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Autore: ENS 2    31/01/2015    0 recensioni
[Il Ciclo dei Guardiani]
Lui restava lì, a galleggiare tra i flutti, senza pensare. Il suo cuore si era fatto freddo, il viso pallido, lo sguardo privato di ogni lucentezza restava immobile, come congelato nell’espressione atona di un giustiziere sovrannaturale che scruta i demoni che ha rinchiuso in gabbia, senza provarne piacere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Morte d’Amore
 
 
Rimase a fissare sconvolto le acque agitate per un tempo indefinibile, incapace di muoversi. Tra i flutti agitati poteva ancora vedere il cadavere di lei, un braccio riemergere a sprazzi, subito dopo essere sepolto da un’onda sotto la massa d’acqua. Nonostante fosse estate inoltrata, il sole battesse sulla spiaggia e dietro le nuche dei bagnanti, il mare dell’Artek era una furia di correnti e maree, come se avesse deciso di rappresentare le emozioni nell’animo di Igor Teplov. Solo che era in errore: il cuore di Igor, per cui le onde alte più di cinque metri non rappresentavano pericolo, era come paralizzato. Lui restava lì, a galleggiare tra i flutti, senza pensare. Il suo cuore si era fatto freddo, il viso pallido, lo sguardo privato di ogni lucentezza restava immobile, come congelato nell’espressione atona di un giustiziere sovrannaturale che scruta i demoni che ha rinchiuso in gabbia, senza provarne piacere. Era la verità.
Per colpa sua, un bambino era morto. Questo lo struggeva, che la Luce lo perdonasse, meno della morte di lei. Lo aveva percepito entrare in acqua quando lui e lei si erano avventurati in mare per portare lontano dalla spiaggia il loro scontro. Li aveva visti e per qualche motivo aveva voluto seguirli. Forse gelosia? Forse quel bambino, ormai un cadavere gonfio d’acqua che galleggiava anche lui tra i flutti, Igor poteva vederlo se ruotava la testa, si era infatuato di lei, di un triste amore giovanile per l’affascinante donna adulta. Ed aveva ironicamente condiviso il suo destino. Poiché la Luce si era preoccupata di sancire il loro duello quando Igor l’aveva invocata come madrina, ma per quel bambino morto non era servito a nulla. La sua morte dispiaceva Igor, ma non era per lui che rimaneva immobile, svuotato. Se ne vergognava. Aveva ucciso un bambino, di nuovo, eppure soffriva più per la morte della strega. Lei, la strega. La creatura di tenebra, la portatrice d’oscurità che ammaliava le menti degli uomini, li usava come preferiva, li uccideva e li consumava. Portava il Male nel mondo, incurante del Patto, incurante dei sentimenti, incurante degli esseri umani, così fragili ma per cui Igor combatteva da mezzo secolo. Incurante dei bambini. Come lui. La vergogna di non soffrire come considerava adeguato per la morte del bambino però impallidiva dinnanzi a lei, la strega, ormai ridotta ad un corpo galleggiante. Ridotta così da lui.
Igor Teplov restò tra i flutti per ore, l’anima vuota ed il cuore arido, a dirsi di aver fatto la cosa giusta. Che lei era una strega abbietta che portava il male, che queste non erano parole vuote ma provate dalle sue azioni, le sue uccisioni, i suoi stupri. E a piangere.
 
Dopo ore tornò a riva, portando con sé il cadavere del bambino. Quello di lei non lo voleva vedere, ne era spaventato. Già da un po’ di tempo gli altri educatori li stavano cercando, allarmati: non si sarebbero mai aspettati ciò che avvenne. Le domande erano difficili: Igor si limitò a condizionarli, senza essere migliore della strega. Chiamò un’ambulanza per il corpo, poi, dando un’ultima occhiata al mare in cui aveva ucciso la donna che amava, digitò il numero della Guardia. Quella del Giorno.
 
