Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: Akemichan    03/02/2015    6 recensioni
“L’hai scoperto, vero?”
Sengoku si era ripromesso di rimanere calmo, ma inflessibile. “Come. Hai. Potuto?” E con Garp significava parlare a monosillabi per evitare di iniziare ad urlare.
“Lo sai, è una delle frasi che ho detto a Roger, quando me l’ha chiesto,” rispose lui, conversando in tono naturale. “Ma non ne sono pentito. Mi chiedi come ho potuto salvare dalla morte certa un bambino appena nato, condannato solo per colpa di suo padre; un padre che non avrebbe comunque mai incontrato. Era un neonato indifeso ed innocente…”

Prima classificata al Contest "gli altri di One Piece" indetto da AkaneMikael
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aokiji, Kizaru, Monkey D. Garp, Sengoku
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quando arrivò quella notizia...


 
Quando si era unito per la prima volta alla Marina Militare, non era soprattutto alla carriera a cui mirava; ma era ambizioso, e le occasioni per salire di grado non gli erano di certo mancate, né aveva fatto qualcosa per evitarle, al contrario di qualcuno di sua conoscenza. Però sapeva fin dall’inizio che accettare la posizione di Grand’Ammiraglio avrebbe comportato un aumento sia dei diritti che dei doveri. Tra i primi, il prestigio della posizione, il dover prendere ordini solo dalle alte sfere, tra i secondi… Una lunga serie di gatte da pelare!
E con l’era della pirateria in pieno svolgimento, Sengoku ne aveva dovute sistemare parecchie, di pellicce: l’ultima, ad esempio, era il rapporto della CP5 su un giovane pirata, il quale aveva dalla sua parte una taglia da ottantacinque milioni di Berry, un Rogia, e soprattutto una D. nel cognome che non lasciava presagire nulla di buono – come in effetti le ricerche confermavano.
Non era insolito che la polizia segreta del governo mondiale svolgesse indagini sui pirati che sempre più numerosi invadevano la Rotta Maggiore – conosci il tuo nemico – ma in questo caso c’era un ulteriore motivo per scavare nel passato di Portuguese D. Ace, un sospetto… Che la CP5 aveva purtroppo confermato.
Ogni tanto Sengoku avrebbe preferito non avere una mente così logica che gli consentisse di fare due più due con quella facilità.

“…Testimonianze della presenza di una donna dal nome Portuguese D. Rouge sull’Isola di Baterilla, nel Mare Meridionale, la medesima isola in cui abitava la presunta amante del Re dei Pirati, meglio conosciuto come Gold Roger… …Suddetta donna sarebbe scomparsa, presumibilmente morta, il primo gennaio di diciassette anni fa…”
“…Testimonianze nel Regno di Goa, nel Mare Orientale, di un ragazzino di nome Ace… Abitante della montagna di spazzatura ai confini della città principale nota come Gray Terminal… Responsabile di una serie di furti cittadini, mai arrestato…”
“…La presenza nel Villaggio di Fooshia dell’attuale Imperatore Shanks il Rosso, ex-membro della ciurma di Gold Roger, sembra confermare ulteriormente…”


La cosa che in quel momento lo faceva più imbestialire non era tanto scoprire che diciassette anni prima avessero fallito la missione di uccidere il figlio del Re dei Pirati, dandogli ora la possibilità di scorrazzare liberamente per i mari, ma il come ciò fosse successo. La CP5 aveva casualmentedimenticato di menzionarlo nel rapporto, ma il Regno di Goa era anche l’isola natale di una certa persona… Capacissima di contravvenire in quel modo ad un ordine impartitogli.
Ogni tanto Sengoku avrebbe preferito non avere una mente così logica che gli consentisse di fare due più due con quella facilità.

