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Autore: mughetto nella neve    30/01/2015    0 recensioni
"Probabilmente, se avesse saputo quanta noia e nervosismo avrebbe sperimentato per tutta la durata del Ballo, Furihata non avrebbe accettato mai l’invito che un timido studente le aveva balbettato durante il cambio delle lezioni.
Certamente, per una studentessa del terzo anno, poter partecipare al Ballo del Ceppo era considerato un vero e proprio onore – tanto più se era uno degli studenti stranieri in visita ad Hogwarts ad offrire un invito! Quando Furihata aveva raccontato alle sue compagne di stanza di quell’incontro, le due avevano preso a lanciare urla isteriche congratulandosi e domandato cosa avesse intenzione di mettersi. A quanto pareva, per simili occasioni, si indossava l’abito migliore, stretto i capelli nella pettinatura più bella e dato fondo a tutte le boccette del profumo."

[ Fem!AkaFuri | Hogwarts!AU ]
[Seconda Classificata al Concorso "Ripopola Fandom" indetto da __Bad Apple__]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Kouki Furihata, Reo Mibuchi, Seijuro Akashi
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender, Violenza
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Autore: mughetto nella neve
Titolo: Nocturne With No Moon
Tipologia: One-Shot
Generi: Romantico; Introspettivo; Drammatico
AvvertimentiHogwarts!AUShoujo-aiCharacter Death
Note: angst a gogò (?)
NdA: Che dire? Questa è una delle storie che più mi è più piaciuta scrivere. Un giorno vorrei provare ad abbozzare anche un continuo o almeno un spin-off che possa spiegare che fine ha fatto Kuroko e la sua cricca – o quale destino spetti ad Akashi. Spero che possa piacervi! ~
 


 

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Probabilmente, se avesse saputo quanta noia e nervosismo avrebbe sperimentato per tutta la durata del Ballo, Furihata non avrebbe accettato mai l’invito che un timido studente le aveva balbettato durante il cambio delle lezioni.
Certamente, per una studentessa del terzo anno, poter partecipare al Ballo del Ceppo era considerato un vero e proprio onore – tanto più se era uno degli studenti stranieri in visita ad Hogwarts ad offrire un invito!Quando Furihata aveva raccontato alle sue compagne di stanza di quell’incontro, le due avevano preso a lanciare urla isteriche congratulandosi e domandato cosa avesse intenzione di mettersi. A quanto pareva, per simili occasioni, si indossava l’abito migliore, stretto i capelli nella pettinatura più bella e dato fondo a tutte le boccette del profumo.
Il vestito di seta marrone che aveva indosso glielo aveva prestato sua zia. Le stava leggermente stretto al petto e largo sui fianchi, tanto da farla sembrare un’ingombrante bomboniera dai modi goffi e il passo incerto. Era riuscita a ballare solo un paio di valzer prima di domandare perdono al suo accompagnatore e ritirarsi su un poltrona, respirando velocemente e massaggiandosi le caviglie dolorante. Le scarpe, evidentemente troppo piccole, avevano fatto assumere un colorito violaceo ai suoi piedi – tanto che, presa dalla paura e dall’imbarazzo, si era diretta verso la porta ed era fuggita in tutta fretta verso i dormitori.
O almeno queste erano le sue iniziali intenzioni finché non aveva ragionato su quanto potesse essere imbarazzante raccontare di un simile esito alle sue due amiche.
La fuga non era contemplata dai Grifondoro. La sua era una Casa in cui regnava il coraggio e la spavalderia; le giovani studentesse non scappavano con la coda fra le gambe non appena si scoprivano doloranti ai piedi, anzi: tolte le scarpe, riprendevano a ballare con nonchalance.
Furihata si era ormai abituata a pensare che il Cappello Parlante avesse sbagliato nell’assegnarla ad una simile Casa. Si sentiva in difetto rispetto agli altri compagni – probabilmente era troppo timida o comune per poter stringere amicizie che non comprendessero persone che, come lei, erano nate babbane e si erano ritrovate nella stessa casata.
Sciolse i capelli e continuò a percorrere le scale, superando silenziosamente il dormitorio femminile. Il suo obiettivo era quello di raggiungere la Biblioteca. Era certa che lì nessuno sarebbe andato a cercarla: infondo, era uno dei luoghi più temuti ed evitati dagli studenti – circolavano addirittura strane leggende sui suoi volumi antichi. Essendo parte del comitato che se ne prendeva cura, Furihata aveva a disposizione una copia della chiave che le permetteva di accedere a qualsiasi ora; siccome era sempre stato un tipo abbastanza sbadato e disordinato, la sua compagna di stanza le aveva consigliato di legare la chiave in un bracciale così da portarla sempre con sé.
La giovane maga girò la chiave nella toppa e, sospirando sollevata, entrò nell’oscura e ormai conosciuta Biblioteca. Ad essere sinceri, Furihata immaginava quella stanza completamente immersa nelle tenebre – era pronta perfino ad estrarre la bacchetta e mormorare con voce decisa ‘Lumos;  invece, questa, sembrava solo ora mostrare il suo profilo migliore.
La pallida luce lunare entrava dalla finestra e illuminava le pareti lignee degli scaffali e la pelle dorata delle poltrone imbottite – si era creata un’atmosfera unica che, complice l’umidità e il rilassante silenzio, spinse la giovane a proseguire all’interno. Le pagine giallastre dei libri, rimasti aperti sulle numerose scrivanie, parevano quasi scintillare e fremere non appena la ragazza compiva un passo nella stanza. Il pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi; ma il suono, così leggero e breve, si perse presto fra gli scaffali e lasciò di nuovo posto al silenzio.
