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Autore: anqis    28/01/2015    3 recensioni
La stava guardando, le gambe incrociate nei jeans neri e un sorriso che faceva a pugni con gli occhi che raccontavano di notti solitarie in compagnia della luna. [..] Rise di una risata stupida. "Ero un coglione."
"Capisco."
"E tu sei bella" aggiunse dopo qualche istante, come se si fosse impegnato nella scelta delle parole. Senza muoversi le aveva accarezzato la pelle del polso. "Molto", e marchiato la guancia di un bacio.
Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, un passo falso le parve un gradino salito: non immaginava le sarebbe costato diverse cadute e ginocchia sbucciate perché si cade, innamorandosi.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Gaia,
per te stessa - non per lui.


Fool's Gold






But if you loved me
Why'd you leave me?
Take my body,
Take my body.



Louis si presentò nella sua vita con la stessa irruenza con cui suonò alla porta di casa Fletcher quella sera di Marzo. Due rapidi rintocchi e un terzo lungo, spazientito. 
Jean si ricorda, sedeva sul lungo divano del salotto, premuta tra un amico di Ivan di cui adesso nemmeno si ricorda il colore dei capelli, e Kat che quella sera indossava un vestito rosso e rideva con le guance arrossate dall'aria calda accumulatasi tra le mura chiare della stanza a soffitto basso, ed una mano a coprirle la bocca perché si era sempre vergognata del suo sorriso. Si domanda se lo faccia ancora, nascondersi. Non la sente da un po' (tanto), chissà come sta.
Erano ormai le dodici quando lui varcò la soglia con le mani nelle tasche della giacca di jeans e un sorriso sfacciato, del tutto indifferente alle due ore di ritardo che si portava sulle spalle. Sempre che fosse stato invitato. 
Con una pacca sulla spalla salutò Fletcher, con un cenno del capo il resto dei presenti e senza aspettare una risposta, scomparve oltre il corridoio, il capo chino e le suole delle scarpe che scivolavano sul parquet scuro. Jean seguì con particolare attenzione il movimento sciolto e allo stesso tempo teso delle sue spalle magre.
Sospirò, trattenendo uno sbadiglio. Il tallone battè dieci rintocchi del moderno modello di orologio che riempiva una parete, prima che si alzasse, lasciando il bicchiere di vino stinto sul tavolino per allontanarsi dalle risate sempre più spente di Kat e dalle mani troppo grandi del ragazzo - forse si chiamava Matt? 
Lo trovò subito, seduto sul tavolo di legno scuro della cucina, circondato dalla compagnia di due ragazzi che Jean conosceva per fama: Niall Horan, conosciuto per le feste improvvisate e le diverse risse di cui era stato protagonista, rideva con una birra nella mano destra; nell'altra stringeva il fianco magro del suo ragazzo, Zayn Malik, figura più opaca negli occhiali dalla montatura spessa e la macchina fotografica a scandire ogni passo lungo i corridoi del liceo, quella sera più bello del solito. 
Jean osservò il contrasto tra le due pelli e pensò che dovessero essere bellissimi stretti nudi tra le intime lenzuola di un letto. Poi intercettò con gli occhi scuri la corda che si incontrava in un nodo sciolto sul polso del ragazzo e distrattamente percorse gli altri tatuaggi che gli macchiavano il braccio, nascondendosi dietro la manica della giacca arrotolata prima del gomito. 
"Ti piacciono?" le chiese quando spiò le prime linee dell'omino stilizzato sullo skate. 
La stava guardando, le gambe incrociate nei jeans neri e un sorriso che faceva a pugni con gli occhi che raccontavano di notti solitarie in compagnia della luna. Niall Horan e Zayn Malik le sorrisero, prima di lasciare la stanza e loro due, da soli.
"Alcuni" rispose, stringendosi le spalle nell'ostentare indifferenza, come se alla sua voce roca la mano non si fosse stretta d'istinto in un pugno. "Ma non capisco l'uccello."
Rise di una risata stupida. "Ero un coglione."
"Capisco."
"E tu sei bella" aggiunse dopo qualche istante, come se si fosse impegnato nella scelta delle parole. Senza muoversi le aveva accarezzato la pelle del polso. "Molto", e marchiato la guancia di un bacio. 
Jean non reagì che annuendo e senza nemmeno accorgersene, il suo fianco si trovò a toccare il suo ginocchio e il gomito a sfiorargli il braccio. "Tu invece sembri molto stanco" osservò a sua volta, leggendo nelle labbra screpolate una lunga passeggiata. 
Un'altra risata, più bassa questa, quasi inesistente, forse nemmeno reale. "Avrei bisogno di un letto al momento" mormorò tra sè e sè, passandosi una mano tra le ciocche lunghe che gli coprivano la nuca arrossata.
"Ho un letto a casa mia" propose allora, impulsivamente contro ogni aspettativa. 
Se ci pensa, si dice che fu perché guardandolo, sapeva non avrebbe più avuto altra occasione di toccarlo; e le dita che già sentiva sul tessuto dei jeans - e che poi furono le stesse che li gettarono a terra - furono uno dei motivi per cui osò tanto. Lui accettò, prima ancora che conoscessero l'uno il nome dell'altro. Le bastò per capire quanta importanza avrebbe avuto quella notte. Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, un passo falso le parve un gradino salito: non immaginava le sarebbe costato diverse cadute e ginocchia sbucciate perché si cade, innamorandosi. 






