colpa.

Ma come spiegargli di non aver programmato un bel nulla? Avevo agito d'istinto, il mio cervello era andato in pappa non appena avevo sentito il suo nome, non appena avevo percepito la sua presenza alle mie spalle, non appena le sue mani avevano sfiorato il mio corpo. Mentre Ciak era solo il mio migliore amico, Castiel mi mancava costantemente ed incessantemente... Come potevo spiegare quei dettagli senza ferire quegli occhi di ghiaccio che continuavano a fissarmi rabbiosi?

«Non è come sembra, credimi. Non avevo programmato nulla, è capitato. Mi dispiace che io ti abbia ferito, ma non era mia intenzione. Io non sono una modella, non faccio gesti ed espressioni a comando. Ora ti prometto solo che tutto finirà presto, non ti metterò più in mezzo.. Non ti rovinerò più la vita!»

Così, senza rispondere esplicitamente alle sue domande suonai nuovamente alla porta. Subito dopo qualcuno l'aprì. Lasciai Ciak nei suoi mille dubbi e domande entrando nello studio.

«Venga con me!» all'entrata c'era Molly che mi accompagnò all'ufficio di Rabanne.

L'ufficio non si trovava al pianoterra. Entrammo in un piccolo ascensore, la segretaria premette il tasto 2 e quando arrivammo al piano in questione mi guardai intorno. L'arredamento era identico alla sala d'attesa dell'entrata.

«Aspettatelo entrambi qui. Vi dirà lui quando può ricevervi!» dando le ultime indicazioni, Molly sparì dietro la porta dell'ascensore.

Aveva parlato al plurale. Doveva esserci qualcuno insieme a me in quella hall. Mi voltai per capire di chi si trattasse, ed eccolo... di nuovo vestito con i suoi abiti. Dovevo aspettarmi che sarebbe stato lui. Castiel era seduto su una poltrona ed apparì estremamente nervoso. Di sicuro quell'umore era collegato al discorso che avevo origliato a metà, poco prima. Cercai di placare la curiosità. Mi sedetti di fronte a lui e con tutte le forze provai a non guardarlo, ma risultò un'impresa difficile.

Eravamo nuovamente soli. Bastò quel piccolo particolare per rendermi fragile davanti a lui. Quel ragazzo aveva questo strano potere su di me. Bastava che fossimo soli in una stanza, che fossimo vicini, per portarmi a smettere di odiarlo. In quel momento provavo addirittura un misto tra tenerezza ed attrazione per lui.

Cercai di non guardarlo, ce la misi tutta, ma inevitabilmente i miei occhi lo puntavano sempre. Lui se n'era accorto, ma continuava a stare in silenzio. Era un silenzio nervoso, il suo. Quando cominciò a muovere su e giù le gambe, in un gesto nervoso, la curiosità prevalse del tutto:

«È davvero importante per te questo lavoro?» mi morsi il labbro inferiore non appena capii di non aver utilizzato il filtro tra bocca e cervello. Maledizione! Dovevo smetterla di farmi gli affari suoi.

«Sono i soldi che m'interessano, Miki. Che altro vuoi che me ne freghi?» fu di una sincerità disarmante. 

Quando mi rispose spostando quegli occhi grigi su di me, avvampai di colpo e il cuore aumentò i suoi battiti. Era di una bellezza particolare, di quelle che ti lasciano senza fiato, che non ti lasciano via di scampo ed io -sebbene sostenessi il contrario- forse non volevo realmente scappare da lui. 

Ad interrompere quello strano momento fu l'aprirsi di una porta e Rabanne comparire oltre essa.

«Mikì, venga prima lei.» Lo stilista aveva ripreso a rivolgersi con un tono formale, verso di me. 

Mi preparai psicologicamente all'infuriata che mi avrebbe attesa, mi alzai dalla poltrona e lo seguii.

Ed eccomi finalmente nel suo studio.

Era grande e ben arredato. Tutta la stanza era in stile moderno. Le mura di legno come al resto della struttura, il design diverso rispetto agli altri ambienti. Al centro della stanza vi era un tavolo con cinque posti, in ferro e completamente bianco. Poco distante dal tavolo, una scrivania con un computer e delle foto, doveva essere la sua scrivania personale.

Ma quello che mi colpì di più fu il resto della stanza. In gran parte, sui muri vi erano dei disegni e nonostante fossero molti, notai che erano tutti ben ordinati. Su un lato vi era lo spazio per gli abiti femminili, il mio posto preferito, dove c'erano tre manichini con pezzi di vestiti non terminati, accanto a questi e posti a fila erano raffigurati tantissimi schizzi di abiti da sera. Rosalya sarebbe impazzita nel trovarsi in un ambiente come quello. Più in là, invece, su un solo manichino vi era un pantalone maschile, accanto a questo tanti schizzi di abiti eleganti per uomo appesi al muro. Più distante, invece vi erano degli schizzi di boccette di profumo. Tra tutti riconobbi la fragranza che avevo tenuto poco prima tra le mani e che tra l'altro avevo sbadatamente rotto. 

