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Autore: Mirajade_    29/01/2015    4 recensioni
Hinata Hyuga vive una vita semplice, fatta di scuola e lezioni di violino.
Queste sono le parole di ogni studente.
Hinata Hyuga è una ragazza che adora scoprire le debolezze della gente, scoprire il motivo di ogni lacrima, il perchè "Nessuno vive una vita perfetta".
Hinata Hyuga vive da sola, almeno così sembra: padre assente e madre morta. L'unica famiglia che le rimane e sua sorella minore che di giorno in giorno degenera, prova ogni esperienza, dal fumo alla droga.
Naruto Uzumaki è un orfano, scappato tante volte dalla propria famiglia adottiva. Ribelle, cattivo, odia il suo lavoro e la sua vita, è un falso misantropo.
Dal testo:
–Sei la sorella della ragazzina, suppongo. Questo spiega la tua presenza stamattina al capannone- perspicace, stranamente, un ragazzo perspicace –Dille di stare alla larga da me e dagl’altri, non vogliamo più averla intorno-
***
La droga è la speranza di chi speranza non ne ha più. La vita è un lungo malinteso.
***
-Potresti essere uno stalker, un assasino, un pedofilo, un maniaco, un pazzo, un serial killer... di tutto- dico assumendo un espressione ovvia mentre vedo aleggiare un sorriso divertito, alla mia reazione, sul suo volto ed anche io, stranamente, sorrido. Un sorriso vero.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Sento freddo. Freddo nella pelle. Freddo nelle gambe. Freddo nelle ossa. Dita intorpidite. Eppure quando poche ore fa camminavo silenziosa con affianco lui sentivo caldo, un calore che ti soffoca e che ti da l’impressione di essere in un corpo estraneo alla tua anima.
Non so come sia potuto succedere, ho sempre pensato che la dignità fosse l’unica cosa che mi fosse rimasta… e adesso ho perso anche quella. Ero avvinghiata a lui, volenterosa di trovare un appoggio mai avuto, di toccare quel collo liscio e abbronzato, di sentire i suoi capelli solleticarmi le dita in una sensazione strana, immaginare di essere da soli in luogo gelato dove solo il suo corpo era l’unica fonte di calore, sentire le sue mani stringermi a se in un tocco troppo delicato , ma soffocante.
Era bello pensare di essere importante per qualcuno, era bello pensare che milioni di ragazze sarebbero volute essere al mio posto, era bello pensare di poter spaccare quegl’occhi di ghiaccio. Ma, dannazione, io sono la figlia di un importante uomo… una figlia pedinata da fotografi che si nascondono nell’ombra e che aspettano la scintilla, quella che riesce a distruggere la figura di un intera famiglia. Come fa Hanabi? A fuggire, a non farsi vedere… a far credere al mondo che stia bene, che la sua vita sia perfetta nell’oro e nei lussi?
E poi c’è lui, dal passato infranto, dalla vita macchiata e dal volto peccatore. Il frutto del peccato è sempre stato divino in tutte le storie, perché era forte e affascinante, peccava e faceva peccare; seduceva e tastava con mano gentile ogni esperienza. Si, se lui fosse qualcosa, sarebbe il frutto del peccato.
Ansimo e apro gli occhi, la camera è completamente scura ed è bello pensare di poterlo trovare accanto, che mi guarda interrogativo, che tiene l’istinto di accarezzarmi a freno.
Sorrido amaramente: troppe differenze, vite diverse e caratteri diversi; è inutile pensarlo.
Tock.
Un rumore sordo, fastidioso, un qualcosa che rovina la magia delle mie fantasie, che mi fa tremare e sussultare… qualcosa di reale. Stupida realtà.
Tock.
Ancora una volta. Sarà la pioggia, ma non è delicato come gocce che si infrangono su un vetro. Mi volto verso la finestra, una che dal sul balcone esterno. Nessuna luna illumina i vasi di fiori appassiti all’esterno e neanche la luce dei lampioni di Konoha riesce ad illuminare la casa. Una casa isolata per via dal lavoro di mio padre, una casa grande con giardino inglese e fontanelle per le feste estive, un luogo di lusso degno di Hiashi Hyuga.
Ho imparato a conoscere questa casa, a conoscere le stanze deserte e impolverate e le stradine che in meno di cinque minuti ti portano in città ,eppure mi sono sempre sentita estranea in questo luogo troppo grande per me.
Tock.
Questa volta vedo un qualcosa di informe scontrarsi con il vetro della finestra, facendolo vibrare. Un sasso.
Non so perché ma ho paura, paura di uscire fuori dal letto, paura di vedere chi è che sta lanciando quei sassi ,ma potrebbe essere qualcosa di importante. Prendo un grosso respiro e scosto le coperte facendomi rabbrividire violentemente. E se fosse lui? Se volesse spiegarmi il perché? Non credo mi avrebbe avvertita davanti casa al posto di salutarmi con freddezza e perdersi nell’oscuro oblio della notte.
Fuori c’è freddo e cerco di riscaldarmi sfregando le mani sulle braccia. E’ tutto scuro, non vedo nulla, neanche gli alberi del giardino, ma mi affaccio comunque. Niente, vedo grigi e neri mischiati in tanti piccoli puntini che formano grandi fili d’erba, ma nessuno forma una figura umana.
Sarà stata una mia impressione.
-Cazzo la schiena- scattò indietro e inizio a tremare. Il mio cuore palpita e palpita, sembra quasi farmi male alla gabbia toracica. La voce delicata e secca e mischiata ad una nota di dolore. Una di quelle voci che conosco, una di quelle solari ma decise e aggressive.
Una luce mi investe e metto a fuoco uno smartphone che illumina il mio viso e quello di Tenten Mitsashi  che non è più truccato oscuramente, ma illuminato da una pelle nivea e da piccole ciocche di capelli sfuggite agli chignon.
-Ti ho spaventata… stai tremando- osserva
-Cosa ci fai qui Ten-chan?- chiedo con una voce che risulta roca e affaticata dal sonno.
-Sono scappata di casa- dice con tranquillità entrando in camera mia e iniziando ad illuminare il grande letto matrimoniale e il mobilio tradizionale –Sai ,le solite lamentele dei miei genitori- sbuffa –Anche nel bel mezzo della notte si degnano di fare discorsi sulla mia vita.  In sintesi, sono venuta qui perché non so dove andare- termina
-Perché? Non possiamo definirci strette amiche- sono stanca e non capisco questo comportamento della mora.
-Non dire così Hyuga…. Hinata- si corregge – Solo perché non abbiamo mai parlato seriamente non significa che io non ti abbia mai visto come un’amica- illumina di nuovo i nostri volti e riesco a scorgere leggeri segni rossi che partono dagl’occhi fino alla guancia. Ha pianto – Per favore Hinata, non so dove andare. Temari starà via per due mesi e Rock Lee è… maschio!-
La guardò e noto che è scossa , le è difficile parlare dopo una forte discussione.
-Va bene- dico –Penso di conoscere qualche stanza per gli ospiti- le faccio segno di seguirmi e subito dopo mi sento avvolta in un abbraccio freddo.
-Grazie Hinata. Sono molto… stressata in questi ultimi giorni- spalanco gli occhi. Non sono brava a rispondere agl’abbracci, di solito risulto sempre poco espansiva .Mi limito ad accarezzarle la schiena, coperta da una pesante maglione bordeaux, bucato in qualche punto per essersi arrampicata fino al primo piano.
Guardateci… siamo le vittime di una vita pesante. Non esistono genitori perfetti: chi si preoccupa troppo e chi non si preoccupa affatto, forse i genitori si aggrappano ai figli per tramandare una reputazione pulita e candida.
 