Jean lo rivide un mese dopo. 
Sua sorella stava buttando nella cesta ogni  busta di biscotti in cui la mano si imbatteva lungo lo scaffale, sfruttando la scusa del ciclo e della voglia di dolce che solitamente le provocava ogni fine mese. Lei con il cellulare in una mano e la giacca di pelle troppo corta per proteggerla veramente dal freddo, camminava con aria distratta ed annoiata, una cuffia nell'orecchio e l'altra che le penzolava lungo il petto, attorcigliandosi nella sciarpa bordeaux. 
Lasciato il reparto dolci e svoltato verso quello dei cosmetici, riconobbe una chioma familiare nelle ciocche sollevate in aria e appena arricciate sulle punte: Louis stava leggendo con sguardo accigliato le informazioni di un pacco di assorbenti. La giacca di jeans era stata sostituita da una polo grigia e i pantaloni stretti che gli fasciavano le gambe toniche, da un paio larghi, sformati e blu scuro. Non impiegò molto a capire che si trattasse dell'uniforme e che Louis probabilmente lavorava lì. 
Jean lasciò sua sorella di fronte allo scaffale dei bagnoschiuma, ricordandole di prendere il suo, alla lavanda. Dopodiché, afferrò il primo prodotto che gli capitò sotto mano e cominciò ad avvicinarsi, mantenendo lo sguardo basso e un'andatura che suggerisse nonchalance e totale indifferenza. Louis non parve notarla comunque, si abbassò e cominciò a sistemare in fila gli assorbenti che colmavano il carrello al suo fianco. Dovette trovarsi alla sua destra per attirare finalmente la sua attenzione.
Lo scorse adocchiare le sue caviglie e poi con discrezione sollevare lentamente lo sguardo, incuriosito. Jean si preoccupò a sua volta di concentrarsi sull'etichetta del prezzo di fronte a sè, reprimendo il sorriso che sentiva solleticarle le labbra. Trascorsero dei secondi nei quali per distrarsi prese una boccetta di profumo per rigirarsela tra le mani, nascondendo la trepidazione che sentiva scorrerle nelle dita come elettricità in fili conduttori. 
Poi, "Ciao, Jean" e fu impossibile non cogliere il sorriso divertito in quel saluto coinciso. 
"Ehi, Louis" rispose lei senza aspettare, incastrando i suoi occhi nei suoi - più scuri sotto le luci bianche dei soffitti alti - e arricciando la bocca in un sorriso spavaldo, colpevole. "Che coincidenza."
Il ragazzo si sollevò e con la fluidità con cui raggiunse la sua altezza, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. "Eh sì" concordò, annuendo senza guardarla, il volto rivolto verso le piastrelle bianche e sporche del movimentato del sabato mattina.
"Non ti avevo notato" commentò stringendosi nelle spalle, sicura che lui non le avrebbe creduto. 
"Ne sono certo" rispose infatti, inarcando le sopracciglia sottili. Jean non smise un attimo di sorridere, mentre lui si dondolava sui talloni delle vans rovinate e con gesti meccanici ricominciava a sistemare i prodotti nella loro collocazione.
"Allora lavori qui" sottolineò per colmare il vuoto della conversazione. 
"A quanto pare, sì" si accinse a confermare, indicando la targhetta su cui il suo nome faceva capolino. "Almeno fin quando non mi licenziano."
"Licenziarti?"
"Esattamente" annuì, sollevando il braccio destro: le loro spalle si toccarono appena in una carezza inafferrabile. "Il che potrebbe accadere molto presto."
"Perché?" domandò, confusa.
Louis si guardò velocemente attorno per accertarsi probabilmente che nessun collega si trovasse nei paraggi, poi con nonchalance si sporse verso di lei, accostandole la bocca all'orecchio. Jean chiuse gli occhi, trattanendo il fiato. "Sto flirtando con una cliente. Non so quanto questo sia accettabile secondo il regolamento."
Una risata premette contro le pareti della gola per uscire e confondersi con il brusio di fondo che riempiva ogni corridoio del supermercato. Riuscì a malapena a contenerla, celandola malamente dietro una smorfia che però lui seppe interpretare con il giusto significato. La studiò con gli stessi occhi attenti e scrupolosi che quella notte di un mese prima l'avevano notata sullo sfondo di una cucina moerna, e assaggiata in ogni sua sfumatura, contro il bordo freddo del bancone, in quella che di casa era la sua. Frettolosamente arretrò di un passo, nel cogliere con la coda dell'occhio oltre le sue spalle, l'espressione sbigottita di sua sorella. Sogghignò divertita, imponendo tra di loro una distanza che gli cancellò dal volto il sorriso beffardo che fino ad allora lo aveva sempre accompagnato.
"Devo andare" spiegò allora, incrociando le braccia dietro la schiena. "È stato bello rivederti."
Louis scosse la testa, come arreso. Si era reso conto della sottile vendetta che lei gli aveva appena giocato: non lo aveva perdonato per la mattina dopo. Si era svegliata tra le lenzuola fredde, sola e indolenzita, certa che non avrebbe trovato nessuno oltre la porta della camera da letto. Nulla, nemmeno un messaggio, un numero di cellulare. Soltanto lividi di dita sui fianchi e macchie viola lungo la spalla che non si curò di nascondere. Era consapevole di cosa si dovesse aspettare da quella notte - da lui che a malapena si sarebbe ricordato il suo nome, forse - eppure, la delusione l'aveva colpita comunque e per i giorni seguenti l'orgoglio si era dovuto impegnare a guarire quella ferita che la speranza aveva lasciato dietro di sè, come i segni sulla pelle. Adesso, come lui se n'era andato, anche lei voleva giocare la stessa carta. Ma sarebbe stato fin troppo facile così, decisamente troppo semplice. 
Allora, Jean si mosse velocemente. Le dita trovarono velocemente le tasche dei pantaloni a cui si agganciarono e con uno strattone lo trassè a sè. Nulla si scompose sul suo viso, ma si accontentò del battito di ciglia che incontrò il suo per quanto vicini si trovarono. Un sospiro, sorriso sfacciato contro uno beffardo. 
Lo guardò dritto negli occhi e con lentezza si avvicinò ulteriormente, permettendo alle labbra di toccarsi in vaghi e insoddisfacenti contatti. Quando lo sentì respirare a bocca aperta e stringere le mani attorno ai fianchi, scivolò lungo la guancia ruvida di barba non fatta. "Questo" sussurrò piano, "è flirtare." 
Si lasciarono così quella volta: Jean soddisfatta, ma ancora vuota, e Louis con il richiamo del capo che comparve in quell'esatto e fortunato istante. 


