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Autore: _Frame_    31/01/2015    1 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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22. Generale Leroy e Maggiore De Backer

 

 

10 maggio 1940

 

La giacca dell’uniforme rossa era stesa sotto il braccio, le maniche dondolavano vicino alle ginocchia, i gradi e le targhette puntate sulla stoffa scintillavano a ogni passo. Inghilterra sollevò la mano e appoggiò la giacca sulla spalla con un piccolo slancio. Infilò due dita sotto il colletto della maglia, l’unghia del pollice sganciò il primo bottone.

“Chiamandomi qui mi sta facendo perdere tempo e forze.” Aprì il colletto, e le dita continuarono a tirare la stoffa. Gli occhi di Inghilterra rotearono di fianco. Lo sguardo seccato squadrò l’uomo che camminava vicino a lui. “Ne è consapevole, generale?”

Il generale non gli rispose. Una leggera piega di fatica attraversò il volto rigido e teso. L’uomo si schiarì la voce ma non disse nulla. Incrociò le dita dietro la schiena e strinse le spalle. I gradi da generale puntati sul tessuto verde delle spalline e la bandiera francese cucita poco più sotto.

Le dita di Inghilterra scivolarono via dal colletto della camicia. Scostò la frangia dalla fronte, e il braccio sollevato nascose un cinico e amaro sorriso che gli piegò le labbra.

“Credo che sia l’ultima cosa di cui abbiate bisogno in questo momento, data la situazione al fronte,” disse.

Il generale tossicchiò. La sua mano tremante passò sulla fronte corrugata, tolse il cappello, e le dita libere corsero tra i capelli sciupati e appiattiti.

“Non l’avrei fatta chiamare se la situazione non fosse critica, signore.” Si rimise il copricapo, e calò l’ombra della frontiera davanti agli occhi.

Inghilterra sollevò un sopracciglio. “Quanto critica?”

Il generale stropicciò un angolo della bocca, si pizzicò un labbro. Prima di rispondere, borbottò un gorgoglio. “Parecchio.” Sollevò un pugno davanti al viso e diede un altro colpo di tosse più secco. “È da quando è arrivata la notizia dell’attacco che non riusciamo a trattarlo. Non possiamo continuare così.” Il suo sguardo si abbassò, divenne più scuro. La voce ferma e grave. “Non possiamo permetterci che si lasci andare in questa maniera.”

Lo sguardo del generale francese incrociò quello di Inghilterra. Due occhi preoccupati, insicuri, quasi imploranti.

“Pensavo che, ecco, lei forse avrebbe saputo come comportarsi.”

Inghilterra fece schioccare la lingua e tornò a infossare il sorriso cinico nelle guance. Non lo nascose. “Starà solo facendo la commedia.”

Svoltarono l’angolo, la porta di mogano li attendeva alla fine del corridoio, immersa nella luce dei mosaici intagliati sulla finestra. La cornice in ottone rifletteva i bagliori colorati.

Inghilterra spolverò la giacca dell’uniforme che ciondolava dalla spalla e lisciò la camicia fino ai fianchi. “Un bello schiaffo sulla sua faccia da rospo e lo faccio tornare come prima.”

Il generale borbottò. Le mani dietro la schiena si strinsero e le spalle si contrassero, irrigidendosi. “Me lo auguro, signore.”

La luce della vetrata li investì, gli spicchi blu, gialli e rossi riflessero un colorito violaceo sui loro volti. L’uniforme verde del generale divenne più scura. Il generale allungò il braccio e strinse la maniglia. La presa si irrigidì, le nocche sbiancarono, ma il polso rimase fermo.

“Eviterei lo schiaffo, se fosse possibile, signore.”

Inghilterra piegò un angolo delle labbra verso l’alto ed emise un piccolo sbuffo. Questo sarò io a deciderlo. Un acido risolino gorgogliò nel petto.

Il generale ruotò il polso e fece scattare la maniglia. Tese il braccio e aprì la porta senza entrare, lasciando lo spazio a Inghilterra.

La luce del mosaico corse lungo il pavimento, attraversò la stanzina, illuminò la bocca della bottiglia ribaltata sul bordo della scrivania che stillava l’ultima goccia di vino sul pavimento, come una lacrima. I capelli biondi riversi sul tavolo, stesi sopra le braccia, avevano assunto un colorito cinereo. Le dita deboli e ammosciate avvolgevano il collo di una seconda bottiglia. Un rivolo rosso colava dalla bocca di vetro, scorreva sull’etichetta dorata lasciando aperta una macchia violacea, e scendeva lungo il pallido dorso della mano.

Il ghigno di Inghilterra si stese, le palpebre si assottigliarono, investite dalla luce filtrata dalla finestra. “Bene, bene.” Fece un passo avanti, appoggiò un pugno sul fianco e gonfiò il petto. “Guarda chi sta strisciando sulle ginocchia.”

La fronte di Francia si sollevò dall’incavo del braccio piegato. I capelli smorti e spettinati fluirono sulle guance, e qualche ciocca rimase davanti agli occhi. Francia sbatté le palpebre un paio di volte. Le sue labbra tremarono, si contrassero in una smorfia che gli stropicciò il viso fino alla fronte. Staccò la mano dalla bottiglia di vino e tese entrambe le braccia, tuffandole sotto la luce. Gli occhi già pieni di lacrime.

Angleterre!

Saltò giù dalla sedia, corse sotto il fascio luminoso e gettò le braccia attorno alle spalle di Inghilterra. Lo strinse sul busto, ingabbiandogli i fianchi – i piedi del poveretto si sollevarono da terra – e gli strofinò il viso annacquato sulla guancia. La barba gli pizzicò la pelle.