“L’hai scoperto, vero?” Di Garp non si poteva certo dire che l’intelligenza fosse la migliore qualità, ma non ci voleva un genio a capire la situazione, visto il cipiglio scontento dell’amico e la taglia di Ace in bella vista sulla scrivania, tra i fogli sparpagliati di un rapporto della CP. Negarlo non sarebbe servito a nulla, e comunque non era nella sua natura.
Sengoku si era ripromesso di rimanere calmo, ma inflessibile. “Come. Hai. Potuto?” E con Garp significava parlare a monosillabi per evitare di iniziare ad urlare.
“Lo sai, è una delle frasi che ho detto a Roger, quando me l’ha chiesto,” rispose lui, conversando in tono naturale. “Ma non ne sono pentito. Mi chiedi come ho potuto salvare dalla morte certa un bambino appena nato, condannato solo per colpa di suo padre; un padre che non avrebbe comunque mai incontrato. Era un neonato indifeso ed innocente…”
“Già, proprio questo,” lo interruppe Sengoku. “Un indifeso ed innocente ragazzino che, nel caso ti fosse sfuggito, ultimamente è sempre in prima pagina, e certo non perché ha vinto il concorso di Marine del Mese!”
“Io ho fatto del mio meglio per farlo diventare il migliore dei marine,” mise il broncio Garp, incrociando le braccia. “Potresti almeno dimostrare di apprezzare i miei sforzi.”
“I tuoi sforzi..?” ripeté l’altro. “Sai, contando che tuo figlio è considerato il peggior criminale del mondo, sarei proprio curioso di conoscere i tuoi metodi di allenamento.”
“Se ho un figlio degenere non è colpa mia,” iniziò a borbottare il vice-ammiraglio sottovoce. “E dire che gliel’avevo detto, a Dadan…”
“Dadan non è quel capo dei banditi di montagna di cui mi hai parlato?” domandò Sengoku, cosciente che la successiva risposta avrebbe potuto causargli un notevole aumento della pressione sanguigna. “Quelli che hai lasciato andare contro ogni buon senso?”
“Sì. Le ho affidato Ace con la raccomandazione-” Non terminò la frase, perché il collega si era alzato in piedi, sbattendo le mani sulla scrivania.
“Tu, nel tentativo di far diventare un marine un ragazzino con il sangue del peggior pirata di sempre nelle vene, lo hai fatto crescere a dei banditi?!” esclamò a voce altissima. “La vedo solo io la contraddizione qui? Ma quanto puoi essere idiota?!” Poi si calmò, e riprese il suo sangue freddo usuale, risedendosi. “Scusa, ma sono rimasto scioccato dalla notizia. Nel senso, perché mai il figlio di Roger, allevato da una banda di furfanti, sarebbe dovuto diventare a sua volta un criminale? Con un curriculum come il suo, aveva un destino sicuro come impiegato in una banca!”
“Era ironia, quella?” replicò Garp, che preferiva le ramanzine; erano più semplici da comprendere. “Comunque, per prima cosa non che avessi molta scelta, dato che dovevo tenerlo nascosto. E poi… Può essere considerata una terapia d’urto. Come gettare qualcuno in mare per insegnargli a nuotare.”
“Hai mai sperimentato questo metodo?”
“Una volta, credo…”
“Per caso, su quella recluta che poi ha rassegnato le dimissioni perché assolutamente terrorizzata dal pensiero di avvicinarsi all’acqua?”
“Ehm…”
Sengoku scosse la testa. Sapeva com’era fatto Garp, anche se in qualche modo ogni volta lo sorprendeva con un’idiozia diversa, ma non riusciva a non prendersela, visto che poi era lui che doveva spiegare le cose alle alte sfere. “A questo punto, mi auguro solo che tu non abbia affidato a Dadan pure tuo nipote,” commentò.
Seguì un silenzio imbarazzante.
“L’hai fatto, vero?”
“Rufy e Ace sono praticamente fratelli… Ma Rufy diventerà un marine!” si affrettò ad aggiungere Garp. “Sono assolutamente certo di questo. Ho mai fatto una previsione sbagliata?”
“Vuoi la lista completa?” Poi Sengoku emise un profondo sospiro, mentre iniziava a raccogliere i fogli. “Il rapporto della CP5 non ti menziona, ed io non ho motivo di comunicarlo ai superiori… Considerando soprattutto che non posso darti nemmeno una nota disciplinare, per quella storia sull’Eroe della Marina e tutto.” L’ultima frase era inserita solo per mettere in chiaro che la loro amicizia non aveva certamente peso nella decisione. “Ma dobbiamo prendere provvedimenti, prima che la cosa diventi ingestibile.”
Garp annuì, convinto. “Gli farò una ramanzina con i fiocchi, vedrai!”
“Sì, peccato che affiderò la missione all’Ammiraglio Akainu.”
“Cos..?” L’amico rimase veramente interdetto.
“E’ un incarico troppo importante perché l’affidi a qualcuno di un grado più basso, ed ho bisogno di una persona senza l’idiozia di Kizaru, la compassione verso di bambini di Aokiji e, soprattutto, che abbia un potere sufficiente a superare il Foco-Foco.” Aveva definitivamente indossato la maschera da Grand’Ammiraglio che troppo spesso le stupidaggini di Garp lo costringeva a togliersi, per via della rabbia che gli provocava. “Questa è una colpa grave, te ne rendi conto? Non si tratta di una questione di parentela – hai consciamente violato degli ordini del Governo Mondiale, per diciassette anni, per non parlare delle conseguenze che la tua sconsideratezza potrebbe provocare. Stanne fuori.”
“Sissignore,” fu il commento secco di Garp, prima di lasciare la stanza mestamente.
Ace aveva scelto la sua vita, a prescindere da tutto quello che aveva cercato di inculcare in quella testa calda. Sebbene non l’approvasse, era la sua. Da marine, non poteva farci niente. Non poteva fare niente.

