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Autore: Hermione Weasley    29/01/2015    5 recensioni
Dieci one-shot d'ambientazione ordinaria per disegnare l'evoluzione del rapporto tra Clint e Natasha.
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Eppure, che lo volesse oppure no, il giorno che aveva deciso di risparmiarla, aveva legato a doppio filo la sua vita con quella di lei: se Natasha si sforzava di non deluderlo, di ottenere il meglio da quell'opportunità che lui le aveva concesso, anche Clint sentiva il bisogno di dimostrarsi all'altezza della fiducia che (pure a fatica) la ragazza aveva riposto in lui. Non voleva deluderla e di certo non voleva essere indegno degli sforzi che lei compiva per non deluderlo a sua volta.
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[Clint x Natasha] [per Sheep01 :3] [Completa]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A doppio filo'
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A doppio filo è una raccolta di one-shot, quadretti distanziati nel tempo che dovrebbero comporre la storia di Clint e Natasha entro le (poche) coordinate che ci ha dato l'MCU. L'idea è più che altro quella di infilarli in situazioni ordinarie e tutt'altro che spionistiche, scelte un po' a caso a seconda di come andava l'ispirazione. Gli stessi prompt che sottendono ad ogni one-shot sono casuali e vari (li segnalerò quando necessario): ci ho infilato un po' tutto quello che mi ronzava per la testa. La storia (composta da dieci quadretti in tutto) è stata scritta per il compleanno della mia sclerobetasocia Eli a.k.a. Sheep01, a cui è quindi dedicata :* Siccome la ritengo la massima esperta in tutto ciò che riguarda Clint Barton, la storia è tutta scritta dal punto di vista di lui (c'è anche uno "spin-off" che si collocherebbe circa a metà, che è invece dal punto di vista di Natasha e verrà pubblicato a sé). Se non si fosse notato, con questi due rischio di cimentarmi all'infinito XD (non ti stanchi mai? No, l'ossessione mi sostiene sempre e comunque *cough*).
Anyway, bando alle ciance :P

Disclaimer: Clint Barton/Occhio di Falco e Natasha Romanoff/Vedova Nera non mi appartengono, ma sono proprietà di Disney e Marvel. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro (magari).



A doppio filo

 

 

I.

 

Il convoglio della metropolitana scorreva più o meno dolcemente sulle rotaie. Non c'era molto spazio libero sulla carrozza, com'era normale che fosse all'ora di punta: Natasha non sembrava granché esaltata dalla prospettiva, impegnata com'era ad ignorare tenacemente i presenti – lui compreso.

Non riuscì comunque a decidersi di smettere di osservarla: primo, perché guardarla mentre si sforzava di far finta di niente era uno spettacolo degno di nota; secondo, perché il cambiamento che aveva subito dall'ultima volta che l'aveva vista aveva un che di miracoloso.

La giovane donna che gli aveva casualmente chiesto di accompagnarla in una strada qualunque nel Queens, dov'era collocato l'appartamento che lo SHIELD le aveva procurato, non aveva niente a che vedere con la ragazza disperata che aveva affrontato a Budapest solo nove mesi prima.

Durante la sua spedizione in Ungheria, l'aveva seguita giorno e notte; persa di vista solo per due misere ore che si erano rivelate fatali. La Vedova Nera aveva avuto il tempo di portare a termine la sua missione, disseminare panico, morte e devastazione con una maestria e precisione che avrebbe ritenuto ammirevoli se solo fosse stato privo di una qualsivoglia coscienza.

Eppure quando se l'era ritrovata davanti – minuta, esausta, il viso e le mani imbrattate di sangue, inginocchiata sul sito dell'esplosione che lei stessa aveva causato, corpi e macerie a circondarla in un inquietante affresco – Clint non aveva avuto il coraggio di ucciderla.

L'aveva sentita urlare al niente, gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, come stesse tentando di strapparsi a forza l'ossigeno dai polmoni per porre finalmente fine alle sue sofferenze.