Aidez moi, s’il vous plaît! C’est la catastrophe! ”  

Inghilterra ruotò gli occhi al cielo ed emise un sospiro più simile a un grugnito. Piegò il collo di lato lasciando scivolare la guancia di Francia sotto la gola, affondando con il mento tra i suoi capelli. Erano più secchi e sciupati del solito.

Lanciò un’occhiata storta al generale. “Ci lasci soli.”

Il generale non aveva sciolto il polso dalla presa della maniglia. Fece un piccolo gesto di riverenza con il capo e richiuse la porta.

I singhiozzi isterici e i piagnistei di Francia riempirono il silenzio della stanza. Inghilterra si mosse dentro l’abbraccio a destra e a sinistra, tentando di svitarsi. I lamenti trascinati gli fischiavano nei timpani, rintronavano sulle pareti del cranio. Piegò un piede ciondolante e colpì la caviglia di Francia con la punta, spinse il palmo della mano contro la sua faccia e lo spinse via con una gomitata sulla spalla.

“Piantala di gracidare,” ringhiò.

Le braccia si slegarono, i suoi piedi tornarono a toccare terra. Inghilterra fece un passo di lato e si aggiustò la stoffa della camicia. Prese la giacca e passò il fianco della mano sulle pieghe sgualcite del tessuto rosso.

“Datti una controllata.”

Francia si strinse il viso tra i palmi. La smorfia si capovolse in un sorriso estasiato che fece brillare le ciglia umide di gioia. Le guance ripresero il colorito roseo.

Je ne croix pas, sei venuto a salvarmi.” L’espressione si irrigidì. Le pieghe del viso si contrassero restando paralizzate come in una fotografia. “Un momento.” Corrugò un sopracciglio, un angolo delle labbra si inarcò all’ingiù facendo sbiadire il colorito dalle guance. Divenne grigio. Francia fece un passo all’indietro e sollevò il mento. “Cosa c’è sotto?”

Inghilterra si diede un’ultima spazzolata al braccio, fino al bottone della manica. Il fianco della mano rimase fermo sulla stoffa e i suoi occhi scattarono verso Francia. “Chiedo scusa?”

Francia arricciò il naso e si riparò con un braccio, tenendo il mento sollevato. “Com’è che hai accettato di venire a difendermi direttamente sul campo così su due piedi?”

Inghilterra sbatté le palpebre. Guardò a terra, come in cerca di una risposta, e separò le labbra. I passi di Francia si avvicinarono. Francia chinò le spalle in avanti, aprì il dorso della mano di fianco alla bocca, toccandosi la guancia, e avvicinò le labbra al suo orecchio. Inghilterra riuscì quasi a sentire il suo sorrisetto inarcarsi verso l’alto.

“Vuoi forse qualcosa in cambio?”

Un ghigno disgustato gli contorse il viso, le guance divennero viola di rabbia e imbarazzo. Inghilterra si voltò di scatto e gli diede una spinta sulla spalla.

“P-piantala, idiota.”

Gli mostrò la schiena. La voce di Francia ridacchiò alle sue spalle. Inghilterra annodò le braccia al petto, come abbracciandosi. Batté la punta del piede a terra, e le dita tamburellarono sul braccio intrecciato.

“Siamo alleati, no? Mi sembrava, uhm, ecco...” Stropicciò lo sguardo, il piede batté più velocemente, le guance tornarono rosse. “Giusto fare la mia parte.”

La risata di Francia divenne un suono secco, acido, con una punta di sarcasmo. “Tu?” Emise un sospiro soffuso e la voce assunse un tono rassegnato. “Tu non ti scomporresti nemmeno a pagarti in bustine da tè.”

Inghilterra si voltò di scatto. Le braccia ancora rigide, strette al petto. “Vuoi il mio aiuto o no?” Senza aspettare risposta, sollevò gli occhi al soffitto, le dita tamburellarono sulle braccia. “Comunque, ho avuto, diciamo...” Abbassò le palpebre. In mezzo al nero si aprì una fioca macchia grigia, i contorni si definirono, delinearono il profilo della nave da carico ormeggiata nel porto. Sotto la scritta UK Navy, l’immagine più piccola di Islanda stava immobile, voltata di schiena. Il vento che gli passava tra i capelli faceva ondeggiare il piumaggio di Mr. Puffin appollaiato sulla sua spalla. “Modo di rivalutare le mie idee.” Inghilterra socchiuse un occhio. Islanda, la nave e il porto, svanirono. “E in ogni caso non lo faccio per te, ma solo per evitare che la cosa si propaghi fino al mio paese.”

Francia accavallò una gamba all’altra. Piegò il gomito, lo posò sul palmo della mano e carezzò piano il viso, dalla guancia fino alla punta del mento. Sollevò le sopracciglia, sbatté lentamente le ciglia e stese un sottile e malizioso sorriso. Non gliela dava a bere.

Inghilterra ruotò gli occhi al cielo. Ripiegò la giacca e la stese sullo schienale di una delle sedie attorno al tavolo.

“Quando è iniziata?” chiese.

Gli occhi di Francia persero di colpo la luce, diventarono seri e cupi. “Questa mattina,” disse. Si appoggiò con la schiena al bordo del tavolo. Poggiò le punte delle dita tra le pieghe della fronte e chinò lo sguardo. “Mi hanno preso alla sprovvista.”

“Avresti dovuto aspettartelo.” Inghilterra fece un passo avanti e gli puntò l’indice al petto. “Per quanto tempo speravi di continuare la guerra in quelle condizioni? Era ovvio che Germania avrebbe deciso di sfondare, prima o poi.”

“Non rigirare il coltello nella piaga.” Francia gettò lo sguardo di lato, e i capelli ricaddero davanti al viso. Strinse le dita sul tavolo, le braccia tremarono insieme alle labbra. “Tanto ormai...” Si posò il dorso della mano sulla fronte e lasciò uscire un lamento melodrammatico. “Sono spacciato.”

“Dacci un taglio, è appena iniziata,” disse Inghilterra. “Se ho accettato di inviare qui le mie armate in supporto alle tue è proprio perché credo che possiamo ancora respingere l’attacco.”

“Mhm.” Francia non sollevò lo sguardo, lo lasciò nascosto sotto i capelli che gli fluivano da dietro le spalle, illuminati dalla luce polverosa della finestra.

Inghilterra sbottonò un’altra chiusura della maglia e tese di più il colletto, facendo aria alla gola. Gli occhi scrutarono la stanzina. “Hai una planimetria avversaria?”

Francia indirizzò la punta del pollice alle sue spalle. “Sul tavolo.”

Inghilterra seguì la direzione del dito e si chinò sulla scrivania. Spostò la bottiglia di vino mezza vuota da un lato della cartina già macchiato di viola, ne tolse una terza ancora tappata mettendola sopra i documenti graffettati, e lisciò l’angolo spiegazzato della mappa. Posò il pugno al centro della piantina e stese bene i bordi della carta. Il gruppo di bandierine nere accostate al confine belga e olandese vibrò, ma i segnalini non si spostarono. Le piccole bandiere rosse ammucchiate nel centro del territorio francese non si mossero.

Gli occhi di Inghilterra guardarono in basso, le dita sfiorarono le poche bandierine che si fronteggiavano sulla regione Lorena – due nere e due rosse – e salirono verso il segno più spesso che inchiostrava la mappa seguendo lo sbarramento della linea di difesa.

“Ti hanno colpito anche direttamente sulla Maginot?” Inghilterra fermò la punta dell’indice sopra il mucchietto di bandiere a ridosso della barriera di confine, sulle sponde del Reno. Strabuzzò lo sguardo. “Che razza di idiozia gli è saltata in testa? Come spera di...”

“Dev’essere un diversivo.” Francia sollevò la schiena dalla scrivania e vi si appoggiò con il fianco. Tolse due ciocche di capelli dagli occhi, li sistemò dietro l’orecchia, e incrociò le braccia sul ventre. Gli occhi bassi sulla carta puntavano le bandierine nere e rosse sotto il dito di Inghilterra. “Ho comunque lasciato la difesa per non permettergli di passare, ma ho capito fin da subito che in quel punto non stanno facendo sul serio.”

Francia sciolse un braccio dall’intreccio. L’ombra della sua mano si estese lungo la carta, l’indice sorvolò la zona puntata da Inghilterra, e si bloccò sulla riva del Mare del Nord. Cinque segnalini neri si ergevano su Olanda e Belgio. L’unghia di Francia batté di fianco alla base rotonda che reggeva l’asta di una delle bandiere triangolari.

“È qui che mi preoccupa.”

Inghilterra ritirò la mano. Sollevò la fronte e piegò un sopracciglio. “Olanda e Belgio?”

Francia annuì. “Rotterdam è già sotto assalto.” Toccò la punta di una bandiera nera e la spostò più in alto, sopra la scritta della città. Il polpastrello scese, ne sfiorò un’altra e la sposto lungo il territorio belga. “E sembra che ci sia un’armata diretta anche al forte di Eben-Emael.” Francia sollevò il braccio. Si sfiorò le labbra con le nocche, i capelli tornarono a spostarsi da dietro le orecchie, finendo sulle guance. Un’ombra di rabbia calò sul suo viso. “Bastardi. Passare attraverso due paesi neutrali...”

Inghilterra chiuse le palpebre. “Moralmente è una carognata,” un ghigno distorto gli deformò la bocca, facendogli prendere la forma di un sorriso sbilenco, “ma dal punto di vista tattico è un’ottima mossa.”

Francia gli lanciò un’occhiata storta che Inghilterra schivò. Il suo sguardo tornò sulla mappa.

“Immagino che il loro obiettivo sia passare comodamente per le scarse difese di Belgio e Olanda,” disse Inghilterra. Il suo indice tornò sullo spazio in cui si ammucchiavano le bandierine nere e scese sulla carta fino a toccare la regione francese. “E successivamente pen...” Si morse un labbro. Due macchie rosse si allargarono sulle guance e avvamparono per tutto il viso, fino alla punta delle orecchie.

Francia poggiò entrambi i palmi sui bordi della mappa. Si tese in avanti, gli occhi luccicanti, e un sorriso perverso stampato sulla bocca. “Oh, sì, dai...” Posò una mano dietro l’orecchio e tese il collo. “Di’ quella parola.”

Inghilterra strinse i pugni. Chiuse gli occhi, e il rosso sulla pelle divenne scarlatto. “S-smettila di fare l’idiota. È una cosa seria.”

Francia si mise in punta di piedi. L’orecchio sempre più vicino alla bocca di Inghilterra, il sorriso sempre più largo. “Cosa sta cercando di farmi?”

Inghilterra si rosicchiò il labbro. I pugni stretti scaricarono ondate di brividi lungo le braccia, sulle spalle, e giù fino alla schiena. Prese un respiro, ma la voce vibrava. “E-entrar...”

Francia sbatté le ciglia facendo luccicare gli occhi. “Dillo con la P.”

L’imbarazzo sbiadì dal volto di Inghilterra. Le guance tornarono a bruciare, ma di rabbia. Sollevò uno dei pugni poggiati sulla scrivania, piegò il gomito, e premette le nocche sullo zigomo che Francia gli stava porgendo. Gli ribaltò il capo. Francia si piegò sulla pancia e sovrappose le mani sulla bocca e contro la guancia. Un rantolio di sofferenza uscì dagli spazi fra le dita.

“Il mio viso.”

Inghilterra esibì un piccolo sorriso di soddisfazione e si massaggiò il polso. L’ombra china di Francia era svanita dalla mappa, sulla carta si estendevano solo le sagome delle bandiere. Le labbra di Inghilterra tornarono piatte. Guardò i segnalini neri su Belgio e Olanda, l’ammucchiata delle bandierine rosse ancora sulla scritta di Parigi, e gli occhi tornarono a puntare in alto.

“Passare da Olanda e Belgio,” mormorò. Si portò la mano che aveva colpito Francia dietro il collo e si strofinò la nuca. “Non ti ricorda qualcosa?”

Francia riaprì un occhio. “Mhm?” Sfregò il palmo sulla guancia arrossata, si sporse di nuovo senza togliere la mano dal viso. “Cosa dovrebbe ricordarmi?”

Inghilterra allungò il dito in orizzontale e lo distese dietro alle quattro bandiere nere. “Guarda il movimento,” gli disse.

Spinse le pedine in avanti, valicò il confine e le fece salire fino alla costa, sulla riva del canale della Manica.

Francia socchiuse la bocca. “Ma...”

La nocca di Inghilterra si piegò, fece incurvare il dito e portò le bandierine verso il basso, seguendo il moto di un arco. Le bandiere nere si fermarono sopra Parigi, fiancheggiando le pedine rosse.

“Questo è...”

La mano di Inghilterra si arrestò. Inghilterra annuì. “Sì.”

Sollevarono gli sguardi, trovandosi faccia a faccia. Il lampo di luce attraversò gli occhi di entrambi, tendendosi tra i due.

“Lo Schlieffen!” esclamarono.

La risata di Francia nacque come un gorgoglio. Risalì lo stomaco, fece vibrare il petto, e uscì dalle labbra distorte verso l’alto. Francia premette la mano sul viso, fece correre le dita tra i capelli e fermò il palmo sulla parte destra della faccia, a coprirgli l’occhio e solo metà sorriso.

Ce n’est pas possible!” Si piegò sulla pancia, tenendosi il petto, e la risata gli fece strabuzzare gli occhi. “Che cosa si sono bevuti per ritirare fuori dalla cripta una scartoffia come lo Schlieffen?” Sghignazzò ancora, scostandosi i capelli dal viso.

Inghilterra non rise. I suoi occhi sempre bassi, coperti dall’ombra, seguirono di nuovo la traiettoria che aveva fatto compiere alle bandiere nere. Fissò quelle rosse ferme su Parigi, poi quei pochi segnalini sulla Maginot. Storse un angolo delle labbra e posò due dita su una tempia, in silenzio.

Francia si voltò con una piroetta, allargò le braccia stando sulle punte dei piedi, e la luce della finestra lo travolse.

“A questo punto possiamo anche permetterci di festeggiare la nostra vittoria anticipata.”

La mano più vicina alla scrivania si tese verso il basso, le dita gesticolarono per aria fino a sfiorare il collo della bottiglia ancora piena. Il fondo di vetro strisciò sul tavolo, il vino che si agitava riflesse scure onde viola sul legno. Francia infilò l’unghia del pollice sotto il tappo, fece pressione, e il sughero saltò con un botto. Chinò il capo all’indietro, unì le labbra alla bocca di vetro e tracannò due sorsate, un rivolo rosso scese da un angolo della bocca. Schioccò l’ultima boccata, prese fiato, e si ripulì con la manica.

“Ho già vinto questa battaglia.” Tese il braccio che impugnava la bottiglia verso Inghilterra, il vino si rimescolò di nuovo, laccandone la pancia di vetro. “E intendo farlo per la seconda volta.”

“Aspetta.”

Francia lo ignorò. Prese un altro sorso di vino e posò la bottiglia sulla scrivania. Si piegò sulla cartina, riportò le bandierine nere al nord, nella posizione di partenza, e avvolse le sue pedine rosse con la mano.

“Prenderò tutti questi...” Con uno scatto spinse i rossi addosso ai neri. Una bandierina nemica cadde sopra Bruxelles. “E li sposterò tutti qui.”

Francia aprì la mano sulla mappa stendendo le dita tra i segnalini. I capelli tornarono a coprirgli il volto, gli occhi blu infiammavano l’ombra nera che gli celava il viso.

“Ho più carri, sono più forti, e so usarli meglio.” Emise di nuovo la risata gorgogliante inasprita dal vino che ancora gli bagnava la bocca. “Germania non ha scampo, e sarò io a poter usare il verbo con la P contro di lui.”

“Sta’ zitto e ascoltami!”

Il viso di Francia, ancora contorto dalla risata, rosso sulle guance e incorniciato dai capelli scompigliati, si sollevò verso Inghilterra.

Inghilterra aggrottò la fronte e batté due dita sulla carta. “Non ti sembra fin troppo facile?”

Francia storse un sopracciglio, ma il ghigno non sbiadì. “Mhm?”

Inghilterra premette le dita sulla fronte, i polpastrelli massaggiarono le tempie con movimenti circolari. “Quel piano si è già rivelato un fallimento su tutti i fronti e sicuramente Germania lo ha capito meglio di te.” La mano ancora posata sui bordi della carta ebbe un fremito. Le unghie tamburellarono. “Non ti sembra sospetto il fatto che stia riproponendo la stessa tattica con le stesse condizioni e contro lo stesso nemico, pur sapendo di aver già fatto un buco nell’acqua anni fa?”

Francia roteò gli occhi al cielo. Sollevò la mano e la sventolò come per scacciare un insetto. “Germania si sarà montato la testa dopo le vittorie al nord,” sbuffò. Le dita riportarono in ordine i capelli con un gesto più fermo e delicato. “E ora starà semplicemente pensando di riuscire a cavarsela contro chiunque e in qualunque modo.” Le dita rimasero aperte dietro l’orecchia. Gli occhi di Francia tornarono sulla carta, si restrinsero come a volerla trafiggere. Il sorriso snudò l’arcata dentale. “Sarà un vero piacere riportarlo con i piedi per terra,” sussurrò.

La mano di Inghilterra si spostò verso Olanda e Belgio. Rimise in piedi la bandierina nera caduta e diede dei piccoli colpetti alle punte di quelle rosse per distanziarle dal mucchio.

“È troppo rischioso mandare tutte le difese in Belgio,” disse. Inghilterra scosse la testa. “Se per caso Germania dovesse...”

“Non lo farà.” Francia annodò le braccia al petto e indicò la regione vuota con un gesto del capo. “Perché dovrei lasciare le barriere al centro? Le Ardenne sono la mia difesa naturale più sicura, valgono più di mille carri messi assieme, non ha senso investirci forze e armate.”

Posò indice e medio sulla zona del bosco centrale, spoglia dalle pedine e dalle linee di confine. Carezzò l’area più scura e scrollò le spalle.

“Germania non si sognerà mai di passarci attraverso.”

 

♦♦♦

 

11 maggio 1940, Eben-Emael

 

Il generale posò la punta del pollice tra le labbra, la inumidì con la lingua e voltò la pagina degli appunti. Allontanò il blocco di fogli scarabocchiati dal viso e sbatté le palpebre.

“Inoltre i tedeschi sono in scacco a Rotterdam. Abbiamo notizia di un processo di trattative in corso.” Sollevò un sopracciglio e un occhio ruotò verso l’alto, guardando oltre il taccuino.

Belgio strinse i pugni sulle gambe, si chiuse leggermente nelle spalle. Piegò le ginocchia e i talloni toccarono la cassa di munizioni su cui era seduta. Le sue gambe reclinate nascosero la scritta Detonating BL 0839 verniciata sulle tavole di legno. Spagna fece un passo lontano dal muro di pietra tenendo le braccia conserte al petto. Si mise di fianco a Belgio e stette in silenzio.

Il generale si schiarì la voce. Allentò il colletto dell’uniforme, aprendola fino al petto dove era puntata la toppa con il suo cognome. Leroy. Prese una boccata della densa e pesante aria del bunker che sapeva di polvere ferrosa e di fumo, e tornò a guardare gli appunti.

“Per il resto, la difesa sta reagendo bene.” Sollevò una pagina tenendola tra il pollice e l’indice, gli occhi si ammorbidirono, guardarono Belgio, attraversati da una tiepida luce paterna. “Non serve preoccuparsi. Le armate inglesi e francesi sono già giunte al confine, le forze aeree della RAF sono pronte per un confronto diretto con gli stormi della Luftwaffe.”

Spagna strinse la mano sulla spalla di Belgio, le carezzò la schiena. Belgio posò le dita sottili e tremanti sul suo dorso, vicino alle nocche, e deglutì. I suoi occhi erano fermi sui piedi dondolanti che battevano piccoli colpi sulle aste di legno della cassa.

“Ri...” Belgio sollevò il capo. La mano strinse su quella di Spagna. “Riusciremo a tenerli lontani da Bruxelles?”

Il generale Leroy lasciò andare il foglio e ripiegò il taccuino, infilandolo nell’apertura della giacca. Gli occhi si allontanarono da quelli di Belgio, incrociarono lo sguardo teso e fermo di Spagna. La sua mano continuava a massaggiare la spalla di Belgio con delicati movimenti circolari. Leroy sorvolò le due figure, intercettò gli occhi scuri di Romano che lo fissavano da un angolo della camera. Romano accavallò le gambe, sollevò il mento, e appoggiò una spalla sul blocco di artiglieria che penetrava nel muro di calcestruzzo.

Il generale Leroy distolse subito lo sguardo.

“Le nostre difese e quelle degli Alleati stanno agendo nel miglior modo possibile e nel pieno delle forze,” disse. Giunse le mani dietro la schiena, si spinse sulle punte dei piedi gonfiando il petto, e tornò ad appoggiare i talloni. “Eben-Emael è la struttura più sicura per lei, signora.”

Belgio rannicchiò le gambe fino a coprire del tutto la scritta della cassa. Le spalle tremarono, la mano che stringeva quella di Spagna divenne bianca come il suo viso.

“Ma...”

“Bel.”

Belgio e Spagna si guardarono negli occhi. Spagna chinò le spalle in avanti, senza lasciarle la mano. Lo sguardo fermo ma gentile.

“Il generale ha ragione, ora tu devi pensare solo a rimanere al sicuro.”