Rabanne mi fece segno di accomodarmi proprio attorno alla scrivania che immaginavo come sua, osservai i suoi ordini. Lui si sedette dal lato opposto del tavolo, su una sedia girevole e di pelle nera. 

"E che la ramanzina abbia inizio..."

«Sappia signorina Miki, che ben poche persone in vita mia si sono prese la libertà che si è presa lei. Insolente e maleducata, pur essendo così giovane ed estranea a questo settore».

Avevo avuto dei comportamenti ingiustificabili, ma sfiderei chiunque a comportarsi diversamente per qualcosa che si è costretti a fare controvoglia.

«Lei sarà anche un grandissimo stilista signor Rabanne, ma sono convinta che al mio posto pure lei non avrebbe accettato che qualcuno le imponesse qualcosa che non vuole fare» gli risposi a tono. 

«Mi faccia finire di parlare, non amo quando qualcuno m'interrompe!» poi cominciò a contare i miei errori con le dita «Allora, in due ore lei è stata capace di: arrivare con mezz'ora di ritardo, per giunta in un abbigliamento impresentabile, ha tolto fuori gioco uno dei miei migliori modelli; Francois, ha ingelosito la ragazza di Castiel facendola arrivare sul set a disturbare, ha abbandonato il set quando ancora gli scatti erano incompleti... E poi?!? Ho dimenticato qualcosa? No, mi sembra di no.. Se esistesse un regolamento sulle cose da non fare in un provino, beh, direi che lei avrebbe violato tutte quelle regole!»

Sebbene avessi avuto quei comportamenti indicibili, vidi uno spiraglio di luce nei suoi occhi neri. Tuttavia aveva parlato di aspetti falsi, cose che io non avevo fatto. Glielo precisai imitandolo nei gesti quindi numerando con le mani proprio come lui poco prima «Punto numero uno: io non ho tolto fuori gioco nessuno, non sono una modella e non vorrò mai diventarlo. Punto numero due: non mi pare di aver ingelosito nessuna ragazza. Io e il signor Black non siamo niente, né amici, né altro. La sua amata ragazza non aveva modo d'infastidirsi, è lei a creare castelli in aria da un mese a questa parte. Se pensa che il suo ragazzo non la ami abbastanza non è un problema mio» finii con l'incrociare le braccia al petto e sbuffando.

Nonostante avessi parlato con serietà, lo stilista si mise a ridere borbottando: «Miki, Mikì... farà carriera con questo suo atteggiamento, ma certamente non nel mondo della moda.»

Tirai un sospiro di sollievo, ormai era sicuro, non avevo passato il provino. Avrei potuto godermi la première della pubblicità di quel nuovo profumo -dalla tv al plasma- seduta comodamente sul divano del salotto di casa mia, perché il volto da "ivre" non sarebbe stato mio. Improvvisamente divenni rilassata, contenta e spensierata. Nonostante fossi stata del tutto naturale con Castiel, lo stilista non era stato soddisfatto della mia performance, fortunatamente.

«Tuttavia tu e quel ragazzo insieme siete qualcosa di magnetico. Siete come due calamite tenute forzatamente a distanza: vi imponete di stare lontani, ma tra di voi c'è un'attrazione pazzesca e nelle foto si vede!»

What? E le mie bravate dov'erano finite? Avevo sentito bene, o quel giorno avevo dimenticato di lavare le orecchie?

Restai senza parole. Come aveva intuito quegli aspetti in così poco tempo? Aveva descritto esattamente ciò che provavo, ma di Castiel non aveva capito nulla, evidentemente i miei gesti erano più intuibili dei suoi. Io m'imponevo realmente di stargli lontano senza riuscirci, lui invece... si limitava semplicemente a giocare con me. Ero una sua possibile scopata -per il momento mancata- nulla di più.

Dopo avermi lasciata di stucco, incapace di proferire parola, posò sulla scrivania, in fila, tre delle migliori foto scattate.

Nella prima foto lui era alle mie spalle, mi stringeva con le sue braccia possenti mentre io con sguardo sognante guardavo il cielo.

Nella seconda foto lui sfiorava i miei capelli, aveva uno sguardo strano, diverso dal solito. Non avevo mai avuto l'opportunità di ammirarlo in quegli atteggiamenti. Sembrava essere dispiaciuto, misteriosamente attratto da qualcosa, ammaliato... forse "ivre" era la parola più adatta per descrivere la sua espressione. Sapeva recitare bene, il ragazzo. Stava rappresentando perfettamente il prodotto che avremmo dovuto pubblicizzare. In quell'immagine, io, accennavo un sorriso determinato, come se fossi una donna dominatrice. Ma quando l'aveva scattata? Non ricordavo di aver sorriso in quel modo.