La prima volta che si erano guardati, non era stata altro che un guscio vuoto che l'aveva supplicato di essere tolto di mezzo una volta per tutte. La temuta Vedova Nera era una ragazza esile, dallo sguardo glaciale e il volto pallido, mani piccole ma letali, carnefice e vittima insieme: la linea di demarcazione tanto labile e confusa da impedirgli di prendere una decisione definitiva. Il dolore che le aveva letto nello sguardo – lì sul campo e prima, durante i pedinamenti – era riuscito a metterlo a disagio, a turbarlo, quasi fosse stato un muto atto d'accusa che coinvolgeva anche lui; lo shock di chi non era preparato alla distruzione che avrebbe causato.

Aveva stupidamente sentito il ridicolo bisogno – no, l'urgenza – di aiutarla; una parte di lui (quella che gli parlava nel cervello con la voce del colonnello Fury) convinta che se ne sarebbe pentito. L'istinto, però, aveva avuto la meglio.

E adesso Natasha Romanoff era lì, accanto a lui, appesa ad uno dei sostegni del treno che li stava portando via da Manhattan; i capelli rossi legati in un'ordinata coda di cavallo, l'espressione forzatamente neutrale, i pugni un po' troppo contratti per non lasciare intravedere il suo nervosismo.

“Smettila di fissarmi, Barton.”

“Non ti sto fissando.”

La donna si voltò di scatto verso di lui, un sopracciglio prepotentemente inarcato a smascherare la sua bugia. Non l'avrebbe mai detto ad alta voce – pena una ritorsione piuttosto dolorosa, immaginava – ma la trovava buffa e solenne, goffa ed elegante insieme... fuori posto.

Le rivolse un lento sorriso, mentre riusciva finalmente a dare un nome alla sensazione che Natasha gli scatenava in petto: solidarietà.

“Allora,” ignorò l'occhiataccia, “come ti trovi a New York?”

“Mi troverei meglio se non mi avessi portata qua dentro.”

“Nella metro?” Adesso era il suo turno di essere perplesso... e poi sconvolto. “Sei sicura di aver vissuto a New York fino ad ora?”

“Barton.” Il tono era definitivo, un ultimatum.

Clint alzò le mani a mo' di resa, senza curarsi di nascondere il divertimento che insisteva per affiorargli sulle labbra.

“Grazie.”

“Wow, sei una specie di fanatica del silenzio?”

“No, non intendevo per quello,” puntualizzò abbassando ed indurendo al contempo la voce, quasi quelle parole le stessero costando un'enorme fatica. “Per tutto,” aggiunse mentre cercava sfacciatamente i suoi occhi.

Fu sul punto di rispondere con una qualche battuta sagace, ma il modo in cui gli aveva offerto lo sguardo per convincerlo della propria sincerità, lo persuase – miracolosamente – a starsene zitto. Non gli ci vollero più d'un paio di secondi per realizzare che quel ringraziamento inaspettato l'aveva messo a disagio; dettaglio che non sfuggì neanche a Natasha. C'era un non so che di preoccupante nel modo in cui riuscivano a leggersi a vicenda, come riscoprendosi fluenti in un linguaggio tutto loro – una lingua morta di cui si erano creduti gli unici parlanti rimasti – che non richiedeva parole di troppo, solo discrete occhiate e taciti assensi.

“Non devi ringraziarmi,” ci tenne a farle sapere.

Non l'aveva risparmiata per farsi restituire il favore: il suo stomaco gli aveva detto che era la cosa giusta da fare, e si erano ormai conclusi i tempi in cui si era potuto permettere il lusso di non dargli ascolto.

“Lo so che non devo,” replicò semplicemente, distogliendo infine lo sguardo per puntarlo altrove, a risprofondare nella sua silenziosa disamina dei dintorni.

La sua ostentata indifferenza gli strappò un confuso sorriso.

  
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