Belgio si morse un labbro. Strinse la presa sulla mano di Spagna fino a che non diventò rossa e la sentì pulsare.

“Ma gli altri stanno combattendo e io...”

“Più che altro...” La voce di Romano fece sollevare gli occhi di tutti.

Romano si diede una piccola spinta e si tolse da una leva dentata dell’artiglieria scarica che occupava metà parete. Camminò lungo il muro a braccia conserte e a fronte bassa.

“Io mi preoccuperei per la resistenza di questa catapecchia,” disse. Chiuse un pugno e batté le nocche sul ruvido calcestruzzo, sotto una planimetria del forte raffigurata su una lastra di metallo. Quattro chiodi la tenevano fissa alla parete. “Come sappiamo che sopravvivrebbe a un attacco crucco?”

Una piega infastidita attraversò l’espressione del generale Leroy. Prese un altro respiro dell’aria polverosa e metallica, fredda e pesante nei polmoni come un macigno, e raddrizzò le spalle.

“Eben-Emael è una fortezza inespugnabile, signore.”

Romano inclinò il capo di lato e inarcò anche l’altro sopracciglio.

Leroy socchiuse le palpebre. “Sia dal punto di vista difensivo che offensivo. I nostri soldati sono addestrati alla perfezione, e c’è più artiglieria nelle nostre casematte di supporto che –”

“Le ripeto che non è possibile farvi entrare.”

Una voce ovattata echeggiò da dietro la porta blindata.

I loro sguardi saettarono all’entrata, i fiati rimasero sospesi in gola. Il generale Leroy corrugò la fronte.

La voce si avvicinò alla porta, più acuta e frettolosa. “La signorina e il generale stanno avendo –”

“Oh, suvvia, non è così che si ricevono gli alleati.”

Belgio rimbalzò in piedi e la mano di Spagna scivolò giù dalla sua spalla. Il volto di Romano sbiancò. Romano fece un passo di lato, gli occhi si restrinsero, tremarono, e non si scollarono dal portellone metallico.

La voce stridula che proveniva dallesterno emise un piccolo lamento. “Ma signori –”

“Forse quella tua lingua non sa a chi si sta rivolgendo.” Una terza voce si unì al coro.

Belgio e Spagna si scambiarono un’occhiata fulminea. Le labbra della ragazza si storsero in un’espressione che era a metà tra l’incredulo e lo sconvolto.

“Ma questi...”

Gli ingranaggi della porta blindata scattarono con un eco metallico, il portellone strisciò sull’anta fino a sbattere contro il blocco d’arresto sulla parete. Il generale Leroy fece un passo all’indietro, davanti a Belgio, e avvicinò le mani alla cinta, sul fodero della pistola.

La porta blindata si spalancò. La mano di Francia rimase stretta sulla maniglia a ruota dentata e il braccio libero si elevò al soffitto.

Bonsoir, mes amis!

Spagna, Belgio e Romano sgranarono gli occhi. “Voi?

Inghilterra passò sotto il braccio di Francia ed entrò nella camera blindata.

Romano saltò sul posto. Occhi sbarrati, pupille ristrette, e volto grigio. “Ah, Francia!”

Corse dietro la schiena di Spagna e si chinò appendendosi alla sua spalla con entrambe le mani.

Lo sguardo imbronciato di Inghilterra sorvolò quello del generale Leroy. Gli occhi passarono da Belgio a Spagna. Inghilterra aggrottò la fronte.

“Dovremmo essere noi a dirlo.”

Romano fece emergere il braccio da sopra la spalla di Spagna, strinse il pugno e impennò il dito medio.

Inghilterra arricciò il naso e inasprì la voce. “Che ci fate voi due qui?”

Spagna separò le labbra ma le parole rimasero in bocca.

Un ragazzo in uniforme belga passò tra Francia e Inghilterra. Il viso contratto e affaticato, gli occhi ansiosi e vacillanti, le labbra tremanti.

“Ge-generale, sono mortificato!” Era la voce che aveva parlato prima fuori dalla porta.

Il giovane ufficiale tese le braccia sui fianchi, prese due respiri affannati, e si inchinò davanti a Leroy.

“Ho provato a spiegargli che vi trovavate nel mezzo di una riunione importante, ma –”

“Maggiore De Backer!” tuonò il generale.

Il maggiore tremò dalla testa ai piedi. Strizzò le palpebre e i capelli scompigliati gli ricaddero sulla fronte sbiancata. “Co-comandi, generale.”

“Non mi costringa a segnalarla alla corte suprema con una nota di biasimo.”

Il maggiore De Backer si morse il labbro inferiore, rimanendo rigido nel piccolo inchino.

Il generale Leroy prese un pesante respiro. Rivolse lo sguardo a Francia e a Inghilterra, e indicò il maggiore con un gesto del capo.

“Perdonate il mio sottufficiale, signori.” Lo sguardo dell’uomo si scurì e ruotò verso il maggiore. “La sua capacità di giudizio è immatura tanto quanto la sua età.”

De Backer rivolse l’inchino davanti a Belgio. Le spalle tremanti scesero ancora, e i capelli finirono davanti agli occhi. “Mi...” Ingollò una boccata di saliva, le guance divennero più rosse della giacca di Inghilterra. “Mi perdoni, signorina.”

Il viso di Belgio si distese per la prima volta, il piccolo sorriso divertito che comparve sulle labbra le fece riprendere colorito.

Il generale Leroy corrugò la fronte. Tese il palmo e diede un colpo alla spalla del maggiore. “Signorina lo dici all’amica di tua sorella,” sussurrò tra i denti. “Porta un po’ di rispetto.”

