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Autore: LaniePaciock    29/01/2015    3 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Saaaalve! :D Ok non uccidetemi!! So che è più di un mese che non pubblico, ma tra Natale, Capodanno, studio e problemi con l'uni sono riuscita solo negli ultimi tempi a finire il capitolo! Anzi, se la cosa può farvi felici (o altrimenti mandatemi pure a quel paese XD) questo inizialmente doveva essere il penultimo capitolo (lo so, è troppo che lo dico), ma alla fine è venuto troppo lungo (che novità) così l'ho diviso in due (di punto in bianco, l'ho deciso ora mentre rileggevo quindi anche il titolo è deciso alla cavolo XD). Questo per dire che sì, un altro capitolo (il DAVVERO penultimo) è già pronto e aspetta solo di essere riletto e pubblicato settimana prossima! :D (cercherò di non ritardare di un giorno, una settimana esatta da oggi!)
Ultima cosa e poi vi lascio alla lettura: questa storia (con mio grande stupore) ha compiuto 1 annetto il primo gennaio (e io ho fatto i 3 anni di scrittura sempre il primo gennaio XD). Non avrei mai pensato che sarebbe durata così tanto questa cosa... Va beh, niente, volevo farvelo sapere! :)
Buona lettura! ;D
Lanie
ps: spero vi ricordiate dove eravamo. Castle ha deciso che porterà via tutti in qualunque modo e Dreixk si è appena risvegliato da quel bel cazzotto che gli ha mollato Rick....
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Cap.28 Ordini da rispettare
 

Dreixk digrignò i denti e si allungò per prendere l’appendiabiti. Castle non l’avrebbe fatta franca stavolta. Gliel’avrebbe pagata cara.

“Sei sicuro che ti aiuterà?” chiese Kate scettica a Castle mentre lui prendeva in mano la cornetta del telefono.
“No.” rispose il colonnello atono, componendo il numero che aveva segnato su un biglietto da visita. “Ma è l’unico che può farlo al momento.” aggiunse poi con un sospiro. Beckett annuì con aria rassegnata e si allontanò per farlo parlare tranquillo. Rick attese impaziente che l’uomo dall’altra parte del telefono prendesse la chiamata, osservando intanto l’agitazione che si era creata nella stanza. Dopo la crisi di Semir, il colonnello e gli altri erano riusciti a trovare un modo per trasportare il ragazzo sul furgone senza doverlo alzare. Avrebbero utilizzato un’asse dritta, una porta per la precisione, come barella e ce lo avrebbero caricato sopra. A quel punto però avevano dovuto avvertire Semir che, nonostante tutto, avrebbe sofferto, perché lo avrebbero posizionato in uno scomparto segreto sotto il furgone, alla mercé di ogni buca e dosso della strada. Quello purtroppo era l’unico luogo in cui avrebbe potuto restare disteso e contemporaneamente nascosto. Il ragazzo non aveva obiettato nulla a quella notizia. Semplicemente aveva annuito con un cenno del capo, pronto a tutto pur di andarsene.
Così, mentre Ryan ed Esposito smontavamo una delle porte della casa per trasportare Semir, Castle ne stava approfittando per fare un paio di chiamate urgenti.
“Jones.” rispose alla fine la spia americana Tom Jones dall’altra parte del telefono. Rick sospirò brevemente, sollevato. Per un momento, all’incirca al quarto squillo vuoto, aveva temuto che l’uomo avesse cambiato numero, si fosse reso irrintracciabile per qualche motivo o altro.
“Jones, sono Castle.” replicò.
“Colonnello!” esclamò l’uomo con un tono a metà tra il sorpreso e il divertito. “E’ un piacere risentirla. Pensavo quasi che avesse deciso di non volermi più chiamar…”
“Jones, la prego, non ho molto tempo.” lo interruppe Rick velocemente. “Ho bisogno del suo aiuto.” Ci fu un momento di silenzio in cui il colonnello trattenne il respiro.
“Pensavo che il nostro accordo fosse un altro.” commentò lentamente la spia.
“So qual era il nostro accordo.” ribatté Castle, non nascondendo il tono urgente. “Ma non so a chi altro rivolgermi.” Ci fu qualche altro secondo di silenzio durante il qualche Rick si agitò sul posto, contraendo insieme la mascella per il nervosismo. Quel movimento gli tirò fastidiosamente il taglio sulla guancia.
“Esattamente cosa le serve?” si arrischiò alla fine a chiedere Jones.
“Nascondere mia madre nell’immediato, proteggerla e appena possibile farla partire per l’America.” buttò fuori tutto d’un fiato il colonnello. Sarebbe stato inutile girarci intorno e lui aveva fretta. “Io non posso farlo ora e ho bisogno che lei si allontani da Berlino subito.”
“Mi chiede molto.” replicò la spia con aria sorpresa, anche se meno di quanto Rick si sarebbe aspettato. “Cosa ha fatto per arrivare a organizzare questa veloce fuga?”
“Se lei è bravo come mi ha fatto capire l’ultima volta che ci siamo incontrati, allora lo scoprirà molto presto.” ribatté Castle con un mezzo sorriso. Sapeva che una volta ripresosi dal suo pugno, Dreixk avrebbe smosso mari e monti per trovarlo, mobilitando chiunque avesse a disposizione. “Inoltre al momento non posso spiegarglielo. Sarebbe troppo lungo e io ho fretta.”
“Sì, l’avevo intuito.” commentò l’uomo dall’altra parte della cornetta. “Però, Colonnello, sa bene com’è il mio lavoro. Non si fa niente per niente, quindi…”
“Me lo ricordo.” lo interruppe Rick atono. “Per questo le offro il diario di mio padre e qualunque altra informazione lei voglia avere da me, ora e in futuro.” continuò, dandogli la possibilità di avere tutto quello che gli aveva chiesto nel loro primo incontro. Poi prese un breve respiro e si giocò il tutto per tutto. “Le dirò qualsiasi cosa. Ma se questo non bastasse, allora le chiedo di farlo per mio padre. Una volta mi ha detto che lui l’ha strappata da un destino di miseria, donandovi una nuova esistenza. Se questo è vero, allora la supplico di rendere questo favore, una vita per una vita. Non al figlio dell’uomo che l’ha salvata, ma alla moglie di quest’uomo, la persona più cara che aveva da vivo.” Castle si fermò un momento prima di continuare, ma Jones sembrava aver perso la voce o comunque non volle interromperlo. La spia rimase muta ad ascoltare le sue parole. “Questo è quello che posso offrirle, signor Jones: me stesso e un debito da saldare. Non ho altro. Sta a lei ora decidere se bastano per salvare la vita di mia madre oppure no.” concluse, tentando di mantenere un tono neutro. Non riuscì comunque a cancellare la nota di supplica e urgenza nella sua voce.
Passarono diversi secondi, che a Castle parvero un’eternità, prima che la spia parlasse di nuovo.
“Non posso prometterle niente.” disse Jones. Il tono leggermente divertito con cui portava avanti ogni conversazione pareva completamente sparito, sostituito da una serietà nuova.
“Allora non prometta e agisca.” replicò Rick. Ancora un momento di silenzio, poi la spia sospirò, facendo crepitare la linea.
“Dove trovo sua madre?” chiese alla fine, il tono un po’ seccato forse, ma pronto a muoversi. Castle si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. Rincuorato, si passò una mano tra i capelli e si appoggiò stancamente al muro mentre forniva all’uomo l’indirizzo dell’abitazione di Martha e anche quello del teatro dove probabilmente stava provando.
“Appena riaggancio, la chiamo e le dico di andare a casa. Le dirò che qualcuno la verrà a prendere nel giro di poco. Se non dovesse trovarla lì, vada al teatro. Magari ha perso tempo o altro.”
“Colonnello, si tranquillizzi.” lo fermò Jones con il ritornato tono appena ironico della sua voce. “Non è la prima volta che faccio questa cosa.”
“Lo immaginavo.” rispose Rick. “Per questo ho chiamato lei. Ah, quando vedrà mia madre mi faccia un favore,” aggiunse poi. “Le dica la stessa frase che ha detto a me la prima volta che ci siamo visti.” Ricordati da dove vieni. Non voleva dirla al telefono, ma sapeva che Jones avrebbe capito e ricordato. “In questo modo saprà che lei è a posto e sarà più tranquilla.”
“Lo farò.” promise la spia. Quindi gli augurò buona fortuna e chiuse la chiamata.
Non appena Castle finì di parlare con Jones, chiamò il centralino per farsi passare il teatro in cui Martha era in quel momento. Fortuna volle che fosse Alexis a rispondergli. Aveva pensato di chiamarla dopo sua madre, ma tanto valeva approfittarne.
“Alexis, ciao, sono Rick.”
“Oh, Rick, ciao!” esclamò la ragazza contenta. “Come stai?”
“Di fretta come al solito.” rispose con un mezzo sorriso, anche se lei non poteva vederlo. “Ascoltami Al, non ho molto tempo e devo dirti una cosa importante.”
“Ti ascolto.” replicò subito seria Alexis, abbassando il tono di voce. Evidentemente aveva paura che qualcuno origliasse.
“Ho qualche problema al momento.” disse Castle cautamente, senza entrare nel dettaglio. “Non so che conseguenze porterà, ma è possibile che a qualcuno venga in mente di interrogarti su di me…”
“Non dirò niente, lo sai.” lo fermò decisa la ragazza.
“Lo so, piccola, ma se fossero solo domande non mi preoccuperei.” disse Rick con tono dolce e insieme triste al ricordo degli ‘interrogatori’ di Montgomery e Semir. A quella frase sentì Alexis trattenere di colpo il respiro. Evidentemente aveva capito cosa intendeva. “Non voglio spaventarti Al, ma ho visto con i miei occhi cosa può fare certa gente e non ho nessuna intenzione di farti avvicinare a loro. Per cui so che ti sto per chiedere tanto, ma vorrei che tu prendessi tua madre e ve ne andaste. Meglio se direttamente via da Berlino.”
“Rick, ma…” mormorò Alexis confusa e agitata. “Ma dove…?”
“Una volta mi hai detto di avere dei parenti fuori Norimberga.” la interruppe Castle, ricordando in quel momento quel dettaglio. “Andate da loro.”
“Per quanto?” domandò ancora lei.
“Per tutto il tempo che servirà.” dovette rispondere Rick, non sapendo neanche lui quanto a lungo sarebbe durata quella situazione. “Riuscirò a trovarvi e a farmi sentire non appena le acque si saranno calmate.” Ci fu un momento di silenzio che al colonnello parve durare un secolo. “Alexis?”
“Tu starai bene, vero?” sussurrò alla fine la ragazza preoccupata. “Insomma, hai già passato altri guai, ma questo… questo mi sembra peggiore del solito.”
“Probabilmente lo è.” rispose Castle sinceramente con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli. “Ma non preoccuparti per me. Quello che mi preme ora, è che tu mi prometta di andartene subito e lontano insieme a tua madre.” Alexis rimase in silenzio ancora qualche attimo, ma alla fine sospirò rassegnata.
“Va bene.” rispose piano. “Te lo prometto. Ti passo la chiamata a chiunque ti serva e dopo vado.” Rick si fece scappare un piccolo sorriso, tranquillizzato da quella promessa che sapeva lei avrebbe mantenuto.
“Brava la mia ragazza.” disse dolcemente. “Riguardati, piccola.”
“Anche tu.” fu la laconica risposta di Alexis. “Allora, chi dovevi sentire?”
Mentre attendeva impaziente che qualcuno alzasse quel maledetto telefono nel teatro di sua madre, Rick osservò Kevin e Javier arrivare in salone portandosi dietro una porta in legno scuro appena smontata. Kate e la Gates spostarono subito le poche sedie in mezzo ai loro passi per farli giungere fino da Semir, ancora disteso sul tavolo da pranzo.
Castle stava per mandare a quel paese il teatro quando finalmente qualcuno si decise a prendere la chiamata.
“Pronto?” domandò una voce maschile, molto nasale.
“Sì, salve, sto cercando Martha Castle.” esclamò Rick al telefono.
“Chi la cerca?” chiese ancora il tipo con tono annoiato.
“Suo figlio.” replicò il colonnello svelto.
“Deve dirle qualcosa?” domandò ulteriormente l’uomo con la sua fastidiosa voce, facendo spazientire Castle.
“Ovvio che sì, altrimenti non avrei chiamato, le pare??” sbottò seccato.
“Figlio di Martha Castle, si calmi per favore!” ribatté l’uomo con aria indignata. Rick rimase a bocca aperta, incredulo e stupito che ci fosse un tale idiota dall’altra parte della cornetta. Guardò per un attimo l’apparecchio telefonico, quasi si aspettasse uno scherzo, quindi tornò a riappoggiarlo all’orecchio, dove il tipo per tutto quel tempo aveva continuato a blaterare qualcosa sul fatto che i giovani avevano perso la buona educazione con l’avanzare della tecnologia.
“Senta, sono piuttosto di fretta.” lo bloccò il colonnello alla fine, cercando di reprimere un verso scocciato. Non aveva voglia di perdere altro tempo con quell’idividuo. “Dica a mia madre che la cerco al telefono per favore, grazie!”  Il tipo borbottò un ‘Ma che modi!’ e sbuffò, ma alla fine si decise ad andare a cercare Martha. Rick sbuffò a sua volta e si agitò sul posto, nervoso, passandosi di nuovo una mano tra i capelli. Sentendo caldo, si accorse solo in quel momento che aveva ancora indosso il giaccone da quando era entrato dai Ryan. Solo il cappello era stato levato in automatico e lasciato sul tavolino dell’ingresso insieme ai guanti.
Nell’attesa di Martha, Castle osservò Kevin dare istruzioni agli altri su come uscire dall’abitazione senza farsi notare e su come disporsi nel furgone. Sperò che nessuno dei vicini decidesse di uscire a fare una passeggiata proprio mentre Ryan ed Esposito portavano fuori Semir sopra la porta e lo caricavano sotto il camioncino. Sarebbe stato come sbandierare ai quattro venti che qualcosa non andava.
La voce di Martha giunse all’orecchio di Rick mentre i suoi due amici stavano per tirare su Semir dal tavolo per adagiarlo sulla barella di fortuna.
“Richard?”
“Mamma, finalmente!” esclamò il colonnello sollevato. “Senti, non ho molto tempo per cui ascoltami attentamente: torna immediatamente a casa e prepara una valigia.”
“Richard, ma che stai dicendo?” replicò la donna confusa. “Perché devo…”
“Mamma, ti prego, fai come ti ho chiesto.” ribatté Castle con una nota urgente nella voce. “Non posso spiegarti ora, ma lo farò alla prima occasione, te lo prometto.”
“Ma non posso lasciare così le prove!” ribatté di nuovo Martha, scandalizzata.
“Sì che puoi!” rispose Rick con un tono più duro di quanto avrebbe voluto. Si fermò un momento e prese un respiro profondo per calmarsi prima di continuare. “Mi dispiace per il teatro e… e per tutto.” disse alla fine con aria mesta, passandosi una mano sulla faccia. “Però ti prego, mamma, fai come ti dico. E’ importante.” la supplicò ancora una volta. “Lo farai?”
“Io…” mormorò la donna incerta. Doveva aver capito che quella telefonata era importante. Sapeva che Rick non le avrebbe mai chiesto una cosa simile senza una buona spiegazione. Una pericolosa spiegazione. “Sì. Sì, lo farò.” rispose alla fine, con gran sollievo del figlio.
“Grazie, mamma.” disse Castle con un piccolo sorriso. “Ora ti prego: vai subito a casa e prepara una valigia. Non parlare con nessuno di quello che stai facendo, dove stai andando o perché. Inventa una scusa con il teatro, se necessario. Tra non molto dovrebbe passare un uomo a prenderti a casa. Ricordi la lettera di papà che avevo trovato? L’ultima frase?” Ricordati da dove vieni. Martha rimase silenziosa per un momento, pensierosa.
“Sì, la ricordo…” rispose lentamente. “Ma perché…”
“Tu tieni a mente quella frase.” la interruppe Rick. “Non aprire a nessuno finché non senti quelle parole, va bene?” In quel momento Ryan si affacciò dal corridoio d’ingresso e gli fece segno di muoversi. Evidentemente erano già saliti tutti sul furgone e stavano aspettando lui. Annuì per far segno che aveva capito. “Ti devo lasciare ora.” disse allora alla madre. All’improvviso sentì un peso nel cuore e un groppo in gola nel pronunciare quelle parole. Quella avrebbe potuto anche essere la sua ultima conversazione con lei. “Mi raccomando.” sussurrò alla fine. “Stai attenta. Ti prometto che ci rivedremo presto.”
“Richard…” cercò di dire la donna con tono preoccupato, ma lui la interruppe di nuovo.
“Ti voglio bene, mamma.” mormorò con un mezzo sorriso triste, quindi mise giù la cornetta. Sentì una stretta al petto e la vista gli si appannò per un momento. Poi però sbatté le palpebre per cacciar via le lacrime che volevano formarsi e prese un respiro profondo. Quindi si avviò al corridoio d’ingresso, senza più guardarsi indietro. Sapeva che sua madre avrebbe seguito le sue indicazioni. Avevano concordato anni prima che, se mai lui le avesse chiesto di andarsene velocemente, Martha lo avrebbe fatto anche senza spiegazioni. Quello che il figlio faceva, il suo ‘lavoro segreto’ oltre a quello di tutti i giorni, era rischioso e lo sapevano entrambi. Forse ciò che preoccupava di più Rick era che Jones non facesse la sua parte. Però non poteva mettersi in quel momento a rimuginare sui se e sui ma. Avrebbe dovuto fidarsi. Inoltre in quel momento altre vite dipendevano da lui. Non poteva permettersi di deluderle. Anche perché altrimenti sarebbe stata la fine per tutti.
 
“Colonnello, che le è successo??” Quella era stata la prima idiota domanda di quell’idiota del suo segretario.
“Mi è caduta la penna e per riprenderla ho sbattuto la testa contro il tavolo.” Era stata invece la sua sarcastica risposta. Ovviamente quel cretino del suo aiutante ci aveva creduto. Come diavolo era arrivato al ruolo di Sottotenente?? Ma soprattutto come gli era venuto in mente di prenderlo alle sue dipendenze?? Aveva dovuto urlargli dietro che era stato Castle a tirargli il pugno che lo aveva steso a terra per chissà quanto, mentre lui se ne stava beato a scribacchiare alla sua scrivania.
Guardandosi in quel momento nello specchio del bagno, Dreixk dovette ammettere con una smorfia che non era per niente un bel vedere. Aveva sangue rappreso in buona parte della faccia, quella che era rimasta a contatto con la pozza sul pavimento, e i capelli neri gli erano diventati in parte di un sudicio rossiccio scuro. A quanto aveva capito era rimasto steso a terra per una buona mezz’ora, se non di più.
