The cruelest month. [Cristina; 500 parole]
Si era formata, tanto tempo prima, una lunga crepa sul suo cuore; poteva sentirla, la vedeva nella mente e – non era naturale, no – sapeva che c’era. Ma neanche un bisturi avrebbe potuto guarirle la ferita, c’erano cose che la cardiochirurgia non riusciva a fare.
Esattamente come lei non poteva aprirsi il petto, sistemare il danno e richiudersi, per poi vivere in pace, quella crepa non poteva essere colmata con nulla, né guarita.
Cristina posò le chiavi di casa – la sua nuova asettica e pulitissima casa – sul tavolo, lasciandosi cadere malamente su una sedia. Era stanca, era stata una giornata pesante, a fare avanti e indietro per l’ospedale senza concludere alcunché. Una giornata stupida, insomma.
«Cristina.» la chiamò Preston, raggiungendola.
Lei lo guardò dalla sedia, stancamente, e rimase in silenzio a fissarlo lì, ritto, impeccabile; una leggenda in molti ospedali, lui e la sua mano.
Preston le si avvicinò e le prese una ciocca di capelli fra le dita, per poi sistemargliela dietro l’orecchio, e si abbassò lentamente su di lei; le labbra socchiuse e gli occhi scuri a fissarla. Incessantemente.
Cristina sentì che non reggeva un tale sguardo, quasi. Era intenso – era più di uno sguardo.
«Tu mi ami.» sembrava volergli dire, ma Cristina non fiatò: era immobile davanti a quegli occhi, a quelle labbra, e il suo corpo si mosse da solo, alla ricerca del calore preannunciato. Tese il viso e lo sfiorò con la bocca.
Il bacio fu infinito nei suoi pochi attimi. La perfezione di due cuori che battevano all’unisono, Cristina riuscì a sentirla mentre scivolavano sul letto, fra le lenzuola. Ci riuscì.
Non è che voleva essere triste, non vedeva il motivo – sì, c’era, ma non era abbastanza – e stare in quello stato le dava fastidio. Non era lei.
Cristina Yang non si comportava così, e basta.
Eppure sentiva quella crepa sul cuore, quella che era nata quando aveva nove anni, allargarsi, e dentro di essa Cristina sprofondava. Affondava proprio nel centro nero e indissolubile di ciò che la rendeva un Dio – lei lo era, con un bisturi in mano lei era Dio.
Avrebbe dovuto saperlo che sarebbe finita male, se l’era sussurrata all’inizio, pensando a lei e Preston, ma invece no: no, non aveva ascoltato, come una qualunque donna innamorata.
Era stata una qualunque, in quei momenti.
Cristina scosse la testa da tutti quei ragionamenti, cercando di non pensare; si mise a giocherellare con una penna a biro, facendola rotolare sul tavolo.
Era difficile, si lasciò sfuggire distrattamente. Era crudele, e distruttivo. Tanto valeva non aver provato nulla di nulla.
Anche Meredith… soffriva ma sopravviveva, soffriva ma indietreggiava. E crepe ovunque sulle sue difese si diramavano, affondando anch’esse.
Era quella, la parte più crudele della storia: il non lieto fine.
Non lo aveva mai desiderato, ma dopo che le era stato tolto il suo happy ending, era come se fosse stata privata di una solida certezza.
E così, quello era il mese più crudele; e continuava giocherellando con la penna.
Camminava sul ghiaccio scivolando, facilmente.
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In ordine cronologico: a nove anni il padre di Cristina le è morto davanti gli occhi, Cristina e Preston insieme (L), il periodo dopo che Preston se ne va.
Ringrazio di cuore Leti, per tutti i suoi magnifici complimenti.
E poi: recensite, disgraziati lettori! Che vi costa farlo, dopo che avete letto il capitolo? Non prende nemmeno troppo tempo, sapete?
E ora vado *_* a presto, Kò!