Furihata appoggiò le scarpe sul davanzale e sospirando stancamente, si lasciò sprofondare sulla sedia vicino alla finestra. Era stanca e i piedi ancora le dolevano per l’eccessiva fatica che si era trovata ad esercitare durante il ballo; li massaggiò lentamente, gemendo nel notare degli arrossamenti e addirittura qualche ferita all’altezza della pianta. Aveva decisamente esagerato e solo ora si rendeva conto di quanto dolore avrebbe provato l’indomani nell’indossare scarpe per andare a lezione: forse avrebbe fatto meglio a darsi malata.
Immersa nel silenzio qual era, non ebbe difficoltà ad udire in lontananza un brano al pianoforte. Spostò il viso verso la porta e poi, trattenendo il respiro, prestò orecchio a quel lento e straziante brano proveniente dall’esterno – in un primo momento pensò si trattasse di qualche lento proveniente dal ballo, ma presto si rese conto di quanto questo non potesse adattarsi ai tempi di un qualsiasi ballo da sala.
Ondeggiò leggermente sul posto per poi ridacchiare un poco nello scoprirsi terribilmente simile ad una bambina che era un tempo.
Quando ancora viveva con la sua famiglia, era solita improvvisarsi una principessa e, salita sui piedi di suo padre, improvvisare una danza lunga e abbastanza divertente. Cos’era cambiato in lei da allora? Nulla, a ben guardare. Ancora sognava di poter ballare allungo con un principe e fuggire via con lui. Nonostante si fosse scoperta strega e i suoi genitori avessero pagato per lei l’istruzione ad Hogwarts, Furihata ancora non archiviava nella propria memoria quei giorni felici.
Chiuse leggermente gli occhi e, appoggiata la testa contro lo schienale della sedia, si perse nell’ascolto del brano. Quello eseguito era forse una delle cose più tristi che avesse mai udito: le note scorrevano lente ed erano cariche di una malinconia pari a quella di un pianto trattenuto per l’eccessivo dolore. Si susseguivano pause ad intervalli di due note, a tal punto da farla sembrare quasi un’improvvisazione.
« Non balli? »
Una voce proveniente dagli scaffali la fece sussultare spaventata e subito, spaventata, drizzarsi seduta artigliando i braccioli della sedia. Furihata tremò leggermente, spalancando la bocca come a voler chiedere chi fosse; ma solo una serie di gemiti soffocati riuscirono a solcare le sue labbra. Una figura dagli occhi di un intenso rosso fiamma fece la sua comparsa dal fondo del corridoio – per un attimo la giovane strega pensò che si trattasse di una qualche creatura leggendaria, un basilisco magari, venuto lì per prendere la sua vita. Si ritrovò a tremare spaventata e raggomitolarsi sulla sedia. Ben presto, però, l’oscura figura rivelò le sue forme umane e la sua identità.
Occhi e capelli rossi come il sangue che scorre nelle vene. Guance rosee e pelle madreperlacea. Aspetto regale e perfetto da qualsiasi angolo la si guardasse. Ed un vestito nero così bello che Furihata si fermò ad osservarlo per una decina di minuti, ammaliata dalla sua forma sinuosa e sensuale.  Non le ci volle molto per riconoscerla quando la luce lunare illuminò totalmente il suo profilo – le informazioni sul suo conto riemersero velocemente dai suoi ricordi, facendole spalancare la bocca per una così inaspettata apparizione.
Quella davanti a lei era Hidenori Akashi – una studentessa, come lei, del terzo anno che faceva parte della Casata dei SerpeVerde.
Ciò che Furihata ricordava maggiormente di lei era, oltre la casata di appartenenza, il suo essere un PuroSangue; lei, nata babbana, poteva solo pensare come fosse avere intere decine di avi che fossero stati maghi e streghe – rimanendo immediatamente affascinata da una simile idea. Era, con tutte le probabilità, la ragazza più popolare dell’Istituto – perfino gli studenti conoscevano il suo nome ed arrossivano, storditi dal suo fascino, quando la vedevano percorrere il corridoio in silenzio. Molti professori la ritenevano l’allieva più brillante che avesse mai messo piede ad Hogwarts, rimanendo affascinati dalla sua bravura nel formulare incantesimi ed elaborare complicate pozioni.
 Circolavano tante storie sul suo conto – tra cui anche quella che avesse sangue di veela nelle sue vene – di cui Akashi non forniva mai chiarimenti o semplici accertamenti: sembrava tacitamente godere di quelle attenzioni e, mostrando un sorriso sensuale, continuare per la propria strada nel più completo silenzio.
Di fronte ad una simile creatura, così vicina all’essere considerata una divinità per molti studenti, Furihata chinò il capo in segno di rispetto e si alzò in piedi quasi avesse voluto riprenderla. Il contatto con il pavimento freddo la fece gemere dolorante e ritrarsi indietro sul piccolo e morbido tappeto su cui erano posti sia il tavolo che la sedia.
« Mi spiace! Non sapevo che questo posto fosse già vostro! Mi defilo all'istante! » esclamò imbarazzata la giovane stringendo immediatamente le scarpe a sé, continuando a mantenere chino il proprio capo per non incrociare lo sguardo di fiamma dell’altra. Fece per muoversi verso la porta, ma bastò che Akashi alzasse una mano per farla attendere con respiro mozzato.
« Non devi. Questo posto non è mio, vi sono capitata per caso » La voce di Akashi era calma: si disperdeva armoniosa per la biblioteca e ricordava a Furihata una triste quanto emozionante sinfonia eseguita da un violino – la giovane nata babbana arrossì ancora di più e, stretto leggermente a sé le proprie scarpe, desiderò profondamente accartocciarsi in un angolino buio e sparire dalla vista di un così perfetto essere.  Come poter spiegare quel disagio che si faceva forte nel proprio cuore? Più passava minuti assieme alla giovane e più si rendeva conto di quanto fosse graziosa ed elegante la sua interlocutrice. « Resta »
E Furihata immediatamente si risedette, simile ad un cagnolino mansueto a cui è stato dato un ordine. I suoi occhi erano fissi sul pavimento di legno, tuttavia riuscì comunque a seguire i movimenti dell’altra maga – sussultando sorpresa nel vederla sedere sulla sedia vicina alla sua.