Il colonnello aprì il rubinetto e si sciacquò con l’acqua gelida che ne uscì. La testa gli pulsava dolorosamente e il labbro che Castle gli aveva spaccato gli bruciava ogni qual volta ci passava sopra la lingua per sbaglio. L’acqua fredda fu un balsamo efficace. Quando rialzò lo sguardo sullo specchio, il suo viso e i capelli erano decisamente più puliti e il male era diminuito. L’espressione di odio e rabbia che aveva stampata in volto però… No, quella l’acqua gelata non sarebbe mai riuscita a cancellarla. Avrebbe voluto avere Castle fra le mani per piazzargli un panno in faccia e poi metterlo sotto il getto del rubinetto fino a farlo affogare. Si sarebbe divertito a vederlo contorcersi alla ricerca di aria che non avrebbe trovato, legato e immobilizzato dai suoi uomini. Oh, sì, gli sarebbe piaciuto. Magari lo avrebbe anche fatto. Gli serviva solo prenderlo vivo.
Dreixk si asciugò velocemente con un asciugamano, accantonando per il momento i suoi sogni di vendetta, e tornò in corridoio per capire se il suo segretario avesse finalmente fatto il suo dannato dovere o se stesse ancora poltrendo da incapace qual era alla sua scrivania. Fortunatamente, appena il sottotenente lo vide corse svelto verso di lui per riferirgli che l’auto e gli uomini erano pronti a muoversi al suo comando.
“E allora andiamo!” esclamò il colonnello seccato. “Che diavolo stavi aspettando ancora a dirmelo??”
Dreixk prese posto sul sedile passeggero dell’auto e lasciò il volante al sottotenente, ordinandogli di guidare rapido all’indirizzo di Castle. Una camionetta dei suoi soldati migliori li seguiva a ruota.
Appena davanti all’abitazione, neanche il tempo di fermarsi e i suoi uomini erano già scesi e stavano irrompendo all’interno della casa. Con un ghigno soddisfatto, Dreixk li osservò buttare giù la porta in pochi attimi. Aveva un segretario idiota, ma almeno i suoi soldati erano efficienti. Evidentemente però non abbastanza, perché nemmeno un minuto dopo gli comunicarono che l’abitazione era vuota. Frustrato, Dreixk entrò per un rapido giro e notò subito che la mensola del salone, dove ricordava che quel belloccio di Castle aveva piazzato quella orribile Torre Eiffeil in miniatura e quei due pezzi di metallo, era stata svuotata. Tutto il resto della casa però pareva non essere stato toccato. Forse la sua preda non era ancora fuggita. Non ne era così sicuro però.
Con gesti seccati, Dreixk si voltò per tornare in macchina, ma fu in quel momento che vide che sul pavimento dell’ingresso c’erano delle strane tracce nere e rossastre. Si chinò e passò un dito sulle macchie, annusandone poi l’odore. Puzzavano di sporco e sangue. Forse era quello di cui parlava Castle quando era arrivato nel suo ufficio. A quanto aveva capito, il ragazzino che Hahn aveva ‘interrogato’ era sopravvissuto. Forse era arrivato fino a casa del caro colonnello per raccontargli ciò che era successo. E questo voleva dire che avevano un ferito. Stupido e cuore d’oro com’era Castle, probabilmente lo aveva portato con sé, rallentandosi da solo la fuga. Ottimo.
Un attimo dopo Dreixk uscì dall’abitazione ordinò a due soldati di restare di guardia all’ingresso, in caso Castle avesse deciso di ripresentarsi a casa. Lui invece riprese l’auto e andò con il resto dei suoi uomini a casa di quell’altro traditore del Maggiore Ryan. Le probabilità che Castle fosse dal suo amichetto erano molto alte. Dreixk li avrebbe inchiodati lì, ne era certo. Non fece minimamente caso all’unico furgone che passò accanto all’auto in direzione opposta alla sua. Era troppo concentrato sul suo obiettivo.
Pochi minuti dopo il colonnello e i soldati fermarono bruscamente i mezzi davanti all’appartamento di Ryan e smontarono velocemente. Gli uomini fecero ancora una volta irruzione, ma di nuovo gli comunicarono che la casa era vuota. Dreixk imprecò a denti stretti ed entrò nell’abitazione. Lì se non altro trovò dei cassetti rivoltati o svuotati, chiaro segno che gli occupanti se l’erano filata alla svelta. A conferma della sua idea che Castle fosse stato lì, trovò altre tracce di sporco e sangue sul tavolo del salone.
“Colonnello, che facciamo ora?” gli domandò uno dei suoi uomini. Dreixk si fermò per un momento pensieroso a fissare una crepa nel soffitto del soggiorno, formatasi forse durante gli ultimi bombardamenti. Dove erano andati a nascondersi? si chiese.
“Perquisite questo appartamento e quello del Colonnello.” ordinò alla fine. “E mandate qualcuno anche da sua madre, Martha Castle. Sicuramente avrà pensato ad avvertirla. Inoltre voglio che qualcuno vada al centralino a dirmi con chi hanno parlato Ryan e Castle negli ultimi giorni. Rivoltate ogni cosa, ma fate in fretta. Al primo indizio voglio essere avvertito immediatamente, chiaro?”
“Sissignore!” rispose subito il suo sottoposto. “Dobbiamo cercare qualcosa in particolare, Colonnello?”
“Qualunque cosa ci dica in quale buco di coniglio sono andati a infilarsi.”
 
“Dio, credo di aver perso almeno dieci anni…” mormorò Ryan con una mano al petto e la testa reclinata all’indietro sul sedile.
“A chi lo dici.” borbottò Jenny accanto a lui, leggermente pallida, le mani strette in automatico ad abbracciare il pancione. Castle non poteva che essere d’accordo con loro. Sospirò sollevato e si passò una mano tra i capelli, nervoso, continuando comunque a controllare la strada. Avrebbe dovuto colpire più forte quel bastardo. Per un attimo aveva visto tutto il suo bel piano andare in fumo davanti all’immagine di Dreixk che avanzava verso di loro a tutta velocità sulla sua bella auto scoperta. Per fortuna però il furgone su cui si trovavano era così anonimo da passare completamente inosservato al Colonnello Dreixk. Purtroppo avevano perso un po’ di tempo con le ultime sistemazioni e avevano rischiato di farsi prendere prima ancora di riuscire a partire.
