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Autore: DarkStorm    03/02/2015    1 recensioni
Zoe è una normale e modesta studentessa di Medicina Veterinaria, i cui unici pensieri nella vita sono dare l'ultimo esame e preparare la tesi di laurea. All'inizio delle vacanze estive, però, fa un incontro che le cambierà la vita. Da quel momento, Zoe è in grado di vedere (e quindi curare) animali decisamente poco convenzionali: rettili troppo cresciuti dotati di ali, equini con appendici varie, esseri antropomorfi di varia natura e dimensione, creature che sembrano essere uscite dal laboratorio del dottor Frankenstein dopo una notte di bagordi.
Suo malgrado, Zoe verrà coinvolta nella guerra tra esseri umani e il Popolo Invisibile, una guerra restata a lungo nascosta, ma che ora torna a galla, con tutte le sue conseguenze.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

Tra gli alti alberi di una vecchia faggeta, una ragazza avanzava arrancando.

Era fine agosto e anche all'ombra di quegli alberi imponenti il caldo era tanto. Anche gli insetti erano tanti e fastidiosi.

Zoe aveva la canottiera rossa inzuppata di sudore e sentiva gli spallacci dello zaino, pesante come un macigno, segarle le spalle. Cercava di non pensare troppo ai piedi doloranti, a cui erano di sicuro venute almeno un paio di vesciche ciascuno.

La ragazza si scostò da davanti agli occhi una ciocca di capelli castano chiaro, sfuggita alla treccia che le incoronava la testa. Si fermò sbuffando di fianco a un masso e sganciò la borraccia dal moschettone che la assicurava allo zaino.

Mentre beveva una lunga sorsata d'acqua, la ragazza seguì con la coda dell'occhio le tracce che stava seguendo: proseguivano alla sua sinistra, inerpicandosi verso un basso crinale. Ripose la borraccia e riprese il cammino.

Le impronte che stava seguendo avrebbero potuto appartenere a dei cervi, se non che nessun cervo avrebbe potuto lasciare impronte così grosse.

Le due serie di impronte affiancate, una più grande e una più piccola, sembravano confermare quanto riferito da Tiberius: una femmina di unicorno con puledro al seguito.

La ragazza era preoccupata, aveva già avuto a che fare con gli unicorni ed era arrivata ad un paio di conclusioni: le femmine tendevano ad essere meno collaborative dei maschi e la maternità ne aumentava in modo esponenziale il brutto carattere. Quella che stava seguendo era pure ferita, almeno a sentire Tiberius, e Zoe non sapeva che reazione aspettarsi dall'animale, una volta che lo avesse raggiunto.

'Se mai riuscirò a raggiungerlo!' si disse poi, sospirando sconsolata.

Quanta strada poteva mai fare un unicorno ferito con un cucciolo a seguito? Lei era in giro dalle sei della mattina e ancora non ne aveva visto l'ombra. Era quasi mezzogiorno e stava già morendo di fame! Per lo meno, durante la notte era piovuto e le tracce erano chiare e facili da seguire nel fango

Arrivata al crinale, vide le impronte scendere e dirigersi verso un punto in cui gli alberi si diradavano. Si sentiva in lontananza lo scorrere di un torrente.

Zoe sorrise: appena avesse trovato il corso d'acqua, se non fosse stato troppo fangoso, si sarebbe tolta scarponi e calze e ci avrebbe ficcato dentro i piedi. Rinfrancata da quella prospettiva, allungò il passo.

In quel momento un nitrito acutissimo risuonò nell'aria e a Zoe si fermò il cuore per lo spavento. La ragazza si immobilizzò e tese le orecchie; una lieve brezza fece frusciare le fronde degli alberi e un uccello lanciò il suo richiamo, poi ecco di nuovo il nitrito, provenire da qualche parte davanti a lei.