La cosa non finì lì. Era tutto troppo complesso, troppo intricato, anche se Igor ci vedeva benissimo, ormai capiva che Zavulon aveva usato lei, Alisa Donnikova, come un’inconsapevole pedina. Ora riusciva a pronunciare il suo nome. Il caso si era fatto serio, Geser non sembrava deciso a mollarlo, aggrappandosi a lui come se ne dipendesse il futuro della Guardia della Notte. Zavulon lo voleva, bramava che l’Inquisizione lo mettesse a morte per i suoi crimini. Igor non capiva perché avesse sacrificato una strega di terzo livello, il suo stesso grado, per lui. Perché s’impegnasse tanto nel volerlo veder morire. Era solo un Altro come tanti, più forte di molti, e con molta esperienza di combattimento. Ma non capiva tutto ciò.
Il caso si era fatto enormemente serio, l’Inquisizione, già che intervenisse dimostrava l’importanza del caso, lo aveva fatto trasferire a Praga, la sua nuova sede, e sarebbe stato giudicato dal tribunale, sotto gli occhi di entrambi i capi delle Guardie di Mosca e difeso da un collega ed accusato da un nemico.
L’Inquisizione era stata gentile con lui, consci del fatto che fosse un agente della Luce sull’orlo della disincarnazione, al sicuro da ogni fuga: non voleva fuggire, desiderava di essere giudicato. Sapeva di essere colpevole e non vedeva più attrattiva nella vita che aveva amato sino a poche settimane prima. Ma Geser non si sarebbe arreso.
Gli avevano dato la stanzetta di un hotel praghese, sorprendentemente dignitoso. Igor passava le giornate chiuso in camera, ovviamente, abbandonato sul letto e senza forze, a guardare ininterrottamente la televisione da quattro soldi della camera. Aveva imparato in poco tempo il ceco. Era una lingua molto semplice. Nulla gli interessava, i programmi, le voci ed i colori li sentiva spenti, li registrava nella mente in modo meccanico, senza quasi curarsene. Restava immobile sul letto sfatto per ore a fissare l’apparecchio, senza un cenno di movimento ed abbandonandosi ad emozioni contorte. Lo prendevano quando meno se l’aspettava, stava guardando un programma, si distraeva un attimo dai sorrisi scintillanti dei testimonial ed un’ombra sul muro, gettata dal lampadario, si tramutava in un’ostile bestia. Essa si contorceva, gli si avvicinava, Igor poteva quasi seguirla con gli occhi stanchi mentre gli girava attorno malignamente e lo assaliva. Allora pensava, e pensare era orribile. Le emozioni, tanto assenti quando era in acqua ad osservare il cadavere di Alisa, gli penetravano il cuore e lo afferravano come un bimbo prenderebbe una bambola di pezza, lo scagliavano e sballottavano fino a fargli venire la nausea. La gola si seccava mentre pensava ai suoi capelli rossi, a come li aveva accarezzati quando avevano fatto l’amore prima di capire chi fossero. La mascella si serrava per la sua pelle candida e liscia. Il suo petto si sentiva squassare per le sue mani sottili e delicate, a come lo avevano accarezzato e a come avevano saputo prenderlo con una sapienza ed intimità che Igor non aveva mai provato. Per le sue labbra, i suoi occhi maliziosi e scintillanti quando li corrugava per un’emozione appassionata, Igor sentiva il suo intero corpo tremare, una sensazione di freddo vuoto che gli apriva a forza petto e viscere. Gli occhi si sgranavano ed impallidiva.
Per Alisa Donnikova, la mente di Igor si accartocciava su sé stessa. Ma non rimpiangeva nulla, poiché lei era una strega, e lui un agente della Guardia della Notte.
 
Anton era un bravo ragazzo. Questo giovanotto dalla sguardo perennemente truce, la mente appuntita, era davvero qualcosa di cui la Guardia sarebbe dovuta andare fiera. Igor ne aveva visti di giovanotti come lui, ed ogni volta sorrideva alla loro energia, al loro talento appena esplorato, alla loro giovinezza e voglia di dire e fare per la Guardia. Igor era felice di loro. Ma adesso non aveva voglia di sorridere.
Anton era entrato in camera sua, inviato da tutta la Guardia come suo difensore in tribunale. E, glielo si leggeva sul viso più corrucciato del solito, per fargli tornare la voglia di vivere, per spingere da parte il suo desiderio per la strega che l’aveva momentaneamente buttato giù, rompere il maleficio. Un bravo, bravo ragazzo. Igor sorrise tristemente dentro di sé, sapendo che la sua giovinezza sarebbe andata ad infrangersi sul suo muro, invalicabile, che desiderava solo di ricongiungersi alla sua strega.
Nulla servì: le parole gentili, le lettere da parte degli altri della Guardia, quella buffa idea che ebbe Anton di fargli una lezioncina morale con vari prodotti scadenti rilegati ed imbottigliati in confezioni di bell’aspetto. Le sue parole si fecero più dure, forti, Anton non capiva come si potesse essere innamorato di una strega, ma cercava di capire. Igor glielo disse. Gli parlò della sua vita, di come fosse diventato un Altro, di come Geser avesse dato un nuovo fronte all’ufficiale russo Teplov, un fronte che per molto tempo aveva considerato la suprema lotta tra Bene e Male, il mondo finalmente semplice, i cattivi tutti da una parte pronti per essere eradicati.
Ma così non era, si era accorto poi. Ed un giorno anche quel truce giovanotto di cui andare fieri l’avrebbe capito.
 
