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Autore: draconisfirebolt    04/02/2015    6 recensioni
Sansa ha diciotto anni, lavora da Starbucks e pensa di poter salvare il mondo con un sorriso.
Sandor di anni ne ha quasi il doppio, ed è la prova che quando la vita decide di mordere, di affondare le zanne fin nel profondo, senza pietà, è difficile farle mollare la presa.
L'una la cura per l'altro, l'uno la malattia dell'altra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Am I part of the cure, or am I part of the disease?


Per DonnieTZ, che mi ha ispirato questa storia con una dolcissima fan art. Sperando di essere all'altezza delle aspettative (e di non tediarti troppo chiedendoti mille consigli e betaggi), solo amore e Sansan per te 

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«Buongiorno.» sorride Sansa Stark al cliente che ha di fronte, nella speranza che, per una volta, lui ricambi il sorriso. Non lo fa, come al solito. Il suo viso sfigurato, un caleidoscopio di devastazioni, rimane contratto in un’espressione torva.
Ormai si è abituata a quegli occhi grigi che lampeggiano sempre e solo furore, non le fanno più paura. «Desidera?» prosegue la giovane cameriera di Starbucks, come se non sapesse già che le chiederà un americano grande. Però, per qualche perverso motivo, le piace vederselo davanti qualche secondo in più, sentire quella voce cavernosa uscire in un rantolo perennemente incazzato mentre fa la sua ordinazione.
«Un americano.» grugnisce lui, infatti.
«Tall, grande o venti[1]?» Sansa recita la formuletta magica che t’insegnano non appena allacci il grembiule verde smeraldo con il logo di Starbucks.
«Grande.»
«Otto monete di rame. Che nome scrivo?»
«Per gli Dei, vengo qui tutte le mattine del cazzo. Scrivici ‘Mastino’ come al solito e dammi il mio caffè.» sbotta, ruvido.
«Pensavo… Beh, pensavo che per una volta avrebbe potuto dirmi il suo vero nome…» sussurra Sansa, diventando più rossa dei suoi stessi capelli nel tentativo di giustificarsi. «Perché è sempre così pieno d’odio, lei?!» non riesce a trattenersi dal domandare in un tono un po’ più accusatorio di quanto avrebbe voluto.
«Il caffè, Uccellino.» si limita a ricordarle, la voce ridotta a un soffio profondo e roco. Le allunga il denaro e prende posto al tavolino più vicino, quello proprio di fronte al bancone.
Mentre prepara quel benedetto caffè, non riesce a smettere di chiedersi il perché di quella rabbia ostinata, di quell’odio corrosivo che riversa indiscriminatamente su tutto e tutti. Eppure l’ha chiamata ‘Uccellino’. Sembra una specie di complimento, venato di una certa ironia, è vero, ma pur sempre un complimento.
Si morde un labbro, dubbiosa, si strofina la fronte e poi si decide. Scribacchia qualcosa sul suo bicchiere, poi lo chiama: «Signor Mastino, il suo americano grande.»
Sansa è sicura di vederlo irrigidirsi e arrossire fino alla punta di quei suoi capelli neri come la notte, lunghi e raccolti in una crocchia disordinata, quando, afferrato il suo caffè, legge il messaggio che lei vi ha scritto sopra: ