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Autore: Elpis Aldebaran    27/11/2008    6 recensioni
Una base militare sul confine Nord della regione.
Una vita che nessuno voleva fare, ma necessaria alla sopravvivenza.
Una guerra dove non si riescono ad indentificare i buoni e i cattivi: tutti schiavi della morte e della propria nazione.
Accettare di uccidere e andare avanti.
Chiudere gli occhi e andare avanti.
Genere: Drammatico, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Shikamaru Nara era abituato a cambiare reggimento.

Da quando era entrato nell’Unità per la Difesa del Territorio (UDT) a soli vent’anni, non aveva fatto altro che viaggiare da una base di confine all’altra, senza sosta. Era stato sotto il comando di più di una ventina di generali, aveva conosciuto centinaia di soldati semplici, un terzo dei quali aveva visto morire tra i migliaia di scontri civili e non.

Lui non c’era mai andato, a combattere con i suoi compagni; un elemento troppo valido per morire in un misero scontro, gli aveva detto un colonnello una volta, dopo l’ennesimo genocidio di soldati avvenuto a sud della regione.

La sua intelligenza gli aveva assicurato la vita fino a quel momento, tutti lo trattavano con rispetto e riguardo nonostante il suo basso grado.

Tutti.

Ma quando giunse alla base K, a nord della regione, capì subito che la sua vita passata al sicuro dietro le spalle dei maggiori, sarebbe finita presto.

 

 

 

 

 

 

 

 

When my time comes

 

[Don’t resent me and when you’re feeling empty, keep me in your memories.

Leave out all the rest.]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1

 

 

 

Il freddo pungente delle quattro del mattino gli era entrato nelle ossa, nel sangue, praticamente ovunque. La misera coperta di un tessuto grezzo e irritante riusciva a coprirlo fino alle caviglie, i suoi piedi sarebbero stati lasciati in balia dell’ipotermia se non fosse stato per i cinque strati di calzini che indossava.

Non riusciva mai a dormire bene e profondamente, durante la notte si svegliava più volte per il freddo o per il materasso bitorzoluto e rimaneva in uno stato di dormiveglia che al risveglio gli faceva venire un mal di testa pari solo ai dopo sbronza.

Durante l’estate le cose miglioravano, il caldo almeno permetteva di farsi qualche pisolino nei campi di grano vicini durante le pause, un venticello soffiava leggero e il silenzio coccolava i suoi sogni.

Ma l’inverno era una vera tragedia.

Fu quasi grato quando avvertì una mano scrollargli energicamente le spalle.

Shikamaru aprì gli occhi leggermente appannati e voltò lento la testa verso il suo compagno di pattuglia per quella mattina: Naruto Uzumaki lo guardava allegro come sempre, gli occhi stanchi ma il sorriso gentile e amichevole sulle labbra.

“Abbiamo la ronda, preparati.” Nara annuì e velocemente si alzò dal letto, sentendo le proprie ossa scricchiolare in modo sinistro.

Quando fu pronto, imbottito di lana e il fucile carico in spalla, Naruto lo attendeva già fuori dalla camerata. In silenzio percorsero i bui e freddi corridoi della base, incrociando a metà strada Kiba Inuzuka e Neji Hyuuga che rientravano dalla loro ronda, il primo palesemente distrutto, la faccia completamente deforme dai continui sbadigli; il secondo perfetto nel suo comportamento, nessun segno di stanchezza lo tradiva, una perfetta macchina della distruzione, così lo definivano.

“Dicono che passerà di grado, Neji..” bisbigliò Naruto nell’orecchio di Shikamaru, una volta raggiunto l’esterno della base. Il sole doveva ancora sorgere e le fiaccole che delimitavano il confine sembravano dei fiori arancioni indistinti.

Intorno a loro c’era completamente un deserto di erba bassa congelata, il confine che delimitava le due regioni era fatto d’aria; solo una piccola muraglia, alta poco più di quattro metri e costruita solo recentemente, delineava il territorio da proteggere, la linea che divideva loro e gli altri, gli alleati e i nemici, i buoni e i cattivi (ma in quel momento, Shikamaru non sapeva proprio dire chi erano gli uni e chi gli altri).

