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Autore: _Lewis_    03/02/2015    0 recensioni
Cosa succederebbe se tutto ciò in cui credi, verrebbe messo a rischio a causa di un'infezione? Lo sa bene il giovane Rick, della città di Artom, che è pronto a tutti i costi, a sopravvivere. Ma la strada sarà realmente tanto facile e senza ostacoli?
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Bondage
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Capitolo 1 Era una giornata nuvolosa, più del normale. Il vento mi accarezzava i capelli come la mano morbida di una mamma quando ti tocca, con quel profumo di nuovo e di soffice che ti fa sciogliere il cuore. Il cielo iniziava a farsi grigio, il che è un evento ben più che raro nella mia città, Artom City. Lasciare le colline per tornare in quello schifo di città mi dava il voltastomaco. Di certo, se fosse stato per me, sarei rimasto li per tutta la vita, lontano dalla corruzione, lontano dalle ingiustizie, lontano dalla mia famiglia. Ultimamente le cose non andavano per il meglio. Mamma litigava in continuazione con papà per motivi a me ignoti. E il che mi snervava molto! Mi incamminai per il sentiero addentrato nella campagna, lontano da tutto e da tutti. Dopo circa 15 minuti di cammino iniziai a intravederla. Già era lei. Palazzi sontuosi in vetro. Metropolitana che sfrecciava alla velocità della luce attorno al perimetro della città. Ed eccomi qui, davanti all'entrata delle fogne. Il solito odore oggi sembrava sparito, e lo stesso per i topi. Mi addentrai nel buio delle fogne, ormai non faceva paura da anni. Se volevo essere felice nella pianura dovevo attraversare quei maledetti 5 minuti di buio. Ricordo la prima volta che mi addentrai al loro interno. Impaurito come un pivello che se la stava per fare addosso e che era pronto per correre dalla mammina. Che vergogna.. Raggiunsi le scale che portavano ad un appartamento abbandonato. Le solite pareti malconce con i mobili rotti e impolverati mi davano la sensazione di stare a casa mia, cosa che provavo raramente in città. Percorsi la strada principale che portava al vialetto di casa mia, era molto più sporca di quanto ricordassi. Nell'aria c'era uno strano odore, la città era deserta il che mi preoccupava un tantino. A quell'ultimo pensiero dissi borbottando tra me e me: - Rick, diamine, sei un ragazzo di 16 anni, non puoi avere paura perchè la città è apparentemente deserta.. certo il che è strano ma.. - non appena pronunciai quell'ultima parola un rumore squarciò il silenzio. Dietro al cassonetto verde vicino casa si sentirono strani suoni. - Ma che... Rick, bello mio, sei troppo teso.- dissi. Non appena varcai la porta di casa tutto era come l'avevo lasciato. Il soggiorno comfortevole che ti dava un calore inaspettato, la solita e vecchia cucina che, pur nella sua vecchiaia, rimaneva sempre la mia piccola cucina dove da piccolo macchiavo sempre e soltanto il tavolo per motivi davvero idioti: non riuscivo a bere il latte! Ed eccolo, il corridoio che portava alla stanza dei miei genitori, alla mia e al bagno. Aprii la porta della stanza dei miei genitori e qualcosa mi sorprese: erano insieme. -Ciao mamma.. ciao papà! Che bello vedervi.. ehm... insieme!- Sorrisi in maniera così stupida che se mi avessero dato una padellata in faccia avrei fatto una faccia meno da idiota. -Ehi Rick - disse mia madre - la cena è nel forno. Anche oggi il nostro caro Martin è riuscito a procurarci della carne. Comunque, com'è stata la tua passeggiata... in quel posto?- - Bene grazie..Quel posto comunque ha un nome, ed è l'unico dove posso isolarmi e stare lontano da questo schifo di città! -Non parlare di Artom in questa maniera giovanotto!