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Autore: elasticheart    03/02/2015    1 recensioni
Bellamy l’aveva colta nel suo momento peggiore, nel momento in cui si sentiva debole, indifesa. “Ero debole.”
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ da un po’ di giorni a questa parte che ho il desiderio di scrivere una os su The 100 e bhe, ci siamo. Un abbraccio :)

 

And I wanted it, I wanted it bad
but there were so many red flags
now another one bites the dust
yeah, let’s be clear, I trust no one

-Clarke!- sentì una voce che la chiamava. Si affacciò alla porta dell’infermeria, quasi venendo travolta da Miller, che stringeva il braccio al petto. Dopo svariati “ahia” e imprecazioni, Miller si calmò, spiegandole la situazione. –Mi sono tagliato!- esalò, visibilmente preoccupato. –Puoi aggiustarlo, vero? Vero?- Miller era grande e vaccinato, ma appena vedeva un poco di sangue sembrava ritornare un bambino. Si era tagliato mentre spaccava la legna per l’inverno, disse. Clarke represse un piccolo sorriso. –Sì, posso “aggiustarlo”.- Iniziò a medicarlo lentamente, pulendo la ferita accuratamente e cercando di essere il più delicata possibile. Si trattava di una ferita poco profonda, ma il sangue ancora non si era fermato.
-Ecco fatto.- disse, riponendo via le forbici. Il ragazzo le sorrise, ringraziandola. Quando Miller se ne fu andato, Clarke rimase nuovamente sola. Le sue giornate dalla morte di Finn e dalla cattura di Bellamy erano sempre uguali: si alzava, andava in infermeria, curava chi aveva bisogno di assistenza, aspettava i pasti, scambiava due parole con sua madre, andava a dormire. Le giornate erano scandite da una routine lenta, infinita, che lentamente la consumava. Aveva tagliato tutti fuori, escludendoli. Aveva costruito delle barriere impenetrabili. Bellamy era tornato sano e salvo dal Mount Weather, ma Clarke continuava a tormentarsi, isolandosi dal mondo. Aveva tagliato fuori persino lui, Bellamy, l’unico che la maggior parte delle volte pareva capirla davvero. Lo ignorava, cercava di non pensare a lui, ma il suo pensiero tornava sempre alle parole che gli aveva detto: “ero debole”; quelle parole, che lo avevano quasi ucciso, letteralmente.
La ragazza sospirò, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Ogni tanto, quando le capitava di guardare le lunghe dita bianche, le sembrava di sentire il sangue caldo e denso di Finn sulle punte che la sporcava dentro, infettandola. Le sembrava di vedere il sangue colare lungo il dorso della mano, sui polsi, lungo gli avambracci e poi entrarle dentro, diventando parte di lei. Il sangue della vittima che diventa parte dell’assassina. Cercò di calmarsi, inspirando forte, mentre la testa iniziava a girarle. Sapeva che stava per arrivare; gli attacchi di panico non le avevano dato pace da quella maledetta sera, quando aveva ucciso Finn con le sue stesse mani. Altro motivo per cui si isolava sempre più, chiudendosi agli altri, costruendo un muro tra sé e le emozioni. Si sentiva semplicemente spenta, spossata. Sentì le gambe tremare, il cuore accelerare e iniziò a respirare più velocemente, cercando di prendere quanta più aria possibile. Quando si sentì mancare decise di uscire all’aria aperta, dove forse tutto sarebbe finito presto. Pregava Dio che nessuno la vedesse; era stanca di vedere la pietà negli occhi degli altri abitanti del campo. Voleva solo essere lasciata in pace. Spalancò la porta dell’infermeria, correndo fuori. Girò a destra, nascondendosi vicino alla recinzione del campo, dietro l’Arca, dove sperava nessuno l’avrebbe vista cadere in ginocchio sull’erba e iniziare a piangere. Milioni di immagini le passarono davanti agli occhi (suo padre che viene lanciato, Wells morto, sua madre che credeva essere morta, Finn morto, Bellamy quasi morto) mentre le lacrime scorrevano sulle guance, bollenti. Parevano bruciarle la pelle; sentiva i polmoni in fiamme e la testa vorticare. –Basta… basta…- implorò ad alta voce. “Dio, ti prego, fallo smettere, dammi un po’ di pace…”
-Clarke!- La ragazza voltò la testa di scatto, tenendosi il petto con una mano. Era Bellamy.
“Ti prego, vattene… va’ via!” gridò Clarke nella sua mente, mentre il ragazzo si inginocchiava al suo fianco. –Clarke… stai bene? Cos’è successo?- chiese, preoccupato. Occhi color mogano che incontrano occhi color cielo. Quegli occhi le leggevano dentro, le leggevano l’anima. Il respiro di Clarke sembrò rallentare e la ragazza si sentì senza forze. Chiuse gli occhi per un paio di secondi, mentre sentiva la mano di Bellamy sulla sua spalla. –Sto bene.- disse, con voce atona. Si costrinse a stare bene.
-Devi andare in infermeria a fart…- iniziò Bellamy, fissandola.
-A fare il mio lavoro.- lo interruppe Clarke, alzandosi lentamente. Bellamy la imitò, cercando di guardarla negli occhi, ma lei non permise alle loro iridi di incontrarsi. La ragazza si voltò, dirigendosi verso l’infermeria.
-Aspetta!- gridò il moro, con voce dura, arrabbiata.
Clarke non si fermò.