Naruto salì gongolante le scalette di pietra della muraglia, passando a pochi centimetri dalle fiaccole accese che davano un vago senso di calore; il suo sguardo cristallino si posò allegramente sulle sagome che s’intravedevano verso sud: le casette del piccolo villaggio erano buie e silenziose (e comunque Naruto non avrebbe potuto vedere nulla con quella nebbia), ma nella sua testa s’immaginava i panettieri che aprivano i loro forni, accendevano il camino, preparavano la pasta per il pane. Li vedeva tutti vestiti di bianco, vedeva le loro facce sporche di farina che impastavano con un sorriso felice dipinto sulle labbra; era quella normalità semplice e gaia che Naruto aveva visto nel suo villaggio prima di arruolarsi, e quelle immagini sarebbero sempre rimaste dentro di lui come su di una roccia scolpita.

Shikamaru prese posto sulla muraglia, poggiò il fucile contro il parapetto e si mise a sedere incrociando le gambe e stringendosi la giacca addosso. Se la prendeva comoda: nessuno sano di mente li avrebbe attaccati con un freddo del genere, lui questo lo sapeva bene.

Naruto si sistemò vicino al compagno, lasciando un ultimo sguardo malinconico al villaggio prima di tirare fuori dalla tasca una fiaschetta di liquore; la aprì con fretta, le dita che tremavano per l’aria gelida, e ne prese un sorso lungo e avido. Sentì il liquido che percorreva tutti i punti della gola, le pizzicava le pareti, e riscaldava il suo stomaco vuoto; ebbe le sensazione che l’alcool gli entrasse anche nelle vene e scrollò la testa, compiaciuto del risultato.

“Non dovresti bere così di botto, ti farà male.” Lo riprese il giovane Nara affondando il naso nella soffice sciarpa di lana.

“Lo so, scusa, è che non sono abituato a tutto questo freddo. Al mio villaggio c’era sempre un bel sole luminoso, faceva sempre caldo: tutto questo gelo ce lo sognavamo!” Naruto si lasciò andare a una risata gioviale, sedendosi con un tonfo accanto al compagno.

Era un tipo strano, Uzumaki. Veniva da uno dei villaggi a Sud, proprio ai confini estremi, vicino al mare; diceva che i suoi genitori erano morti quando lui era troppo piccolo persino per camminare e che era stato cresciuto dal nonno. Non aveva mai conosciuto la bella vita, non era mai stato nella grandi città; non conosceva praticamente niente della vita mondana, delle ragazze, del gioco, degli affari, dei vizi; era vissuto nella semplicità di un villaggio di pescatori, dove tutti conoscono tutti e si fanno gli affari di chiunque, dove la gente lavora spaccandosi la schiena ma nonostante questo ha sempre un sorriso sulle labbra.

Era una bella vita, quella che aveva fatto.

Il perché se ne fosse andato, a Shikamaru sfuggiva completamente.

Lui al contrario era stato cresciuto e allevato nella periferia della capitale. La sua vita non era mai stata speciale in alcun modo: era andato a scuola come i ragazzini normali, aveva studiato come loro, aveva giocato con loro. Punto, fine.

A diciannove anni si era stancato e pur di togliersi dalla casa di sua madre aveva preso la prima occasione per fare un po’ di soldi; col suo cervello era stato facile entrare nell’armata, progettava di fare carriera in fretta, racimolare abbastanza soldi e prendersi una solitaria casa in campagna lontano da tutto e tutti. Sposare una donna gentile, massaia, e metter con lei su famiglia, massimo due figli, aspettare che crescessero e poi finire la sua vecchiaia con lei, nel più semplice dei modi. Aveva progettato tutto nei particolari ed era contento.

Non voleva grandi cose, solo tranquillità.

“Ti manca qualche volta lo stare a casa, Shikamaru?” chiese dopo un po’ Naruto passandosi la lingua sulle labbra prima di bere ancora dalla fiaschetta.

“Mi mancano le comodità: avere un letto morbido, cibo pronto e tutto il resto. Per quanto riguarda gli affetti, non ne ho bisogno.”

Naruto lo guardò con occhi incerti e infine scoppiò in una risata rumorosa.

“Sei proprio strano, Shikamaru! Tutti noi abbiamo bisogno di affetto!”