Quella sera lo schermo del cellulare si accese di una notifica. Una nuova richiesta di amicizia e un messaggio: "Come avevo predetto: licenziato. Grazie, dolcezza."
Al risveglio, Jean si destò con la risata che aveva represso tra gli scaffali dei cosmetici a vibrarle in gola.






Scoprì di volerlo rivedere ancora - e ancora - quando nel locale affollato, tra braccia nude alzate in cielo a sfiorare la polvere illuminata dalle luci psichedeliche, e visi nascosti dal buio sulla pista, lo notò. Le bastò un attimo, l'urlo del deejay, per riconoscere il ciuffo disordinato ad arte e la fronte rilassata in una risata aperta e fragorosa che gli distorse i lineamenti affilati del viso in una morbida espressione. Louis, seduto su un divanetto in compagnia di alcune ragazze e Niall Horan, beveva dal bicchiere ormai vuoto di alcool e colmo del ghiaccio ormai sciolto e delle foglie di menta fresca attaccate al fondo. Le spalle, strette in una camicia azzurro, rivolte in avanti nell'ennesima risata. Ubriaco da far schifo, concluse quando con gli occhi scorse la sua mano percorrere la calza scura della bionda seduta al suo fianco. La stessa mano che quella notte, strinse la sua carne nel prepotente ordine di darsi a lui. 
Fu forse questo pensiero ad accenderla, irrigidendole i muscoli ancora contratti dal freddo raccolto lungo il cammino verso l'ingresso. Jean strinse forte i pugni, buttò giù in pochi sorsi il cocktail appena ordinato e si lanciò in pista, lasciandosi trasportare dai movimenti della massa. Kat rise e la seguì senza protestare, guidata dalla mano fidata dell'amica avvolta attorno al suo polso sottile, con ancora il drink in mano che ondeggiò pericolosamente tra camice bianche e vestiti costosi. 
La musica, prepotente, rimbombava contro le pareti e tornava, attraversando i corpi sudati e frenetici, che ammassati l'uno accanto all'altro sembravano comporre un unico grande e confuso essere. Fu facile sentirsi parte di quel tutt'uno, accettare gli sguardi rivolti nella sua direzione e i capelli che sciolti le solleticavano il viso. Così come fu semplice, accettare quelle mani estranee che le si posarono sui fianchi e sorridere all'espressione di stupore che si manifestò sul viso di Louis, quando dal divanetto la colse tra i vapori freddi che presto riempirono l'ambiente, regalando loro una tregua dal caldo afoso accumulatosi nel corso della serata. 
Non lasciò trapelare altro, nemmeno quando lo vide deviare lo sguardo altrove e alzarsi, scomparendo dalla sua visuale e dalla zona privata. Semplicemente, chiuse gli occhi, imponendosi di non rabbrividire quando sentì delle labbra accarezzarle il collo. Ma fu una questione di secondi, prima che si sentisse strattonare da parte, e trovasse di fronte a sè a proteggerla dalla folla, la sua schiena. Sorrise, malcelando la soddisfazione in una palese vittoria che non si spense nemmeno quando il vento e la temperatura esterna  la investirono.
"Cosa stai cercando di fare?" 
"Niente."
Louis sembrava furioso nel colore intenso degli occhi che, nascosto dalle ciglia folte, la travolse sotto un'unica immensa onda. Mare burrascoso. Jean studiò con sospetto i gesti nervosi delle mani che si aprirono e si chiusero in scatti veloci, costretti a tacere nelle tasche dei jeans neri. 
Non fu sufficiente la risposta. "Non dirmi cazzate" replicò allontanandosi di un passo, scuotendo la testa. Barcollò appena, portandola ad avanzare verso di lui, preoccupata.  "Stai ferma, non ti avvicinare" le ordinò alzando un braccio ed imponendo tra di loro una distanza di pochi respiri, mentre l'altra mano corse a coprire il viso.
Jean si arrestò, immobile e disorientata. Lo osservò passarsi nervosamente le dita sottili tra i capelli, scomponendo la forma studiata. "Perché sei qui. Non capisco" sussurò, senza mostrarsi ai suoi occhi, quasi la domanda avesse il fine di interrogare se stesso e non lei. 
"Sono uscita per ballare" spiegò comunque, spostando il peso sulla gamba destra mentre con le braccia tentava di proteggersi dal freddo. "Non sapevo nemmeno fossi qui."
"Cazzate" commentó lui.
Jean strinse le labbra. "Ti stai sopravvalutando, Louis. Non sono certo qui per te" ci tenne a precisare a quel punto, difendendo il proprio orgoglio dai primi attacchi. Un cigolio sottile, piccole crepe.
"Ma lei sì" gridò quasi, sollevando di scatto il viso arrossato dall'alcool che doveva scorrergli nelle vene, padrone del momento e delle sue azioni. Ma le parole? Louis si morse il labbro inferiore, voltandosi verso l'ingresso con occhi guardinghi, senza incrociare volutamente i suoi che non attendevano altro che quel contatto.
Jean mosse un passo, vigile. "Chi."
A quella domanda, Louis sembrò rendersi conto delle parole pronunciate. La mascella si irrigidì percettibilmente, ma non si volse verso di lei, mantenendosi immobile nella direzione fissata. Jean dovette porsi di fronte a lui ed impedirgli lo sguardo per ottenere la sua attenzione. 
"Chi" ripetè un'ultima volta.
Si arrese: abbassò lo sguardo, ammettendo tutta la sua colpevolezza nelle torbide iridi e le pupille dilatate. Sollevò con lentezza la mano andando a coprirle la guancia chiara e fredda, in forte contrasto con il calore del palmo che l'accolse. Si sarebbe dovuta scansare, ma rimase, intrappolata da quel contatto fisico e quello intangibile dei loro sguardi. 
"Hannah" sussurrò Louis, impregnado quel nome di così tanti sentimenti - pentimento, dispiacere, affetto, dubbio - che lei si costrinse ad ignorare. Per sè stessa. "La mia fidanzata."
Jean chiuse le dita attorno alle sue, mentre le palpebre si abbassavano di fronte quella consapevolezza. Inspirò ed espirò forte, prima di inchiodare quegli occhi nei suoi e con l'orgoglio percosso dalle prime e profonde crepe, gli disse: "Mi fai schifo."
Allora Louis la baciò. 