 

La stanza che mi ha dato Hinata è grande. Le pareti sono pallide e il mobilio antico perfettamente pulito, come se fosse la proprietà di qualcuno, ma la corvina mi ha assicurato che quella stanza non viene usata da anni.
Il letto a baldacchino già lo detesto, troppo classico e elegante, un qualcosa che sa troppo di lusso che sono già costretta a vedere in casa mia.
“Non andrai da nessuna parte se continui con questi voti e con il violino!” dice sempre mio padre, guardandomi sempre dall’alto in basso per i miei comportamenti, per i miei pessimi voti… per tutto.
Lo odio quando fa così, quando dice che la gente dell’arte di strada è nulla, “gente mal intenzionata”, e che se devo proprio suonare devo farlo per diventare un qualcuno d’importante, e non una ragazza che si esibisce nelle piazze pubbliche e dentro le fontane (sempre per un moto di ribellione) con il rischio di ricevere qualche multa.
Per non parlare di mia madre… lei pensa che tutto le sia dovuto e che il galateo sia la cosa più importante per essere una vera donna. Alzare il mignolo quando si beve il the,  ripiegare perfettamente i tovaglioli sul tavolo, usare un trucco chiaro e naturale, inchinarsi davanti a gente importante, augurare  “Buona cena” prima di iniziare a mangiare, persino nei rapporti devi essere galante secondo lei! Come se ci fosse qualcosa di galante nel regalarsi a qualcuno…
Già sta lavorando per farmi uscire con qualche “gentil ragazzo” e sta scegliendo già il tessuto del mio abito da sposa, come se io avessi intenzione di sposarmi. Una volta ha voluto persino fare un “gioco” con una catenella per vedere se il mio primogenito sarà maschio o femmina.
Si aspettano troppo, solo perché sono la loro unica figlia.
Io voglio divertirmi, scrivere sui muri per strada, fumare qualche sigaretta, non coprire le mani con dei guanti per i miei tatuaggi, far vedere che porto piercing, suonare per strada, provare a bere più bicchieri d’alcool possibili, portare un uomo all’apice del suo piacere e poi distruggerlo non dandogli nulla, essere una stronza.
Mi getto sul letto respirando le lenzuola fredde e morbide, sanno di salvia. Mi piace, è un odore freddo e pungente che ti libera le narici e ti fa chiudere lentamente gli occhi trasportandoti in luoghi freddi e glaciali, solitari e aperti. Luoghi diversi dalla solita Konoha piena di gente e turisti che passeggiano tra le vie, gli edifici e i musei.
Quanto vorrei essere libera… di fare, di pensare, avere il pieno controllo della mia vita.
Ogni scena di litigio la scrivo e calco in mente per ricordarmi cosa hanno sempre pensato i miei genitori, per ricordarmi che non verrò mai accettata per quello che sono neanche dalla mia famiglia.
Sono sola. Sola con la mia musica, sola nel mio mondo parallelo fatto di inchiostro e note.
***
 
La scuola è così…noiosa. Non capisco perché sprechiamo le ore della nostra vita ad imparare le equazioni o le formule geometriche, come se un giorno mi potessero servire nella vita e, come se non bastasse, tra qualche settimana inizierò un corso di greco e latino perché “è sempre utile per entrare in un università”.
Forse i due “vecchi” non erano soddisfatti dei pessimi voti che prendevo nelle altre materie, volevano vederne altri, magari per rinfacciarmi quanto sono lenta a capire un qualche concetto.
Questa sera penso che ritornerò a villa Hyuga, non ho intenzione di dare mie notizie ne tantomeno di entrare in quella casa dopo aver sentito “sei l’errore della nostra famiglia, non riesco a credere come tu possa essere il frutto mio e di tuo padre”, come se la parola “frutto” rendesse il tutto più teatrale e drammatico.
Annoiata mi osservo la mano destra tatuata. Ricordo la prima volta che mia madre la vide.
I suoi occhi erano fuori dalle orbite, le pupille dilatate e il viso tirato in smorfie disgustate e irate mentre io sorridevo, sorridevo soddisfatta. Adoravo questo tatuaggio, il primo tatuaggio che sembrava formare un guanto di inchiostro… mi faceva sentire più elegante. Quei disegni astratti si alternavano e intrecciavano come gli steli di tanti fiori che continuano sul polso, restringendosi fino a formare lo stormo di piccole colombe.
Non è il mio unico tatuaggio, ne ho un altro sulla nuca e sul fianco ma più piccoli e classici, niente di che, i segni della vittoria di qualche scommessa con il mio tatuatore di fiducia.
Poi ho iniziato con i piercing, ma preferisco i tatuaggi, infatti mi sono limitata a qualcosa di piccolo e carino sul sopracciglio e sul labbro. Si, insomma, è il mio modo di essere ribelle e di far rivoltare i miei antenati nella tomba, non voglio essere l’orgoglio di un intera generazione di marionette e uomini senza il senso della vita… voglio essere diversa, voglio essere Tenten.
Alzo lo sguardo e ritornando al mondo reale sento i miei compagni alzarsi, parlare. Preoccupati, alcuni si avvicinano alle finestre spalancando gli occhi, mentre il professore raccomanda di fare silenzio , mentre lui usciva di corsa.
 

