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Autore: Ice Star    29/01/2015    2 recensioni
[...]Tante domande passavano per la sua mente e, tra le tante, si chiese se la sua sola esistenza non fosse che un'errore del fato al quale i suoi genitori avevano posto rimedio abbandonandolo.
-Forse...me lo merito di stare qui al freddo...- strinse le gambe al petto, coperto solo da una fine maglietta bianca e consumata.
Trattenendo le lacrime, strofinò i piedini nudi al pavimento di legno, cercando di scaldare la pelle quasi congelata.[...]
~Dedicata al compleanno di fenicerossa_00~
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Barba bianca, Marco
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La nascita della Fenice

 

Dedicata a Fenix, grazie di esistere e di esserci... sempre.

 

 

 

 


"C'era una volta un piccolo bambino senza casa né amore, che viveva in una terra lontana senza nome né tempo...


 

 

Era chiuso in quella specie di casa, come sempre.
Faceva freddo ed il buio non aiutava il piccolo Marco a sentirsi lontano da quel gelido inverno che, con la sua neve, abbracciava ormai gran parte della sua isola.
Si rannicchiò in mezzo alle scatole piene di libri, osservando il cappotto logoro appeso da secoli in quella stanza senza luce e cercando di ignorare il suo stomaco che brontolava.
Aveva mangiato il giorno prima un frutto trovato nella foresta e, nonostante avesse un retrogusto non proprio dolce o delicato, il suo stomaco si era accontentato di quello strano scherzo della natura. Da che riusciva a ricordare, Marco non aveva mai vissuto diversamente: senza genitori o qualcuno che gli desse da mangiare e un po' d'affetto, era costretto a vagare per le terre di quell'isola piena di persone felici con uno stupidissimo e diabetico sorriso costantemente inciso sulla faccia. Da qualche mese però, esattamente prima che arrivasse l'inverno, si era imbattuto in una piccola casetta di mattoni che era diventata la sua dimora. La prima volta che ci era entrato, era rimasto deluso nello scoprire che non si trattava altro che di un magazzino abbandonato alla polvere e all'oscurità ma il piccolo non si era abbattuto e, deciso a sopravvivere ai freddi venti dell'inverno, si era rifugiato lì senza pretese.
Eppure, nonostante fosse di animo chiuso e carattere gioviale, anche Marco aveva dei propri momenti di riflessione personali e lì, in quella specie di sgabuzzino grande quanto un armadio e senza alcuna fonte di luce e di calore, era inevitabile perdersi in se stessi.
Spesso cercava di immaginare quale fosse l'aspetto dei suoi genitori e se avesse ereditato qualcosa da loro. Forse i ciuffi biondi erano di sua madre e gli occhi scuri di suo padre, oppure l'amore per la primavera e dei ciliegi in fiore di sua madre e la voglia di fuggire in mare di suo padre. Che suo padre fosse un pirata?! O un marine? Lo avrebbe mai scoperto? E soprattutto, si chiedeva il bambino, perché non si trovavano lì, con lui, in una calda stanza illuminata da un falò ad osservare la neve cadere lenta da una bellissima finestra?
Tante domande passavano per la sua mente e, tra le tante, si chiese se la sua sola esistenza non fosse che un'errore del fato al quale i suoi genitori avevano posto rimedio abbandonandolo.
-Forse...me lo merito di stare qui al freddo...- strinse le gambe al petto, coperto solo da una fine maglietta bianca e consumata.
Trattenendo le lacrime, strofinò i piedini nudi al pavimento di legno, cercando di scaldare la pelle quasi congelata.
Qualsiasi fosse il motivo per cui si trovasse da solo, in una stanzetta buia, lui doveva e voleva sopravvivere.
Si toccò la pancia gorgogliante, ricordandosi di come la panettiera di quel piccolo villaggio senza nome lo avesse scacciato malamente mentre osservava una calda pagnotta di pane al di là della vetrina.