Jean lasciò Kat sola al locale, dimenticandosi della presenza della sua migliore amica per accettare il passaggio offerto da Louis. Si strinse nella giacca che lui le offrì, permettendosi di inspirarne l'odore quando chiuse la portiera dell'auto e si avviò verso il posto del guidatore. Fumo, menta e un leggero sentore di alcol, questo si portava appresso il tessuto, così come i sedili di pelle del piccolo abitacolo. 
Percorsero i chilometri in silenzio, distanti pochi centimetri, ma sufficienti perchè il freddo si insidiasse sotto gli abiti e le pelli, insensibili al calore che si propagava nel piccolo ambiente, appannando i vetri sporchi. Jean lasciò che le spalle si infossassero nel sedile, mentre con la fronte toccava il finestrino gelato. Le mani nascoste non lasciarono il loro rifugio, nonostante il desiderio di raggiungere quella di Louis, stretta attorno al cambio dell'auto. 
Jean non era certa di nulla, non dopo quella confessione. Non era certa dei sentimenti che Louis doveva provare nei suoi confronti, di quella notte trascorsa insieme - stavano già insieme? poteva considerarsi complice di quel tradimento? era così sbagliato infondo? - e della destinazione di quella infinita corsa. Non sapeva nulla, nemmeno di se stessa e di quell'inspiegabile motivo che la costringeva all'interno di quel soffocante abitacolo, che l'aveva spinta ad accettare l'invito di seguirlo e che adesso metteva a tacere la rabbia che sentiva pruderle i palmi delle mani dalla voglia di aprire la maniglia e scendere, anche in movimento. Non riusciva a sopportare l'idea di respirare la stessa aria a cui si era aggrappata con ansimi e occhi appannati, e che adesso sapeva, era appartenuta ed apparteneva ancora alla bocca di un'altra donna che non era lei. La consapevolezza la portò a contrarre le dita in un muto pugno, affamato di trovare una superficie su cui scaricare la propria frustrazione e la rabbia. Ma quel motivo era ancora dentro di lei ad ancorarla su quel sedile.
L'auto rallentò, distraendola dai suoi pensieri. Sbattè gli occhi che realizzò umidi e riconobbe la via su cui si affacciava il suo palazzo, di fronte il quale Louis si arrestò. Esattamente come quella sera.
Jean era cosciente di ciò che avrebbe dovuto fare nel momento esatto in cui le ruote si fermarono sull'asfalto rovinato. Sapeva avrebbe dovuto lasciare l'auto e insieme ad essa Louis, sbattendo la porta con tutta la forza che risiedeva in lei. E l'avrebbe anche fatto, se solo non ci fosse stato quel motivo diventato un peso nello stomaco a trattenerla. Si vergognò di se stessa appena si rese conto di ciò che era disposta a fare, strinse con foga la maniglia e la abbassò. Il freddo si insinuò nella fessura, le sferzò la caviglia nuda, ma dovette soffrirlo per poco perchè ben presto fu nuovamente chiusa. Jean sgranò gli occhi, spaventata dal gesto improvviso di Louis che si sporse e le impedì di uscire. Allungato verso di lei, si trovarono a confrontarsi l'uno negli occhi dell'altro, i respiri fattisi veloci e violenti.
Fu una questione di secondi: Louis soffiò un sospiro e "Scusa" sussurrò così piano che Jean non fu nemmeno sicura di averlo udito, ma le bastò leggere sulle sue labbra quelle cinque lettere per accettare di perdonarlo. Glielo disse allo stesso modo, pronunciando le parole senza voce, la bocca però già sulla sua.
Va bene.
I vetri si fecero nuovamente appannati. Jean respirò forte quando le loro bocche lasciarono quella dell'altra, nel veloce e confuso tentativo di slacciare le cinture di sicurezza. Louis cercò nuovamente quel contatto umido, mentre le stringeva finalmente la vita e con le mani affondati nei fianchi, la invitava a - e pregava di - raggiungerla. Jean si mosse in fretta, confusa dalla velocità degli eventi e stordita dall'odore ancora più intenso che incontrò nell'affondare i denti nel collo di Louis, in corrispondenza della vena in risalto che sentì pulsare forte per lei.
Va bene. 
Come vuoi tu.

Un gemito le sfuggì piano quando sentì l'eccitazione di Louis carezzarla, seduta su di lui con l'orlo del vestito sollevato oltre l'addome e le dita di Louis aperte lungo la schiena, tormentandola di brividi. Chiuse gli occhi, intorpidita dalle sue attenzioni e dal lento movimento che le fu dettato. 
"Jean" sentì chiaramente. Si sforzò di aprire gli occhi e con occhi torbidi, trovò quelli ancora più scuri di Louis. "Jean" ripetè nuovamente e le bastò per capire: inclinò il viso verso di lui e fece combaciare le loro bocche in un bacio lento ed estenuante, quasi sofferente.
Per te.


