Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: mattmary15    01/02/2015    2 recensioni
La generazione dei miracoli si è sciolta e i suoi membri hanno preso direzioni diverse. Le loro strade sono però destinate ad incrociarsi di nuovo e questa volta dovranno confrontarsi con il potere più grande di tutti. Quello dell'amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Daiki Aomine, Ryouta Kise, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Nessuno vuole soffrire davvero


Erano passati diversi giorni dalla fine dell’Interhigh. Kuroko e Kagami avevano preso la decisione di migliorare insieme ma Kagami, dopo la sconfitta di Kise, aveva confidato a Kuroko di voler andare in America per rivedere la sua vecchia allenatrice e capire come ampliare i propri margini di miglioramento in vista della Winter cup.
Kuroko aveva compreso le necessità del compagno ma, in cuor suo, era dispiaciuto all’idea che proprio nel momento in cui il loro rapporto sembrava aver fatto un passo in avanti, Taiga avesse deciso di allontanarsi da lui.
Parlarne apertamente era fuori questione. Non voleva dare a vedere a Kagami che pensava di poter vantare una qualche sorta di pretesa su di lui e non sapeva neppure cosa fare per fargli comunque sapere che gli sarebbe mancato.
Involontariamente fu Riko ad andare in suo soccorso. La ragazza organizzò una festa proprio a casa di Taiga che abitava da solo e non doveva dare conto a nessuno. Hyuuga, che sapeva quanto la ragazza potesse essere letale ai fornelli, la spedì con Kuroko e Mitobe a fare la spesa mentre lui e Teppei rimasero a dare una mano all’ace della Seirin che aveva dimostrato in varie occasioni di avere una buona inclinazione alla cucina.
Kuroko era uscito dal konbini un po’ prima degli altri che stavano scegliendo dei gelati quando lo vide. Era dall’altra parte della strada e lo fissava sorridendo. Portava la giacca della tuta sulle spalle e teneva le braccia incrociate sul petto.
Kuroko aspettò il segnale verde del semaforo e attraversò.
“E’ un piacere rivederti, Tetsuya.”
“Akashi-kun, cosa ci fai qui?”
“La mia squadra sta sostenendo le visite mediche nella clinica laggiù. Sai, è quella del padre di Shintaro.”
“Capisco.”
“In realtà ti ho visto entrare e siccome era da qualche giorno che avevo in mente di parlare con te, ho lasciato gli altri e ho aspettato che uscissi.”
Kuroko sapeva bene che non era nello stile di Akashi aspettare qualcuno così lo guardò dritto negli occhi e gli fece la fatidica domanda sapendo che stava di certo per essere coinvolto in qualcosa.
“Come mai volevi parlarmi?”
“Si tratta di Copycat.” Kuroko, se possibile, si fece più serio. Aveva ancora davanti agli occhi il modo in cui Kise aveva lasciato il campo dopo la semifinale dell’Inter-high. Aspettò che Akashi continuasse. “E’ nella clinica del padre di Shintaro. Lo hanno ricoverato dopo la partita contro Aomine. Lo sapevi?”
Kuroko scosse la testa. In effetti aveva pensato più volte di chiamarlo ma l’evoluzione del suo rapporto con Kagami, lo aveva distratto. Akashi continuò.
“Non vuole vedere nessuno. Non vuole fare la terapia riabilitativa per il ginocchio. Se continua in questo modo, non sarà facile per lui riprendere a giocare. Forse ha deciso di lasciare il basket.”
“Te l’ha detto lui?” Akashi scosse il capo.
“Credo che non sarà facile per lui accettare la sconfitta, stavolta. Credeva di potercela fare. Io stesso gli ho detto che era pronto.”
“Tu cosa?” chiese Kuroko sentendo una sottile rabbia insinuarsi sotto pelle. Akashi li conosceva meglio di chiunque altro. Sapeva quanto Kise fosse legato, nel bene e nel male, ad Aomine. Perché lo aveva spinto contro di lui?
“Gli ho detto che a mio parere era pronto a superare Aomine. L’ho avvertito che la cosa avrebbe richiesto un sacrificio. Sono stato chiaro con lui.”
“Perché lo hai fatto? Tu sai bene che Kise-kun, in realtà, non ha mai voluto superare Aomine-kun. Tutto ciò che ha sempre voluto è stare al suo fianco.” Kuroko si stupì della semplicità con cui lo disse. Era facile spiegare le emozioni altrui, più difficile lavorare sulle proprie. Akashi sorrise.