Se un incarico veniva affidato al comando di un ammiraglio, poteva significare solo due cose: o riguardava i Draghi Celesti, o era qualcosa di estremamente grave. Quando Sengoku gli aveva spiegato il problema, Akainu aveva subito compreso la necessità di questa missione. Il suo Rogia e la sua preparazione militare erano più che sufficienti per ultimarla, perciò si era messo sulle tracce della nave dei pirati di Picche con una sola corazzata: meglio fare meno schiamazzo possibile.
La marina non voleva certo un altro martire.

Akainu non aveva molta simpatia per i membri della Flotta dei Sette, che erano e rimanevano pirati, ma dato che gli ordini erano di non toccarli e, se necessario, collaborare con loro per la Giustizia, avrebbe eseguito.
Camminando tra ciò che rimaneva della spiaggia e dei faraglioni che la circondavano posteriormente, ormai ridotti ad un cumulo di sassolini, molti dei quali sembravano ormai carbone raggiunse l’altro uomo seduto al limite, con le gambe in acqua.
“Lord Jinbe,” lo salutò serio.
L’uomo pesce non si voltò neppure, ma accennò leggermente con il capo. Era risaputo che odiasse pirati e marine.
“Che è successo?” domandò Akainu, sebbene in parte già conoscesse parecchi particolari, forniti dagli abitanti del piccolo villaggio dall’altra parte dell’isola, dove aveva ormeggiato la corazzata. “Una battaglia?” aggiunse, vedendo che l’altro continuava a non rispondergli.
“Già,” ammise Jinbe infine. “Con un pirata. Non sono i membri della Flotta dei Sette pirati che combattono contro altri pirati?” Si alzò in piedi, pronto a scomparire in acqua.
Non era un avversario facile. “E’ una bruciatura?” Akainu accennò leggermente ad una delle ferite sul braccio, poi sorrise come se non si aspettasse risposta, e si rivolse a guardare l’orizzonte. “Ma guarda, quella laggiù non è forse la nave di Barbabianca?” Naturalmente, non c’era nessuna imbarcazione visibile.
Jinbe gli scoccò un’occhiata di traverso. “Cosa sta cercando di dirmi, Ammiraglio?”
“Io? Niente,” replicò l’altro, senza distogliere lo sguardo dal mare. “Ma, naturalmente, se ci fosse qualche sospetto di contatti fra un membro della Flotta dei Sette ed un Imperatore… Voglio dire, sarebbe un bel problema per l’equilibrio del mondo, non crede? E purtroppo la marina sarebbe costretta ad indagare e la cosa potrebbe rivelarsi… Spiacevole, per entrambi.”
L’espressione di Jinbe indicava chiaramente che non credeva ad una parola del soldato che gli stava di fronte, ma doveva innanzitutto proteggere la sua posizione, da cui dipendeva anche quella dei suoi simili. Inoltre, niente di quello che era successo poteva danneggiare in qualche modo il babbo. “Ho combattuto contro ‘Pugno di Fuoco’. Abbiamo pareggiato. Poi è arrivato Barbabianca, l’ha sconfitto e se l’è portato via. Fine della storia.”
Ora Akainu lo stava osservando interessato. “Portato via?” ripeté.
“Già.”
Poteva significare solo una cosa: Newgate aveva intenzione di prendere quel ragazzo sotto la sua ala. Non era certo insolito che gli imperatori inglobassero nelle proprie ciurme i pirati più deboli appena arrivati nel Nuovo Mondo.
L’Ammiraglio tornò a fissare il mare. “Questo potrebbe essere un problema…”