-Professore! Ci sono dei ragazzi, si stanno pestando!- queste sono le uniche parole che sono riuscita a capire durante la lezione.
Un ragazzo del quarto anno è entrato urlando con sguardo trafelato: le sopracciglia curvate in un espressione di pura paura, coperta da un ciuffo di capelli mori mentre si affrettava a bussare nelle altre classi. Doveva essere qualcosa di grave se si era preoccupato di disturbare un intero corridoio di classi.
Il professore Tanaka smette di scrivere alla lavagna, posa il gessetto e senza dire una parola alla classe si catapulta nei corridoi rumorosi ,pieni di studenti e insegnanti, mentre la maggior parte dei miei compagni si alza seguendo il professore o affacciandosi dalle finestre.
Non so cosa fare, non sono interessata ad una rissa che sfocerà in denti volati via, occhi neri e sangue sputato.
-Sono loro…- sentì gridare da parte di una mia compagna che faceva cenno ad altri ragazzi di avvicinarsi alle finestre –Sasuke Uchiha e Naruto Uzumaki- continuò…
E così si frantumò, quel muro protettivo che avevo sempre innalzato e che non esisteva solamente con quello sconosciuto. Perché? Perché?! Sono così disperata? Voglio cercare a tutti i costi una figura che mi aiuti? Un qualcuno che forse ha avuto un minimo di apprezzamento nei miei confronti, anche falso?
Gli sguardi sono truci e violenti mentre attraverso i corridoi… se voglio far crollare quel muro voglio vedere con i miei occhi il perché.
L’entrata è completamente piena di alunni spinti dentro l’edifico da dei professori, se anche loro non potevano intervenire la situazione era grave… troppo.
Quel muro di ghiaccio sta crollando e solo io posso ripararlo, ma non voglio; è inutile, mi piace piangere e pensare che la mia vita faccia schifo, mi piace torturarmi con parole, foto, lamenti, ricordi… si adoro farmi del male. E qual è il modo migliorare di ferirsi un’altra volta? Legarsi a un anima persa a ferita a sua volta.
-Hinata! Dove pensi di andare?- la figura bionda mi scuote, è Ino. La bionda mai trovata. –Non fare cazzate!- continua – Un solo momento di piacere non può farti cadere nelle mani di un…-
-Stai zitta- le dico sussurrando non sapendo usare un tono migliore – Ti ho cercata, non c’eri e adesso sono di nuovo… fottuta- occhi inespressivi era questo il mio lato inquietante. Parlare furiosa e seria con occhi vitrei e vuoti –Sai come sono… io non lo so! Io non mi conosco, lascio fare tutto a un cazzo di istinto suicida!-
-Ma ti senti? Sei disperata!- mi schiaffeggia un braccio per poi prenderlo e strattonarlo –Non puoi odiare così tanto la tua vita, cazzo!- urla.
Mi libero dalla sua presa mentre inizio a tremare, forse per il freddo, forse per la rabbia contenuta.
-Sì, sono disperata. Lasciami disperarmi, allora, come si deve- mi infiltro tra la gente, spingendola, lanciando gomitate, graffiando. Come una lotta animale, tutto è lecito, sangue, sudore, lacrime, artigli, zanne, vita,     morte...
In tutta questa situazione non manca chi registra con il proprio cellulare o chi fotografa. Vorrei gridare fino a lacerarmi le corde vocali, vorrei che la gente non fosse così, vorrei che tutti morissero e rinascessero migliori, compresa me. Vorrei morire.
Quando l’unica cosa a separarmi dalla distruzione è soltanto un piccolo mucchio di gente sento una presa stretta all’altezza del gomito, una mano grande, violenta. Chiudo gl’occhi e lascio che il sudore sulla mia pelle e le grida siano l’unica cosa che mi danno la certezza di essere viva.
Sento dolore quando finisco con la schiena su un muro, un dolore che si propaga fino alla testa. Poi una pedata al polpaccio, una gomitata alla pancia e un pugno dritto sulla tempia. Sì, è questo il vero dolore fisico, quello che non ho mai provato.
Sputo un liquido amaro e apro gl’occhi, figure sfocate, semplici figure senza dettagli.
-Dovrà pur smetterla- una voce maschile,preoccupata, che mi fa male ai timpani risuona nella testa facendola sanguinare internamente, una sensazione così disgustosa che vorrei perdere i sensi. Altro spintone mentre le gambe mi sembrano aver perso vitalità, sento una spinta, e uno sfondo di colori neutri si trasforma in uno quasi aranciato. Le mie guance sentono il freddo delle mattonelle e le mie orecchie le urla dei professori che sembrano lontane. Cercò di sforzarmi per vedere quel panorama sbagliato: all’entrata della scuola davanti al cancello due ragazzi puntano dei coltelli a degl’uomini, dei professori. Uno lo riconoscerei tra mille, Sasuke Uchiha nella sua cornice di capelli nera stonata dalla pelle pallida. Dietro di lui un ragazzo viene picchiato, picchiato a sangue ma reagisce. I due combattenti si sfidano, si colpiscono e nonostante la poca vista noto le macchie rosse sui loro volti, disposti a lasciare segni indelebili uno sul viso dell’altro.
Socchiudo gl’occhi prima di vedere i ragazzi scontrarsi di nuovo, uno scontro tra i capelli rosso cremisi del primo e biondo ambra del secondo. Le voci sono coperte da uno strato di dolore e l’unica cosa che riesco fare e affogare nello stesso vetro del mio muro compatto.
 