“S-sì, signora, ehm, madame...” I pugni sui fianchi si strinsero, la voce squittì. “Oh, cribbio.”

“Non si preoccupi, generale,” disse Belgio. Rivolse il sorriso al maggiore De Backer e gli fece l’occhiolino. “Il maggiore ha fatto solo il suo dovere.”

Gli occhi del maggiore tornarono bassi. La tensione sul viso si sciolse distendendogli un lieve accenno di sorriso che mantenne le guance paonazze.

Belgio tornò seria, unì le braccia dietro la schiena e si rivolse al generale. “Lasciateci soli, per cortesia.”

Il generale Leroy scattò sul saluto militare battendo i tacchi sul cemento. “Agli ordini.”

Prese De Backer per un braccio e lo fece camminare verso la porta. Passarono vicino a Francia e gli occhi del maggiore si sollevarono. Francia posò due dita sulle labbra e gli soffiò un bacio strizzando una palpebra. De Backer raggelò e saltellò fuori dal bunker. Prima che il portellone scattasse, sigillando la camera blindata, tutti sentirono la parola ‘imbecille’ perdersi nell’aria. Gli ingranaggi scattarono e il suono dei passi divenne l’eco soffuso di due persone che camminano sui materassi.

Francia sospirò. “Che ragazzo adorabile.” Si prese il mento tra le dita e tese un sorriso contorto. Una luce perversa gli trafisse gli occhi. “Quasi quasi lo assumo nel mio esercito.”

“Quando siete arrivati?” La domanda di Spagna li fece voltare entrambi. Inghilterra non fece una piega. Occhi rigidi, diffidenti.

Francia scrollò le spalle. Fece sventolare una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sollevò la punta del naso come una smorfiosa. “Bell’accoglienza.” Si avvicinò alla parete e una seconda planimetria del forte si riflesse nei suoi occhi. “Ribadisco la domanda: è così che si accolgono gli alleati?”

Sollevò la mano e carezzò la targa metallica. I polpastrelli seguirono la forma a diamante di Eben-Emael, sfiorarono i due corsi d’acqua che racchiudevano il forte sui lati lunghi. Uno dritto come una barra e laltro più dolce e irregolare. 

Francia prese una boccata d’aria e sventolò la mano sul viso. “Qui non si respira.” La pelle imperlata di sudore teneva già incollati i capelli alla fronte.

“Quello...” Belgio fece un passo avanti. Ogni traccia di incertezza e timore era scivolata via dalla sua espressione. “Quello che Spagna voleva dire è: perché siete a Eben-Emael?”

Francia e Inghilterra si guardarono e tornarono a posare gli occhi su di lei, senza rispondere.

Belgio serrò i pugni. “C’è bisogno di voi sul fronte, non qui.”

Inghilterra abbassò le palpebre e fece un passo verso il centro della stanza. “Infatti è lì che siamo diretti.” Socchiuse un occhio, le dita strinsero sulle braccia incrociate. “Ci hanno informato che ti trovavi qui, così siamo venuti a dare un’occhiata per vedere se le cose stavano procedendo per il verso giusto.”

Le pupille scure e profonde ruotarono alle spalle di Belgio, si posarono su Spagna e le sopracciglia di Inghilterra si contrassero fino alla radice del naso.

“E a quanto pare abbiamo fatto bene a venire a Eben-Emael.”

“Strozzati con uno scone, bastardo,” ringhiò Romano da dietro la schiena di Spagna.

“Voi due...” Il tono di Inghilterra raggelò l’intera stanza. Fece un altro pesante e secco passo in avanti. “Perché diavolo siete qui?”

Spagna sollevò gli occhi al soffitto, guardò un angolo della camera di cemento. Il viso rimase calmo e disteso. “Supporto bellico, mi sembra ovvio.”

“No, quello è il nostro lavoro.” Inghilterra puntò l’indice contro il petto di Spagna. “Forse non vi rendete minimamente conto del danno diplomatico a cui andremmo tutti in contro se si venisse a sapere che due membri dell’Asse –”

“Io non faccio parte dell’Asse.” Questa volta, l’ombra nera scurì l’espressione di Spagna. La voce fredda e profonda.

“Io nemmeno.” Romano strinse le mani sulla spalla dell’altro, rimase chino e nascosto dietro di lui. Serrò i denti fino a far stridere lo smalto. “Non ho firmato io l’alleanza.”

Inghilterra schioccò la lingua. Diede le spalle ai tre e sollevò un palmo al soffitto. “Be’, io sarei il primo a non fidarmi di voi due, a prescindere da come stanno le cose.”

Le dita di Romano strinsero fino a serrarsi come tenaglie sulle ossa di Spagna.

“Io mi fido,” disse Belgio. La ragazza si posò una mano sul petto. “La mia fiducia è stata ripagata,” lanciò un’occhiata d’intesa a Francia, “a quanto pare.”

Francia sollevò lo sguardo e fece un passo di lato. Una spolverata di imbarazzo gli lasciò un velo rosso tinto sulle guance.

Inghilterra lo guardò prima che potesse voltarsi del tutto. “Di cosa sta parlando?”

Le labbra di Francia si arricciarono. Le sue guance impallidirono, tornarono rosse e sbiancarono di nuovo.

Belgio fece un passo avanti. “Io e mio fratello avevamo già avvisato Francia di un probabile attacco da parte di Germania.” Sorrise e puntò gli occhi alle sue spalle. “E tutto grazie a Spagna.”