« Sei anche tu in fuga dal Ballo? »  Sembrava in vena di chiacchiere quella sera, Akashi. Le sue labbra parevano due frutti rossi maturi e pronti ad essere colti – era imbarazzante per Furihata anche solo guardarla, costringendola a rimanere ferma nell’osservare il pavimento sottostante. « Raramente ho assistito ad una cosa così noiosa, non sono riuscita a rimanervi per più di mezz’ora » 
« Pensavo che foste abituata a simili festeggiamenti » sussurrò a bassa voce l’altra. Si rese conto solo dopo di quanto potesse risultare scortese un simile commento e, alzando velocemente la testa per scusarsi come meglio poté, scoprì la giovane persa nell’osservazione della scuola. Sembrava aver appreso solo in quel momento di come, di notte, quell’antico edificio si arricchisse di fascino e mistero rendendolo veramente fantastico agli occhi dell’osservatore.
« Mia madre ne organizza spesso, ma non ho mai avuto modo di parteciparvi » mormorò con voce incolore la giovane Serpeverde continuando a mantenere lo sguardo fisso sui tetti aguzzi e il tetro profilo delle Torri che parevano custodire al proprio interno incredibili segreti e non semplici laboratori di astronomia. « Penso, comunque, che siano noiosi tanto quanto questo. Forse anche più di questo. » 
« Mi spiace se con la mia domanda io – » 
« La tua era un’ipotesi più che motivata » la fermò ancora Akashi, alzando di nuovo la mano per arrestare le sue sempre più ansiose parole. Furihata serrò immediatamente le labbra e, appoggiate di nuovo le scarpe sul davanzale, riprese ad osservare la misteriosa e beneducata interlocutrice. Questa, dopo averle lanciato una veloce occhiata, riprese ad osservare oltre la finestra. « Nel mondo babbano organizzano spesso queste cose? »
Furihata scattò sull’attenti non appena sentì nominare il luogo da cui proveniva e, con espressione confusa, chinò il capo su un lato.
« Intendete nei college? Ah, non lo so. Forse se è particolarmente facoltoso, si – ma, comunque, si parla pur sempre un semplice ballo studentesco. Non ci sono tutti questi vestiti spumosi, valzer e ... » La voce le morì in gola non appena le tornò in mente il Torneo TreMaghi, ricordando spaurita la prima prova: lei, prima di allora, non aveva mai visto un drago. Si era trovata a tremare spaventata più volte nell’assistere  all’esibizione, non riuscendo nemmeno a fare il tifo per il campione della loro scuola. A volte, il mondo dei maghi riusciva davvero a terrorizzarla: rendendola incredibilmente confusa e incapace di rispondere difronte a certi tipi di avvenimenti.
« Com'è per voi, nati babbani, vivere qui? »
La domanda le sembrò così improvvisa da farla alzare lentamente il capo verso la giovane SerpeVerde – quasi fosse alla ricerca di qualche spiegazione del perché le avesse posto un simile quesito con tanta calma nella voce. Da quel che le era stato spiegato, i PuroSangue raramente si mostravano benevoli nei confronti dei MezzoSangue: li ritenevano al pari della feccia ed avevano più volte espresso desiderio di scacciarli da Hogwarts. Davanti a lei, tuttavia, Akashi aveva preso a studiare il suo corpo per poi sistemarsi più comodamente sulla propria sedia.
« A volte un po' difficile » ammise a bassa voce Furihata quasi stesse rivelando un segreto di importanza vitale: chinò il capo in avanti ma continuò a sostenere lo sguardo cremisi dell’altra giovane maga. « A ben guardare, però, io non mi sono mai sentita così diversa dagli altri. Certo, so meno cose riguardo il mondo della magia, però mi diverto ad imparare. E poi le mie amiche mi danno spesso una mano con gli incantesimi »
Akashi annuì leggermente per poi portare entrambe le mani sui braccioli e respirare, con calma, quell’atmosfera sempre più intima che si stava formando fra le due. Nonostante non lo desse a vedere, quella discussione la stava interessando parecchio e sembrava ben intenzionata all’approfondirla.
« Quindi hai problemi con quella materia » notò con voce piatta per poi far saettare il proprio sguardo dalla giovane alla fila di scaffali perfettamente ordinati della Biblioteca.
« No, no! Cioè, non particolarmente. Devo solo studiarla un po' di più! » rettificò Furihata prendendo a muovere freneticamente le mani quasi a voler  cancellare i contenuti della prima risposta e cercare di risultare ‘migliore’ agli occhi dell’altra. Si calmò non appena questa tornò a fissarla – sebbene il suo respiro continuasse a correre veloce. Furihata strinse le proprie mani in due pugni e cercò di formulare una domanda che le ronzava in testa già da un po’. « Voi, Akashi-san? Avete problemi con Incantesimi? » 
« No. Io non ho mai avuto alcun tipo di problema » rispose immediatamente Akashi accavallando le gambe. Il suo sguardo si fece di ghiaccio e, con improvvisa  eleganza, sistemò  con un veloce gesto dietro le proprie spalle i lunghi capelli rossi. « Piuttosto …  Quale hai detto essere il tuo nome? »
 

– quattro anni dopo

 
« Dolohoferio »
Furihata urlò a pieni polmoni, dando sfogo a tutta la voce rimastole dopo il duro scontro magico che aveva affrontato pochi minuti addietro. Avvertì con precisione il dolore comparire all’altezza del basso ventre ed esplodere per tutto il corpo, facendola tremare in preda agli spasi e sputare un’altra grande chiazza di sangue che andò a bagnare i suoi lunghi capelli castani. Annaspò in preda al dolore e quasi avrebbe portato le mani sul punto maggiormente dolente se la sua aguzzina non le avesse afferrato le mani e portato appena sopra la sua testa e puntato la bacchetta sotto il mente.