Ignorando il dolore ai piedi e alla schiena, Zoe si mise a correre lungo la scia di impronte, col cuore che le martellava in petto. Il nitrito le era sembrato molto acuto per essere quello di un adulto e, se era stato il puledro a lanciare quel grido, cosa poteva essere successo? Avrebbe voluto non avere quel maledetto zaino sulle spalle, che la sbilanciava e le impediva di correre più veloce e avrebbe preferito che il terreno non fosse così accidentato da farle rischiare di finire lunga distesa ogni tre passi.

La ragazza si infilò in una distesa di felci e arbusti e, mentre si appuntava mentalmente che quella sera avrebbe dovuto controllare che nessuna zecca schifosa le si fosse attaccata addosso, scorse il puledro.

Il cucciolo era molto agitato: scalpitava e nitriva, col muso rivolto a terra, ma gli arbusti erano così fitti e alti che Zoe non intravvedeva altro che la schiena candida come neve del piccolo.

La ragazza vide la madre solo quando fu quasi arrivata al puledro: la femmina di unicorno giaceva a terra immobile, con la testa per metà immersa in un basso torrente. Era morta.

-Oh, porca!...- sussurrò Zoe con gli occhi spalancati.

Il puledro si accorse di lei e, dopo averle rivolto uno sguardo carico di terrore, scartò e fuggì a gambe levate, scomparendo alla vista.

La ragazza crollò in ginocchio e pianse. Aveva già visto animali morti e aveva già assistito ad autopsie ed eutanasie, ma era la prima volta che vedeva un unicorno morto. Sapeva che potevano morire, Tiberius glielo aveva detto, ma vederlo nella realtà, vedere l'unicorno riverso a terra, privo di vita, con il mantello candido chiazzato di fango scuro, era orribile, sbagliato.

Zoe si liberò dello zaino e gattonò fino alla testa dell'animale, che prese e si strinse al petto, inzaccherandosi da capo a piedi. Sotto la palpebra semichiusa si intravvedeva un occhio marrone scuro che la fissava e alla ragazza sembrò che l'animale la stesse accusando di non essere arrivata in tempo. Il corpo era ancora caldo e il rigor mortis non era ancora cominciato, quindi l'unicorno era morto da poco e questo la fece sentire ancora più in colpa.

'Se solo fossi stata più veloce,' pensò 'forse avrei potuto fare qualcosa per salvarla.'

Passarono parecchi minuti prima che Zoe riuscisse a calmarsi, e anche così, quando aprì lo zaino per prendere le cose che le servivano, le tremavano le mani. Si infilò la casacca verde da chirurgo e prese un paio di guanti monouso di lattice.

La femmina di unicorno era stesa sul fianco destro e la ragazza, anche se si sentiva stupida a farlo, auscultò il cuore col fonendoscopio, per accertarne la morte. Dopo aver ricacciato indietro nuove lacrime, fece mente locale: le cose capaci di ammazzare un unicorno adulto erano davvero poche e Tiberius gliene aveva dettato la lista, assicurandosi che la imparasse a memoria.

La ragazza passò le mani sul liscio corno tortile, saggiandone l'attaccatura al cranio, ma non c'erano segni di marcescenza del corno; i bulbi oculari non erano liquefatti e il mantello candido e setoso non aveva macchie nerastre o prive di pelo; dalle narici non colava nessun tipo di muco sospetto. Non c'era niente che indicasse la presenza di una delle sei malattie letali per gli unicorni.

Il pelo dell'unicorno mostrava i segni di una abbondante sudorazione e sulle mucose della bocca Zoe trovò parecchie piccole emorragie, che però non la aiutarono ad arrivare a una diagnosi.

A quel punto la ragazza esaminò gli arti dell'animale, in particolare lo spazio tra le suole dei due unghioni, alla ricerca dell'unica causa di morte rimasta sulla sua lista: un chiodo, o un altro oggetto appuntito di ferro, piantato da qualche parte, ma non ne trovò traccia da nessuna parte.

Zoe ora era perplessa e si chiese se per caso l'animale non avesse ingerito un pezzo di ferro per sbaglio.

Aiutandosi con delle balze e una robusta fune, la ragazza fece rotolare l'unicorno sul fianco sinistro, per controllare l'altro lato.