Il processo era calmo, freddo. Igor fu tenuto inizialmente in disparte: c’erano alcuni casi minori da sottoporre alla giuria degli Inquisitori prima. Non prestò loro attenzione.
Fu posto sulla sedia dell’imputato, Geser e Zavulon si fronteggiarono, Anton come suo difensore e quell’estone come suo accusatore, Edgar. Ad Igor non interessavano neppure le loro discussioni, i loro battibecchi. Geser gli aveva detto prima del processo che aveva un bisogno fondamentale di lui, che la Guardia tutta ne aveva, che doveva fidarsi. Igor lo stava facendo. Stava recuperando il desiderio di lottare, l’incontro con Anton l’aveva messo sulla strada giusta, ma erano le parole del suo capo a lottare dentro di lui. Non avrebbero cancellato Alisa, i suoi capelli, la sua pelle, le sue mani, le sue labbra, occhi, lei, la strega, ma Igor poteva ancora lottare. Era un agente della Guardia della Notte e c’era bisogno di lui.
Ed a quel punto gli Inquisitori chiesero di evocare dal Crepuscolo Alisa il tempo sufficiente per interrogarla, fare chiarezza.
Igor gelò.
Gli Inquisitori officiarono il rituale e nella sala di tribunale ci fu Alisa, evocata dai morti. Le chiesero di testimoniare.
“E poi, potrò restare qui?” chiese lei, guardando solo Igor. Lui faceva altrettanto, i loro occhi si erano catturati l’un l’altro.
“No.”
Lui non aveva neppure concepito l’idea di rincontrare Alisa, non sapeva cosa fare. Capì che non c’era nulla da fare. Bastava guardarla negli occhi, a lui perlomeno bastava, per capire che l’amore c’era ancora. Alisa non aveva paura di lui, non era arrabbiata, non lo rifiutava né lo vedeva come aveva fatto negli ultimi istanti della sua vita, ovvero come un nemico: erano semplicemente Igor ed Alisa, a fissarsi, gli occhi pieni di cose non dette che non avevano bisogno delle parole. Erano Altri, avrebbero lasciato i suoni vuoti e le dichiarazioni ampollose agli esseri umani.
“Sì, sei stato tu, Zavulon, questa è colpa tua!” Alisa accusò Zavulon quando gli Inquisitori le chiesero di chi fosse la colpa. Aveva già assolto Igor. Il capo della Guardia del Giorno, un tempo suo amante, suo capo e colui che l’aveva buttata come una pezza sporca, sorrise fingendo di non capire.
Gli Inquisitor accusarono sia Geser che Zavulon di macchinazioni intricate, di giocare con il tessuto stesso della magia. Igor ne aveva discusso la sera prima con Anton, ma davanti ad Alisa non gliene importava più. I due capi delle Guardie glissarono le accuse, gli Inquisitori, frementi, non potevano dichiararli colpevoli: eseguirli avrebbe fatto scoppiare una guerra aperta.
Il processo si concluse, dichiarando che l’imputato Igor Teplov era sciolo da ogni accusa. Il rituale di necromanzia venne rotto ed Alisa piombò nuovamente nel Crepuscolo.
Gli Altri della Luce, gli amici di Igor, compagni di battaglia fraterni, si voltarono verso di lui felici, ma la sedia dell’imputato era vuota: Igor aveva seguito la donna che amava.
  
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