“Questo mi piace di te, Tetsuya. Sei sempre pronto ad accettare le cose come stanno. Io no. Daiki non ha mai guardato veramente Ryouta. Probabilmente, se sapesse che lo ha spezzato una volta per tutte, finalmente riuscirebbe a vederlo davvero. Non desideriamo giocare sempre con il giocattolo che si è rotto forse?” Kuroko strinse i pugni e mostrò tutta la sua rabbia.
“Kise-kun non è un giocattolo. Nessuno ha il diritto di giocare con i suoi sentimenti. Men che meno tu, Akashi-kun! Non si tratta di una partita di basket ma della sua vita!”
“Preferivi che Kise rimanesse per il resto della sua esistenze attaccato ad uno stupido sogno che non è realizzabile? Almeno adesso ha capito che Aomine non ha alcun rispetto dei suoi sentimenti.” Mentre terminava la frase un lampo attraversò lo sguardo imperante di Akashi e Kuroko percepì una parte del suo modo di vedere.
“L’hai fatto perché volevi che Kise-kun odiasse Aomine-kun!” Akashi sorrise maliziosamente.
“Aomine non meritava il rispetto di Kise. Non ha mai voluto il suo affetto. Non ha voluto neppure il tuo!”
“E soprattutto non ha voluto il tuo, giusto Seijuro?” disse Tetsuya.
“L’ho reso il giocatore più forte del Giappone. Ho trasformato il suo acerbo talento in una totale supremazia. Gli ho consegnato un’ombra che lo ingigantisse di fronte a qualsiasi avversario. Gli ho trovato un compagno in grado di  gonfiare il suo ego. Lui ha voltato le spalle a tutto. A me! Credevi che questa cosa non avrebbe avuto conseguenze?”
“Le conseguenze le sta pagando Kise-kun”, esclamò Kuroko.
“Per ora. Conto che tu farai sapere ad Aomine quali sono stati gli effetti della sua splendida personalità su Kise”, disse Akashi voltandosi e tornando verso la clinica.
“Akashi-kun, aspetta! Non parlerò con Aomine-kun. Non gli dirò un bel niente. Non sarò l’ennesima marionetta nelle tue mani.”
“Avete sempre fatto tutto quello che ho voluto. Non smetterete mai di farlo. Potete allontanarvi ma come i pianeti col sole, girerete sempre intorno a me. Io vi ho guardato tutti dentro. So cosa c’è nel vostro cuore. Se Aomine non salverà Kise, nessuno potrà farlo. Credimi.”
Akashi non aspettò una risposta e Kuroko non ebbe il tempo di aggiungere altro perché i suoi compagni lo raggiunsero. Lui s’accorse però che sotto il portico della clinica una persona che conosceva sembrava aspettare qualcosa o qualcuno. Chiese a Riko di tornare all’appartamento di Kagami senza di lui e attraversò l’incrocio.
La persona che sembrava in attesa di qualcosa altri non era che Kasamatsu, il capitano del Kaijo.
“Kasamatsu-senpai”, fece Kuroko avvicinandosi a lui.
“Kuroko, giusto?” gli rispose il numero quattro del Kaijo.
“Sei qui per Kise-kun?”
“Tu come fai a saperlo?”
“Me ne ha parlato una persona che conosce il medico di Kise-kun. Come sta?” disse Kuroko guardandolo negli occhi. Kasamatsu non riuscì a sostenere lo sguardo.
“In convalescenza. Vengo qui tutti i giorni ma non sempre riesco a vederlo. A volte è in terapia.”
“Cosa dice il dottore?”
“Lo sforzo durante la partita della settimana scorsa è stato eccessivo. Le sue gambe hanno ceduto. Il medico dice che è preoccupato soprattutto per il ginocchio e la caviglia destra. Però non ha niente di rotto.”
“Meno male,”sospirò Kuroko ma l’espressione di Kasamatsu non cambiò “forse però sei preoccupato per qualcos’altro, senpai?”
“Non mangia e, di conseguenza, le medicine non fanno effetto. Prima non sono stato sincero con te quando ho detto che non riesco a vederlo tutti i giorni. In realtà è lui che non vuole vedermi. Così vengo qui, chiedo notizie all’infermiera, mastico amaro e me ne vado.”