Rick prese un respiro profondo per tranquillizzarsi e svoltò con calma in una delle strade principali. A quella velocità ci sarebbe voluto un po’ prima di arrivare all’aeroporto a nord di Berlino, ma non voleva dare nell’occhio e inoltre non voleva far prendere troppi scossoni ai suoi passeggeri. Lui, Jenny e Ryan erano seduti davanti, con Rick al volante e la donna nel mezzo. Kevin si era rifiutato categoricamente di far salire sul retro sua moglie e d’altronde tutti erano stati d’accordo, Lanie in testa. Non era il caso che una donna incinta si prendesse tutti quegli scossoni nel retro del furgone. Gli Esposito, Kate e la Gates invece erano sistemati, in piedi e piuttosto stretti, in un doppio fondo creato sul fondo del cassone. L’interno del camioncino l’avevano riempito di scatoloni. Questi però erano pieni solo in parte. Per tre quarti infatti erano colmi di carta e al di sopra erano sistemate un paio di file di lattine di alimentari, nel caso fosse stato necessario aprirle. Semir, pur di farlo stare disteso, era al di sotto del furgone, incastrato in pertugio centrale tra le ruote. Se mai qualcuno avesse avuto la bella idea di misurare l’interno del cassone rispetto all’esterno, si sarebbe subito accorto che le misure erano completamente errate. Per fortuna non era un tipo di controllo che i soldati facevano spesso.
“Tutto bene là dietro?” domandò Ryan, alzando un poco la voce e girandosi a metà verso il retro, battendo un pugno sulla parete dietro i sedili. Due brevi colpi attutiti dall’altra parte del metallo furono la loro risposta affermativa.
“Chissà come saranno scomodi…” mormorò Jenny ansiosa, abbassando gli occhi sulle mani strette insieme sopra il pancione.
“Saranno scomodi, ma sono al sicuro.” dichiarò Castle serio, voltando a metà la testa per lanciarle un piccolo sorriso rassicurante. Kevin allo stesso modo le sorrise e posò una mano su quelle di lei, sussurrandole poi qualcosa all’orecchio per calmarla. Rick non riuscì a guardarli oltre e tornò a concentrarsi sulla strada. Se tutto fosse andato bene, non aveva idea di quando avrebbe rivisto i suoi amici. E soprattutto non sapeva quando avrebbe rivisto Kate, quando avrebbe di nuovo vissuto con lei un piccolo momento di tenerezza come in quel momento lo stavano avendo Kevin e Jenny.
Prese un respiro profondo e tentò di pensare ad altro. Sforzo piuttosto inutile. Era preoccupato per Kate, per sua madre, per i suoi amici, per Alexis. Inoltre, nello stesso tempo, gli venivano in mente mille possibili futuri su come poteva risolversi quella storia. Solo uno di questi aveva un buon finale, quello delle favole, quello in cui tutti si salvano, quello in cui il cattivo veniva punito e tutti vivevano felici e contenti. Quello con la minore possibilità di venire alla luce.
Castle si costrinse a scacciare anche quei pensiero e si concentrò invece sulla strada, tenendo a mente la via più breve per l’aeroporto, evitando quando possibile ogni buca o dosso. Nonostante fosse certo che Dreixk non li avesse notati, aveva il terrore di vederlo apparire insieme ai suoi uomini in qualsiasi momento negli specchietti retrovisori. Nonostante fosse uno bastardo, il Colonnello Michael Dreixk non era stupido: avrebbe capito subito che erano fuggiti. Tutto stava nel darsi alla fuga prima che lui comprendesse quale mezzo avevano intenzione di prendere e trovasse un modo per fermarli.
Dopo quasi venticinque minuti di agonia, finalmente uscirono dalla città. La campagna intorno a loro aveva un leggero manto bianco che ricopriva ogni cosa. Sulla terra fredda la neve non si era sciolta, ma era rimasta intatta come quando era caduta. Perfino gli alberi dei boschi più lontani avevano le punte imbiancate. Inoltre, senza più il rumore della città, tutto pareva in qualche modo ovattato. Se non fosse stato per le auto che gli passavano di tanto in tanto accanto, Rick avrebbe detto che erano finiti in un altro mondo che non aveva mai visto la guerra.
Il colonnello mosse piano una spalla, infastidito dalla camicia che da ore sfregava contro la ferita che aveva dimenticato di coprire quando si era vestito, facendosi scappare una smorfia.
“Tutto bene?” fu subito l’apprensiva domanda di Jenny. Castle annuì e le fece un mezzo sorriso per rassicurarla.
“Sì, a posto.” rispose, badando nel frattempo a evitare una buca. “La spalla fa solo un po’ di capricci.”
“Non sarebbe meglio se guidasse un po’ Kevin?” chiese ancora la donna, preoccupata per la sua salute. “In fondo non ti sei rimesso da tanto…”
“No, sto bene.” replicò ancora Rick paziente. “E poi è meglio che ci sia io alla guida quando arriveremo al posto di blocco. Sono più alto in grado, se tutto va bene faranno meno storie con me.” Jenny annuì piano, spostando lo sguardo sulla sua pancia prominente, sovrappensiero.
“Quanto ci vorrà ancora?” domandò alla fine con un piccolo sospiro rassegnato.
“Tra una decina di minuti saremo al posto di blocco, amore.” rispose per lui Kevin, stringendole di nuovo le mani tra le sue e lasciandole un bacio sulla tempia. La moglie gli sorrise leggermente, in ringraziamento a quel gesto, poi tornò a guardare fuori dal parabrezza il paesaggio circostante.
“Inizia a imbrunire.” commentò Ryan, esprimendo il pensiero che tutti e tre stavano avendo. Il sole stava calando rapidamente mentre i primi rossori del tramonto cominciavano a colorare il cielo. Rick schiacciò leggermente il piede sull’acceleratore. Dovevano sbrigarsi. Se i suoi amici non avessero preso quell’aereo, sarebbero rimasti bloccati lì. E non aveva nessuna voglia di dare quella soddisfazione a Dreixk.
 
“Come sarebbe a dire ‘Non è in casa’??” urlò Dreixk furibondo al telefono. Aveva sbagliato a confidare nei suoi uomini. Erano tutti degli incapaci.
“Colonnello, mi spiace, non so come sia possibile.” rispose un po’ timoroso il soldato dall’altra parte della cornetta. “Al teatro ci avevano detto che era tornata a casa meno di mezz’ora fa perché si era sentita poco bene, ma qui non c’è.”