Quando il sole si fece presente sulle pareti bianche della sua camera, era già sveglia. Louis non se n'era andato, giaceva accanto a lei, nudo di ogni lenzuolo che riposava sul pavimento. La schiena abbronzata e liscia, un braccio nascosto sotto il cuscino e un palmo aperto rivolto verso il materasso nella sua direzione.
Jean pensò che in un'altra occasione, forse avrebbe intrecciato le dita alle sue. Lui si sarebbe svegliato a quel gioco innocente e le avrebbe sorriso, chiedendole in una preghiera muta di raggiungerlo e tornare sua, una seconda volta e in un modo diverso. Tuttavia, la realtà dei fatti era ben diversa: sapeva che svegliato, Louis se ne sarebbe andato, con un telefono che suonava e reclamava la sua voce e la sua presenza, ciò che non le apparteneva. Mentre lei sarebbe rimasta sola a sopportare l'unica cosa che Louis le avrebbe mai potuto concedere: la sua mancanza.


Kat non disse niente. Non commentò il fatto che fosse stata lasciata da sola al locale quando sarebbero dovute rincasare insieme, allo stesso modo si limitò a sorridere quando Jean le disse che quella sera non sarebbe tornata a casa.
Annuì semplicemente, la strinse forte in un abbraccio e non le raccomandò di stare attenta come invece era solita fare ogni volta che lasciava il loro appartamento. Forse perchè sapeva che questa volta il pericolo non lo avrebbe evitato. 






Louis era un amante premuroso. Sapeva dove baciarla, dove accarezzarla e come farla godere. Jean si sentiva metallo fuso tra le sue mani, senza forma e senza alcun pensiero. L'idea era Louis che le imprimeva e dettava le curve, gli spigoli, che tracciava il disegno. Persa, dimentica della meravigliosa e resistente arma quale era prima del fuoco. 
Non si trattava però soltanto del sesso. Louis era anche il sorriso la mattina dopo, il livido violaceo e fresco alla base del collo lasciato con uno schiocco ed una risata infantile, com'era lui. Era la puzza del pollo dell'unico tentativo di cucinarle qualcosa, i messaggi quando lei aveva da studiare e lui era impegnato, i film noleggiati quando entrambi erano troppo stanchi e avevano solo voglia del calore dell'altro. Sarebbe stato perfetto così se solo insieme alla sua persona, non ci fosse stato anche quel numero salvato nella rubrica con un cuore, l'unico. Se soltanto quegli impegni non si fossero trattati degli appuntamenti con lei, se solo quelle sere sul divano il maglione non profumasse anche di shampoo all'arancia.
Però, andava bene così. Jean si accontentava. 
Per te.


Non uscivano spesso, ma quella volta Jean insistette. Aveva trascorso gli ultimi giorni chiusa a casa e sentiva la necessità di lasciare quelle mura, ma soprattutto di vederlo. Louis accettò, ricattato, e le promise di incontrarla appena finito il turno. Jean pensò di fargli una sorpresa, di raggiungerlo al lavoro nuovo che consisteva nel servire cocktail in un nuovo locale a pochi isolati dal centro. Fu un'ottima idea, pensò ottenendo un sorriso sorpreso di Louis quando si accomodò ad un tavolo, ordinando al suddetto due bevande. 
Trascorse le sei, giunta l'altra ragazza, Louis potè finalmente spogliarsi del grembiule scuro e godersi la sua pausa, seguito dalla sguardo sconsolato del proprietario del locale. Si sorrisero, soltanto.
"Mi piaci con quest'aria sciupata" commentò Jean riferendosi alla maglietta stropicciata e dipinta di macchie scure. Louis sogghignò, passandosi frettolosamente una mano tra i capelli nel tentativo di riavvivarli.
"Ti piaccio sempre" replicò a sua volta, poggiando una guancia sul palmo della mano. "Piuttosto, tu mi sembri piuttosto sconvolta."
Jean si accigliò. "Sono giorni che non vedo la luce del sole, vorrei vedere te" si giustificò avvicinando i gomiti. Scosse la testa, simulando delusione. "Dovresti dirmi che sono bella ogni giorno" borbottò con un sospiro, "Cose così, ecco."
Louis a quella falsa scoppiò a ridere. Sollevò le braccia al cielo, come scusandosi. "Hai ragione" concluse poco dopo con un sorriso che si assopì lentamente in un'espressione seria. Jean sentì le guance accaldarsi quando i lineamenti di Louis si fecero tesi, spigolosi e i suoi occhi divennero mare piatto, scuro. "Sei bella, Jean" esordì a voce bassa. Un brivido le percorse la pelle del braccio quando percepì le sue dita carezzarle la carne interna e debole del polso. Fu difficile mantenere il contatto visivo. "Così dannatamente bella che se fosse per me, ti trascinerei con me in quello schifo di bagno che stasera non pulirò per baciarti e prenderti contro il muro, adesso."
Rimasero a fissarsi per infiniti attimi, immobili e attori. Jean abbassò lo sguardo, costringendosi a mantenere la calma e la voglia di assecondarlo, perchè sapeva che Louis sarebbe stato capace di tutto. Quando sollevò lo sguardo però, si accorse dell'espressione di sgomento dipinto sul volto dell'altro e della mano che adesso nascondeva sotto il tavolo.
Chiuse gli occhi.
"Louis?"
"Hannah" esclamò alzandosi. "Cosa ci fai qui?" domandò senza lasciare trapelare una goccia di esitazione. Jean non si mosse, lo immaginò portarle una mano su un fianco e baciarle piano una guancia. A lei, alla sua fidanzata.
"Pensavo di venire e farti una sorpresa" rispose lei con voce calma e gentile, "Ma temo che qualcuno mi abbia anticipato."
Louis non disse nulla e Jean capì fosse arrivato il suo momento di agire. Si alzò e prima di voltarsi, si costrinse al più falso dei sorrisi. "Ciao" la salutò muovendo una mano e dei passi verso di loro, troppo pochi per suggerire un contatto ravvicinato. Non voleva stringerle la mano, non voleva doverla abbracciare: trovarsi costretta a subire la visione di ciò che più agognava era sufficiente come punizione. Come previsto, fece male vederli insieme perchè si rendeva conto, erano belli uno accanto all'altro. Hannah con i capelli biondi corti e le mani piccole già protette da quelle agili e sottili di Louis, che le stava vicino, protettivo come era nei confronti di chi che amava. Era diverso, Jean riusciva a sentire quel tassello che lei non avrebbe mai potuto congiungere al loro puzzle. Avrebbe potuto continuare fino all'infinito, ma niente avrebbe permesso di correggere quel difetto ed aggiustare quella composizione che erano loro due insieme. Tasselli che cercano di tagliarsi per accogliere gli spigoli dell'altro. "Tu devi essere Hannah. Louis mi ha parlato di te."
Ma lei sì.
Hannah.
La mia ragazzza.