Nonostante la percezione della realtà attraverso i sensi stesse sempre più rivelandosi alterata e confusa, Furihata poté ascoltare tristemente la risata sadicamente divertita della Mangiamorte da cui era stata sconfitta. Qual era il suo nome? La giovane proprio non riusciva a ricordarlo nonostante la donna gliel’avesse ripetuto più volte all’orecchio – per poi morderlo divertita, giusto per gustarsi al meglio le sue lacrime.
Furihata non aveva creduto agli avvisi di Kuroko quando le era stato detto di fare attenzione. L’amica aveva afferrato le sue mani e, con espressione sinceramente preoccupata, le aveva suggerito di fuggire al più presto in un luogo sicuro e protetto per i nati babbani come lei. Era sempre stata così dolce con lei, Kuroko. In quel momento, Furihata si era limitata ad annuire e farle la stessa raccomandazione; in realtà non riusciva a credere che una come lei, una semplice ex-studentessa di Hogwarts, potesse essere presa di mira dai Mangiamorte. Era un pesce così piccolo da passare inosservato – o almeno così aveva sperato, mentre continuava a procedere all’operazione di evacuazione di popolazioni civili da zone che potevano essere soggette a frequenti scontri tra Auror e Mangiamorte.
Era stata proprio una di quest’ultimi a palesarsi nel suo appartamento e trascinarla via per i capelli, non badando nemmeno alle iniziali ferite che le aveva inferto.
Jun Mibuchi – perché questo era il nome della sua aguzzina – era una Mangiamorte dai modi mascolini e lo sguardo intriso di una vena folle.  I capelli scendevano fino al suo collo ed erano legati dietro in un disordinato codino; indossava un completo nero da uomo, tuttavia risultava facile riconoscere in lei una natura femminile: la sua voce era incredibilmente stridula e le sue spalle esili e piccoli. Probabilmente se non si fosse scagliata di lei con così tanta forza in corpo, Furihata non avrebbe mai creduto che dentro di lei ci celasse una così folle dedizione per l’operato Oscuro.
Da quando andava avanti quell’interrogatorio? Furihata avrebbe voluto tanto conoscere la fine di quella tortura che le si stava infliggendo da quando si era svegliata in quella tetra e mostruosa Villa. A quanto pareva, i Mangiamorte erano venuti a conoscenza del suo rapporto con Kuroko ed erano convinti del fatto che conoscesse il suo nascondiglio, nonostante lei avesse ripetuto più volte di non saperne niente.
Ed era così infatti.
Nonostante fosse stata compagna di stanza di Kuroko per ben sei anni e si fosse occupata della Biblioteca di Hogwarts, l’amica aveva ritenuto non opportuno esporla ad un rischio nel rivelarle la natura dei suoi piani per fermare l’Oscuro Signore.
Era un modo per ringraziarla dall’averla salvata durante l’attacco ad Hogwarts.
Furihata, infatti, aveva scacciato con coraggio un Dissennatore che la stava torturando nel momento in cui era stata allontanata da Kagami e l’aveva condotta in salvo. Sia lei che Kuroko avevano riportato parecchie ferite durante la fuga, ma la prima aveva detto di essere orgogliosa di sé nell’aver finalmente provato di essere abbastanza coraggiosa per essere una Grifondoro. Kuroko aveva detto che, finita la Guerra, avrebbe ricompensato la sua prova di grande coraggio; ma Furihata aveva più volte ripetuto quanto questo fosse poco necessario.
A quanto pareva, a Mibuchi questa versione non convinceva affatto. Aveva preso a darle della bugiarda e, riprendendole a tirare i capelli, l’aveva costretta a rimanere giù per terra. Questa aveva tentato di afferrare la sua barchetta ma la Mangiamorte l’aveva spezzato davanti ai suoi occhi, rendendola definitivamente alla sua mercé.
La tortura aveva avuto inizio da allora.
Furihata aveva sbattuto i pugni contro il pavimento, spalancato le labbra e dato sfogo a quel dolore che la stava facendo impazzire scaturito dall’interno ed esterno del proprio corpo. Le sue erano grida isteriche, sempre più forti e alte, che riecheggiavano contro le alte mura del soffitto per poi sparire dentro gli spifferi fra le porte ed espandersi nelle altre stanze.
In un primo momento, aveva cercato di sfuggire a quella presa e persino preso a scalciare quando il dolore era veramente divenuto insopportabile; la Mangiamorte, però, aveva stretto la sua mano intorno al collo e minacciando immediatamente di ucciderla attraverso una Maledizione Senza Perdono, aveva sedato il suo estremo tentativo di ribellione.
« Yuki-chan » La vocetta stridula della donna più grande risuonò limpida nel suo cervello, rendendola un corpicino tremante in balia della forza oscura che si stanziava sopra di lei. Furihata avrebbe voluto urlare, ma un singhiozzo più forte diede via ad una serie – rendendola incredibilmente mansueta. « Non sta bene dire bugie, lo sai? »
« Lo giuro, non ne so niente! Lo giuro! Lo giuro! » ripeté istericamente Koyuki continuando a divincolarsi in preda alla paura. Serrò gli occhi non appena avvertì il profilo della donna chinarsi di nuovo su di lei: le ciocche dei capelli cadessero sul suo volto, insinuandosi fra le sue labbra secche. Furihata singhiozzò più forte e si morse le labbra nel tentativo di tenere duro a quella fine che sentiva farsi sempre più vicina.