Kizaru sedeva alla sua scrivania, scarabocchiando disegnini sui fogli in cui avrebbe dovuto scrivere un rapporto. Sul divano davanti a lui era comodamente sdraiato Aokiji, con un giornale che gli copriva il viso.
“Uffa,” commentò il primo dopo un po’. “Da quando Sengoku-san e Garp-san hanno bisticciato, c’è un’aria deprimente qui.”
Ci volle qualche minuto prima che il collega desse segno di aver sentito, ed altri ancora prima che si mettesse seduto, appoggiando il giornale sulle ginocchia. “Sembra una cosa grave, vero?”
Non era insolito che i due litigassero, ma nella maggior parte dei casi era perché Garp aveva combinato qualche casino dei suoi; Sengoku gli urlava contro per una decina di minuti, poi si rassegnava al fatto che fosse del tutto inutile e, dopo poco, erano di nuovo insieme a prendere il tè. Invece, quella volta, non si stavano più parlando da quasi un mese. E naturalmente la tensione che c’era fra di loro aveva coinvolto anche il resto dei soldati.
Tsuru doveva aver sentito le lamentele dell’uno e dell’altro perché, qualche giorno dopo il litigio, aveva richiesto un permesso di congedo per motivi familiari - cosa mai successa in precedenza! - e quindi non avevano avuto possibilità di parlarne con lei.
“Tu non ne sai proprio niente?” domandò Kizaru.
Aokiji scosse la testa. “Per altro c’è pure di mezzo l’incarico di Sakazuki… Forse quando tornerà scopriremo qualcosa di più.”
In quel momento la figura del diretto interessato comparve sull’uscio aperto dell’ufficio. Si fermò solo in tempo di scoccare ai colleghi un’occhiataccia per nulla rassicurante, prima di proseguire verso l’ufficio di Sengoku.
“Direi che non dev’essere andata benissimo…”
“Oh, spaventoso…”
A quel punto, Aokiji decise che aveva dormito abbastanza, e che abbastanza ne aveva di aspettare senza sapere quello che stava succedendo. Si alzò lentamente per recarsi nell’ufficio di Garp. Lo trovò seduto alla sua scrivania a lavorare. Un ulteriore cosa che doveva essere aggiunta alle stranezze di quel periodo, insieme all’assenza di qualunque biscotto o tazza da tè nei paraggi.
“Signore…” mormorò, per attirare la sua attenzione, dato che né i colpi alla porta, né i suoi passi all’interno della stanza sembravano averlo distratto dai fogli su cui stava scrivendo.
“Kuzan…” replicò l’altro senza alzare lo sguardo.
“Lo sa,” iniziò allora Aokiji. “Prima ho scommesso con Borsalino su chi per primo ci avrebbe detto quello che sta succedendo, se lei spifferando un segreto di stato come se niente fosse o il Grand’Ammiraglio urlandole contro in corridoio…”
Garp allora alzò lo sguardo sorridente, ma gli occhi dicevano che non era affatto in vena di scherzi. Infine allungò un foglio sulla scrivania prima di appoggiarsi più comodamente allo schienale della sedia, incrociando le braccia e guardando fisso i movimenti di Kuzan.
Questi si avvicinò al tavolo ed esaminò l’avviso di taglia di Portuguese D. Ace. “E quindi?” domandò dopo un po’, continuando a non capire. “La D. dovrebbe dirmi qualcosa… Ma non ho mai sentito questo cognome.”
“Perché è quello di sua madre, Portuguese D. Rouge,” gli spiegò il viceammiraglio. “Il nome originale sarebbe Gol D. Ace.”
Kuzan, allora, ricambiò lo sguardo con uno più addormentato del solito. “Ah.”
“Sono stato io a salvarlo, diciassette anni fa,” terminò la spiegazione l’altro, gesticolando. “Sengoku l’ha scoperto e adesso ce l’ha con me. Come se fosse colpa mia se quel deficiente ha deciso di fare il pirata…” Aveva l’espressione accigliata pronunciando quest’ultima frase, ma il tono era più preoccupato che arrabbiato.
“Non sarò certo io, signore, a criticarla per aver salvato un bambino,” mormorò Aokiji, appoggiando la taglia sulla scrivania, con la mente che ritornava inevitabilmente ad una certa ragazzina dai capelli mori. “Ma è sicuro che il Grand’Ammiraglio se la sia presa per questo?”
“E per cos’altro?!” ribatté Garp. “Si è convinto che io abbia salvato il probabile futuro Re dei Pirati e che sarò responsabile di qualunque disastro questo comporti…”
“Sengoku-san è troppo intelligente per pensare che una cosa del genere possa essere dipesa unicamente da lei,” replicò calmo l’ammiraglio. “Lei ha salvato la vita ad una persona, non poteva sapere cosa sarebbe successo dopo. Però, forse, a Sengoku-san avrebbe dovuto dirglielo prima.”