Inghilterra scattò davanti a Francia. Lo sguardo incredulo, la mascella tremante mezza aperta. “Ti avevano avvertito?”

Francia si passò una mano dietro il collo. “Mi avevano, uhm...” Gli occhi vacillanti restarono alti. Le dita sfregarono con più forza tra i capelli. “Accennato qualcosa.”

Cosa?” Inghilterra lo prese per la giacca con entrambe le mani. Tese il collo e avvicinò il viso al suo. “Dimmi che stai scherzando.”

“Se fosse successo a te ci avresti creduto meno di me.” Francia si liberò con uno strattone. Gli diede le spalle e si aggiustò l’uniforme sulle spalle e lungo i fianchi, spazzolando la stoffa sgualcita.

Inghilterra emise un lungo, profondo sospiro. Le spalle si ammosciarono. “Be’, ormai la frittata è fatta.” Strinse una mano sull’anca. “Tutto quello che possiamo fare adesso è combattere per respingere l’avanzata tedesca.” Tese la punta dell’indice verso Belgio. Il suo sguardo tornò fermo e sicuro. “Belgio, tu rimani qui, hai l’aviazione dalla tua parte, tutta l’artiglieria pesante anticarro e antiuomo che ti serve, e i soldati che sono stati addestrati in questa roccaforte sono ben preparati.”

Belgio annuì. Unì le gambe tese e gonfiò le spalle. “Sì.”

Inghilterra strinse le mani sui risvolti aperti della giacca e si rivolse a Francia. “Noi due ce ne andiamo al confine per bloccare l’avanzata verso il mare.”

Romano sgusciò da dietro la schiena di Spagna. Inghilterra se ne accorse e squadrò entrambi per qualche secondo.

“E direi che voi due dovreste tornare a casa subito, prima che si sappia troppo in giro della vostra presenza qui.”

Il viso di Romano si infiammò. Violenti tremori lo scossero fino alla punta del ciuffo arricciato che vibrava sopra la spalla. “Voi...” Pestò un passo in avanti. “Voi non potete darmi ordini! Non andrò mai a combattere di fianco a quel –”

“Davvero?”

L’esclamazione di Inghilterra gli spense la sfuriata a fior di labbra.

“Bene, allora qual è esattamente il tuo ruolo, qui?” chiese Inghilterra.

Romano esitò, trattenne un gemito mordendosi il labbro inferiore.

Inghilterra annodò le braccia al petto e distolse lo sguardo con aria annoiata. “Hai un esercito? Sussidi? Artiglieria?” Scoccò un’occhiata sottile e acida a Romano. Gli angoli delle labbra scattarono verso l’alto. “Sei tanto inutile sia da una parte che dall’altra.”

Il sangue di Romano ribollì, un’ondata di rabbia schiumante lo fece tremare come un calderone sul fuoco. Romano sollevò un pugno sopra la spalla e strinse la mandibola.

“Lurido –”

La mano di Spagna gli trattenne il polso. Romano si voltò di scatto serrando anche l’altro pugno, ma lo sguardo di Spagna non si scompose.

“Romano.”

Romano batté le palpebre. Rimase immobile.

Spagna scosse la testa. “Non peggioriamo le cose.” Gli occhi si abbassarono, un’ombra rassegnata gli velò l’espressione. Spagna sospirò e schiuse le dita dal polso di Romano. “Forse hanno ragione.”

Romano storse il naso e ritirò la mano, schifato. “Cosa?”

Spagna guardò Inghilterra con espressione piatta, vuota. Una lieve ruga di disprezzo gli infossava le palpebre. “Come faccio a riportare a casa Romano?” chiese. “Dalla mia parte ho la via libera, ma per riaccompagnarlo in Italia ho l’accesso bloccato dalle armate tedesche e dalle vostre.”

Inghilterra scrollò le spalle ed emise un piccolo sbuffo. “Passate per la Svizzera.”

“Cielo!” Francia fece un salto sul posto e si riparò il petto con un braccio. “Li vuoi davvero morti?” Sventolò la mano tesa davanti al viso e corrugò le sopracciglia. “Quel pazzo ti imbottirebbe di piombo anche se fossi Dio stesso sceso in terra.”

Inghilterra gli scoccò un’occhiata storta. “E allora cosa proponi?”

Francia sospirò. Immerse le dita fra i capelli e si pettinò le ciocche dietro l’orecchia. Ruotò gli occhi al soffitto e sollevò le spalle. “Passate per le Ardenne.” Fece scivolare la mano dai capelli e si guardò le unghie. “I miei soldati sono ridotti al minimo in quella zona, troverete solo qualche caserma di guardia con pochi ufficiali. Sono quelle che usiamo per le esercitazioni.  È praticamente impossibile che i tedeschi decidano di entrare passando per un terreno fitto e difficile come quello. Sarete al sicuro per tutto il tragitto.” Gli occhi ruotarono sui due. Occhi seri, lucidi, uno sguardo quasi severo.

Un brivido corse lungo la schiena di Spagna.

“Fatevi dare un autocarro e andatevene il più velocemente possibile,” proseguì Francia. “Noi faremo finta di non avervi mai visti qui, intesi?”

Spagna annuì con un gesto debole.

Francia cercò lo sguardo di Romano. Il ragazzo fece schioccare la lingua fra i denti e tornò a scivolare dietro la spalla di Spagna.

Francia sollevò il mento. “Abbiamo problemi più grossi da tenere a bada.”

Nessuno rispose. L’aria densa, umida e pesante, sprofondò nel silenzio.  

 

 

   
 
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