« Avanti, Yuki-chan! Non farmi arrabbiare di nuovo ~ » ripeté con una sadica dolcezza nel suo orecchio Mibuchi, allontanando la bacchetta da sotto il suo mento per allentare un poco la tensione. « Dimmi dove si è andata a nascondere Hota-chan. Lo so che lo sai. Eravate amiche, no? Te lo deve aver per forza detto! »
« Ho detto la verità: non lo so! »
« Bugiarda ~ »
La maledizione cruciatus sibilò fredda fra i suoi denti, producendo immediatamente effetti sulla pelle lattiginosa di Furihata che, in preda agli spasmi, riprese ad urlare sempre più disperata battendo più volte la testa contro il pavimento di marmo. Inarcò il proprio petto e riprese a scalciare nonostante l’altra strega le avesse ripetuto di non farlo. Aveva sentito dire delle vittime torturate dai Mangiamorte, ma solo ora comprendeva cosa volesse dire il terminare ‘fatti impazzire dal dolore’.
Pianse più forte.
Non voleva morire così. Anzi, lei non voleva affatto morire.
Aveva promesso ad Akashi di rimanere viva fino alla fine del conflitto. La giovane, la sera della sua partenza, l’aveva stretta in un così caldo abbraccio da farle venire meno la paura. L’aveva coccolata come mai aveva fatto prima di allora e, sdraiata accanto a lei, aveva promesso che avrebbe vegliato su di lei nonostante la lontananza. Furihata non le aveva domandato dove stesse andando e perché non avesse avvisato i Professori della sua decisione di tornare dalla madre: aveva accettato il tutto passivamente, per poi scoppiare a piangere e pregarla di aspettare che l’anno terminasse. Quella sera, le due si erano riunite nella camera di Akashi ed avevano passato insieme intere ore a parlare e far progetti su quello che avrebbero fatto una volta che la Guerra fosse finita.
Il suo amore per Akashi era nato nella Biblioteca in cui si erano incontrate la sera del Ballo del Ceppo. Si erano viste quasi tutti i giorni, finendo per passare intere ore a chiacchierare sempre più e diventare presto amiche. La giovane SerpeVerde si era rivelata essere una delle persone più dolci che Furihata avesse mai incontrato: era incredibilmente premurosa e gentile nei suoi riguardi, finendo addirittura col dimenticarsi che fosse una nata babbana ed invitarla più volte nella propria camera. Dietro la maschera di studentessa perfetta, si celava una ragazza dotata di una sensibilità unica che le aveva sussurrato con voce tremula di volerle bene e l’aveva protetta dai suoi compagni quando avevano apertamente mostrato di voler cacciar via quelli come lei da Hogwarts.
Furihata era così contenta di essersi innamorata di lei e, nonostante in quel momento fosse presa da un dolore lancinante, il solo ricordare il volto di ‘Hide’ – perché, sì, con il passare dei mesi la ragazza le aveva anche concesso di chiamarla per nome – tranquillizzò il suo spirito in pena. Le lacrime continuarono a scendere veloci lungo il suo viso, ma la giovane si sforzò di attaccarsi a quel ricordo e non cedere difronte a quella tortura. Avvertì il braccio sinistro prendere a sanguinare, ma non ebbe il coraggio di voltarsi verso di questo ed appurare cosa la donna le stesse facendo.
Poi, improvvisamente, il dolore cessò.
Furihata spalancò gli occhi sorpresa e si domandò cosa stesse succedendo, voltandosi verso il corpo sfocato della Mangiamorte che si era messa seduta – sadicamente – sul suo ventre sanguinante. Il respiro si fece ancora più veloce, portandola a domandare cosa stesse accadendo.
« Hide-chan ~ » la sentì cantilenare alzandosi dal pavimento con espressione allegra in volto – come se, ai suoi piedi, non tremasse un corpo sanguinante e sempre più indifeso. Furihata non riusciva a capire cosa stesse dicendo portandola a tremare con maggiore intensità, pregando che un altro Mangiamorte non si stesse unendo a quella lugubre attività. « Oggi sei arrivata presto: non avevo ancora preparato la cena! »
La vista ormai sbiadita di Furihata riuscì a scorgere un’ombra che si piegava accanto a lei: venne presa dal panico e tentò di scansarsi, rendendosi conto di quanto il suo corpo fosse debole ed incredibilmente pesante da spostare. Singhiozzò e, girandosi sul lato opposto, tentò comunque di fuggire rigando il pavimento con le proprie unghie.
« Koyuki »
« La prego ... La prego! » urlò Furihata strizzando gli occhi disperata  non appena avvertì quell’ombra artigliare la sua spalla destra, nel tentativo di poterla osservare meglio. Una scossa di dolore si spanse velocemente dalla spalla a tutto il corpo, facendola gemere sofferente. Si portò le braccia intorno al petto e respirò lentamente, trovando presto sangue incrostato nel naso. « La prego, mi lasci andare! Io non so! Non lo so, lo giuro! Davvero! Mi lasci andare, la prego! »
« Koyuki, sono io »
« Non lo so! Giuro che non lo so! » continuò a piangere Furihata in preda al delirio. I suoi occhi erano, ormai, diventati due spazi bianchi che non si spostavano dal pavimento marmoreo. Durante la tortura, si era sforzata di trovare un punto fisso e di concentrarsi su di esso per non sentire troppo il dolore – così le era stato detto durante una lezione di ‘Difesa Contro le Arti Oscure’.  « ... La prego, mi creda! Mi creda, io non ne so nulla! Lo giuro! »
Ma Furihata singhiozzò più forte, cercando di accartocciarsi per un possibile attacco fisico. Era convinta che la donna – perché, quella voce dolce poteva appartenere solo ad una donna – avrebbe presto sguainato la bacchetta e preso a ripetere ‘Crucio’, come la strega prima di lei aveva fatto, contro il suo corpo. Avvertì del sangue scendere velocemente dal suo braccio, rendendola conto di una ferita abbastanza grave che Mibuchi aveva esercitato su di lei.