"-Vattene di qui, razza di cagnaccio malato! Non abbiamo bisogno di ladri o barboni in questa città!!!- aveva urlato a Marco che, con le mani sulla testa, correva via e si riparava dai colpi di scopa della donna”



-Perché nessuno mi vuole?- si passò le mani sulle braccia, scaldandole piano.
Ripensò al frutto trovato sui rami imbiancati di un albero e al suo sapore asprigno, mentre nella sua testa si domandava perché  avesse degli strani ghirigori sulla buccia. Nonostante avesse un pessimo sapore era pur sempre meglio di un po' d'acqua e dell'ossigeno, no?
Sentì un brivido freddo accapponargli la pelle e, stringendosi ancor di più, infossò la testa nell'incavo tra le braccia e le ginocchia, stringendo gli occhi.
Era una delle notti più fredde che il biondino avesse mai vissuto e, senza nulla con cui scaldarsi, i suoi denti non avrebbero mai accennato a smettere di battere.
-Vorrei tanto un fuoco caldo...vorrei tanto potermi scaldare...- immaginò di trovarsi in una stanza con un tappeto che dividesse le sue membra dal pavimento freddo ed un fuoco che scaldasse l'aria.
Improvvisamente sentì la sua mano scaldarsi fino all'inverosimile e, quando riaprì gli occhi ancora appannati di lacrime, osservò incredulo le punte delle dita della sua mano destra, scomparire in lunghe e luminose fiamme blu.
-Ma cosa...vado a fuoco!- si alzò di scatto, tenendosi il polso destro con la mano opposta e cominciando a correre in cerchio.
-Vado a fuoco! Vado a fuoco! La mia mano va a fuoco!!!- urlava disperato il piccolo, agitando la mano come impazzito.
Si bloccò di scatto, sentendo le dita pizzicare leggermente e, quando le guardò, vide che il fuoco era sparito.
-Ma cosa...cosa è successo?- abbassò gli occhi al suo corpo e poi si guardò la schiena.
Niente fiamme azzurre o di altri colori.
Eppure qualcosa non andava, altrimenti per quale motivo le sue dita avevano preso fuoco? Ripensò di nuovo ad un caldo caminetto e sentì le piante dei piedi scaldarsi.
Abbassò lo sguardo, nuovamente incredulo nel vedere i suoi polpacci andare letteralmente a fuoco e, nonostante ciò, non sentire alcun dolore. Alzò una gamba e poi l'altra, non riuscendo a vedere i piedi, ma sentendoli chiaramente a contatto con il pavimento che, privo di alcun rivestimento, stava lentamente bruciando sotto il suo peso.
Corse fuori, sotto al neve che, delicata, imbiancava quella notte d'inverno. Osservò le sue impronte incise a fuoco nella neve e, immaginandosi tutto il suo corpo invaso da quelle splendide fiamme blu, la sua pelle s'illuminò d'incanto.
Corse, corse senza freni né meta, fino a che l'immensa distesa del mare, mischiata al cielo, non apparve sotto i suoi scuri e brillanti occhi. Si avvicinò lentamente alla riva, rispecchiandosi nelle scure e placide acque di quel lido.
Aprì stupefatto la bocca, di fronte alle sue braccia e gambe scomparse tra le fiamme mentre i suoi capelli, rilucevano di puro oro tra le azzurre lingue di fuoco nate dalla sua pelle. Fece una piroetta su se stesso, allargando le braccia e piegando una gamba, ridendo come mai aveva avuto modo di fare prima.
Forse quello strano frutto c'entrava qualcosa con la sua straordinaria trasformazione, o forse sua mente gli stesse facendo quel pessimo scherzo per beffarsi della sua scarsa resistenza all'inverno! Eppure qualcosa di magico e senza spiegazione era realmente avvenuto al suo corpo.
Non riusciva a pensare lucidamente, il piccolo Marco, intento ad osservare il buio aprirsi per far spazio alla sua aura azzurra come il cielo. Il cielo...che potesse anche volare trasformato in una torcia umana? Cerco di immaginare le fiamme prendere la forma di un gabbiano o una rondine, ma non successe nulla.
-Esiste qualche uccello fatto di fuoco?- sospirò pensieroso, incrociando le braccia al petto ed affondando i piedi nella calda neve.
-Ma certo! La fenice è un uccello leggendario di fuoco! Magari...riesco a volare se penso ad una fenice...- chiuse gli occhi, stringendo i pugni ai lati del volto ed immaginandosi delle ali fatte di fuoco ed una coda di piume brillanti.
Riaprì le palpebre, osservando le sue braccia e le sue gambe trasformarsi in enormi piume di fuoco, mentre il suo volto si allungava come il becco di un volatile.
Stava accadendo sul serio tutto quello?! Era lui, quel bambino sulla spiaggia che provava a prendere il volo verso il cielo pieno di fredde nuvole? Si, la dea bendata gli aveva finalmente concesso il modo per fuggire da quelle terre prive di sentimento o calore per poter raggiungere isole ignote, prive di nome e piene di pericoli.
Sentì un brivido, questa volta di eccitazione, accarezzargli la spina dorsale mentre, con ineguagliabile velocità, si librava nel cielo di una delle notti più fredde.
-FINALMENTE SONO LIBERO!!!- urlò ridendo all'immenso oceano che si apriva sotto di lui, immaginandosi un mondo senza limiti che si apriva finalmente ai suoi giovani ed ingenui occhi.
Non pensò a prepararsi per quel viaggio senza tempo né destinazione precisi. Non immaginò la lunga traversata che lo aspettava. Non sapeva come l'aria, potesse spegnere il fuoco sul suo corpo privo di coscienza che, velocemente, cadeva verso il mare.
Eppure non fu l'acqua, quella che accolse il corpo del giovane ragazzo, bensì un paio di forti braccia ed un sorriso bianco.
-Che cos abbiamo qui?- ghignò Barbabianca osservando il piccino tra le sue braccia.
Alzò il massiccio volto al cielo, socchiudendo gli occhi alla vista del sole che si stagliava imponente in quella volta senza nuvole.
-Da quando in qua i bambini piovono dal cielo? Non ci sono neanche nuvole qui!- si voltò, portando il biondo sotto coperta e scaldandone la pelle raffreddata dal vento.
Per giorni, Marco aveva volato dritto senza fermarsi a riposare praticamente mai, aspettandosi di vedere un'isola o una nave in mezzo allo sconfinato e profondo oceano. Ma questo non era accaduto e, allo stremo, aveva chiuso gli occhi, lasciandosi cadere nel vuoto ed atterrando, senza saperlo, tra le braccia di un navigante che, presto o tardi, sarebbe riuscito a guadagnarsi la sua fiducia.