“Mi dispiace, senpai. Forse gli serve un po’ di tempo per metabolizzare l’ultima partita.”
A quelle parole, Kasamatsu strinse i pugni e sbottò.
“Metabolizzare cosa? Che quell’Aomine è imbattibile o che è uno stronzo? Kise farebbe bene a cancellare dalla sua vita una persona del genere.”
“Aomine-kun è affezionato a Kise-kun”, disse Kuroko ma si ritrovò addosso Kasamatsu che lo afferrò per il bavero della maglia e lo tirò a sé.
“Affezionato? Quello è un pezzo di merda e io non sopporto che Kise si autodistrugga per colpa sua perché, se tu e la fottuta generazione dei miracoli non ve ne siete accorti, è quello che sta succedendo!” Kuroko sgranò gli occhi “Io non permetterò che Kise si lasci andare, a costo di venire qui tutti i giorni e restare fuori dalla sua porta. Non importa quante volte mi caccerà, io resterò. E se ci tiene alla sua incolumità sarà meglio che quell’Aomine non si faccia mai più vedere, lo dico anche a te.”
“Perché a chi l’hai già detto?” chiese Kuroko risistemandosi la maglia.
“A quel tizio con gli occhi di diverso colore. E’ stato in ospedale. Kise è stato male dopo che lui gli ha parlato. A voi non interessa quale sia l’effetto che avete su Kise. Io, poi, devo raccogliere i pezzi.”
“Sono spiacente, Kasamatsu-senpai. Ti prometto che, per quanto mi riguarda, non farò nulla che possa ferire Kise-kun. Non dirgli neppure che mi hai visto. Ti prego, però, di farmi avere sue notizie. D’accordo?”
Kasamatsu si calmò e annuì. Kuroko tornò a casa di Kagami dove, nel frattempo, i ragazzi della Seirin avevano preparato la cena.
A fine pasto, Kagami si accorse prima degli altri che Kuroko era sparito e non come suo solito ma letteralmente. Lo trovò sul balcone che guardava nel vuoto. Le sue emozioni e quelle che immaginava provasse Kise in quel momento, lo stavano sopraffacendo. Kagami gli posò una mano sulla testa e gli scompigliò i capelli chiari.
“Kagami-kun?”
“Che ci fai tutto solo qua fuori?”
“Gli altri hanno mangiato così tanto che si sono addormentati sul pavimento”, rispose Kuroko.
“Tu invece hai mangiato poco a niente. Credevo ti piacesse la mia cucina!”
“Ho gradito molto tutto quello che hai cucinato, Kagami-kun.”
“Dalla tua faccia non sembra. Devi dirmi qualcosa, Kuroko?”
“Perché me lo chiedi?” Il rosso si passò una mano dietro la nuca e cominciò a dire frasi sconnesse come faceva sempre quando era in imbarazzo. Ad un certo punto si fermò e sbuffò “Insomma hai l'espressione di uno che deve sputare il rospo.”
“Dovrei sputare un rospo, Kagami-kun? Non è una bella immagine!”
“E’ un modo di dire, Kuroko! Ma perché devi sempre prendere tutto alla lettera? Significa che devi dire una cosa di cui ti riesce difficile parlare.”
“In effetti è così”, disse il ragazzo guardando di nuovo nel vuoto e stringendo la balaustra con entrambe le mani “e ci penso già da qualche giorno. Oggi però ho deciso che non ha senso tenermi le cose dentro. A volte ci facciamo mille problemi a parlare e poi accade che le cose importanti ci scivolano via dalle mani. Io non voglio perdere Kagami-kun.” Kagami sussultò.
“Non vuoi che parta?” chiese Taiga.
“No. Cioè, certo che voglio che parti. In realtà vorrei che non partissi ma non che rinunciassi al tuo allenamento speciale. E’ complicato.” Kagami sorrise e guardò, questa volta con la sicurezza che di solito usava solo sul campo da basket, il più piccolo.
“Non è complicato, stavolta. Lo capisco persino io che normalmente sono un testone. Ti dispiace che parta. E io ne sono felice, sai? Ho pensato di chiederti di venire con me, ad certo punto. Poi però ho capito che, se ti avessi portato in America col sottoscritto, avrei passato tutto il tempo in giro con te e addio allenamento. Sappi però che ho deciso di rinviare la partenza. Mentre eravate al konbini, il capitano ha detto che sarebbe stato bello fare un fine settimana al mare. Così abbiamo organizzato una vacanza e io non rinuncerei a passarla con te per niente al mondo!”