Il lato destro dell'animale era sporco di terriccio e fango, ma Zoe individuò subito il foro di una ferita penetrante sulla coscia.

La ragazza sondò la ferita con le dita e sentì che c'era qualcosa, dentro, ma qualunque cose fosse non voleva saperne di uscire, così si vide costretta a prendere il bisturi dallo zaino e ad allargare il foro.

Alla fine Zoe estrasse una punta di freccia irta di uncini. Il ritrovamento lasciò la ragazza senza fiato dall'orrore: quindi non era una morte accidentale. Qualcuno aveva volutamente colpito l'unicorno, con l'intenzione di ucciderlo.

La ragazza si tolse i guanti di lattice ed estrasse da una tasca dei pantaloni un fischietto di legno intagliato a forma di testa di drago. Appoggiò le labbra al beccuccio e soffiò forte due volte. Dallo strumento non uscì nessun suono udibile da orecchio umano.

Zoe sapeva che avrebbe dovuto aspettare un po', quindi sistemò le sue cose nello zaino, lasciando le balze e la fune legate alle zampe dell'unicorno, e risalì per un breve tratto il torrente, fino ad un punto in cui il fondo era di ghiaia e ciottoli.

La ragazza mise a terra lo zaino, si tolse i vestiti infangati ed entrò nell'acqua gelida. Sentì i suoi piedi ringraziarla e si gettò l'acqua addosso, rabbrividendo per il freddo, per sciacquare via sudore, fango e sangue di unicorno.

Due domande le martellavano in testa con insistenza: chi poteva aver scagliato la freccia che aveva ucciso quel povero animale? E che fine aveva fatto il puledro? Al momento la questione che più la preoccupava era la seconda. Aveva potuto dare al piccolo solo uno sguardo di sfuggita, prima che scappasse via: il corno era già spuntato e quindi era possibile che il puledro avesse cominciato ad essere svezzato, ma era ancora piccolo e le sue probabilità di sopravvivenza senza la madre erano scarse. Immaginò (sperò) che il puledro non si fosse allontanato troppo da dove era morta la femmina. Forse aveva ancora una possibilità per ritrovarlo.

Zoe si sedette su un piccolo masso grigio che spuntava dalla corrente placida e si esaminò i piedi, sbuffando alla vista di una vescica sul tallone sinistro. Era davvero troppo tempo che non usava gli scarponi da montagna, pensò mentre si asciugava con un piccolo asciugamano.

Una volta rivestita, la ragazza tornò nel punto in cui aveva lasciato il cadavere dell'unicorno e, dopo aver rovistato nello zaino alla ricerca della sua seconda 'arma' per conquistare la fiducia degli unicorni più diffidenti, si nascose poco lontano tra gli arbusti, con una mela dalla buccia color oro e un coltellino svizzero stretti tra le mani, in attesa speranzosa.

Dopo mezz'ora di preghiere silenziose rivolte a qualsiasi divinità fosse in ascolto, la ragazza sentì un fruscio e vide spuntare in lontananza il muso sospettoso del puledro. Tirando un sospiro di sollievo, Zoe aspettò che il cucciolo uscisse dalla macchia e andasse vicino al corpo della madre, poi avanzò lentamente e attenta a non fare rumore.

Il puledro era concentrato sulla madre: la annusava, la colpiva ogni tanto col muso, come se volesse farla alzare, chiamandola con insistenza con nitriti acuti.

Quando fu abbastanza vicina, la ragazza tagliò col coltello un pezzo di mela e lo lanciò verso il piccolo unicorno, che scartò di lato al debole rumore del pezzo di cibo che gli era caduto vicino.

Il puledro si avvicinò con circospezione al pezzo di mela, come se si aspettasse di venirne attaccato. Lo annusò da lontano, poi si avvicino di più e lo annusò di nuovo.

'Dai, che è buono. Dai mangialo!' pregò Zoe tra sé.