Lei sorrise in direzione del suo fidanzato, palesemente lusingata. "Louis.." mormorò, imbarazzata. Si rivolse nuovamente a lei, "Tu invece? Non credo di averti mai incontrata..?"
"Io sono-"
"Lei è Jean" la interruppe Louis, decidendosi finalmente a prendere parola. Jean si morse il labbro inferiore, reggendo lo sguardo glaciale di Louis. Se non lo avesse conosciuto a fondo, si sarebbe subito arresa: ma non le sfuggì il lampo che attraversò le iridi dure dell'altro. Potè leggere la frustrazione di quella situazione e le scuse taciute. "Un'amica di infanzia. Ho scoperto da poco che si trovava anche a lei a Londra e ci siamo messi d'accordo per incontrarci" spiegò Louis accennando un sorriso.
Hannah sbattè le palpebre e presto un sorriso sincero le sollevò gli angoli della bocca. "Oh, che bello!" esclamò, "Allora forse è il caso che vi lasci da soli" disse allungandosi già verso di Louis per poterlo baciare, "Noi possiamo vederci più tardi."
"Sì, va ben-"
"No" lo sovrastò a quel punto Jean giocando nervosamente con le dita. "Voglio dire, non ce n'è bisogno. Io ho un impegno adesso, devo comunque andare" spiegò cominciando a raccogliere la giacca e la borsa. Ignorò la voce dolce di Hannah che insisteva perchè si intrattenesse e parlò ancora, questa volta rivolta direttamente a lui: "Io e Louis abbiamo finito adesso. E' stato un piacere."






Da quell'incontro, Kat le vietò di vedersi con lui. Jean quasi sorrise quando la sua migliore amica le si parò di fronte, in piedi in una fasulla altezza rispetto a lei che seduta sul letto, la osservava con gli stessi occhi di chi non ci crede, però sta al gioco. I capelli scompigliati e gli occhi marchiati da ombre scure. 
"Non puoi più invitarlo a casa" le disse con una mano sul collo, le ciocche biondo chiaro cresciute nei mesi. "Non gli scriverai, non gli risponderai, non andrai da lui."
Jean si passò le dita tra i capelli, umidi ancora della doccia della notte scorsa - minuti, ore sotto il getto dell'acqua sempre più fredda. Non rispose, volgendo lo sguardo sulle proprie caviglie incrociate e sulla pelle fattasi ancora più bianca.
Kat sospirò. "Ti sta solo facendo male."
A quell'affermazione, le guance si alzarono nella parvenza di un sorriso ironico, crudo. "E me lo dici tu?" le domandò allora, sollevando le pupille scure nella sua direzione in una sottile, ma chiara accusa. Non provò nulla nel vederla stringere i pugni e mordersi forte le labbra, consapevole del significato di quelle parole. Kat non era mai stata capace di mascherare i suoi sentimenti, era un libro aperto nel sorriso triste e gli occhi spenti, al contrario di Jean che invece si nascondeva dietro la curva beffarda delle labbra e nella tipica finta apatia con cui sembrava affrontare il mondo. 
Kat non rispose subito. "Lo dico per te" mormorò alla fine, lasciando la stanza con le spalle contratte in un palese tremore trattenuto. 
Jean si strinse nelle braccia magre. Chiuse gli occhi e si disse, toccata dai primi sensi di colpa, che ci avrebbe provato.
Tuttavia, non trascorsero due settimane, che Louis si fece trovare sul marciapiede di fronte casa sua. Dovette appoggiarsi a tutta la sua forza, quella rimasta perlomeno, per non raggiungerlo e infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, nel loro ormai diventato gesto di saluto. Louis non sorrideva, la fronte corrugata e una sigaretta di cui si disfò presto incastrata tra le dita esili. Non la lasciò fuggire quando si mosse per attraversare la strada, semplicemente le andò incontro costringendola ad arretrare verso l'ingresso dello stabile. Poi, come se gli fosse dovuto, la spinse dentro e zittendo ogni protesta - debole, non sincera - la baciò sulla bocca aperta, già pronta per accogliere il suo sapore. Jean chiuse gli occhi e succube dell'effetto di Louis, si lasciò baciare e amare con i polsi chiusi nelle sue dita ed una gamba di Louis tra le sue. Ansimò e quel suono fece eco contro le pareti umide e fredde del palazzo, tornando a lei come una prova della mancanza che le aveva tenuto compagnia durante la notte, togliendole ogni traccia di calore. 
Presto, le mani di Louis lasciarono i polsi, sicuri che si sarebbero stretti alla sua nuca, caldi contro la pelle fredda. Le cinsero possessivamente, ma con quel tatto che smorzava il suo carattere, le guance arrossate, mentre con la lingua le baciava l'angolo della bocca e la linea del mento, il collo avvolto appena da una sua sciarpa. Forse, con la stessa delicatezza, le cancellò quell'unica lacrima che le corse l'intero viso per perdersi, insieme alla sua volontà. 
Ti sta solo facendo male.
Lo so.