Gli occhi di Kuroko avevano assunto dimensioni enormi mentre Kagami parlava e, senza pensare a quello che stava facendo, si getto tra le sue braccia nascondendo il suo viso contro il petto del suo compagno. Kagami ricambiò la stretta e respirò il profumo dei capelli di Kuroko che sapevano di vaniglia.
“Grazie, Kagami-kun.”
“Grazie a te, per avermi confidato i tuoi sentimenti.”
“Non volevo che la mia paura ci allontanasse.”
“Anche se succedesse, io verrei a riprenderti ovunque. Però ho una domanda da farti. Cos’è successo oggi che ti ha convinto a parlarmi? Non dirmi che è stata la zuppa di miso!” Kuroko si staccò un po’ da lui senza smettere di stringere la sua maglietta e sentire il calore del suo corpo sotto le dita sottili.
“Si tratta di Kise-kun. E’ in ospedale.” Kagami si rabbuiò e, mettendo entrambe le mani sulle spalle di Kuroko, lo allontanò un poco da sé e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
“E’ per quello che è successo nella partita tra Kaijo e Touou?” Kuroko annuì “Sta molto male?”
“Fisicamente non credo ma ho saputo che non mangia e rifiuta la terapia.” Kagami si fece ancora più serio.
“Da chi l’hai saputo?”
“Da Akashi-kun.”
“Sarebbe il capitano della generazione dei miracoli, giusto?”
“Sì. E, se lo conoscerai, non ti piacerà come Kise-kun o Midorima-kun.”
“Peggio di Midorima?” chiese con ironia Kagami per stemperare la tensione.
“Non c’è paragone fra i due. Akashi-kun sa sempre ciò che pensi. A volte ho avuto la sensazione che prevedesse il futuro. Ha creato lui a generazione dei miracoli. Inoltre c’è un’altra cosa che non ti piacerà.”
“Che altro?”
“Pensa che noi tutti gli apparteniamo. Io, Kise, Aomine, Midorima e Murasakibara.”
“E’ pazzo?”
“A volte lo sembra. Purtroppo non lo è.”
Kuroko passò quasi un’ora a spiegare a Kagami la personalità complessa di Akashi e quello che lui pensava avesse fatto a Ryouta per metterlo contro Aomine. Kagami, dal canto suo, sapeva con certezza quello che Kise provava per Aomine e immaginava in preda a quale angoscia si trovasse ora il biondo. Non solo aveva rischiato l’orgoglio di atleta nel tentativo di misurarsi con chi riteneva migliore in assoluto ma aveva messo sul piatto della scommessa anche i suoi sentimenti. E Aomine li aveva calpestati entrambi. Da perfetto idiota qual era.
“Sei certo che non bisogna dire ad Aomine che Kise sta molto male per causa sua?” chiese a bruciapelo Kagami. Non voleva tradire la confidenza di Kise ma sapeva che effetto benefico avrebbe avuto su di lui un gesto di affetto da parte dell’altro. Kuroko scosse il capo.
“Conosco Aomine-kun. Anche se è tiene a Kise, ora è arrabbiato.”
“Arrabbiato?” urlò Kagami “Lui è arrabbiato? Kise è in ospedale e lui è arrabbiato?”
“Sì, Kagami-kun. Un po’ come te quando non mi hai lasciato spiegare che tra me e Aomine non c’era nulla.”
“Non è la stessa cosa!” mise il broncio il rosso.
“Aomine non voleva che Kise lo sfidasse così. Ora crede di avere perso il suo rispetto, ne sono certo.”
“Ti dirò la verità, Kuroko. Anche se non ti piacerà ascoltarla. Non credo che Aomine meriti il rispetto di Kise. In fondo da quanto tempo Kise sta provando ad abbattere quel muro che quel tizio ha alzato intorno a sé? E poi, sarò sincero fino in fondo, a me sembra che preferisca te a Kise.” Dicendo queste parole Taiga abbassò lo sguardo.
Kuroko non era il tipo che cercava spesso il contatto fisico con altre persone ma, in quel momento, sollevò una mano e la posò delicatamente sulla guancia di Kagami. Il rosso sussultò.