Il puledro sbuffò, diede una leccatina incerta e, trovandolo di suo gusto, mangiò il pezzo di mela. La ragazza ne aveva già pronto un altro, che buttò un po' più vicino a sé. Il puledro raggiunse anche quello e lo mangiò.

Con il seguente pezzo di mela, il puledro arrivò in un punto da cui poteva vedere la ragazza, che se ne stava seduta immobile, a gambe incrociate, e che tendeva verso di lui quello che rimaneva della mela d'oro. Il piccolo unicorno frustò l'aria con la coda leonina, indeciso, e fissò Zoe mentre masticava il terzo pezzo del frutto.

-Ciao, piccolino.- disse la ragazza con voce calma -Qui c'è la mela. La vuoi vero?-.

Il puledro restò immobile, con le orecchie puntate verso di lei.

-Ne vuoi un altro po'?- disse ancora Zoe, staccando dal frutto, ormai quasi finito, un altro pezzo, che lanciò ancora più vicino a sé.

-Forza, lo so che ti piace. Vieni qui, piccolino.-.

Un passo dopo l'altro, con gli occhi sempre rivolti verso la ragazza, pronti a cogliere qualsiasi gesto minaccioso, il puledro raggiunse il quarto pezzo di mela e lo mangiò.

Anche se era così nervosa da essere sul punto di scattare in piedi per cercare di afferrare il puledro, Zoe si costrinse a stare seduta a gambe incrociate, con un sorriso calmo e rassicurante stampato in faccia, e continuò a offrirgli l'ultimo pezzo di mela dalla sua mano tesa.

Il cucciolo sbuffò e nitrì, raspando per terra con le unghie.

'Dai dai dai... ti prego!' pensò Zoe, ma avrebbe voluto urlarlo.

Il puledro allungò il collo verso di lei, annusando con attenzione, e nitrì di nuovo.

Alla fine l'animale si decise ad avanzare, sempre circospetto, e con grande gioia di Zoe raggiunse la sua mano, da dove raccolse l'ultimo pezzo di mela, e che poi leccò per rimuovere le ultime gocce di succo rimaste.

Zoe si rilassò e con movimenti lenti si mise in ginocchio e circondò il collo del puledro con le braccia, stringendolo a sé.

 

Mezz'ora dopo un'ombra immensa passò in volo radente sopra Zoe e il puledro, che furono investiti da forti raffiche d'aria. La ragazza vide passarle sopra la testa il ventre coperto da placche azzurro chiaro di un drago.

-Tiberius!- gridò la ragazza alzando una mano in segno di saluto.

Un istante dopo Zoe finì quasi a gambe all'aria, quando il puledro, impazzito di terrore, tentò la fuga strattonando la corda legata alla rudimentale capezza che la ragazza aveva fabbricato per lui. Corda che Zoe riuscì a non farsi sfuggire di mano.

Il drago, intanto, era atterrato poco distante, sollevando spruzzi d'acqua e schiacciando gli arbusti sotto i suoi quindici metri di lunghezza. Le scaglie che ricoprivano il suo corpo erano di un bel blu zaffiro, mentre le sue ali membranose erano di una gradazione più scura, quasi nera. Il drago chiuse le ali attorno al corpo massiccio e raggiunse Zoe, che faceva del suo meglio per calmare il puledro, senza molto successo.

-Non farlo scappare.- disse il drago, con una voce profonda e sibilante -Sarebbe un guaio, se riuscisse a liberarsi.-

-Non è che la tua presenza aiuti!- fece presente Zoe, che si puntellava coi talloni per resistere agli strattoni che il piccolo di unicorno dava alla corda.

-La madre è morta.- continuò la ragazza, in tono più serio -Non li ho raggiunti in tempo, scusa.-

-Ho visto. Questo è un altro guaio.- commentò il drago -Hai scoperto cosa l'ha uccisa?-.

La ragazza non fece in tempo a rispondere perché, con uno strattone più forte del previsto, il puledro le strappò la corda di mano e scappò via al galoppo verso la faggeta da dove erano arrivati. Zoe si ritrovò con le mani scorticate e le lacrime agli occhi per il dolore.

