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Autore: Shireen    31/01/2015    2 recensioni
I pensieri che attraversano la mente di un Jaime Lannister stanco e invecchiato, tornato a mettere piede in un castello che non gli è mai piaciuto troppo.
“E allora perché mi sento così? Come se anch’io fossi arrivato al mio, di crepuscolo?”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jaime Lannister
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di George R. R. Martin; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
 
 



IL LEONE AMMACCATO

 
 

“È dunque davvero così?” Pensò Jaime Lannister. “Non importa per quanto a lungo abbiano vagabondato, alla fine, tutti gli uomini sono destinati a tornare a casa.”
Spinse la porta di legno e ferro e di colpo seppe di essere tornato il bambino che era una volta. La fulgida luce dorata lo investì, e lui dovette chiudere e riaprire gli occhi almeno un paio di volte perché essi vi si abituassero. Un sorriso si dipinse sulle sue labbra. Castel Granito non era bello come altri castelli, ed i Lannister erano davvero dei gran bastardi. Ma tra tutti quei valorosi lord e cavalieri, erano proprio loro a possedere il tesoro più bello. Non i Tyrell, non i Baratheon, non i Targaryen. 
La luce del tramonto sembrava danzare sulla corazza tempestata di rubini, mentre i bracciali a placche e gli schinieri parevano fiumi d’oro fuso, lucenti e perfetti. Era eterna, l’armatura conservata nella Sala degli Eroi. Vista da lontano, nulla sembrava averla mai sfiorata nelle generazioni e generazioni in cui era stata indossata da lord e re Lannister.
Mosse qualche passo sui tappeti porpora per avvicinarsi a toccare ancora una volta quello che era stato l’oggetto dei suoi sogni da ragazzino. Ricordava di come trovasse inquietante il suono dei suoi passi nel castello, di come si sentisse piccolo quando udiva l’eco correre all’infinito da una pietra all’altra. Non si era mai sentito troppo a suo agio, lì, perché la consapevolezza di trovarsi in un enorme e spaventoso blocco di granito lo abbandonava soltanto quand’era tra le braccia di sua sorella. Eppure, in qualche modo, anche la Sala degli Eroi era sempre stata il suo bozzolo protettivo.
Accanto all’armatura, su un tavolino, si trovava l’elmo. Avvicinò la mano sinistra, quella che ancora aveva, a sfiorarlo. La testa di leone era ammaccata e graffiata in innumerevoli punti, e, sebbene il piumaggio porpora sembrasse intatto, Jaime avrebbe scommesso anche la mano che gli rimaneva che, a mantenere il colore così vivido, avesse contribuito anche il sangue di migliaia di guerrieri caduti nelle battaglie.
Tornò a guardare l’armatura, e ora notò che anch’essa era scheggiata dai centinaia e centinaia di scontri cui aveva preso parte. Da piccolo, non le aveva quasi mai notate, quelle imperfezioni. Quando ancora non era lo Sterminatore di Re, quello che aveva tradito qualunque cosa potesse essere tradita. Quando il suo onore ancora non era merda.
Improvvisamente il mondo parve diverso, lui parve diverso. Il buio era calato, la mano destra era di nuovo al suo posto e lui poteva sentire timide lacrime rigargli il volto. Ricordava quella sera, quando la lady loro madre aveva scoperto lui e Cersei insieme, e, palesemente orripilata, aveva riempito di guardie la loro ala della fortezza. Jaime era scappato, furioso, ed era andato a rifugiarsi lì, nel posto che era soltanto suo. Solamente dopo, il futuro lord di Castel Granito, Scudo di Lannisport e Protettore dell’Ovest si era concesso di piangere. Aveva pianto perché il castello sarebbe tornato ad essere minaccioso, senza Cersei, aveva pianto perché è sempre troppo difficile fare quello che gli altri si aspettano che tu faccia.
Dopodiché, però, quando non ebbe più lacrime, giurò solennemente che quella sarebbe stata la prima e l’unica volta in cui si fosse dimostrato debole.
«Non importa quanto quello che succede non gli piaccia, il leone deve essere forte sempre» gli aveva detto Cersei quando il lord loro padre le aveva annunciato che, raggiunta l’età giusta, sarebbe andata in sposa a un lord di qualche nobile casata.
Si era immaginato in quell’armatura, il giovane leone di Lannister con la spada in pugno. Il suo nome sarebbe diventato famoso in ogni angolo dei Sette Regni. Già a otto anni la sua abilità con la spada da addestramento era eccezionale. Tra pochi anni, nessuno avrebbe osato competere con lui, e chiunque, chiunque avesse osato minacciare il sangue del suo sangue si sarebbe ritrovato infilzato. Avrebbe protetto i deboli, gli innocenti. Avrebbe cavalcato libero con sua sorella tra alberi e colline.
 
Jaime Lannister lo Sterminatore di Re rise, rise e rise.
Avrebbe voluto schiaffeggiarlo con la rigida mano d’oro che aveva ora, quel maledetto ragazzino. Schiaffeggiarlo e dirgli che era stupido, che la vita non era una ballata, e che non si ottiene mai quello che si vuole; che del ruggente Jaime Lannister sarebbe rimasto soltanto quell’arto di metallo con cui non poteva fare niente.
Certo, avrebbe imparato ad essere uno spadaccino formidabile, il migliore, avrebbe imparato a non mostrare mai esitazione. Avrebbe fatto tutto, tutto quello che era in suo potere per amore. Eppure, si sarebbe dovuto ricordare una cosa fondamentale: i demoni che si annidano nell’anima non sono sacchi di carne e sangue da poter zittire facilmente con l’acciaio.
Si sporse dalla finestra e guardò il mare illuminato dalle ultime luci del giorno. Era un crepuscolo come tutti gli altri, lo sapeva.
“E allora perché mi sento così? Come se anch’io fossi arrivato al mio, di crepuscolo?” 
   
 
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