Louis tornò presto ad essere una - la - costante delle sue giornate. Jean ricominciò ad adocchiare con un sorriso lo schermo del cellulare, a sorridere per strada e a dormire fuori la notte. Kat non disse più nulla a riguardo e lei mantenne l'unica promessa rimasta: non lo invitò più a fermarsi a casa.
Pareva tutto tranquillo, escluse la perenne presenza di un'altra donna nella vita di Louis. Ma Jean, pur affermando di non volere altro, in sè nascondeva e cresceva il desiderio e la convinzione che sarebbe diventata di tale importanza, da giungere all'inevitabile. Quell'idea però non si realizzò con il trascorrerei dei giorni, il tempo non parve comunque intaccare la fiducia di Jean. Se solo si fosse resa conto che era la stessa fiducia che riponeva in Louis ad aver permesso che loro due si frequentassero all'insaputa di un'altra donna, forse sarebbe stato diverso. Tuttavia, Jean non vedeva, accecata da quel finto oro, tesoro di falso valore.
Fu un ultimo schiaffo, necessario, a svegliarla. Fu vederlo baciare un'altra ragazza - non Hannah, non lei - ad una festa, ubriaco marcio, ad abbatterla completamente, togliendole tutto. 
Il respiro, un battito, una lacrima, e tutti i mattoni che componevano l'alta muraglia di fiducia, diventata con il tempo una torre, la sua prigione. E gli occhi colpevoli di Louis che si allontanava come scottato da quel corpo che prima stringeva tra le mani. Un altro colpo, un'altra ferita.
Jean si sentiva cadere. Si stupì di essere ancora in grado di reggersi in piedi e di camminare, strattonata dalla mano di Kat che imprecava violentemente. Non si accorse di molto, del freddo dell'aria, degli insulti della sua amica, dei passi di Louis dietro di loro. Si trovó in piedi sull'asfalto corroso, costretta allo sguardo triste di Louis.
Jean strinse forte le dita nella carne delle braccia, imprimendo un calore forzato che non arrivó. Chiuse gli occhi, inalando un lungo sospiro, comportandosi come quando la notte portava un incubo e chiedeva a se stessa di svegliarsi, perché se prigioniera, era anche artefice di quelle stesse sbarre. Tuttavia, il freddo che le era penetrato nelle ossa e adesso correva lungo la calzamaglia era tangibile e spietato, così come l'odore di fumo e pulito di Louis che le arrivava fin le narici e ancora più in profondo, nelle trame dei maglioni e nelle magliette leggere e grandi che profumavano i suoi cassetti. C'erano ancora, presenti e reali. Si ordinò di riaprire gli occhi e invece incassò la testa, permettendo ai propri capelli di sferzarle le guance e pulirle delle lacrime che forse le erano sfuggite. Si sentì piccola in quell'abbraccio, sola nonostante gli occhi che sentiva scrutarla e parlarle, e la mano di Kat contro la sua schiena. Prigione, rifugio.
Quando aprì gli occhi, quasi sorrise colta dal pensiero che un tempo, pochi mesi prima lo avrebbe preso a schiaffi. Avrebbe gridato a gran voce con il palmo bollente e la rabbia a distorcerle il viso. Adesso invece non reagiva, inerme e palese in ogni sua mancanza. A malapena credeva di poter respirare. Si sentiva umiliata di quella debolezza che Louis aveva portato con sè e con i propri modi spavaldi, delle mani che non stringevano più nulla se non se stessa, la quale aveva abbandonato per qualcuno che non la meritava. Avrebbe voluto muoversi, dimostrare che fosse ancora padrona della proprio dignità, capace di andarsene. Ma rimase, con le suole appesantite dalla vergogna e da quella speranza che era stata la sua fine. 
Se Jean si sentiva svuotata, Kat non lo era. Percepiva nel palmo della mano gentile, la forza e la rabbia, ma non potè comunque anticipare ciò che seguì l'istante dopo: perché Kat con i capelli corti di una bambina e le spalle fragili di chi ancora sorreggeva il peso della propria ineguatezza, si spinse in  avanti stagliando la figura di Louis e proteggendo la sua. La stessa mano che prima l'aveva confortata del suo calore si alzò in aria e percorse quella distanza che Jean non riusciva a eliminare. Il sonoro schiaffo graffiò il silenzio di quel momento, lasciando dietro di sè altro che non rosso sulla guancia di Louis che nemmeno sbattè le ciglia, colpevole.
"Sei uno stronzo" a quelle parole, strinse la mascella. "Non la meriti. Adesso, scompari, schifoso."
E prima che potesse ribattere - non l'avrebbe fatto, lo sapevano entrambe - Kat la strinse per il polso e la svegliò finalmente da quell'incubo.
Quella notte, in cui Jean pianse nella sua più intima fragilità, Kat la consolò raccogliendo ogni singola lacrima sulla propria spalla. Fu anche la volta che Kat la baciò, stringendole piano le guance e poggiando le fronti l'una contro l'altra. Jean tirò su col naso, mentre l'altra scuoteva la testa e: "Fossimo lesbiche, non avremmo di questi impicci" le disse strappandole una risata.