And I know I can survive
I’ll walk through the fire to save my life
And I want it, I want my life so bad
I’m doing everything I can
Then another one bites the dust

Quella notte Clarke non riusciva ad addormentarsi. Nonostante fosse stravolta, non riusciva a perdere i sensi, a lasciarsi andare. Una parte di lei aveva paura di fare di nuovo quell’incubo, quello che la tormentava da mesi a questa parte, ma un’altra parte di lei continuava a pensare agli occhi di Bellamy. Occhi che bruciavano, occhi che la trapassavano da parte a parte. Bellamy l’aveva colta nel suo momento peggiore, nel momento in cui si sentiva debole, indifesa. “Ero debole.” Non poteva permettersi di essere debole, non dopo tutto ciò che aveva passato. Ma continuava a pensare a Bellamy, praticamente morto, mentre sua madre cercava di salvarlo. Clarke aveva eseguito i comandi di sua madre, ma la sua mente si era spenta nel preciso istante in cui lo aveva visto sul letto dell’infermeria, più morto che vivo.
Non gli aveva mai chiesto scusa, neanche dopo che era guarito. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere il suo perdono.
Clarke si voltò dall’altra parte, mentre lacrime salate le rigavano le guance.

It’s hard to lose a chosen one

Quando la mattina si svegliò, Clarke si impose di alzarsi e di comportarsi normalmente, come se niente fosse successo, come se non avesse pianto per Bellamy durante la notte.
Dopo essersi preparata andò in infermeria, dove trovò sua madre, che come ogni mattina le augurò il buongiorno, chiedendole se avesse bisogno di qualcosa. Abby Griffin era una donna intelligente e comprendeva il comportamento della figlia. Sapeva che un giorno avrebbe riniziato a vivere, ma sapeva di non poterla costringere.
-Vado a fare colazione.- annunciò Abby, lasciando un leggero bacio tra i capelli della figlia. Clarke annuì. Iniziò a sfogliare il libro dove aveva annotato tutte le ricette mediche e le erbe che aveva imparato a conoscere grazie ai Grounders. Appoggiata al tavolo dell’infermeria, osservava attentamente le foglie essiccate e i disegni che aveva inciso sulle pagine. Il tranquillo silenzio fu rotto dall’aprirsi della porta dell’infermeria. La ragazza alzò immediatamente lo sguardo, allarmata. Vide entrare Bellamy e subito poggiò il libro sul tavolo, pronta ad intervenire nel caso fosse ferito. Ma il giovane Blake sembrava normale; spaventosamente determinato, certo, ma Clarke non vedeva ferite o sangue. Lo fissò interrogativa, mentre lui si parava di fronte a lei.
-Hai bisogno di qualcosa?- chiese Clarke nel suo tono più professionale.
-Ho bisogno di parlare.- rispose Bellamy, incrociando le braccia al petto.
-Mi spiace, non sono uno psicologo…- iniziò la ragazza, ma fu interrotta dalla voce rude del moro: -Smettila, sono serio. Devo parlare. Con te.-
La ragazza lo guardò, sospirando. Abbassò lo sguardo sulle sue mani; le sembrò di vedere delle goccioline di sangue, ma si impose di smetterla. Non c’era traccia di sangue. Riportò lo sguardo su Bellamy. –Non abbiamo niente da dirci.- disse, il tono duro e freddo.