“Kagami-kun sei geloso?”
La voce di Taiga uscì piano, in un soffio.
“Sì. Sono geloso da quel giorno in cui lui disse che mi aveva lasciato il suo posto.”
“Migliorerebbe se ti dicessi di non esserlo?”
“No. Non credo. Ti da fastidio?” Kuroko scosse il capo.
“Niente di quello che fa parte di te mi da fastidio. E’ già un po’ che me ne sono reso conto. Anche se fai tanta confusione e non hai tatto, anche se arrivi subito alle conclusioni senza ascoltare, anche se parli senza riflettere il più delle volte, anche se mangi quanto tutta la squadra e mi lascerai solo durante l’estate, tutto quello che fai, mi provoca una sorta di pungente felicità. Io non sono avvezzo a manifestare i miei sentimenti per cui sentire così forte le cose, per me è insolito.  E il merito è tuo, Kagami-kun.”
“Dici sempre cose imbarazzanti, lo sai Testuya?”
“Dillo ancora.”
“Dici sempre cose imbarazzanti.”
“No, stupido. Il mio nome.”
“Tetsuya. Tetsuya. Tetsuya. Posso dirlo tutte le volte che vuoi.”
Kuroko sollevò lo sguardo e aprì appena le labbra. Taiga si avvicinò deciso a cogliere quel momento quando la porta del balcone si spalancò costringendo il ragazzo ad allontanarsi dal viso di Kuroko di scatto. Hyuuga, completamente ubriaco, si sbracciava cercando il bagno.
Kuroko si offrì di accompagnarcelo e Kagami rimase a smaltire l’eccitazione che faceva fatica a passare. Era stato a un passo dal baciare Kuroko. Maledetto capitano. In quel momento però, con l’aria fresca della sera sul viso, gli tornarono in mente le parole di Kuroko su Kise. Il ragazzo lo aveva consolato la sera in cui aveva litigato con Kuroko. Aveva promesso a quest’ ultimo che non avrebbe riferito ad Aomine delle condizioni di Kise ma non che non avrebbe fatto un tentativo per tirare su il biondo. Rientrò in casa e tornò a giocare con i suoi amici.

Il ticchettio dell’orologio riempiva l’aria in modo triste. Il tempo non passava mai in quel posto.
Ricordava di aver letto un libro in cui un signore era entrato in ospedale per un semplice controllo e aveva sentito dire che i degenti venivano divisi nei vari piani in base alla gravità della loro malattia. Questi, felice di essere al piano di quelli che sono considerati di passaggio, un giorno viene trasferito al piano inferiore. Comincia perciò a preoccuparsi e intristirsi perché, nei giorni a venire, viene trasferito sempre più giù. In realtà il motivo dei trasferimenti non ha a che fare con la sua salute ma lui si fa talmente influenzare dalla storia che, alla fine, non riuscirà mai più ad uscire da quell’ospedale.
I suoi compagni di squadra gli avevano portato ogni genere di gadget per fargli passare il tempo. Libri, psp, cruciverba, mp3. Ryouta però restava quasi sempre fermo a guardare fuori dalla finestra.
Lui a che punto della storia era? Si era già convinto che non sarebbe mai più uscito da quel posto oppure era ancora in grado di rimettersi in piedi?
No. Non lo era. Aveva smesso di mangiare e non si alzava già da tre giorni.
Non era stato difficile. Non aveva fame e non aveva voglia di fare niente altro che dormire. Il fatto che la sua famiglia vivesse all’estero lo aveva aiutato ad isolarsi completamente.
L’unica cosa difficile era stata allontanare Kasamatsu. A quel pensiero una lacrima spinse all’angolo degli occhi per uscire. Il suo senpai non si allontanava mai da lui. Anche se a calci, lo rimetteva sempre in sesto.
Stavolta Kise non voleva. Non voleva essere aiutato a superare quello che gli era successo. Sapeva che se avesse trovato la forza di riprendere a camminare e poi a correre e poi a saltare e poi a centrare il canestro, questa volta avrebbe significato dire davvero addio a ciò che era stato fino ad allora. Cestinare tutto. Aomine compreso.
Risentì nella sua mente quelle parole ‘Un vincitore non ha nulla da dire ad un perdente’ e stavolta le lacrime furono più forti della sua miserabile forza di volontà.