Erano di nuovo faccia a faccia. Sengoku seduto alla scrivania a compilare un rapporto e Garp in piedi dall’altra parte. Nessuno dei due sembrava intenzionato ad iniziare una discussione.
“Sono arrivati i biscotti dal Mare Settentrionale, quelli che piacciono a te,” disse infine il secondo, poggiando un sacchetto marrone spiegazzato sul tavolo. “Versi il tè?”
Nessuna risposta, nemmeno un minimo accenno, a parte il continuo muoversi della penna sul foglio.
“Mi dispiace,” proseguì allora il viceammiraglio. “Ma, onestamente, puoi giurarmi che non saresti andato ad uccidere Ace, obbedendo agli ordini, se te l’avessi detto?”
La penna s’interruppe. Sengoku alzò lo sguardo, lo fissò intensamente, poi si voltò indietro per recuperare la teiera e riempire due tazze. “Probabilmente no,” ammise.
Garp si decise a sedersi, poi sorseggiò il suo tè per un attimo. “Cosa credi che avrei dovuto fare? Non potevo lasciar uccidere un bambino innocente…”
“Io non sarei mai finito in una situazione come la tua,” replicò l’altro. “Ma comunque, di sicuro non l’avrei affidato a dei banditi. L’avrei dato ad una famiglia di marine, piuttosto. E non gli avrei mai detto chi era.” Fece una pausa, mentre si portava la tazza alla bocca. “Perché lo sa, vero?”
“Sì.” Il vice-ammiraglio annuì. “E odia suo padre. Pensa che sia colpa sua se la madre è morta, per questo ha preso il cognome di lei.”
Questa volta, Sengoku rimase stupito. “Però sta seguendo le orme di lui.”
“Già. Pensa di non poter essere nient’altro che un pirata, per via del suo sangue,” sospirò gravemente Garp. “E’ cresciuto con gente che gli ripeteva continuamente che era il figlio del demonio, e che non meritava di vivere. Alla fine, ci avrà creduto veramente,” gli spiegò.
“E, come volevasi dimostrare, ho ragione io,” disse l’amico con tono meno serio. “Perché gliel’hai detto? Perché ti sei preso la briga di allevarlo? Avresti potuto lasciarlo alla prima famiglia che-”
“Lo so, lo so,” lo interruppe l’altro. “Era quello che avevo intenzione di fare, infatti. Ma poi… La prima volta che ho tenuto quel cosino fra le braccia, io… Ho pensato che non sarei mai riuscito a lasciarlo a qualcun altro. Gli volevo già bene.” Prese un altro sospiro. “Che ci vuoi fare, sono sempre stato io quello emotivo. E tu quello coi piedi ben piantati per terra,” aggiunse.
“Già.” Sengoku afferrò la cartella con il rapporto della CP5 e si sporse in basso, per fare in modo che la capretta che stava seduta ai suoi piedi potesse morderlo e divorarlo tutto. “Ma se con questo intendi dire che sono anche quello che deve sistemare i tuoi casini, scordatelo!”