- Ribattè mio padre furioso. Sapevo che se se avessi continuato quella conversazione sarebbe finita male. -Sì hai ragione papà, scusami- Chiusi la porta con determinazione, con lo stomaco chiuso mi avviai verso camera mia, mi stesi sul letto e pensai a tutto ciò che avevo visto oggi. Lo splendore degli alberi, il luccicare del laghetto dove, al suo interno, c'erano quelle splendide e divertenti tartarughe. Una di loro non riusciva ancora a nuotare tanto che era piccola. Un sorriso ingenuo comparve sulla mia faccia e, questa volta, non mi dissi nulla. Ne avevo passate così tante che potevo concedermi almeno qualche minuto di relax e divertimento, stupido, ma pur sempre divertimento. Negli ultimi istanti della giornata, continuai a guardare il soffitto e poi il buio. *** Un'esplosione mi fece sobbalzare il cuore. Caddi dal letto e sbattei la testa, per un momento vidi tutto sfocato, poi riuscii ad analizzare la situazione. Mi affacciai alla finestra e vidi una nube nera provenire dal municipio. Sopra di esso vi era il solito e patetico messaggio pubblicitario della presidentessa Shannen con su scritto: "La città dipende da voi. Con amore, tutto può tornare alle origini!" In se per se quel messaggio mi parve sin da subito un po' inquietante quando 5 anni fa lo misero. Ma adesso avevo altro a cui pensare. Le strade vuote iniziarono ad affollarsi e vidi sin da subito qualcosa di strano. Presi il binocolo che avevo in tasca e guardai. Lo scenario che si presentava ai miei occhi era devastante. Gente che urlava, che si disperava ma, la cosa peggiore veniva oltre il primo quartiere. Dal municipio uscirono delle cose strane. Persone senza capelli, con venature nere, occhi da inferno e corpo mezzo insaguinato. Qualcosa non quadrava. Rimasi estasiato alla vista di tutto quel caos. Artom, la città dell'amore, come diceva la Shannen, stava cadendo a pezzi per non si sa quale ragione. Riunii le idee e corsi in camera dei miei, ma loro già erano in cucina ed erano usciti dal balcone mezzo malandato per vedere le situazione. Da fuori era tutto diverso, peggio di quanto vidi un minuto fa dalla finestra. Le strade si erano riempite ed altre esplosioni seguivano la prima. Il caos. Io e i miei decidemmo di scendere subito poichè, le persone impazzite coperte di sangue, si stavano avvicinando sempre di più alla nostra abitazione e, a giudicare dai vicini, era di loro che dovevamo avere paura. Mamma e papà erano nel panico e, ancora una volta, mi stupirono. Si tenevano per mano. Presi un coltello da cucina, mamma fece lo stesso, mentre papà prese il fucile da caccia che teneva conservato nel suo armadio. Scendemmo le scale ma, per l'ennesima volta, dio ebbe uno strano senso dell'umorismo. La corrente saltò e in città fu tutto spento nell'arco di 5 minuti. Mentre scendavamo le scale in fretta e furia, si udivano gli elicotteri che sorvolavano la città. Molto probabilmente non erano qui per salvare noi civili, ma la Shannen e i suoi. La cosa non mi sorprese affatto e, scendendo a grandi passi le scale, ero sempre più determinato ad andarmene via da casa, via da tutto. Non appena usciti fuori, riprendemmo fiato. Tre piani non sono mai facili da fare correndo. Neache il tempo di riflettere, quando papà venne attaccato da uno di quegli esseri. Una scarica di adrenalina colpì il mio corpo. Mi venne d'istinto colpire alla schiena quel tipo ma non si levava di dosso. Come era possibile? Le urla di mio padre si sentivano per tutto il vicinato e poi il dramma. Una mandria intera di pazzi insanguinati stavano correndo verso la nostra direzione. Presi per mano mamma. Era fuori d se e ne aveva tutte le ragioni. Colpii alla testa quel tipo e morì sul colpo. Papà non aveva affatto una bella cera. Era stato morso al collo e, a giudicare dalla ferita, non preannunciava nulla di buono. Con tutta la forza che tenevo, presi anche papà sotto braccio e trasportai i miei dalla parte opposta in cui quei pazzi scatenati stavano arrivando. Non appena mi girai vidi uscire dal nostro portone la signora Thomas