-Mamma perché piangi?-la bambina dai corti capelli corvini guarda interrogativa la madre, aggrappandosi ad un braccio della donna con le mani fredde.
-Niente Hina-chan. Non è nulla- si asciuga le lente lacrime con il dorso della mano e si affretta ad accennare un sorriso alla propria figlia. Lo sguardo è disperato, gli occhi arrossati, le labbra lesionate e gli zigomi pronunciati. Quella donna non stava bene, soffriva, cercava aiuto… ma era giusto cercare aiuto? Aiuto significava mostrarsi deboli… eppure Hinata lo cercava sempre.
 
-Hinata- sento quella voce flebile, quasi morta. Mi sveglia, cancella quel ricordo inesistente che man mano svanisce come fumo. Fumo che si libera nell’aria e che non può essere ripreso. Scivola via e si cancella finché non ne rimane soltanto una figura indistinta, quella della bambina dai capelli corti e dalle guance rosee –Hinata- risento questa volta con più insistenza, mentre sento il mio corpo scosso, un corpo che mi sembra solamente un involucro di aria e carne, come se non fosse mio, come se non esistesse, sensibile soltanto al tocco di qualcuno.
-Hina-chan?- apro lentamente gl’occhi e due volti sfocati iniziano a farsi più vividi. Il colore delle labbra rosse inizia ad essere più vivo e due paia di occhi luminosi prendono una sfumatura più rassicurata.
Mi soffermo su un paio d’occhi azzurri come per chiedere qualcosa che non so neanche io. Sfrego leggermente le dite e sento parlare di nuovo.
-Sei nella tua stanza.- dice come per darmi una chiarimento- Non sai che faticaccia ho dovuto fare per portart…-
-Ehi! Guarda che anche io ho contribuito, biondina!- mi volto verso una seconda figura e riconosco gli occhi color mogano e i cerchietti argento sul viso.
-Stai zitta tu! Non so neanche chi tu sia!- sbraita Ino fulminando Tenten che sembra volenterosa di iniziare un’ accesa discussione. Mi metto da seduta, facendo terminare sul nascere il dibattito. Mi sento indolenzita e ho l’impressione che un grosso macigno prema sulla mia testa schiacciandola.
-Come ti senti?- chiede la mora appoggiandomi una mano sulla schiena per sostenermi. Inspiro lentamente come per ricordare qualche pezzo, un piccolo ricordo di quello che era successo prima, del perché mi sono ritrovata nella mia stanza, sul mio letto, con il corpo dolente e la mente tartassante.
-Non molto bene- rispondo – Non riesco a capire cosa sia successo- mi massaggio le tempie.
-Beh…- inizia Ino - Sasori è finito in ospedale con un naso rotto. Sasuke è scappato all’arrivo della polizia e Naruto penso che l’abbia seguito-
-Hanno smosso un intero istituto per una fottuta rissa- Tenten accenna uno sguardo sullo schifato e il rassegnato mentre si tortura con una mano il piercing al sopracciglio.
-Non era una semplice rissa, carina, erano armati, ti avrebbero sgolato in un colpo e Sasori è uno studente, non potevano di certo lasciarlo morire!- ribatte con acidità la bionda.
-Non giustifica il fatto di chiamare a raccolta tutti gli alunni!-
-Basta voi due- dico in una smorfia di dolore mentre mi lecco il labbro inferiore sanguinante. Ricordo qualcosa, il dolore fisico, quello vero… quello che ti fa perdere la concezione di tutto –Perché mi avete riportata a casa?- chiedo
-Eri svenuta. Crollata. Quando ti ho visto ho cercato di farti svegliare, ma niente, sembravi morta: eri pallida e sanguinavi da un labbro, inoltre mostravi i primi segni di un ematoma alla tempia, mi è sembrata la cosa migliore riportarti a casa- racconta Ino velocemente per poi guardare di sfuggita Tenten –Mi ha aiutato anche lei- dice con poco entusiasmo indicandola altezzosa.
-Tenten Mitsashi, bionda- smette di toccarsi il piercing e fulmina con lo sguardo Ino. Fa per alzarsi dal letto e la vedo osservare le foto con me, mia madre e Hanabi per poi rivolgere l’attenzione al violino, avorio, appeso alla parete.
-Hina-chan ascoltami bene- rivolgo di nuovo l’attenzione a Ino, seria –La gente sta cominciando a parlare di te, ha paura, ti detesta. Naruto Uzumaki è una pessima compagnia, è conosciuto non perché spaccia la sua roba… ma perché è violento. Quando si arrabbia tende a fare molto male, ha ucciso in passato…- spiega cercando di essere rassicurante, come se stesse spiegando ad un bambina di non parlare con gli sconosciuti. Raggelo e la guardo. Raggelo perchè non m’importa, anche se sento la paura divorarmi.
Mi è troppo difficile pensare che quegl’occhi angelici quanto inquietanti, quei capelli ambrati, quel viso perfetto nelle sue loci ombre, nei tratti più morbidi e spigolosi possa essere un assassino. Un folle che al minimo cedimento potrebbe fare del male.
Inizia, quella che riesco a definire, una melodia veloce e ritmata. Rivolgo lo sguardo a Tenten che con aria tra l’incantato e il determinato suona il violino avorio, muovendosi di tanto in tanto a ritmo, piroettando e muovendosi selvaggiamente ma abilmente, come una danzatrice, mentre con fare svelto strofina l’archetto sulle corde del violino.
Sono note acute e gravi che si mescolavano tra di loro come se il violino stesse parlando. Cantando in una maniera acuta per poi finire su note più basse dove il ritmo si fa più veloce e incalzante. Gli occhi nocciola si illuminano ad ogni nota.
Ascolto quella melodia memorizzando ogni movimento dell’archetto, scrivendo le note, marchiandole, nella mia mente. Seguo i passi di Tenten, osservo il suo viso libero e rilassato e confronto la sua musica con la mia.
La sua è ribelle. Melodie che risulterebbero volgari alle orecchie di qualche ricco, ma che, in realtà,sono fantastiche: l’anima selvaggia che traspira è fantastica, la velocità nel suonare, far cantare quello strumento attraverso note volgari… magnifico.
Io invece… la mia musica, è più una condanna che un inno alla ribellione: condanno la gente nelle mie note dinamiche, condanno lo stile di vita di alcuni, condanno il loro modo di comportarsi, condanno mio padre, condanno tutti. Li lascio stupiti, li lascio senza fiato come se stessero spirando il loro ultimo respiro.
Se la mia musica fosse un qualcosa sarebbe acqua e vento: libera, trasparente, inafferrabile, veloce, violenta, lenta e soffocante. Mentre quella di Tenten sarebbe fuoco e ghiaccio: bruciante,ipnotica, misteriosa, lacerante, pura, brillante, pressante e leggera.
-Ehi, faccia di metallo, non sanno che c’è qualcuno qui!- dice Ino acida alzandosi anche lei dal letto e sostandosi con le braccia conserte davanti alla mora.
-Perdonami ciclope, ma avrei fatto qualunque cosa pur di non sentirti parlare- ringhiò Tenten terminando la sua melodia e riposando il violino sul suo posto.
Si avvertiva già il cattivo sangue che scorreva tra le due; una di quelle amicizie che nascono male e finiscono male; amicizie cattive dove “insultare” è l’azione da eseguire ogni volta ma che, stranamente, si definiscono amicizie.
-Posso andarmi a fare un giro?- chiesi semplicemente per cambiare quell’aria di parole sarcastiche, note volgari e respiri preoccupati.
-Forse sei ancora sotto una stato dormiente…- la bionda si voltò verso di me scrutandomi come se fossi impazzita – Quindi te lo ripeto. Tu essere svenuta, quasi morta. Tu stare male, non potere andare da nessuna parte- dice gesticolando lentamente con le mani.
-Non è una malata mentale ,o sbaglio, ciclope?!-