Le chiese scusa, la pregò di perdonarlo. Bussò alla sua porta e nessuno rispose: Kat trattenne il fiato seduta sul divano, con una mano tra i suoi capelli sepolti dalla coperta. 
"Jean, apri."
Un singhiozzo, una carezza.
Un colpo sulla porta e un imprecazione soffocata dall'ostacolo che li separava. Fosse stato l'unico. Rabbia, la stessa che voleva provare, ma sembrava perduta, chissà, forse tra quelle stesse lenzuola che l'avevano resa felice. 
"Jean, sono un coglione, ma non puoi fare così", poté immaginarlo perfettamente con la fronte poggiata contro la superficie della porta, a distruggersi il fiato alla ricerca delle parole giuste che non gli costassero troppo perché Louis era fatto così, di orgoglio e poche sillabe. "Non puoi farmi questo." 
Kat l'abbracciò forte e forse la baciò da sopra le coperte. La trattenne, nonostante il desiderio di alzarsi e rispondere, dirgli che quello non era nulla rispetto al dolore che lui le aveva causato, consapevole e colpevole di ogni errore. Che si sentiva stupida perché un tale casino lo si fa in due e ah, anzi, in tre in quel caso. Oppure eravano di più? Che l'odiava non tanto per ciò che l'aveva resa, ma perché non soddisfatto, egoista come solo si rendeva conto in quel momento, pretendeva il perdono e la possibilità di compiere nuovamente gli stessi medesimi passi, non curandosi delle ginocchia sbucciate che le aveva inflitto trascinandosela dietro, e delle cadute che l'avrebbero attesa. Perché Louis si sarebbe rialzato, mentre lei si macchiava di terra e fanghiglia. Sporca di vergogna e tradimento di cui lei stessa artefice. 
Avrebbe voluto però anche abbracciarlo, baciargli gli zigomi rovinati da nocche dure e rossi ricordi della mano violenta e giusta di Kat. Baciarlo fino a sentirlo respirare finalmente contro il suo collo e sussurrargli che si sentiva come una chitarra privata di tutte le sue corde, uno strumento vuoto, una cassa di legno senza alcun suono. Cercare la musica persa che erano le sue risate e quelle parolacce che mordeva tra i denti. 
Ma non si mosse, tacendo le parole in un cumulo di fazzoletti e lacrime silenziose. Dopo tanto tempo, finalmente, si prese cura di sè.






I mesi trascorsero, i tagli si sanarono e si piegarono nuovamente, sanguinando sulle piastrelle di casa dove lui l'aveva spinta la prima notte, trovando le sue dita vuote delle sue, e per le strade che mai avevano percorso mano nella mano. Ma il tempo cura tutte le ferite, lasciando però una cicatrice che si infiamma e grida al primo ricordo. Al secondo e anche al terzo, fin quando il male diventa abitudine e si pensa di essere guarite.
Poi però, all'angolo del reparto c'era lui che con la fronte corrugata e gli occhi piccoli che esaminavano i prodotti. Con gli stessi capelli disordinati, i pantaloni stretti e le vans che resistevano alla pioggia londinese. Forse con lo stesso profumo, confuso da quel sentore di sigaretta che le era sempre piaciuto. Era bello come lo ricordava, bello da sospirare forte e desiderare di essere guardata, perché certa di quanta attenzione fosse capace di offrire. Bello da scappare e scampare a lui che come chiamato, volse lo sguardo verso di lei trovandola. 
Sono qui.
Ancora. 

Louis sorrise con gli occhi. Per me?
"Ciao."
"Ehi" sorriso gemello, di velata malinconia. Si avvicinò piano, le braccia strette al busto per paura. Paura di?
"È da tanto che non ci vediamo" disse e con quel gesto conosciuto, si passò una mano sulla nuca. Sempre fredda, ricordava: Non ti piace? Non ho un buon rapporto con le sciarpe. Ma è stato carino, Buon natale anche a te. "Come stai?"
Come stava? Male senza la tua mano aperta sul mio collo. "Bene, tu?"
Si strofinò la punta del naso con l'indice, rivolgendole uno sguardo dal basso che sembrava accusarla di bugia. "Bene, io bene."
Ah. "Lei?"
Jean godette del suo sorriso complice, arresa perché lo conosceva: nulla era dato al caso, le parole erano poche, ma sempre quelle giuste. Guidata l'ennesima volta dalle congetture di Louis, Jean centrò il punto dell'argomento. 
"Io e Hannah non stiamo più insieme" rispose e Jean non si scompose. "Lei. È stata lei a lasciarmi."
"Ha fatto bene" replicò e sorrise a se stessa, orgogliosa di aver recuperato quel tagliente lato di sè che aveva scelto di mettere da parte tempo prima. Orgogliosa della reazione di Louis che si limitò ad annuire, incassando il colpo senza proteste.
Nessuna parola seguì dopo, permettendo ad un silenzio familiare di insinuarsi tra di loro, rifugio dei loro pensieri come lo erano le tasche della giacca di jeans per le mani di Louis. Si nascosero, nervose e codarde per mostrarsi. Diverse dagli occhi che nei suoi chiedevano suggerimenti. In quelli Jean lesse l'intenzione di Louis e forse fu per come non abbassò il volto che lui ci provò.
"Prendiamo un caffè dopo?"
Ero un coglione. E tu sei bella. Molto.
Sto flirtando con una cliente. Non so quanto questo sia accettabile secondo il regolamento.
Non dirmi cazzate. Stai ferma, non ti avvicinare. 
Hannah, la mia fidanzata. 
Hai ragione. Sei bella, Jean.
Non puoi fare così. Non puoi farmi questo.
Ti sta solo facendo male. 

"No" Jean scosse forte la testa, nascondendosi dietro le ciocche scure. Non così debole. "Non posso, devo vedermi con.. con Kat."
"Capisco" e Louis capì veramente, scegliendo di distogliere lo sguardo per concederle quello spazio che adesso le sue mani tremanti reclamavano. Spazio che non avrebbero trovato nella tasche dei suoi pantaloni. Come avevo predetto: licenziato. Grazie, dolcezza. "Allora ci vediamo."
"Sì."
"È stato bello rivederti." 
Jean sorrise, coraggiosa negli occhi lucidi. "Sì, è stato bello", tutto. È stato bello tutto. 
Per me?
Non più.








 
 
Buonasera,
è da un po' che non pubblico e tornare con questa one shot non so se considerarla una buona idea. Sinceramente, non so cosa pensarne. Ci tengo, mi sono impegnata, ma non posso neanche pensarmi soddisfatta e alla fine è sempre un po' così, nulla è come vorresti veramente. Spero solo che sia arrivata a qualcuno, che sia anche solo piaciuta un po' o che abbia significato qualcosa, ma va bene anche se è solo niente.
Grazie per chiunque si sia fermato e mi abbia concesso il suo tempo,
grazie.

Anqi.
   
 
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