“Te lo spiego io come è possibile, idiota!” replicò il colonnello con voce più bassa, ma insieme più minacciosa. “Castle ha avvertito la madre e ora anche lei è fuggita! Se non foste un branco di tartarughe, avreste già quella maledetta attrice per le mani!” Il suo sottoposto iniziò a tirar fuori una serie di piagnucolanti scuse che gli fecero solo venire il voltastomaco. Con un gesto irato, Dreixk sbatté la cornetta sopra il telefono, infischiandosene del soldato che ancora parlava e facendo un tale chiasso da far accorrere il suo segretario per chiedergli se andava tutto bene. “Niente sta andando bene, sottotenente.” replicò in un sibilo. “Niente!” Per buttare fuori un po’ di quella rabbia, tirò un calcio al piccolo vaso della pianta vicino a lui. La piantina volò per un paio di metri, prima di cadere con uno schianto secco al suolo, rompendo la ceramica in pezzi e spargendo la terra contenuta per metà del pavimento. Era ancora a casa del Maggiore Ryan quindi si preoccupò poco e niente dello sporco creatosi. Aveva fatto scandagliare ogni angolo dell’abitazione ai suoi uomini per trovare una traccia di dove potevano essere andati, ma tutto quello che avevano rinvenuto era stata una camera segreta dietro una parete nascosta. Ottima per accusare i Ryan di tradimento, ma inutile se gli incriminati erano uccel di bosco. L’unico neo di casa Castle invece era una stupida libreria piena di libri vietati dal regime.
Dreixk prese un respiro profondo e tentò di calmarsi. Non era solito avere tali gesti d’ira, ma quel colonnello da due soldi di Castle aveva il potere di fargli perdere la testa. Lo aveva preso in giro troppo a lungo e non vedeva l’ora di chiudere i conti con lui.
In quel momento suonò il telefono e il colonnello sperò silenziosamente che fossero buone notizie o avrebbe dato di matto di nuovo. Per fortuna però parve che finalmente i suoi uomini fossero tornati vagamente utili.
“Colonnello, abbiamo parlato con il centralino che smista le chiamate dal vostro quartiere!” esclamò esaltato il soldato. “Pare che una delle centraliniste conosca bene il Colonnello Castle, una certa Alexis Werner se non ho capito male.” Dreixk drizzò le orecchie a quel cognome. Ricordava un soldato che si chiamava allo stesso modo. Forse la donna era sua figlia. “Ho già mandato due uomini a cercarla, ma non è questa la notizia migliore: dal numero del maggiore Ryan ci sono state diverse chiamate per un piccolo aeroporto che si trova a nord della città!” Il colonnello sentì un brivido di eccitazione scorrergli lungo la spina dorsale. La caccia era aperta.
“Raduna tutti gli uomini disponibili.” rispose il colonnello velocemente, mentre già faceva segno al sottotenente di preparare la macchina per partire. “Vi voglio in quell’aeroporto prima di subito.”
 
Dopo l’ultima curva, finalmente il posto di blocco si materializzò davanti a loro. Si trattava di due piccole casupole ai lati della strada con una sbarra in mezzo a bloccare il passaggio. Pareva quasi una piccola dogana.
Poco più in là Castle notò due auto parcheggiate in un piccolo spiazzo. Una delle due non doveva essere lì da molto perché la neve sotto le ruote era stata schiacciata di recente. A occhio calcolò che in tutto avrebbero dovuto esserci al massimo tre o quattro soldati di guardia, anche perché quell’aeroporto non era particolarmente frequentato. In quel momento fuori c’erano solo due uomini, ben imbacuccati nei loro giacconi e posizionati ai due lati della sbarra con una mitraglietta appesa alla spalla.
“Ci siamo.” mormorò Castle, prendendo un respiro profondo e iniziando a rallentare. Jenny si mosse a disagio accanto a lui e automaticamente portò le mani sopra il pancione. Ryan invece si voltò immediatamente per dare due forti colpi al retro del furgone, in modo da avvertire gli altri dell’imminente fermata al blocco.
Rick fece avanzare il mezzo ancora di qualche metro finché uno dei due soldati di guardia alzò una mano per indicargli di fermarsi del tutto. L’uomo che gli aveva fatto segno si avvicinò allo sportello del guidatore non appena il colonnello ebbe abbassato il finestrino e spento il motore. L’improvviso silenzio della macchina fu quasi inquietante. La neve attutiva ogni suono e perfino i passi del soldato parevano lievi. Fu quasi un sollievo per il colonnello sentire all’improvviso il suono di un telefono all’interno di una delle due casupole.
Non appena il soldato fu davanti al finestrino, Castle notò che era giovane, sui ventiquattro o venticinque anni, carnagione chiara, ben sbarbato e in perfetto ordine. Le mostrine gli indicarono che era un Caporale. Dall’aria seria e tranquilla che aveva, pareva non patire minimamente il freddo portato dal gelido venticello che stava soffiando in quel momento e che gli aveva arrossito leggermente le guance e il naso. Rick al contrario, a malapena affacciato fuori dal mezzo, rabbrividì.
“Buonasera, signore.” disse il soldato, lanciando un’occhiata all’interno del mezzo e notando la divisa militare. “Documenti, prego.”
“Buonasera a lei, Caporale.” salutò Castle a sua volta con un sorriso un po’ tirato, porgendogli il suo documento e quelli di Jenny e Kevin. “Brutta giornata per stare di guardia.”
“Ha ragione, Colonnello.” replicò il ragazzo con appena un accenno di sorriso mentre leggeva le loro generalità. Castle attese, tambureggiando un poco le dita sul voltante per il nervosismo trattenuto, che il caporale finisse di controllare tutti i documenti. Nell’attesa, lanciò un’occhiata all’altro soldato di guardia. Da sotto il cappello e la grossa sciarpa rossa che gli fasciava mezzo volto, pareva avere la stessa età del suo compagno di guardiola. Al contrario dell’altro però lui tremava come una foglia. “Perché siete qui, Colonnello?” chiese a un certo punto il caporale, studiando il documento di Jenny e lanciandole un’occhiata dietro Rick per controllare che la foto corrispondesse.
“Ordini. Ci hanno affidato un incarico. Le casse che trasportiamo sono da spedire piuttosto urgentemente.” rispose Castle, indicando con il pollice il retro del furgone.
“Cosa contengono?” domandò ancora il soldato.
“Non credo sia affare suo, Caporale.” replicò Rick con un mezzo sorriso, ma internamente allarmato. La maggior parte delle volte gli uomini ai posti di blocco si limitavano alle domande di routine e anzi molti non appena vedevano il suo grado si affrettavano a ridargli i documenti e a lasciarlo passare. Capitava però che si trovasse qualche zelante soldato troppo scrupoloso nel compiere il proprio dovere. E ovviamente l’abbiamo trovato oggi, pensò Castle nervoso. Poteva anche essere che il caporale fosse solo curioso, ma, data la sua aria scettica, Rick non ci avrebbe scommesso neanche mezzo soldo.