-Oh per tutti i Kami- Ino si copre lentamente la fronte con la mano chiudendo gli occhi esasperata –Perché sei ancora qui?! E soprattutto… perché pensi di avere così tanta importanza per informarti di come agisco con lei?- chiese facendo una cenno con la testa verso di me.
-Primo: sono qui, innanzitutto perché ti ho aiutato a trasportare il corpo quasi morto della Hyu…. Volevo dire Hinata – si corregge velocemente Tenten – E secondo: dopo aver attentamente avuto conferma della tua pazzia, ho una certa paura ha lasciarla da sola con te- sogghigna acidamente.
-Io vado a farmi un giro- esco dalla stanza esasperata ignorando il dolore alle tempie e le grida di Ino che si fanno spazio nella stanza intimandomi di fermarmi.
Sorrido divertita, mentre ripenso agl’attimi di dolore. Gente bastarda. Perché mai lo avranno fatto? Volevano forse usarmi per far terminare la rissa? Che cosa inutile…
Come se a Naruto Uzumaki importasse qualcosa della mia incolumità, sono una misera sconosciuta che lui aspetta soltanto di fare sua ,e io non so se glielo lascerei fare o lo caccerei via ripudiandolo.
Il dolore inizia ad affievolirsi ,come se pensare alla causa di come si sia presentato, lo facesse scomparire. Il dolore è un fatto mentale, forse è veramente così… ecco perché non sento quel dolore fastidioso, perché non vale la pena sentirlo.
Esco di casa cercando di non farmi vedere da Tamiyo, che sicuramente si aggira al piano inferiore, e mi lascio investire da un’aria pungente, non fredda, ma pungente. Come se microscopici chicchi di grandine mi travolgessero ad ogni soffio.
Sorpasso il cancello semi-aperto e il dolore scivola completamente via lasciandomi sopra una senso di freschezza fastidiosa. I capelli mi coprono le spalle sopra la camicia della divisa scolastica e lascio pensare che siano carezze che si alternano ai soffi di vento.
-Senti…. Non è come hai visto- mi volto di scatto alla mia sinistra e lo vedo, lì appoggiato ad un muro ,con il cappuccio della felpa alzato, che illumina di più gl’occhi sotto un miscuglio di sfumature, come il fossile di un cristallo azzurro.
-Che…che ci fai qui?- chiedo semplicemente
-Quel bastardo se l’è cercata!- continua lui e inizio a capire di cosa stia parlando. Scruto meglio il suo viso e noto un evidente labbro spaccato e una piccola macchia violacea all’angolo dell’occhio destro.
-Perché mi stai dicendo questo?- mi volto verso il nulla, verso le strade lontane di Konoha e gli edifici che sembrano piccole forme in lontananza. Senza dettagli.
Lo sento mentre soffoca un respiro, segno che neanche lui sa cosa rispondere alla domanda che gli ho appena fatto. Non mi aspetto una risposta, non ne ho mai avute da quando è morta mia madre.
-Non lo so neanche io- dice e fa per andarsene. Osservo di nuovo la schiena coperta dalla larga felpa e mi fermo a pensare alle parole di Ino. Violento. Forse non sanno cos’è la violenza.
Qualcosa che viene usata per manifestare il proprio potere, perché se sei violento con qualcuno allora sei più potente di lui, perché lo umili, lo distruggi, lo vedi cadere sotto di te in una morsa di disperazione che ti fa capire quanto si è deboli. La violenza non è altro che la manifestazione del potere e avere potere significa essere superiori.
Lui, non vuole potere, vuole una pace che ogni giorno gli sfugge via come sabbia al vento, quella pace tanto agognata che cerco anche io e che, forse, solo la morte può dare.
Mi muovo, lentamente, anche se non voglio farlo, anche se voglio vederlo allontanarsi, voglio che se ne vada e non torni più ma voglio averlo vicino e sentire il perché mi faccia sentire quello strano calore ustionante che ti dilania e ti fortifica.
-Perché mi segui?- mi chiede semplicemente quando sono a due spanne da lui. Le mie mani si fanno più fredde, sento come la punta delle dita si congelino e richiamino calore. Che devo fare?
Sono qui, dietro di lui a fissarlo cupa, con le labbra dischiuse e una strana voglia maniaca che combatte con una più razionale.
-Devi ancora spiegarmi perché hai fatto quello che hai fatto ieri notte- dico senza balbettare. Mentre le immagini si infrangono su di me come pioggia di schegge di vetro e lo vedo fermarsi bruscamente, fermando il suo cammino lento. Sfila le mani dalla tasca dei jeans.
-Tu non hai capito come funzionano le cose, angioletto- inizia –Qui chi trova tiene. E se sei perspicace avrei capito cosa intendo- si volta, il suo sguardo sembra più incupito ,ma allo stesso tempo stufo – Non ne vale la pena che ti chieda scusa-
-Per cosa?- chiedo mentre i capelli mi infastidiscono la visuale.
Lui rimane un attimo in silenzio a fissarmi e io, sotto un peso invisibile, sono costretta a volgere lo sguardo sul marciapiede mentre il sangue affluisce sulle mie gote, riscaldandomi.
Lo vedo titubante avvinarsi. Trattengo il respiro quando mi ritrovo un sua mano che prende la mia.
-Sei fredda. Dovresti tornartene a casa- accarezza il dorso della mano e la lascia ricadere vicino al mio fianco.
Non so cosa pensare, non so cosa dire, non so nulla… e adesso voglio sapere qualcosa, adesso mi pentirò di quello che sto dicendo.
-Smettila di fare così!- sbotto –Ti comporti con menefreghismo, pensando di allontanare le gente. Fai quello che non dovresti fare e non ne dai una spiegazione valida. Ti danneggi la vita con questi giri schifosi e onestamente non so neanche sto qui a parlarti di questo, come se tu potessi ascoltarmi minimamente. Voglio sapere adesso perché. Perché, che io lo voglia o no, sono entrata anche io in questo disgustoso giro da quando ho cercato di fermare mia sorella ad autodistruggersi peggiorando le mie fottute condizioni- condizioni? Era la parola giusta da usare? Come se fossi  malata?
Ansimo. Le mani sembrano più fredde e al solo pensiero di fissarlo lo stomaco mi si rivolta. Paura?
-E’ proprio questo il problema- sento la sua mano sul mio mento, io che vengo costretta a guardarlo nella sua furia e disperazione –Non saresti mai dovuta ficcarti negli affari di tua sorella ,principalmente. Non saresti mai dovuta farti vedere da me. Perché tu non sai, Hinata Hyuga, cosa significa essere disprezzato agl’occhi degl’altri, essere visto come un pazzo, un maniaco, un drogato solamente perché cerco solamente di non fare la fine di un orfano che non se la sa cavare con una cazzo di famiglia adottiva. Tu non puoi capirmi, perché tu hai sempre avuto tutto a tua disposizione, non hai mai sudato per guadagnare qualcosa e ti rimpiangi ogni singolo giorno, ti lasci possedere così facilmente.
Adesso, che tu lo voglia o no, sei mia. Mia e solo mia! Nessuno può toccarti, nessuno può guardarti, nessuno, perché tutti avranno paura di cosa io possa fare. Perché loro sanno che mi appartieni e questo è l’unico modo per evitare che tu venga sopraffatta dallo schifo di questo giro!- pronuncia e scandisce quelle parole come se fossero puro veleno. Acido che si infiltra dentro di te e ti corrode. Sembra tutto così assurdo che , in pochi giorni, mi sia ritrovata ad essere proprietà di qualcuno, per gli altri. Così difficile che al solo pensiero mi si imperlano gli occhi ma non riesco a piangere e urlare, straziarmi.
Lo guardo mentre sembra dispiaciuto e furioso, mescolando quei due stati d’animo con facilità. La sua mano, calda, scivola via, mi lancia un ultimo sguardo e riprende il suo cammino con più velocità.
E io mi ritrovo sola a pensare quanto stia lentamente sprofondano nell’abisso dell’inferno legata ad un filo che mi collega a lui. Legata sempre e per sempre.
***
 