Nella terza foto la boccetta di profumo era caduta, frantumandosi. Come lei, anch'io ero distrutta, triste, abbattuta, mentre Castiel mi fissava con volto sorpreso. Una vera immagine da ubriaco, insomma!

In ogni foto, non potei evitare di soffermarmi su di lui. Aveva quella strana forza persino su una carta fotografica, era capace di attirare tutta l'attenzione su di sé senza neppure volerlo. In quel caso non potei evitare di notare quanto Castiel prendesse bene in foto, quasi come se persino l'obiettivo fosse stregato dalla sua personalità. Era perfetto.

«Vero?! Castiel è molto fotogenico!» ero appena stata colta in flagrante ad ammirarlo. Avvampai davanti all'insinuazione di Rabanne.

"Maledizione questo provino mi ha fatto perdere dieci anni di vita!"

«E... Per lui questo lavoro è fondamentale!» continuò attirando tutta la mia attenzione. 

«Lei sa perché?» Alzai lo sguardo dalle foto e guardai dritta negli occhi lo stilista.

«Saperlo influenzerà la sua decisione se accettare o meno l'offerta?»

Sollevai spontaneamente le spalle, ma prima che potessi aprire bocca, lo stilista decise di patteggiare «Io glielo dico se promette di accettare l'incarico. Non troverò un'altra coppia altrettanto valida quanto voi due in poco tempo, ne sono sicuro. Siete particolari e la particolarità in quanto tale, non è dietro l'angolo!»

«Accetto!» affermai senza rifletterci neanche un attimo. Volevo giungere alla fine di quella storia, sapere il motivo di quella chiamata fatta da Castiel neanche mezz'ora prima.

«Molto bene.» sorrise Rabanne, appoggiando soddisfatto la schiena contro la poltrona girevole.

«La sua paga sarà pari a quella di Castiel, dovrete pubblicizzare lo stesso profumo che ha tenuto in mano oggi, in un set simile a quello in cui abbiamo fatto le foto, sarà solo più realistico. La paga sarà di ottocento euro ciascuno».

«Non mi ha detto ciò che voglio sentire» di sicuro in un momento come quello, i soldi -per me- erano l'ultima cosa importante.

Rabanne ghignò e si sistemò del tabacco nella pipa «Non si aspetti chissà ché storia strappalacrime, si tratta del suo cane. Dovrà affrontare un delicato intervento chirurgico all'intestino in una clinica veterinaria. Tra operazione e farmaci, gli hanno presentato un conto piuttosto salato. Il suo attaccamento per quel cane è assurdo!»

Non era assurdo. Demon era come un fratello per lui. Demon era la sua famiglia. Mi era capitato di vederlo insieme a quel cane, sembrava quasi che si parlassero. Si sostenevano a vicenda. Per Castiel, Demon non era mai stato solo un cane. Demon c'era stato in ogni sconfitta e vittoria, era sempre presente per lui, l'unico che non l'aveva mai abbandonato.

Vedendomi turbata da quella confessione e non comprendendone il motivo, Rabanne tagliò corto. M'informò che il colloquio era giunto al termine. Dovevo uscire da quello studio e far entrare Castiel che a sua volta sarebbe stato assunto per la pubblicità. Ma come mi capitava spesso quando si trattava del ragazzo dai capelli rossi, anche quella volta sentii l'estremo bisogno di doverlo aiutare. 

Così proposi: «Le posso chiedere un favore signor Rabanne? Dica a Castiel che lo stipendio è di 1.600 euro»

Ovviamente, non comprendendo il significato delle mie parole, lo stilista s'irritò: «Ha persino la faccia tosta d'intimarmi a raddoppiare lo stipendio?»

«No, sto dicendo solo di dargli il mio compenso. Io farò questa pubblicità gratuitamente, ma non glielo dica... è talmente orgoglioso che non li accetterebbe mai!»

Non potevo starmene con le mani in mano dopo aver appreso una notizia del genere, dopo aver udito l'urgenza e la disperazione nella voce di Castiel poco prima mentre parlava al telefono, quasi sicuramente con il veterinario. Non dopo aver assistito più di una volta al rapporto fraterno avuto con quel cane. Sapevo di aver giurato a me stessa di non doverlo più aiutare visti i suoi molteplici atteggiamenti scontrosi nei miei confronti, ma neanche in quel caso riuscii a trattenermi. Quando si trattava di lui fuoriuscivano tutti quei lati che non sapevo neanche di possedere. 

Nonostante i miei piani falliti di sabotare il provino, uscii da quell'ufficio fiera di me stessa. 

Fiera di aver fatto del bene per lui, anche se... in segreto.

  
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