Cosa le aveva scritto su quel braccio? Furihata non riusciva nemmeno a leggerlo tanto la vista le si era offuscata. Passò la mano sopra la ferita, gemendo sofferente nel rendersi conto della complessa formula era stata esercitata su di esso e pensò a cosa avesse mai potuto fare Mibuchi al suo corpo.
« Lo so, Koyuki. Lo so che non ne sai nulla. » Si sentì avvolgere da due calde braccia e tirata faticosamente su. Il suo cervello smise di pensare, troppo stupito da una simile azione: si domandò se l’avessero reputata un cadavere e se stessero cercando di sbarazzarsene. « Ora ti porto in camera »
Furihata era, ormai, vittima di un dolore così intenso da non farle nemmeno mettere a fuoco ciò che le si agitava incontro – perfino i suoni le arrivavano confusi, rendendola in completa balia del mondo esterno. Il suo petto si alzava e abbassava a ritmo incostante, redendola vittima di brividi che si espandevano dalla schiena per tutto il corpo. Sentiva questo bruciare in ogni angolo, come se le si fosse dato fuoco dall’interno e si stesse attendendo che il dolore la privasse di ogni funzione vitale.
Aprì la bocca come per parlare, ma da essa non ne uscirono che gorgoglii incomprensibili.
« Ma ... Hide-chan! La cena! Come facciamo per la cena? »
Akashi? Quella donna che la stava salvando era Akashi? La giovane roteò lentamente il proprio volto verso quella figura sfocata che continuava a sorreggerla come fosse una principessa. Non riusciva a riconoscere i tratti del suo volto, tuttavia scorse qualche ciocca rossa che scendeva vicino alla sua guancia destra. Il suo animo parve immediatamente acquetarsi, dissimulando perfino il dolore fisico che le si insediava sempre con maggior forza.
« Hide-chan! » La voce di Mibuchi le sembrò così lontana da non rappresentare nemmeno più pericolo. Si accartocciò contro quel corpo, riconoscendolo immediatamente come amico e non fece più parole. « Hide-chan, ma perché non mi ascolti? Guarda che importante! Se non mangi, non – »
« Voglio delle garze. E dei vestiti puliti. »
« Dove vai, Hide-chan? Stasera ci riuniamo, non ricordi? Non puoi rintanarti in camera! L’Oscuro Signore tornerà qui ed avrà con sé la Bacchetta di Sambuco. Devi esserci anche tu: è un’occasione importante. »
 
« Hide? »
Furihata si era svegliata. Immediatamente Akashi spostò l’attenzione dalle bende al suo volto ancora sporco di sangue, portandola a spostarsi dalla sedia al bordo del letto su cui aveva adagiato l’altra giovane donna. La osservò aprire gli occhi stancamente e tentare di sorriderle, nonostante le fasciature al volto e alla fronte; si piegò di lei, cercando di essere messa al fuoco dall’occhio così incredibilmente stanco della sua ragazza.
« Ben svegliata, Koyuki » sussurrò piano, accarezzando dolcemente i suoi capelli, scoprendoli presto sporchi di sangue come il resto del corpo. Avrebbe voluto lavarla ma il bagno si trovava fuori dalla stanza e non poteva permettere che Mibuchi accedesse a lei mentre cercava di riempire una ciotola d’acqua. « Sei nella mia camera. Non alzarti. Sei ancora troppo debole: devi riposare »
Furihata annuì piano, incredibilmente affaticata – nonostante avesse dormire per due ore intere, lasciando che fosse Akashi ad occuparsi delle cure e dei bendaggi del suo corpo ferito. Quest’ultima imbevette una garza di un unguento verde e lo passò sotto gli occhi di Furihata per cercare di rendere meno doloroso l’attività del parlare. Nel trovarsi così vicina al suo volto, baciò le sue labbra rinsecchite e regalò un sorriso veloce all’amata; Furihata arrossì per poi ricambiare faticosamente il sorriso.
« Che ne è stato di Mibuchi? » sussurrò a bassa voce, scoprendola incredibile debole e roca – si domandò se le sarebbe mai tornata dopo la quantità di urla che aveva cacciato durante  la tortura, per poi tentare di schiarirsi la voce e scoprirsi ancora più dolorante e malmessa di quel che credeva.  Akashi passò un panno sul suo corpo sudato e lo imbevette, di nuovo, di quello strano unguento verde.