 Ci metto un po’ a riprendere confidenza con il violino, quando solamente per sentire il suono, lo appoggio sulla spalla e lascio che la mia mano cada sotto il suo potere invisibile.
Sono giorni ormai che lui non si fa vedere, come se fosse scomparso, eppure lo sento ogni volta che metto un piede fuori casa, sento il suo sguardo pesante sopraffarmi e la sua morsa di mistero abbracciarmi nella sua inquietudine.
Tenten, ormai, è come se si fosse trasferita qui. Ogni sera riesco a sentirla mentre suona tranquilla, e sto imparando a conoscerla meglio. Mi ha raccontato dei suoi genitori che la costringono giorno dopo giorno a regole ferree e orrende, rivelando come non si fosse fatta vedere dalla sera in cui si è presentata qui e che si era limitata solamente a informare la badante di casa per evitare che venisse ricercata da chissà quanta gente.
Parlava sempre con facilità, un leggerezza assoluta che faceva pensare a una vita svuotata da ogni problema, o a qualcuno che non vuole sentire parlare di problemi.
L’altra sera, entrando nella “sua” stanza, l’ho beccata mentre con mia sorella si fumavano una sigaretta, sedute sul davanzale della finestra a sparlare e ridere insieme come se si conoscessero da tempo, come se Hanabi avesse ritrovato i motivi per ridere o sfogarsi.
Forse lei ha bisogno di questo: qualcuno che l’ascoltasse e che non passi ogni minuto a rinfacciarle le sue pessime abitudini o a dirle quanto si stia rovinando la vita. Forse col tempo potrebbe capirlo da sola.
Mi sento sporca, una sorella che non c’è mai stata, un mostro di persona. Pensavo sempre che il problema fossero le sigarette invece sono sempre stata io. Io che non mi faccio sentire, io che non mi faccio vedere, io che ignoro.
-Hinata-chan è pronta la colazione- dice Tamiyo dall’altro lato della porta.
-Grazie, scendo subito- ripongo il violino dentro la custodia e sento già Tenten imprecare mentre scende lentamente dalla finestra. Non può di certo farsi vedere da Tamiyo o mio padre.
Al piano di sotto, accanto alla porta d’entrata, noto due grandi valigie in stoffa rigida nera, di quelle costose che non ne varrebbe la pena comprarle solamente per trasportare vestiti e altro da un posto all’altro.
Mi chiedo chi debba partire? Mio padre? Può darsi, non è la prima volta.
- O-tō-san, dovete partire?- chiedo entrata in cucina dopo un buongiorno e un inchino. Uno di quei comportamenti che quantomeno apprezza mio padre.
-No Hinata. Finalmente tuo cugino si è preso una pausa dall’università, tornerà stasera- risponde alla mia domanda con sguardo così rigido che lascio pensare che non sia umano. Le sue mani stringono una tazza contente caffè e di tanto in tanto ne beve qualche sorso mentre con la mano libera legge un giornale su uno smartphone.
-Neji-nii-san?- chiede Hanabi
-Esattamente- cala di nuovo il silenzio lugubre di ogni mattina.
Mio cugino Neji non è mai stato un ragazzo espansivo… e umano. L’ho sempre visto come la versione più giovane di mio padre, nei suoi modi di fare rigidi e nelle sue fissazioni con lo studio, solamente perché vuole ottenere l’azienda di famiglia, convinto che per averla debba superarmi in tutto e per tutto. Come se io la volessi.
Non si è fatto vedere per un anno intero, a causa dell’università, e non si è fatto sentire per tutta la sua mancanza. E questa potrei definirla fortuna, un peso in meno, ma adesso ritorneranno le limitazioni, gli insulti su quanto sono inutile per la famiglia, e le minacce per non rivelare le sue relazioni a dir poco rivoltanti ,che potrebbero farlo vedere come un buono a nulla agl’occhi di mio padre, e per lui il giudizio di mio padre conta, anche se lo odia.
Finisco la mia solita tazza di caffè ed esco di casa con il violino e la tracolla. Pronta a sentirmi ancora una volta oppressa dagli sguardi invisibili o non esistenti del biondo. Forse è una mia paranoia un qualcosa che crea la mia testa per credere che lui sia ancora qui, che mi osserva, per credere che non mi ha lasciata sola. Sola contro tutti e contro me stessa. Sarà sicuramente così, perché riuscivo a vedere quell’amarezza nelle sue parole e la vita straziante di chi non si è mai sentito a casa.
“Tu non puoi capirmi, perché tu hai sempre avuto tutto a tua disposizione” forse è veramente così. Non mi è mai mancato nulla, anzi rifiutavo regali costosi che non volevo e molto spesso, anche in questi giorni, penso quanto faccia schifo vivere come me e adesso vedo tutto in un altro modo. Io penso questo. Io che posso avere tutto. E lui? Lui che non ha mai avuto nulla, lui che sfida la morte e la vita solamente per vivere.
Ognuno ha le proprie prospettive sulla vita degl’altri e nessuno capisce la verità.
In me vedono una ragazza ricca, con il padre importante, con i vestiti più costosi e i gioielli più preziosi, una ragazza felice che non sa cosa siano i problemi… invece sono così contesa tra i miei pensieri che nemmeno riesco considerare lontanamente di indossare un abito firmato o avere l’ultimo smartphone sul mercato.
E Hanabi cosa pensa?
“Mia sorella e mio padre sono troppo stupidi per capire esattamente come mi sento sola e sbattuta in mezzo a verità che ti marchiano a vita” come la morte di nostra madre. Lei era il nostro idolo, il nostro esempio di vita perfetta e raggiante, un esempio che è svanito come fumo al vento quando è morta.
Noi due da sole contro il mondo, senza l’aiuto di nessuno, neanche quello di nostro padre.
Ognuna ha trovato la propria strada per non pensare. Lei il fumo e il veleno, io le mie ferite psicologiche e fisiche.
La vita perfetta non esiste, ci hanno illuso troppe volte.
***
 