Perché? Perché doveva amare uno come Aomine? Non sarebbe stato mille volte più bello innamorarsi di uno come Kasamatsu o Kuroko?
Si tirò sulla testa le bianche coperte per far credere all’infermiera che gli aveva portato la cena che stesse dormendo.
Le luci della città entravano dalla finestra incuranti del suo stato d’animo e gli facevano presente che là fuori la vita andava avanti lo stesso. Kise strinse il lenzuolo e, di colpo, lo sollevò. Le sue gambe erano ancora lì. Immobili. Il suo cellulare trillò. L’ennesimo messaggio dall’agenzia che lo incoraggiava a riprendersi perché c’erano mille servizi fotografici per i quali aspettavano solo lui. Ripose il telefono e provò a muovere le gambe. Il dolore fortissimo che sentì attraversare la gamba destra lo sconvolse.
Fino a quel momento aveva creduto di essere sempre a tempo per rimettersi in piedi. Quella improvvisa debolezza gli fece talmente paura che si rigettò la coperta addosso e chiuse gli occhi.
Doveva solo dormire. Dormire e dimenticare tutto.

La mattina seguente Taiga si alzò di buon’ora. Scrisse un messaggio a Kuroko in cui gli chiedeva di raggiungerlo al negozio di articoli sportivi per comprare un costume nuovo per le undici.
Fino a quell’ora aveva tutto il tempo di far visita a Kise.
Raggiunse la clinica e si fece dire il numero della stanza di Ryouta Kise. Non gli piacque per nulla l’espressione triste che assunse il volto dell’infermiera nel sentire quel nome.
La camera di Kise era al settimo piano della clinica e dava sul parco che c’era di fronte. Kagami bussò ma non rispose nessuno. Aprì la porta e scoprì che Kise dormiva.
Era pallido e gli occhi sembravano cerchiati come se non riposasse da giorni. Ciò che lo sconvolse di più furono le braccia. Erano molto più magre dell’ultima volta in cui lo aveva visto giocare e l’interno del gomito destro era completamente viola per via dei buchi praticati dai medici per le flebo. Anche in quel momento ne aveva una attaccata al braccio. Kise sembrava completamente abbandonato a se stesso, inerme.
Strinse i pugni per la rabbia. Lui si sarebbe ma ridotto in quel modo se Kuroko lo avesse abbandonato, ferito, umiliato? Forse no. E Kuroko? Kuroko si sarebbe ridotto così se lui gli avesse mai fatto del male? Scosse la testa cercando di scacciare l’immagine di Kuroko in un letto d’ospedale e si avvicinò. Si sedette sulla sedia vicino al letto e aspettò.
In quel momento, forse per il rumore, Kise aprì lentamente gli occhi.
“Kagamicchi.”
“Ancora quello stupido soprannome?”
“Che ci fai tu qui?” chiese cercando di simulare un sorriso.
“Tu che ci fai qui!” esclamò Kagami. Kise sorrise, questa volta sinceramente.
“Non lo vedi?”
“Sì, lo vedo e devo ammettere che da te non me lo aspettavo.”
“Forse mi hai giudicato male. Molti si aspettano da me cose che non so fare. Eppure lo sanno tutti che sono solo una copia.”
“Non ti ho affatto giudicato male, Kise,” disse Kagami “è che pensavo che non avresti mai smesso di lottare per ciò in cui credi.”
“A volte si perdono tutte le certezze, Kagamicchi.”
“In quei momenti, un buon amico può dartene di nuove.” Kise pianse. In silenzio e Kagami desiderò avere la capacità di Kuroko di dire le cose come stanno senza preoccuparsi dell’imbarazzo.
“So che, almeno tu, sei riuscito a mettere le cose a posto con Kurokocchi. Ne sono felice.”
“A volte le cose non vanno come temiamo. La paura ci fa fare tanti errori. Avevi ragione tu e torto io. Ora non potresti seguire tu stesso quel consiglio e avere fiducia?” Kise tornò a guardare il vuoto.
“Fiducia in che cosa?”
“In te stesso. Tu non sei solo una copia. Il tuo talento non è tutto ciò che sei.” Kagami avrebbe voluto continuare ma Kise lo zittì.