Nara non stette neanche a rispondergli, lo guardò di traverso ma poi si sciolse in un ghigno divertito notando le guance rosse del compagno: era evidente che il liquore nello stomaco vuoto gli stesse facendo un effetto devastante sulla mente, per questo lo lasciò a ridere da solo.

Stava per sistemarsi meglio la sciarpa intorno al collo e sprofondare in uno stato di assoluta dormi veglia quando il vociare delle altre vedette riempì il silenzio attorno a loro, facendoli destare ritti e rigidi come dei birilli.

Naruto nascose prontamente la fiaschetta e impugnò il fucile fermamente, Shikamaru recuperò il binocolo e focalizzò l’oggetto delle urla all’orizzonte.

A qualche centinaio di metri dalla muraglia, un gruppo abbastanza numeroso di persone si stava avvicinando a passo d’uomo, ma erano poco visibili.

I soldati in prima linea davanti alla muraglia avanzarono cauti dentro alla nebbia, andando incontro a quelle persone che non sembravano minacciose: se lo fossero state, certamente non si sarebbero fatte scoprire così facilmente. Naruto si avvicinò alla balaustra, aguzzando gli occhi azzurri più che poteva.

“Sas’ke! Chi sono?”

Shikamaru non vide nulla di preciso, notava solamente che c’era del movimento in mezzo alla nebbia. Non arrivò mai la risposta di Sasuke Uchiha, perché adesso il gruppo era molto più vicino insieme a dei soldati e dalla base il colonnello Hatake avanzava verso di loro, le mani congiunte dietro la schiena e uno sguardo di attesa dipinta sul volto.

Un giovane soldato si avvicinò correndo a lui, era piccolo di statura e piuttosto mingherlino, forse non aveva nemmeno diciotto anni.

“Sono le spedizioni #4 e #5 di ritorno dai villaggi ribelli a Nord. Portano prigionieri: donne.”

Kakashi annuì piano congedando il ragazzo e avvicinandosi ulteriormente per poter osservare meglio quelle figure smilze e infreddolite che un passo stanco dopo l’altro avanzavano in quella marcia piena d’agonia, come condannate su un patibolo.

Ma forse la morte era migliore delle prigioni che attendevano quelle ragazze.

Il colonnello le scrutò in volto una a una, nessuna forse superava i venticinque anni d’età; avevano lo sguardo spento, rassegnato di chi ha perso tutto ma non ha ancora toccato il fondo; si guardavano l’un l’altra con espressioni indecifrabili: Kakashi non sapeva dire se di paura o altro.

Tra le teste more e rosse, una testa bionda destò la sua attenzione, facendogli aggrottare le sopracciglia: una ragazza d’una ventina d’anni lo stava guardando fiera, il viso alzato e gli occhi che non tradivano emozione come segno di sfida, i polsi legati dietro la schiena e un fucile puntato alla nuca non le toglievano il suo portamento orgoglioso, da donna che non si fa sottomettere da nessuno.

Kakashi le si avvicinò, facendo tremare tutte le altre al suo passaggio, inclinando la testa per osservarla curioso.

“Qual è il tuo nome?”

La ragazza non rispose, limitandosi a voltare la testa dall’altra parte.

“Se non vuoi che una di queste ragazze venga fatta fuori all’istante ti conviene parlare.”

La bionda guardò l’uomo con odio prima di biascicare a denti stretti.

“Ino Yamanaka.”

Delle risatine soffocate si levarono dal gruppo di soldati; Shikamaru vide perfettamente il ghignò di Naruto.

“Un nome poco.. delicato, per una signorina.”

Hatake potè giurare che la ragazza bionda davanti a lui stava già premeditando su come farlo fuori alla prima occasione utile. Puntò la sua attenzione nuovamente sul resto del gruppo, non soffermandosi su nessun viso in particolare.

“Portatele nelle prigioni. Sono convinto che il generale troverà qualcosa da fare a queste fanciulle.”

I soldati obbedirono e sorrisero. Ovviamente quelle giovani ragazze non potevano minimamente sapere che le loro sorti nelle prigioni erano già state decise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Naruto © Masashi Kishimoto

Titolo e sotto titolo della fic © Linkin Park, Leave out all the rest

Trama When my time comes © Coco Lee

   
 
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