“Mi spiace, Colonnello, ma ho l’obbligo di controllare tutto ciò che passa da questo posto di blocco.” dichiarò il ragazzo. Come volevasi dimostrare.
“E sono certo che fa un attimo lavoro, Caporale.” ribatté Castle con di nuovo un mezzo sorriso seccato, nascondendo ancora una volta il nervosismo. “Ma su queste casse c’è il marchio del Fuhrer. Può controllare se vuole, ma se intaccherà un solo pezzo di legno ne risponderà ai suoi superiori.” aggiunse con un vago tono di minaccia.
“Come mai la moglie del Maggiore Ryan è con voi?” domandò allora il ragazzo dopo qualche secondo, abbandonando il discorso, ma senza ancora rendergli indietro i documenti.
“Mia moglie deve partire.” rispose Kevin per il colonnello, sporgendosi oltre Jenny verso il finestrino aperto, con una plausibile bugia che avevano inventato. Ryan pareva calmo, ma Rick notò la sua mano stretta a pungo contro il cruscotto. Aveva le nocche bianche. “Sua madre abita in Irlanda ed è in fin di vita. Il modo più veloce, ne converrà anche lei Caporale, è passare oggi dalla Danimarca e prendere da lì il primo volo per la Gran Bretagna. In questo modo ci sono buone probabilità che domani sera sia già in viaggio per Dublino. Se dovesse aspettare il volo da qui invece, non partirebbe prima di dopodomani e per allora potrebbe essere troppo tardi. So che non dovremmo portare civili a bordo, ma come vede mia moglie è incinta e, visto che dovevamo comunque venire qui, mi era sembrata una buona idea darle un passaggio. Se la cosa dovesse creare problemi, mi prendo la responsabilità della cosa.” aggiunse poi in tono serio e professionale. Aveva un’aria molto convincente che diceva ‘L’ho fatto solo per stavolta, non capiterà più’. Il caporale spostò lo sguardo da lui a Jenny, pensieroso, ma non fece altri commenti. Quindi squadrò i tre per un lungo momento, soffermandosi molto più a lungo su Castle che sugli altri, sbattendosi intanto i loro documenti sulla mano quasi inconsciamente.
“La signora può andare, ma devo controllare il retro del furgone e le casse di cui parla, Colonnello.” disse alla fine il soldato, facendo mozzare il fiato a Castle. Sentì Jenny accanto a lui emettere un lieve gemito che per fortuna quello non udì. “Pohl!” urlò poi il ragazzo al suo infreddolito compagno di guardia perché lo sentisse. “Prendi il cane!”
“Quella povera bestia??” esclamò Pohl, visibilmente contrariato. “Andiamo, Körtig! Già è vecchio, congelerà qui fuori! Se non è davvero utile, lascia in pace il cane e…”
“Pohl, non ti ho chiesto commenti!” gridò in risposta il ragazzo, diventando all’improvviso molto rosso in volto. “Porta qui quel maledetto animale!” Pohl imprecò e sputò a terra, ma alla fine si mosse verso l’interno della casupola dietro di lui. Solo a quel punto Körtig si voltò di nuovo verso Rick. “Può scendere, Colonnello?”
“Caporale, mi sta facendo perdere tempo!” esclamò in risposta Castle nervoso, ma facendo comunque come gli veniva detto. Non voleva apparire colpevole di nascondere qualcosa, solo scocciato. Quel maldetto animale però, come l’aveva definito il caporale, avrebbe potuto essere la loro rovina. Le casse erano riempite di alimentari per sviare l’attenzione e il fiuto dei cani, ma solo in parte e se non fosse stato abbastanza…
“Faccio solo il mio lavoro.” rispose Körtig inflessibile, indicandogli di andare verso il retro del furgone. Non impugnava ancora né la mitraglietta né la pistola d’ordinanza visto che fino a quel momento Castle era stato abbastanza collaborativo. Rick però notò che la presa del ragazzo sulla cinghia della prima arma era tesa e pronta a muoversi a qualsiasi segnale.
Sbuffando, il colonnello fece il giro del mezzo e aprì, senza che quel ragazzetto glielo ordinasse, il portellone del furgone.
“Visto?” domandò irritato. “Casse. Come guarda caso le avevo annunciato!” aggiunse poi con tono sarcastico, indicandogli le casse in legno, marcate dal simbolo nazista, stipate davanti a loro. Il caporale guardò dentro sospettoso.
“Ne apra una.” ordinò Körtig.
“Lei non può…!” cercò di protestare Castle, facendo un passo in avanti senza pensarci. Un attimo dopo però dovette fermarsi e alzare le mani. Il ragazzo gli aveva puntato la mitraglietta addosso non appena si era mosso verso di lui. “Caporale, lei sta giocando col fuoco…” sibilò minaccioso.
“Può darsi.” replicò inflessibile il soldato. “Ma esattamente come lei anche io ho degli ordini.” Quindi gli indicò le casse con la canna dell’arma. “Ne apra una.” Rick rimase immobile per un momento, guardando scandalizzato, nervoso e infuriato insieme il ragazzo. Sentiva le unghie infilarsi nella carne tanto stava stringendo i pugni alzati e le ferite alla faccia e alla spalla gli prudevano come non mai a causa dei muscoli tesi. Quando però sentì l’altro soldato uscire dal casotto con il cane, imprecò silenziosamente e si issò dentro il retro del furgone. Là dentro l’aria era più calda e umida, poiché il vento non riusciva a entrare.
Castle prese un piede di porco che trovò buttato di lato e si accinse ad aprire la cassa più vicina. Come tutte le altre, su ogni lato portava disegnata l’aquila nera ad ali aperte con la svastica del regime tra le zampe. Rick aveva appena infilato la punta del metallo tra le assi di legno quando un’altra voce gli arrivò alle orecchie, facendolo bloccare.
“Caporale, perché questo mezzo è ancora qui?” esclamò scocciato un altro soldato, entrando in quel momento nel suo campo visivo. Rick capì immediatamente che era un superiore da come Körtig e il suo compagno con il cane, un grosso pastore tedesco a pelo lungo arrivato qualche attimo prima insieme al suo padrone, si misero subito sull’attenti.
“Mi spiace, signore, ma…” Il caporale non fece in tempo a finire la frase che il nuovo arrivato alzò il volto verso Castle e spalancò la bocca incredulo.
“Tenente Colonnello Richard Castle!” esclamò il soldato con un gran sorriso. “Mi era sembrato di vedere Ryan seduto là davanti, ma non potevo crederci!” Rick lo guardò per un momento confuso e fu solo quando l’uomo si tolse il cappello che lo riconobbe.