e, per sua sfortuna, si accorsero di lei. Era come se fossero pieni di rabbia e fame tanto da fare tutto questo. Mentre proseguivo nel cammino sentii le urla della povera Jennie, ma, senza neanche accorgemene dissi: -Meglio lei che noi-. Mi pentii subito di averlo detto perchè mamma stava guardando tutta la scena dal vivo ed era davvero orribile. Mi accorsi che due di loro si distaccarono dal gruppo e si avviarono verso di noi. Papà prese le nostre difese. Il terrore aumentava sempre di più nel mio corpo esile e, nonostante tutto, volevo dare una mano. Papà caricò due colpi e li colpì dritto al cuore. Peccato che non bastò per fermarli. Ne caricò altri due ma ormai era troppo tardi. Il fucile cadde a terra, proprio ai miei piedi mentre papà veniva divorato da quegli esseri. Proprio davanti ai miei occhi, proprio davanti agli occhi di mamma. Una furia esplose dentro di me e, nonostante non avessi buoni rapporti con mio padre, mi gettai in quel putiferio e affrontai gente che correva e, non appena arrivato ai piedi dei due stronzi colpii il primo con una coltellata alla testa. Il secondo mi guardò con la bocca piena di sangue e gli occhi tutti neri. Lo colpii con un calcio in faccia ma, per mia sfortuna, si rialzò in un batti baleno. Pronto a scattare, si gettò in avanti, riuscii ad andare a destra in maniera veloce e, una volta a terra, presi il fucile di papà e lo sparai proprio quando il suo corpo era in volo a circa un metro da me. Il sangue mi travolse dalla testa ai piedi. Cercai mamma tra la folla e la vidi. Era li, che piangeva. Era li, che si contorceva dal dolore per la perdita di papà. Era li, che aveva paura di perdere anche me. Ma questo non sarebbe accaduto. Non l'avrei permesso per nulla al mondo. Corsi nella sua direzione e ci unimmo alla folla di persone che scappavano dalla mandria che, secondo me, aveva finito con la povera Jennie. Riuscimmo ad entrare in un vicolo stretto e, uno alla volta, entrammo in un vecchio bar che non avevo mai visto prima. Chiusi la porta con determinazione ma, subito dietro di me, c'era uno di quegli "infetti". Si era quello il nome adatto. Così l'avevano chiamati una famiglia che scappava. "Infetti". Mi prese il braccio ma, per fortuna, dietro di me, c'era un uomo alto, con un fisico possente, che, assieme all'aiuto di un altro uomo barbuto riuscirono ad allontanarlo da me e, finalmente, la porta era chiusa. Era tutto finito. Beh, a dire il vero era appena iniziato, ma mamma poteva concedersi almeno 5 minuti per riordinare le idee. Calò in silenzio. Fu l'uomo fisicato a parlare per primo. -Ok, per ora siamo al sicuro, credo. L'unica cosa che dobbiamo fare è assicurarci che le finestre siano chiuse e che la porta principale sia sigillata. Ah, per la cronaca, mi chiamo John-. - Le finestre sono chiuse-. Disse l'uomo barbuto -Perfetto Martin- Ecco, quello era il suo nome: Martin. Alto, ben piazzato, con barba scura e cappello da macellaio. Magari era lui che dava la carne a mamma a buon prezzo. Ma questo ormai non aveva importanza. Decisi di intervenire subito. -Cosa sta succedendo?- Dissi. -Calmati ragazzino, so che per te e tua madre è difficile da capire ma in un momento simile dobbiamo restare calmi e capire la situazione- Disse John. -Che cosa sono quegli esseri?- La voce questa volta proveniva da una ragazza bionda,proprio dietro di me, occhi azzurri,alta quanto me e con una corporatura davvero esile. Era davvero una bella ragazza. Il suo viso sembrava fatto di procellana. Neanche una imperfezione. Ogni minimo dettaglio mi parve... perfetto! -Non so che dirti..- Disse Martin. -Lo so io cosa sono Diana-. La voce proveniva da un tipo strano che era seduto ad un tavolo in fondo alla sala. Alto, capelli lunghi, occhiali da vista rettangolari, naso abbastanza sproporzionato e, a dire dalla voce, pareva sulla cinquantina di anni. -Armi biologiche create dalla R.B.W- -E cosa sarebbero queste lettere? Spiegati meglio ti prego perchè sono sul punto di impazzire!