“Io non posso. Non capisci? Io ho provato a demolire me stesso perché i miei sentimenti sono talmente radicati in me che ho pensato che se mi fossi lasciato andare, ad un certo punto, avrei trovato il punto in cui sta la linea di separazione tra me e lui.” Kise sorrise lasciando uscire altre lacrime “Sai cosa ho scoperto? Che per quanto possa strappare via pezzi di me, non riesco a liberarmene, Kagamicchi! Anche adesso che non mi riconosco più allo specchio, io trovo ancora pezzi di Daikicchi. Ci crederesti? Mi scopro a ricordare alcune cose che forse neppure lui sa di se stesso. Lo sai, ad esempio, che quando scrive si sporca sempre il polsino della camicia d’inchiostro? Non si accorge di scartare i piselli nella zuppa di riso. Fa rimbalzare la palla a terra almeno tre volte prima di iniziare a giocare.”
Mentre Kise parlava, piangeva e mentre Kise piangeva, Kagami sentiva un groppo in gola formarsi poco a poco. Non s’accorse neppure di essersi alzato e di aver raggiunto Kise a letto. Lo sollevò dai cuscini sui quali era abbandonato e lo strinse. Forte. Talmente forte che Kise, quel Kise, avrebbe potuto spezzarsi tra le sue braccia se non fosse già spezzato, piegato in due come il ramo di un albero secco scosso dal vento.
Kise si attaccò alla maglia di Kagami come se quella fosse ciò che aveva di più prezioso al mondo.
“Io non sono bravo con le parole e ora avrei solo voglia di dare talmente tanti di quei pugni a quell’Ahomine però, ascoltami, non puoi fare così. Non è la strada giusta per smettere di soffrire.”
“E se io non volessi smettere di soffrire?” Le parole di Kise si piantarono nella mente di Kagami come una lama.
“Nessuno vuole davvero soffrire. Nessuno. Non tu. Vedrai, presto andrà meglio.”
Kasamatsu irruppe nella stanza in quel momento e Kagami si allontanò da Kise non appena intuì che, se non l’avesse fatto, il capitano del Kaijo lo avrebbe preso a pugni.
“Che ci fai tu qui?” chiese acido.
“Sono venuto a trovare Kise.”
“Kise ha bisogno di riposo e tranquillità, l’ho già detto a quell’altro!” disse e Kagami capì che si riferiva a Kuroko.
“Non c’è bisogno di arrabbiarsi. Me ne stavo andando”, disse il più alto mentre Kise tornava a guardare fuori dalla finestra.
Kagami li lasciò soli ma sentì che Kise stava chiedendo a Kasamatsu di andarsene. Il suo viaggio in America poteva aspettare qualche altro giorno e così anche la vacanza al mare. Doveva dimostrare a Kise che quello che gli aveva detto era vero. Nessuno desidera soffrire. Soprattutto nessuno desiderava che lui soffrisse. Non Kise che era sempre gentile e generoso con tutti.
Prese il cellulare e fece il numero di Kuroko.

Due giorni dopo era tutto pronto. Kagami non pensava che avrebbero acconsentito tutti. Certo sapeva che non era facile dire di no a Kuroko ma aveva capito che tutti ci tenevano davvero.
La casa al mare del padre di Riko era grande abbastanza da poterli ospitare tutti. Hyuuga e Teppei erano partiti per primi per fare in modo di preparare le camere. Loro partivano quella mattina. Kuroko sembrava lo stesso di sempre ma Taiga sapeva che era felice. La sua borsa era la più grande di tutte. Kagami gli aveva visto metterci dentro almeno quattro paia di creme solari e persino un maglioncino. E dire che andavano al mare! Nella sua borsa c’era a malapena l’asciugamano!
Alla fermata si erano fatti trovare Midorima e Takao. Il primo con l’aria spocchiosa con cui Kagami aveva imparato a conoscerlo, il secondo con un sorriso a tutta faccia. Momoi, la stramba amica di Kuroko, era bellissima nel suo completo da mare e Izuki non faceva che riempirla di complimenti. Lei però continuava a starsene attaccata, come una cozza allo scoglio, al braccio di Kuroko. Di Momoi però, Taiga non era geloso. Alla stazione c’erano anche Moriyama, Hayakawa e Kobori che rideva per la caduta che Hayakawa aveva appena fatto. Mitobe e Koganei già mangiavano i bento della giornata.