“Secondo te come sta andando?” domandò Kizaru al collega. Lui e Aokiji si erano sistemati nel corridoio, giusto vicino alla porta del Grand’Ammiraglio, ma non riuscivano comunque a sentire niente della discussione.
“Non saprei…” rispose l’altro. “Sengoku-san non ha ancora iniziato ad urlare… Sarà un buon segno oppure no..?”
Dietro di loro si materializzò improvvisamente l’Ammiraglio Akainu. “State origliando?” chiese, in tono polemico.
Aokiji si rimise la mascherina sugli occhi e fece finta di dormire, mentre Kizaru fissò Sakazuki con uno sguardo vacuo, finché questi non si decise a spiegargli, in un linguaggio più elementare: “Origliare vuol dire ascoltare volontariamente le conversazioni degli altri. È una cosa che non si fa!”
“Aaaah…” capì allora l’altro. Poi aspettò un attimo prima di rispondere: “…No.”
“E allora che stavate combinando?” domandò ancora Sakazuki, per niente convinto.
Aokiji si decise a riemergere dal suo letargo. “Siamo solo preoccupati per quello che sta succedendo fra Sengoku-san e Garp-san…”
“Lo so, ma non sono fatti nostri. Non dobbiamo immischiarci nelle faccende dei nostri superiori,” commentò Akainu incrociando le braccia. “E poi, mi dispiace per il vice-ammiraglio, ma stavolta ha decisamente oltrepassato il limite.”
“Intendi per il fatto che ‘Pugno di Fuoco’ è il figlio di Roger? E vabbé, che sarà mai…”
“Come lo sai? Te l’ha detto Garp, vero? Dovevo immaginarmelo!” protestò Sakazuki. “E non andare in giro a rivelare segreti di stato così!”
“Scusa, ma se tu lo sapevi già, non mi pare di aver rivelato proprio niente…” cercò di difendersi Kuzan.
Borsalino, seccato per essere stato escluso dalla conversazione, alzò una mano per cercare di attirare l’attenzione. “Ehi, spiegate anche a me! Non ci sto capendo nulla!”
Gli altri due inarcarono un sopracciglio, convenendo silenziosamente che quella ‘non era certo una novità’, ma dato che per una volta non era colpa di Kizaru, gli raccontarono quello che sapevano.
“Aah, ci sono…” disse lui alla fine, sebbene la sua espressione sembrasse indicare decisamente il contrario.
Poi, qualunque altra discussione fu bloccata dall’uscita rapida della stanza del vice-ammiraglio, il quale sogghignava fra sé. Il che era un buon segno per tutti, probabilmente, a parte per le coronarie del Grand’Ammiraglio.

Garp mangiò l’ultimo biscotto, terminò di bere il suo tè e fece per alzarsi. “Ora è meglio che vada.”
“Aspetta,” lo fermò Sengoku. “Non vuoi sapere la novità sul tuo protetto?”
L’altro si bloccò, annuendo. Sapeva da Aokiji che il suo collega era tornato non di buon umore, per usare un eufemismo, e quindi già immaginava che Ace si fosse in qualche modo salvato, ma non sapeva come.
“Abbiamo aspettato un po’ prima di averne la conferma, dopo il ritorno di Akainu,” spiegò Sengoku. “Ma pare proprio che ‘Pugno di Fuoco’ sia entrato nella ciurma dei pirati di Barbabianca. E sai cosa significa questo, vero? Che non possiamo più toccarlo.”
L’espressione di Garp passò da sorpresa a soddisfatta. “Questo significa però che posso andargli a fare una ramanzina coi fiocchi!” esclamò esultante.
“Se ha l’effetto contrario di tutte le altre, evita, te lo chiedo per favore,” disse Sengoku, seccato.
“Sciocchezze, andrà benissimo,” replicò lui avviandosi verso la porta. Afferrò la maniglia, ma rimase un attimo fermo a riflettere su qualcosa. Quindi si voltò verso l’amico ed affermò, con un sorrisone: “Comunque, non è il mio protetto. È mio nipote, e devo dire che sono piuttosto orgoglioso di lui!”
Quindi, uscì in fretta dalla stanza, e la tazzina da tè che Sengoku gli aveva appena lanciato contro si infranse contro il muro.

 
***
 
Akemichan parla senza coerenza:
Ho scritto questa storia secoli fa (davvero tanto, tanto tempo fa) perché io adoro, adoro in modo sviscerale Sengoku e la sua amicizia con Garp, quindi l'idea di scrivere su di loro con la scusa di Ace era semplicemente perfetta. Resta una delle storie che mi sono divertita di più a scrivere e di cui sono più soddisfatta, anche se forse qualche tocco di OOC qui e là c'è, ma d'altronde sappiamo così poco di questi personaggi!
Io spero che vi abbia divertito leggerla come per me è stato bello scriverla :)
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Akemichan