« Non te ne devi preoccupare ora, Koyuki. Pensa a riposare. » 
« Hide, quella donna è una Mangiamorte … » 
« Come ho già detto, Koyuki, tu sei troppo debole. Non è il caso che ti muova »
« Ma Hide – »
« Lascia che sia io ad occuparmi delle tue ferite » cambiò repentinamente discorso Akashi, deviando il proprio sguardo sul tavolo in cui facevano la comparsa garze e medicine varie. Furihata seguì i suoi occhi per poi guardare quelle strane bottiglie dai colori più strani: erano così strane le medicine che i maghi erano solite usare … Nell’avvertire di nuovo la mano di Akashi sul suo corpo, Furihata si abbandonò completamente a lei: la vide concentrarsi sul suo braccio sinistro e scoprire una ferita ancora fresca che la giovane non aveva avuto la forza di nascondere. ‘Nata Babbana’. Era questo che Jun Mibuchi aveva inciso a sangue sul suo corpo. Furihata tremò. « E mi occuperò anche di questo »
« Quella donna ... » balbettò insicura delle sue stesse parole, facendo immediatamente voltare Akashi verso di lei. Furihata represse a stento i singhiozzi troppo forte che le insinuavano nella gola e facevano tremare la sua voce ancora di più. « Quella donna continuava a chiedermi dove si trovasse Kuroko-chan, ma io ... Davvero, non ne so nulla. Non l'ho più vista dopo l'attacco ad Hogwarts »
« Lo so, Koyuki » ripeté ancora una volta Akashi annuendo piano – quasi a voler dare forza alle sue parole che, in precedenza, non erano riuscite a convincere Furihata al fidarsi di lei. « Ma ora sei al sicuro. Non pensarci più »
« Continuava a ripetermi le stesse domande e si arrabbiava ... Si arrabbiava così tanto quando le dicevo che non lo sapevo » continuava a raccontare Furihata, tirando su col naso spesso. Lasciò che Akashi  stringesse la sua mano sinistra e i suoi occhi versassero altre lacrime in ricordo della violenza appena vissuta. « Hide, credevo mi avrebbe uccisa! »
« Non l'avrei permesso » 
« Grazie per essere venuta a salvarmi. Ti devo la vita, Hide » sorrise finalmente Furihata, stringendo leggermente la presa alla mano dell’altra ragazza. Sembrava essersi improvvisamente rasserenata nel sentir così vicina a sé la donna amata: la sua mente sembrò tranquillizzarsi del tutto fino a che, qualche domanda, fece la sua comparsa. « Ma come hai fatto a trovarmi? Non credo che i miei movimenti siano monitorati da – » 
« Io non faccio parte degli Auror, Koyuki » chiarì immediatamente Akashi mostrando immediatamente un’espressione seria e autoritaria, Furihata si accigliò confusa.
« Non ... Non ne fai parte? E allora come – » 
« Sono anch’io una Mangiamorte, Koyuki »
Un improvviso silenzio cadde fra le due, spingendo Akashi ad allontanare la mano da quella dell’altra.
« Stai scherzando, vero? » chiese retoricamente la giovane donna mostrando un’espressione confusa, a tratti quasi divertita. Sfoggiò un sorriso incredulo e piegò leggermente le sopracciglia, continuando ad osservare la donna amata. « Hide, tu non puoi essere una Mangiamorte! Tu sei una brava persona, non potresti mai fare del male ad altri maghi o babbani. Tu sei – »
La mano fredda di Akashi accarezzò dolcemente la sua guancia, quasi a volerla confortare da una notizia di cui non riusciva a prendere coscienza. La giovane nata babbana, infatti, continuava a mostrare in volto un’espressione a metà fra il divertito e il confuso. Non riusciva a credere che la maga che l’aveva torturata ore addietro e la ragazza che amava fossero entrambe membri dello stesso gruppo – Akashi, ai suoi occhi, era l’essere più gentile e buono che il Creato le avesse mai donato.
Fu allora che vide quel tatuaggio – il famoso serpente che si ramifica dentro un teschio – sul braccio sinistro della giovane maga che, con incredibile compostezza, lo sfoggiava davanti ai suoi occhi.
Il mondo sembrò crollare addosso Furihata facendole spalancare gli occhi e serrare le labbra rinsecchite.
L’altra ragazza non fece parola e, abbassata la manica della sua camicia, riprese ad immergere il panno nell’unguento per bagnare il corpo di Furihata. Lo strizzò con precisione e poi, dopo averla strizzata, cercò di passarla sul collo della giovane – questa cercò di allontanarsi.
« Non toccarmi » sibilò incattivita la giovane, mostrando i denti come se si trovasse davanti un animale feroce e questa fosse l’unica cosa da fare per non farsi attaccare. « Ho detto che non devi toccarmi! »
«  Non abbiamo tanto tempo, Koyuki. Evita di lasciarti andare alla rabbia. » la riprese risentita Akashi per poi appoggiare ancora una volta il panno sul suo viso, senza far caso alle proteste fisiche dell’altra. « L’Oscuro Signore sta venendo qui: Mibuchi l’ha già avvisato della tua presenza e del tuo legame con Hotaru. Non gli importa che tu non sappi nulla. Non c’è più scampo per te »
L’altra spalancò gli occhi scioccata e, lentamente, tornò ad osservare inorridita il volto di Akashi. Questa fece un rapido segno di assenso e, in silenzio, riprese a curare il suo corpo – senza nemmeno fare troppo caso al tremore che aveva preso ad infestare il corpo di Furihata.
L’Oscuro Signore.
L’oscuro Signore stava venendo lì.
Non c’era scampo.
« Egli farà cose al tuo corpo e alla tua anima che non puoi nemmeno immaginare. Ti farà impazzire da dolore – non riuscirai neppure a piangere per quello che proverai. Poi ti ucciderà nella maniera più atroce possibile e non darà sepoltura al tuo corpo, lasciando che sia il serpente ad occuparsene » spiegò a denti stretti Akashi senza mai cercare un contatto visivo con lei. Il tremore che stava scuotendo le sue spalle e le sue mani, sembrava bastarle. « Io non posso permetterlo, Koyuki. Mi capisci? Non posso permetterti di morire così.  Ed è per questo che ho preso una decisione »
« Quale decisione? » ebbe il coraggio di domandare Furihata, presa dalla paura che in quel momento si affollava nel suo corpo. Lo sguardo cremisi dell’altra strega si posò su di lei, per poi abbandonare il panno bagnato, e portare entrambe le mani sul suo collo.
Un brivido di puro terrore assalì il corpo di Furihata non appena le mani della donna cercare di chiudere il passaggio d’aria nel suo corpo. Lanciò un urlo isterico e prese a contorcersi in preda alla paura.