 

 

...quel bambino sognava posti lontani e pieni di pericoli in cui la sua vita fosse costantemente messa alla prova.
Sognava di vivere in terre calde, dove il sole non tramontava mai.

Sognava una famiglia, in cui sentirsi a casa.
Sognava cibi caldi e succulenti, per non avere mai lo stomaco contorto dalla fame.
Sognava, il giovane Marco.
Eppure non sapeva che quei sogni si sarebbero avverati solamente grazie ad un pensiero,
un frutto ed un importante e piccolo incontro."

 

 

 

 

Non sapeva, Marco, che l'avventura era appena iniziata...

 







 

Angolo autrice

TANTI AUGURI A TEEEEEEE!!!!
TANTI AUGURI A TEEEEEEE!!!!
TANTI AUGURI A FENIIIIIIIIIIX!!!
TANTI AUGURI A TEEEEEEEEEEEE!!!!!
*canta a squarciagola spargendo coriandoli e palloncini*
Sono così felice di poterti ringraziare in questo piccolo spazo autrice di questa schifezza storia che ho scritto solo per teeeeee!!!!
Ovviamente ci sarebbero gli auguri tipici da "soldi, alute e fortuna ecc ecc" ma, dato che noi non siamo tipiche, io ti auguro di avere tanta ispirazione per il futuro, tanto tempo da dedicare alle tue passioni e ai tuoi talenti e spero di poter condividere parte di questo tempo con te perché, se c'è una cosa che questa scema ed ottusa Star ha capito, è che tu sei speciale ed io amo passare il tempo a parlare con te e riconoscermi nei tuoi guai e problemi.
Tu lo sai che io ci sono sempre ed io mi sento felice e, stranamente per me, rasserenata dal sapere che tu ci sei ogni volta che voglio sfogarmi e questo è un legame impagabile e prezioso che spero cresca assieme a noi.
Ti voglio bene amica mia e non so che altro dire a te, meravigliosa e speciale amica, se non: Ancora auguri!!!
Alla prossima^-^
Star

 

  
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