Per fortuna il fuggitivo non andò lontano: incontrò infatti il drappello di nove centauri che avevano seguito Tiberius, che catturarono il puledro e lo ricondussero al torrente, assieme ad un cavallo sauro sellato, piccolo e robusto, che si erano portati dietro.

Tutti si ritrovarono di fianco al cadavere della femmina di unicorno.

Zoe tirò un sospiro di sollievo quando vide il puledro tenuto alla corda da un centauro baio.

La ragazza si inchinò davanti ad un centauro con il corpo di un cavallo nero come la notte. Anche i capelli della creatura, lunghi fino alle spalle, e la sua barba corta erano neri; il suo petto glabro era lucido, madido di sudore. Il suo viso sarebbe stato anche piacevole, se non fosse stato per l'espressione arcigna di perenne disappunto che Zoe aveva visto così tante volte da dubitare che il centauro ne avesse altre. Il centauro osservò coi suoi occhi azzurro ghiaccio il corpo senza vita dell'unicorno; scalpitò, sollevandosi leggermente sugli zoccoli posteriori, e con un gesto rabbioso piantò l'asta della sua lancia nel terreno molle.

-Come è successo?- tuonò il capo dei centauri.

-È stata colpita da una freccia, Lancia Nera. La punta di ferro era uncinata ed è rimasta nella ferita finché non l'ha uccisa.- rispose la ragazza.

Zoe tirò fuori dalla tasca la punta della freccia che aveva estratto dalla coscia dell'unicorno e la diede al centauro. Lancia Nera la osservò con attenzione.

-Non ho mai visto una freccia di questo genere, nel mio territorio.- disse alla fine, restituendo l'arma a Zoe -Non è neanche del piccolo popolo.- continuò Lancia Nera -È troppo grossa e comunque loro non usano il ferro, essendo questo metallo letale per loro come lo è stato per questo povero animale.-.

Tiberius annuì e si fece mostrare da Zoe la punta della freccia.

-Bracconieri, direi a occhio.- disse il drago -Bracconieri inesperti. Non saprei dire la specie di appartenenza. Umani o licantropi.-

-Vampiri, forse?- suggerì Zoe.

Lancia Nera inarcò un sopracciglio e alzò leggermente il mento, squadrando Zoe dall'alto in basso come se fosse un puledro ignorante.

-Nessun vampiro sano di mente si avvicinerebbe ad un unicorno ferito più di dieci metri. Pensavo sapessi che il sangue di unicorno è mortale per i vampiri.- replicò Lancia Nera con alterigia.

Zoe arrossì fino alla punta delle orecchie e farfugliò delle scuse.

-Sì, lo so. Era solo un'ipotesi, scusami.-

-È un'ipotesi azzardata,- intervenne Tiberius -ma comunque valida. I gruppi misti di bracconieri non sono una novità. Ho avuto notizia di un gruppo formato da umani e vampiri, qualche anno fa.-

-Feccia.- sibilò Lancia Nera e sputò per terra.

-Cosa volete farne, del cadavere?- chiese Zoe -Lo distruggerete?-

-Ovvio, ragazza. Neanche una infinitesima parte di questo animale finirà sul mercato nero.- rispose Lancia Nera con rabbia.

-Me ne occuperò io.- assicurò Tiberius -Lo porterò in volo in un posto tranquillo e isolato e lo brucerò, poi ne disperderò le ceneri.-.

Lancia Nera annuì in silenzio.

-Del puledro ce ne prenderemo cura noi. Troveremo un branco di maschi in cui inserirlo, non appena avrà raggiunto l'età adatta.- disse il centauro, poi si rivolse a Zoe -Il cavallo ti riporterà fino al tuo mezzo di trasporto. Quando sarai arrivata lascialo libero.-

-Sì, Lancia Nera.- rispose Zoe inchinandosi -Ti ringrazio.-.

Il gruppo dei centauri, dopo aver salutato il drago con un inchino, riprese la via della faggeta, tirandosi dietro il puledro, che nitriva senza sosta, chiamando invano la madre.