- -R.B.W sta per Richmon Biological Weapons, e si occupa della realizzazione di armi biologiche per il solo fine di aiutare e distruggere le persone.- -Ma tutto questo non ha alcun senso!- Dissi con tono frustrato. -Lo so ragazzino. La R.B.W è nata con l'intento di creare armi biologiche per funzioni mediche e governative. I primi esperimenti furono un successo ma...- -Parla!Cos'altro sai? E poi come fai a sapere tutto queste cose?- Il mio tono iniziò ad essere molto più aggressivo di quanto ricordassi. -Ma.. si dimostrarono del tutto inefficienti. I pazienti sottoposti al medicinale dimostrarono uno strano comportamento nei confronti degli altri. Aggressività, insolenza e poi..- I suoi occhi guardarono il vuoto. Uno sguardo spento si dipinse in faccia a quel tipo. Ma io volevo saperne di più. E lo volevamo tutti. -Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno Michael. Le porte reggeranno ancora per un po'- Disse John, con tono calmo. -E poi... il cannibalismo.- In stanza calò un silenzio imbarazzante. Io non fui colpito da quella frase. Ho visto il modo in cui uccidono quelle cose. Ho visto il modo in cui hanno ucciso mio padre e quello non poteva essere altro che cannibalismo. Ma perchè? -Successivamente le persone infette furono uccise. A quanto pare, dopo circa trenta minuti al contatto con il medicinale, la febbre ti consuma e poi muori. Ma non del tutto. Non so altro.- -Come fai a sapere tutte queste cose?- Domandai incredulo, con una voce tanto distaccata dalla realtà. -Lavoravo per loro.- Di nuovo un silenzio imbarazzante calò in stanza. -Però- riprese - possiamo farcela, credo. Non so bene come questi infetti agiscano ma so chi può aiutarci. Io fui licenziato non aderendo al progetto, è vero ma.. conosco chi può aiutarci. Conoscete il centro malattie infettive di Artom no? Si trova dalla parte opposta della città se non erro.- -Non ti sbagli affatto cervellone- Disse Martin -Bene, dobbiamo andare li e capire cosa è successo. Ad accoglierci ci sarà sicuramente qualche scenziato rimasto. La struttura è ad alta tecnologia militare, muri spessi e dormitori abbondanti, non credo che siano riusciti ad entrare anche lì.- Un rumore spaventoso provenne dalla porta del retro. Lamenti e gemiti. Sì, erano loro, erano gli infetti, e ci avevano sentiti. Sbattevano in una maniera talmente forte che mamma riprese a piangere. Non ebbi il tempo di girarmi quando, dalla finestra, una mano prese mamma per la gola, la alzò e la morse sulla guancia. Un urlo squarciò nel caos. Il mio urlo. Corsi nella sua direzione ma era troppo tardi. Mamma non c'era più. Le lacrime scendevano come pioggia in piena, Jhon e Martin mi presero per le braccia e mi portarono al secondo piano. Una volta chiusa la porta non capii più nulla. Il mio sguardo nel vuoto non aiutò a migliorare la situazione. Mentre io ero rannicchiato per terra Diana,Martin,John e lo scenziato cercarono la chiave per arrivare sul tetto. Salimmo le scale e una folata di vento ci fece rivivere. La notte era ancora molto inoltrata ma c'era abbastanza luce da mostrare tutto. Non servivano più i lampioni per fare luce. Dopo il blackout, furono le fiamme a tornare vive. Artom, non esisteva più. Le strade erano distrutte, ormai c'erano solo orde di infetti e orde di sopravvissuti, persone che speravano di sopravvivere. Persone che si auguravano di tenere al sicuro la propria famiglia. Proprio nel compito in cui io avevo fallito. Gli occhi si fecero lucidi ma questa volta non permisi alle lacrime di scendere. Se volevo sopravvivere, dovevo rimanere unito al gruppo, e al mio fucile. Al fucile di papà. Analizzammo la situazione e vedemmo che il bar su cui eravamo, era collegato ad un palazzo della stessa altezza. Questo palazzo lo vedevo sempre quando tornavo da scuola. Un palazzo malandato, di 2 piani, con finestre e porte rotte. Era così già da prima che tutto iniziasse. E, come se non bastasse, gli infetti peggiorarono le cose. Ci arrampicammo sull'altro tetto. Martin mi diede una mano. Quell'uomo si dimostrò davvero cordiale, e anche John non era male. -Bene, adesso dovete condurmi al C.C.M. - disse lo scenziato. -Al C.C cosa? - Disse Diana con aria da stupida. -Al centro controllo malattie.. - Disse Jhon e poi aggiunse - comunque sì, ti porteremo li Micheal- -Quanto pensi ci vorrà per arrivarci?