“Capitano Andreas Engel!” replicò allora altrettanto incredulo, fregandosene di Körtig che ancora gli puntava l’arma addosso e scendendo dal mezzo con un balzo per stringere la mano al soldato. Engel era stato un suo sottoposto per tre anni prima di essere trasferito per avanzamento di grado. Ottimo militare e ottima persona, in due settimane si era guadagnato la stima e la fiducia di tutti alla centrale. Castle ricordava che Andreas aveva sempre la battuta pronta e che quando parlava dei due figli gli si illuminavano gli occhi. “Come stai?” chiese con un sorriso. “E la tua famiglia?”
“Tutti bene, signore!” gli rispose allegro Engel. “Però ora sono Maggiore!” dichiarò poi, indicando con orgoglio le mostrine. “E vedo che anche lei è salito di grado!”
“Sì, sono Colonnello ora.” replicò Castle con un mezzo sorriso. “Beh, allora complimenti a te Maggiore! Ma che fai qui?” Andreas sbuffò.
“Sono addetto alla sicurezza dell’aeroporto.” disse con una smorfia. “Non è male come incarico, ma di tanto in tanto mi tocca venire ai posti di blocco a controllare che tutto vada bene. A proposito di questo…” aggiunse poi, voltandosi di nuovo verso i due caporali. Körtig continuava a squadrare Castle con l’arma in pugno, mentre Pohl teneva stretto il cane. Il pastore tedesco pareva piuttosto vecchio e, da come uggiolava guardando la casupola da cui era uscito, sembrava avere tutta l’aria di voler rientrare al caldo.
“Signori, perché il Colonnello è ancora qui?” li apostrofò Engel in tono autoritario.
“Lo chieda a Körtig, Maggiore…” borbottò Pohl, lanciando un’occhiata seccata al compagno.
“Mi sembrava sospetto.” rispose Körtig, indicando Rick con la canna della mitraglietta. “Così ho chiesto al Colonnello di aprire una delle casse, ma si è rifiutato.”
Rifiutato?” ripeté Engel con un sopracciglio alzato. “Sbaglio o quando sono arrivato mi è parso di vedere il Colonnello dentro il furgone con un piede di porco in mano? Devo dedurre che stesse per farle una sciarpa all’uncinetto, Caporale?”
“No, signore!” rispose subito il soldato, rosso in volto per quella battuta. “Solo che non voleva aprire le casse e…”
“E cosa, Caporale?” lo bloccò Andreas irritato. Quindi si girò a dare un’occhiata alle casse. “Su quel legno c’è il simbolo del Partito, soldato. Ha visto l’aquila nera, Körtig?”
“Io…” tentò di dire il Caporale, ma subito venne interrotto dal Maggiore Engel.
“Risponda!” Il ragazzo tentennò per un momento, lanciando un’occhiata d’odio a Castle come fosse colpa sua, ma alla fine abbassò lo sguardo e la mitraglietta, rispondendo poi come un cane bastonato con la coda fra le gambe.
“Sì, signore.”
“E ha visto anche i gradi del Colonnello Castle, Caporale?”
“Sì, signore.”
“E allora perché diavolo il Colonnello è ancora qui ad attendere che tu metta il naso negli affari del Fuhrer?” esclamò alla fine Engel indignato. Körtig si mosse a disagio sul posto, ancora completamente rosso in faccia per la vergogna e la rabbia. “E se non ti basta, garantisco io per lui. Sono stato al suo servizio per anni ed è un uomo molto migliore di quanto tu possa arrivare a comprendere!” Quelle parole crearono uno strano sentimento in Castle. Da una parte l’orgoglio e l’affetto gli riempirono il cuore, dall’altra le sue azioni nascoste, il fatto che sapeva che Engel stesso avrebbe potuto passare dei guai per quello che stava facendo senza saperlo, gli serrarono il petto in una morsa dolorosa. “Ora alza quella sbarra, soldato.” ordinò alla fine Andreas in tono duro. “E bada che un altro fatto del genere non si ripeta.”
“Sì, signore.” replicò il ragazzo in tono basso, facendo il saluto e scappando poi davanti al furgone per fare come comandato.
“Tu” disse poi a Pohl con un mezzo sorriso. “Riporta quel povero animale dentro. Se ci fosse stato qualcosa di anormale avrebbe già avvertito e sta congelando qui fermo al freddo.”
“Sì, Maggiore.” rispose il soldato, dando una pacca affettuosa al pastore tedesco e incamminandosi di nuovo verso il casotto con lui.
“Mi spiace per questo incidente, Colonnello.” dichiarò alla fine Engel rivolto a Rick con un sospiro. “Sa meglio di me che certi ragazzi sono fin troppo zelanti nel fare il loro dovere.”
“Come lo eravamo noi alla loro età.” rispose con un sorriso Castle. Sembrava tranquillo, ma dentro stava esultando sollevato. Quell’incontro era stato una manna dal cielo. Se non ci fosse stato Andreas, aveva dei dubbi che sarebbero passati incolumi.
Qualche minuto dopo Rick era di nuovo sul furgone ed Engel stava salutando un’ultima volta lui e Ryan.
“Colonnello magari la prossima volta che passate di qui, fatemi venire a chiamare. Vi offro una birra!” disse allegro Engel.
“Ci conti, Maggiore.” replicò con un sorriso tirato Castle. Sapeva che non lo avrebbe fatto, ma che altro avrebbe potuto dire ad Andreas?
Finalmente rimise in moto il furgone e fece un mezzo gesto di saluto con il capo a Körtig. Da quando gli era stato ordinato, il caporale era immobile a tenere sollevata la barra di blocco alla strada. Rick notò che aveva ancora un’espressione imbronciata per il modo in cui era stato ripreso. Körtig aveva buon fiuto, doveva ammetterlo, ma Castle non era certo intenzionato a dirglielo.
 
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Xiao! :D
Ok vi ho già detto uan marea di roba sopra, quindi mi limito qui sotto! XD
Rick ha salutato e messo al sicuro Martha e Alexis e ora è il loro turno di fuggire, ma per ora gli è andata bene per un pelo... Riusciranno ad arrivare in aeroporto sani e salvi? TO BE CONTINUED........ MUAHHAHAHAHAHA *risata malefica*
(e dopo questo, fuggo prima che a qualcuno venga in mente l'idea di linciarmi)
A presto! ;D
Lanie
  
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