L'altalena
Avanti, indietro. Lentamente.
Chiudo gli occhi, calandomi in un buio sempre più profondo.
Avanti, indietro.
Che cos’è questa sensazione? Perché mi sembra di soffocare? Una morsa gelida mi arpiona lo stomaco, mi risucchia l’anima e la porta giù, sempre più in fondo. In un tetro pozzo nero senza fine.
Avanti, indietro. Lentamente.
Sento voci provenire dall’esterno, troppo lontane dal mio cuore che, come i miei occhi, è chiuso in una morsa gelida di paura e sofferenza. Io, assieme al frusciare delle foglie e il dondolio malinconico di quest’altalena. Solo io, nessun altro rimane con me. Le lacrime percorrono il mio volto, come un ruscello che nasce da materne montagne. Nonostante esse scendano senza fermarsi, non si trasportano via il peso che opprime il mio petto. Bagnano e scaldano solamente, come se pure loro avessero smesso di vivere.
Avanti, indietro.
Apro gli occhi. Piano piano ritorno nella crudele realtà, tanto triste quanto il mio mondo interiore. I bambini giocano e si rincorrono nel cortiletto dell’accademia; sorridono, senza preoccupazioni. Ed io qui, in questa dimensione nuda e cruda; invisibile ai cuori degli altri, come un fragile petalo che ancora deve trovare il suo posto nel mondo. In questa spirale maledetta, senza confini, senza emozioni.
Avanti, indietro.
Quel nome dato alla sensazione che provo: solitudine. Sotto le fronde dei rami, aggrappato saldamente alle corde, non posso far altro che osservare la vita che scorre al di fuori del mio corpo, così morto e sofferente. Sapendo che queste due realtà – la mia e la loro – non potranno mai unirsi né incontrarsi, ritorno con lo sguardo basso, rituffandomi nell’abisso del mio dolore. Unica compagna quest’altalena che lentamente, avanti e indietro, mi culla riportandomi al centro del petto che, pesante e soffocato, si lascia andare...
Avanti e indietro. Lentamente.