La ragazza e il drago restano da soli, assieme al cavallo sauro.

-Ho rischiato di combinare un casino, quando ho lasciato scappare il puledro, eh? Già Lancia Nera non sopporta di lavorare con me perché sono un'umana, figurati se avessi perso il piccolo...- disse Zoe.

-Ringraziamo che il puledro abbia deciso di correre verso i centauri e non dalla parte opposta e non pensiamoci più.- rispose Tiberius, incurvando le labbra nel suo tipico sorriso irto di denti -Le balze e la corda puoi toglierli. Non ne ho bisogno per trasportare il corpo.-

-Sì.- disse la ragazza.

Zoe si infilò un altro paio di guanti di lattice, per evitare di sporcarsi le abrasioni sulle mani, lasciate dalla corda quando il puledro le era scappato, poi si mise ad armeggiare con le fibbie delle balze per liberare le zampe dell'unicorno.

Dopo un paio di minuti di silenzio, Zoe parlò di nuovo:

-Sai, se stamattina fossi partita più presto, li avrei trovati prima e forse...- disse cercando di controllare la voce, che le tremava -Forse avrei potuto salvarla. Quando sono arrivata non poteva essere morta da più di cinque minuti.- concluse tirando su col naso.

-No, Zoe.- disse il drago -Il ferro le aveva avvelenato così tanto il sangue che forse l'unica cosa che avrebbe potuto guarirla sarebbe stata la linfa di un Errante. Ho il sospetto che stesse cercando di raggiungerne uno.-

La ragazza si asciugò gli occhi con dorso delle mani e fece un respiro profondo.

-Spero che Lancia Nera si prenda cura del puledro.- disse alla fine.

-Di questo non devi preoccuparti, lo sai.- la rassicurò Tiberius, dandole un leggero buffetto sulla spalla con la sua testa squadrata e massiccia, stando attento a non farla cadere.

La ragazza sorrise, sistemandosi gli occhiali, e diede una grattata sul naso del drago.

-Ci vediamo domani per il rapporto?- chiese la ragazza.

-Sì. Alle nove di domani dovrebbe andare bene.- rispose Tiberius.

-Sì.- esclamò Zoe -Salutami Lucilla.-.

La ragazza si mise lo zaino sulle spalle, prese per le redini il cavallo lasciatole dai centauri e si allontanò, per non intralciare il decollo del drago.

Tiberius strinse gli artigli delle zampe anteriori attorno al corpo dell'unicorno morto e spiccò un balzo, dandosi poi la spinta con le ali. La ragazza vide un leggero alone azzurro chiaro sotto il ventre del drago, unico segno dell'energia magica che Tiberius aveva usato per aiutarsi a sollevare il suo stesso corpo da terra.

Zoe aspettò che il drago se ne fosse andato, prima di distribuire il contenuto del proprio zaino nelle borse da sella fornite dai centauri. Prima di montare in groppa, la ragazza si bendò le mani per proteggere i palmi scorticati, dopodiché spronò il cavallo ad un trotto rilassato e raggiunse la sua macchina che era tardo pomeriggio.

 

Zoe arrivò all'appartamento dove viveva coi genitori e un fratello poco prima di cena.

Guardandosi allo specchio dell'ascensore mentre saliva all'ultimo piano della palazzina, ringraziò che i suoi famigliari fossero ancora tutti in vacanza: il lavoro di volontariato al centro recupero per la fauna selvatica che aveva inventato come copertura poteva giustificare solo in parte i vestiti sporchi di fango e l'odore di cavallo dovuto alla cavalcata del pomeriggio.

Dopo che si fu fatta una doccia rinfrescante ed ebbe attaccato la lavatrice, la ragazza era così spossata dagli eventi della giornata che stramazzò sul letto, senza neppure mangiare qualcosa. Neanche il caldo torrido di fine estate poté qualcosa contro gli effetti di una scarpinata interminabile sulle montagne e l'amarezza per la morte dell'unicorno combinati assieme.

  
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