 -Quindi pensavo che stasera potevamo riunirci, dato che non ho nulla da fare- Ino continuava a parlare al mio fianco scoccando occhiatacce agl’altri studenti o salutandoli col sorriso sulle labbra. I capelli, legati nella solita coda alta, gli ricadevano morbidi sulle spalle e il ciuffo lungo le copriva un occhio ceruleo evidenziato dal poco trucco.
-Allora?- mi chiede aspettandosi una risposta alla richiesta che mi ha appena proposto.
-Non lo so Ino. Proprio stasera penso di non sentirmela, e inoltre oggi torna mio cugino…-
-Neji? Quel coglione che crede di essere al centro dell’universo solamente perché ha una bella faccia e un’ intelligenza sconfinata?- faccio cenno di sì con la testa.
-Allora evitiamo, sai quanto lo odio…-
-Non preoccuparti non saresti venuta neanche se lui non ci fosse stato- le dico quasi con una nota divertita nella voce. Lei mi guarda interrogativa alzando le sopracciglia sottili – Tenten-  alza gli occhi al cielo.
-Devo ancora sapere dove hai trovato quella tipa… è insopportabile!-
-Te l’ho detto che è nel mio stesso corso di violino, e poi sono sicura che riuscirete a sopportarvi. Avete lo stesso carattere infondo- non riesco a vederla ribattere o sbraitare per la frase appena pronunciata che Maryclaire mi si avvicina spaesata mentre una cascata di morbidi ricci le incornicia il viso.
-Mary-chan che succede?- chiedo semplicemente
-Non lo so neanche io Hina-chan. Un ragazzo, non so chi, mi ha detto di darti questo- mi porge un biglietto cartonato ripiegato in due. Quello che posso definire un cuore perde uno dei suoi battiti mentre lo stomaco mi si aggroviglia lentamente per l’ansia e l’agitazione.
-Potresti descrivermi il ragazzo?- chiedo mentre afferro il biglietto tra le dita ed esito ad aprirlo. Ino allunga il collo cercando di vedere qualche parola che si intravede all’interno.
-Non lo so, veramente. Era un tipo incappucciato di nero e forse, se non erro, aveva i capelli biondi ma non ne sono sicura era difficile intravedere il colore dei capelli- apro il biglietto lentamente e noto la calligrafia non troppo ordinata ma comprensibile.