Raggiungere la spiaggia e la casa di Riko dopo il viaggio in treno pieno di risate e scherzi ai danni del più suscettibile della compagnia e cioè Midorima, fu una passeggiata.
Verso le sette di sera la compagnia era tutta riunita nel grande salone. Il messaggio di Kasamatsu arrivò facendo sussultare tutti.
‘Ci siamo quasi’, diceva solo. Il capitano del Kaijo aveva convinto Kise che il giorno stesso delle sue dimissioni dall’ospedale sarebbe stato opportuno un controllo presso uno specialista. Kise, che aveva cavalcato l’onda dell’indifferenza per tutto il tempo passato in ospedale, si era lasciato caricare sulla sedia a rotelle e poi sul taxi per farsi portare appena fuori città.
Quando Kasamatsu spinse la sedia fino alla porta della casa di Riko, Kise cominciò a sospettare qualcosa.
“Sei sicuro che sia questo lo studio medico?”
“Certo che lo sono! E fidati! Sono o non sono il tuo senpai?”
“Sarà ma sembra un’abitazione privata.”
Kasamatsu aprì la porta che non risultò chiusa a chiave e spinse la carrozzella fin dentro un salone che era completamente buio.
“Ma che razza di posto è questo?” fece Kise voltandosi a cercare Kasamatsu che era sparito “Senpai?”
Qualcuno accese tutte le luci e Kise si portò istintivamente le mani sugli occhi. La voce di Momoi trillò forte.
“Bentornato Kise-kun!”
Kise spostò le mani e aprì lentamente gli occhi. Di fronte a lui, oltre alla squadra del Kaijo al completo, se ne stavano Momoi stretta a Kuroko, Midorima e Takao e tutta la formazione della Seirin, allenatrice compresa.
Tutti avevano la tenuta da mare e delle corone di fiori intorno al collo e cocktail di frutta con buffe bandierine in mano. Sembravano tutti felici di vederlo. Nessuno sembrava notare che fosse seduto su una sedia a rotelle, che avesse dieci chili in meno dell’ultima volta che lo avevano visto e che fosse pallido come un cencio. Kise fu quasi accecato tanta era la luce che facevano i loro occhi sorridenti. Kagami sorrideva più di tutti gli altri messi insieme. Kise ricordò l’abbraccio in cui l’aveva avvolto la volta che era andato in ospedale. ‘Nessun vuole davvero soffrire’, aveva detto.
“Kise-kun, siamo contenti che tu sia qui con noi, sai?” disse Kuroko.
“Un po’ di aria di mare ti farà bene”, intervenne Midorima.
“Scusami se ti ho ingannato”, disse invece Kasamatsu.
“Non accetto queste scuse”, disse Kise guardandosi le gambe e, per un istante, tutti pensarono che stesse per arrabbiarsi “Non se non date anche a me una di quelle coroncine. Sono così carine!” fece il biondo e Momoi se la sfilò dal collo e corse a dargliela stringendolo forte.
“Ma guarda che fortunato!” esclamò Izuki e tutti risero.
La serata trascorse serenamente e tutti si preoccuparono di organizzare nei minimi dettagli la giornata al mare dell’indomani.
“Kise, la tua camera è di sopra, perché non provi ad alzarti?” chiese Kasamatsu e Kise parve perdere la serenità che sembrava aver riacquistato per un po’.
“Forse è stanco per la giornata piena di emozioni”, intervenne Kuroko che voleva dare all’amico una via d’uscita da quella situazione scomoda. Chiaramente Kise non sembrava intenzionato a fare un tentativo davanti a tutti. Midorima non era dello stesso avviso perché lo incalzò.
“Mio padre dice che non hai niente che non va. Devi solo sforzarti.”
Incredibilmente fu Kagami a levare Kise d’impaccio.
“E’ meglio se fa un tentativo domani in acqua. Per stasera lo porto su io”, disse sollevando Kise che divenne rosso come un peperone “Non ti ci abituare comunque, principessa!” gli disse salendo le scale lontano da occhi e orecchie indiscrete.
“Mai visto Kagami tanto gentile!” esclamò Riko e Kuroko sentì qualcosa tirare dentro. Kise lo aveva già allontanato da Aomine. Possibile che stesse accadendo di nuovo? Anche Midorima stava pensando la stessa cosa ma, quando si girò a cercare Kuroko con lo sguardo, del ragazzo ombra non c’era più traccia.

 

  
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