- -Non so dirlo con certezza. Prima dell'alba sicuro. Non sappiamo cosa ci aspetta. L'unica cosa certa è che le strade non sono sicure. Però non possiamo neanche camminare sui tetti. Prima o poi il collegamento finirà e a quel punto..- -Saremo spacciati- Disse Martin con aria seccata e aggiunse - la sappiamo la storia John, ma io dico di provarci e basta. Non voglio che quei figli di puttana mi mordano ma, se dovesse accadere, voglio almeno provare a combattere. Io e il mio machete siamo unici insieme- Con mia grande sorpresa cacciò dal pantalone un Machete di circa cinquanta centimetri. -E quella dove l'hai presa?- Chiede John. -Secondo te? Dalla mia macelleria zuccone.- e rise. Come può ridere in un momento simile? Dopo la morte di mamma? Dopo tutto quello che stava succedendo? -Io dico di muoverci senò non arriveremo più e Micheal non potrà più salvarci- Disse Diana. -Non ho detto che vi salverò. Potrebbe esserci qualcosa al C.C.M., ma non è nulla di sicuro- -Allora muoviamoci, prima arriviamo meglio è per tutti noi!- Disse John mettendosi al capo del comando Corsi velocemente per mettermi al suo fianco e, mentre attraversammo condominio per condominio, fu lui il primo a parlare. -Mi dispiace per tua madre ragazzo. Sono certo che era una donna meravigliosa- -Si lo era.. e non posso credere a come tanto velocemente abbia perso i miei genitori..- -Però tu sei vivo. Tu ora sei con noi. Saremo una squadra formidabile, fidati- mi sorrise come per rincuorarmi. Ma non ci riuscì. -Grazie John... piuttosto, da quanto vi conoscete voi 4? -Abitiamo tutti nello stesso condominio. Eccetto Micheal, lui lo conosco da molto tempo. Andavamo a scuola insieme e alloggiava da me per il week-end perchè, essendo uno scenziato, aveva una conferenza al municipio. Io ebbi l'onore di essere il suo accompagnatore. Sai, vedere dalla prima fila la presidente Shannen era una emozione che non potevo perdermi assolutamente!- Disse con tono calmo e scherzoso. -Poi però le cose presero una brutta piega..- -In che senso?- Dissi -Nel senso che una delle guardie del corpo della Shannen, cadde improvvisamente a terra, contorcendosi dal dolore e urlando come un pazzo. Rimase immobile per circa 10 secondi. Dopodichè, il panico. I suoi occhi si sbarrarono e la Shannen gli ficcò un coltello ,che cacciò dalla tasca, nella testa. Nessuno di noi sapeva perchè la Shannen avesse un'arma in tasca. E tanto meno come abbia fatto a reagire in maniera così...- -Naturale!- Dissi -Esatto..- -Magari è complice. Magari anche lei fa parte della R.B.W o come l'ha chiamata Michael. - -Non so cosa dirti ragazzo mio ma so solo due cose - -Cosa?- Chiesi in maniera tanto ingenua. - Uno, devi dirmi il tuo nome- Una risatina sbocciò sulla sua faccia. -Rick. Mi chiamo Rick- -Bene Rick. Due è che siamo arrivati alla fine del palazzo.- -Dovremmo scendere per le scale secondo te?- Dissi con tono preoccupato, sperando che la risposta fosse negativa, dato che dietro quella porta si sentirono strani rumori. -E' l'unica via ragazzo mio, è l'unica via di fuga.- Il cuore, cominciò a battere all'impazzata, pronto ad affrontare qualsiasi cosa ci fosse lì sotto, pur sapendo che, quello, sarebbe potuto essere l'ultimo instante della mia giovane vita.
   
 
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