« No! No, non voglio! » gridò la ragazza cercando di colpire il volto di Akashi che non dava segni di cedimenti emotivi difronte ad una simile azione. Furihata si agitò disperata, dando pugni contro quelle mani perfette che si insinuavano sempre più in profondità. « Hide, lasciami! Lasciami andare! »
« Non posso, Koyuki » la sentì sussurrare a bassa voce con tono perfettamente calmo ed intatto, continuando a fare pressione sul suo collo. « È l’unico modo che ho per salvarti »
« Strangolandomi? È così che mi salvi? » Con una spallata che bruciò le sue ultime energie, Furihata riuscì a liberarsi di quella presa claustrofobica e portarsi, faticosamente a sedere sul letto. Presa dalla paura, cercò di proteggersi come meglio poteva dalla propria coetanea che però riuscì a riacchiapparla con fin troppa facilità: l’afferrò infatti per i fianchi e non badò alle sue grida di aiuto che si espandevano isteriche per la piccola stanza.  Cercò di combattere per poi tentare un altro approccio: « Hide, andiamocene via! Abbandona la schiera dei Mangiamorte! Torna ad essere quello che sei: tu sei una brava persona, Hide! Non un’assassina! Io sono convinta che, se il tuo pentimento fosse sincero, tutti sarebbero disposti a perdonarti! Andrebbe tutto bene! Ti lascerebbero in pace e potremmo continuare a vivere serenamente! »
« Non abbiamo tempo per queste sciocchezze, Koyuki. »
La voce di Akashi era incredibilmente calma – proprio come il giorno in cui si erano conosciute. Furihata prese a singhiozzare disperata, tentando di nuovo di divincolarsi da quella presa così forte che la donna esercitava sui suoi fianchi.
« Non sono sciocchezze, Hide! E lo sai meglio di me! » strillò ancora, cercando di mostrarsi più risoluta; ma, complici le lacrime e la sua voce che veniva sempre meno, risultò solo una preghiera disperata. « Se solo mettessi da parte il tuo orgoglio, capiresti che – »
 « Non è questione di orgoglio! » tuonò imperiosa Akashi immobilizzandola con facilità estrema sotto di sé, proprio come era riuscita a fare un tempo quando erano ad Hogwarts. Fece pressione sulle sue spalle, cercando di evitare una seconda possibile fuga che, era certa, non sarebbe riuscita a contenere. « Se li tradissi, se la prenderebbero con te. Ti farebbero del male e io dovrei assistere a tutto ciò. E non potrei mai farlo. Preferisco ucciderti io stessa che lasciarti nelle mani degli altri Mangiamorte. Preferisco macchiarmi di un simile delitto che piangere il tuo corpo distrutto »
Furihata la osservò dritta negli occhi, ora incredula ora semplicemente spaventata da ciò che la donna che amava voleva farla. Era semplicemente confusa da ciò che la donna le aveva confessato in pochi minuti? Non sapeva se fidarsi o meno di quelle parole così crudeli che Akashi pronunciava sempre più sofferentemente. Se era davvero un Mangiamorte perché voleva salvarla dall’Oscuro Signore? E se non era così … perché, se davvero l’amava, voleva ucciderla?
Non c’era spiegazione logica a tutto questo.
« Non voglio morire! Non voglio ancora morire! » pianse la giovane continuando ad agitarsi sotto di lei senza quel divertimento ed innocenza che aveva mostrato un tempo, quando la donna aveva solleticato le sue carni per poi scoprire le prosperose forme del suo seno. Dov’era l’Akashi di quel tempo? Davanti a lei si stagliava un leone che osservava il suo corpo ferito con una serietà e consapevolezza che lei non riusciva nemmeno ad intuire. « Non così … Ti prego, Hide … Non voglio morire così! »
« Imperio »
Furihata emise un rantolo disperato prima di perdere lucentezza nello sguardo e ridursi ad una bambola silenziosa. Akashi strinse la sua bacchetta fra le dita della mano per poi sospirare difronte a quell’inaspettato successo e rinfoderarla dentro la cintura. Sotto di lei, Furihata non si sarebbe più ribellata a quella scelta che aveva deciso fra le lacrime di attuare. Non poteva comprendere quanto dolore stesse provando nell’attuare una simile decisione: sentiva già il peso del peccato nell’osservare il collo chiaro della propria ragazza?
Il respiro si mozzò, vittima di un improvviso ripensamento – ma subito questo venne meno in ricordo del cadavere del MezzoSangue che aveva visto personalmente divorare dal Serpente.
No, Koyuki non avrebbe avuto una simile fine. A lei, Akashi avrebbe dato una splendida tomba e dei fiori sempre freschi. A quanto pareva, il destino non le permetteva di vivere felice con Furihata: ma lei non avrebbe riservato una sorte crudele all’amata. Avrebbe protetto quell’amore che aveva saputo conquistarla lentamente – anche se si trattava di vegliare su un cadavere in continua decomposizione.
« Mi dispiace, Yuki »
La voce tremula si perse nelle quattro pareti, improvvisamente silenziose.
La PuroSangue artigliò con le proprie unghie il collo perfetto della propria ragazza. Il respiro regolare di Furihata si mozzò dopo un paio di minuti, tuttavia Akashi non spostò le mani dal suo collo continuando ad esercitare una sempre più forte pressione. Si incurvò su quel corpo, continuando a spingere nonostante ormai fosse chiaro che quello non fosse altro che un semplice cadavere.
Avrebbe voluto urlare e dare sfogo al dolore che, in quel momento, stava lacerando il suo spirito; ma rimase in silenzio continuando a spingere e stringere quel collo che aveva baciato ripetutamente durante gli anni scolastici.
Quei tempi, sapeva, non sarebbero tornati mai più.

  
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