Il giovane sembrò quasi voler ridere; fece un verso di scherno. –Ne sei sicura, Clarke? Dopo tutto ciò che è successo, credo di meritarmi almeno una spiegazione.-
Clarke lo fissò, col suo cipiglio severo e fiero. Non avrebbe ceduto. “Ero debole.” Non disse niente; lo fissò e basta. Bellamy lo prese come un invito a continuare. –Forse potresti spiegarmi perché mi ignori da quando sono tornato? O vuoi iniziare spiegandomi perché ignori tutti noi, isolandoti? Anzi, no. Voglio prima sapere perché hai smesso di vivere.-
La giovane Griffin sentì il sangue ribollirle nelle vene; quel tono di scherno usato da Bellamy, il suo “voglio”, ma soprattutto il suo sguardo la fecero infuriare.
-Vuoi sapere perché ho smesso di “vivere”?- chiese Clarke, alzando pericolosamente la voce. –Perché ti ho mandato a morire. Perché ho ucciso Finn. Perchè non faccio altro che ferire gli altri, ferirli fino a farli morire. Lo capisci questo?- sibilò, fissandolo in quegli occhi così scuri, così caldi. Quegli occhi che la facevano sentire deboli.
-Devi smetterla, Clarke. Tu sei viva! Non puoi lasciarti morire perché credi di fare del male agli altri!- gridò Bellamy, in risposta.
-Cosa ne sai tu, Bellamy? Cosa?- disse Clarke, senza riflettere. Nell’istante in cui quelle parole lasciarono le sue labbra, se ne pentì immediatamente.
Lui la fissò freddamente: -lo so molto meglio di te, Clarke. Ho molte più anime sulla mia coscienza di quante ne abbia tu.-
Clarke non rispose. Si limitò a fissare un punto indefinito alle spalle del giovane. Affondò il viso nelle sue stesse mani, quelle mani che avevano ucciso una persona.
Rimase in quella posizione per qualche minuto; poi alzò lo sguardo. –Bellamy…- iniziò, piano, abbassando le mani. –Io ho ucciso Finn. Ti ho mandato a morire… dovresti odiarmi.- sussurrò, mentre un piccolo singhiozzo lasciava le sue labbra.
Bellamy la guardò tristemente. –Già, Principessa, hai ragione. Dovrei odiarti con tutto me stesso. Sai perché non ti odio? Perché era la cosa giusta da fare.-
Lei scosse piano la testa. –Mi dispiace.- riuscì a sussurrare, prima che Bellamy la stringesse a sé. L’avvolse con le sue braccia, mentre Clarke affondava il viso nella sua spalla, aggrappandosi alla sua giacca, come se lui potesse scomparire da un momento all’altro. Lui le sussurrava all’orecchio che tutto sarebbe andato bene, che non c’era bisogno di chiedere scusa perché lei era stata l’unica a riuscire a prendere delle decisioni così difficile.
Bellamy la lasciò andare dopo un paio di minuti, mentre Clarke si asciugava gli occhi con il dorso della mano. –Supererai anche questo, Clarke. Devi farlo. Devi stringere i denti e costringere te stessa ad alzarti ogni mattina, a lottare per continuare a vivere. Ce la farai, Clarke. Sei una principessa coraggiosa.-
Clarke sorrise un poco; un piccolo segno di rinascita, una piccola cicatrice che veniva richiusa.
Il moro si voltò per andarsene; arrivato alla porta, sentì la voce di Clarke chiamarlo. Si girò a guardarla. –Grazie.- disse Clarke, guardandolo dritto negli occhi. Lui sorrise lievemente.

You did not break me
I’m stil fighting for peace
Well, I’ve got thick skin and an elastic heart

  
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