TI ASPETTO ALLE 23:00 FUORI DAL TUO CANCELLO.
NIENTE DI ELEGANTE, JEANS E FELPA SCURA ANDRANNO PERFETTI.
A STASERA, ANGIOLETTO.

Richiudo il biglietto e inizio a respirare velocemente, Ino aveva il suo sguardo, il solito infuriato e preoccupato.
-Grazie Mary-chan- dico in un sorriso falso e un agitazione evidente.
-Di niente- la mora si allontana velocemente unendosi ad un gruppo di ragazze.
-Tu non ci andrai!- Ino mi strappa il biglietto dalle mani. Le sue mani stringono convulsamente la carta dura stopicciandolo.
-Ino smettila.- cerco di farla calmare, trasmettergli un minimo di fiducia ma sembra non funzionare.
-No, non mi calmo. Sbaglio o ti ho avvertita sulla reputazione di quel tipo?! Pensavo che in questi giorni avessi smesso di vederlo- sbotta
-Noi, non ci vediamo-
-Allora come lo chiami darsi appuntamento?-
-Smettila di fare così! Non è un appuntamento- la prendo per un braccio cercando di discutere in un luogo più appartato ma a lei non sembra importare. Avrebbe fatto una scenata ovunque, l’importante era riuscire a farla. Il biglietto le viene strappato di mano finendo in un mano perfettamente marchiata di nero.
-Chi sarebbe il fortunato?- mi chiede Tenten come se sapesse già che il biglietto è rivolto a me .
-Faccia di metallo, non è il momento- sbotta la bionda.
-Cerchi problemi, ciclope?- ed ecco che ricominciano il loro discorso con i loro soprannomi offensivi. Sarebbe finita a capelli tirati? Forse… c’è una grande possibilità di sì.
-No, almeno non in questo momento, faccia di metallo!- sbotta Ino per poi abbassare il tono di voce –Conosci un certo Naruto Uzumuki?- le chiede.
Tenten assume uno di quelli sguardi pensatori poi si volta verso di me –Vedo che ti sei data da fare- dice con una nota di malizia.
-Quindi lo conosci?-
-Si, ciclope, lo conosco. Non eravamo stretti amici, ma da quello che so… lui e Sasuke Uchiha sono un duo di fighi, nel senso fighi… non so se mi spiego. Ragazzi il cui unico tuo pensiero, quando li vedi, e portarteli sotto le lenzuola- Ino sembra indignata ma sembra anche dare ragione alla mora.
-Potevamo arrivarci da sole a questo! Non sai altro? O quantomeno fare cambiare idea alla signorina qui presente, costatando la pessima reputazione dell’Uzumaki?- Tenten sembrava turbata alla domanda della bionda poi, come se le fosse apparso qualcosa davanti, parlò:- Per quel fatto della violenza? Dicono che sia una cazzata… Hinata, se vuoi un consiglio, vacci pure a l’appuntamento- sventola il biglietto – ma cerca di non fargli domande troppo personali, è un tipo abbastanza, anzi troppo, chiuso-
Arrossisco e lentamente volgo lo sguardo alle mie scarpe mentre le due “consigliere” iniziano una discussione sui loro modi di pensare.
Non lo vedo da giorni… ho bisogno di sapere che c’è sempre stato.


 
LITTLE WONDERLAND
Ma ciao :3
Allora, prima di tutto, ... scusatemi per il mese di ritardo ma ho avuto problematiche da sbrigare quindi ho potuto pubblicare solo adesso ^^'' 
Anyway... piaciuto il capitolo? Spero di si ^^
Qui ho presentato per bene Tenten facendola apparire come il perfetto opposto di Hinata, inoltre avrà un rapporto con Ino come quello che Ino ha con Sakura nell'anime.
Sakura? Allora la ragazzuola in questione sarà presente nel prossimo capitolo e continuerà a esserci e a diventare importante nella vita della fragile Hinata, che sa di essersi ritrovata in luogo che non le appartiene, e proprio Sakura l'aiuterà a farla abituare a quel mondo e a dirle come comportarsi in certe situazioni..... E POI SI VEDRA' PIU' AVANTI.
Bene, mi dileguo ^^ alla prossima, vi ringrazio molto per le recensioni.
*nuvola di fumo*
A_J.E


P.S La canzone scelta (che potete ascoltare cliccando il sottotitolo) è la stessa che ho voluto far suonare "teoricamente" a Tenten

FBpageOfficial: Alatariel_Jade Elf (cliccare)
 FBpageGrafiche:
 Alatariel's creations  
(cliccare)
 Deviantart: 
Aliss-Anne (cliccare)
 
   
 
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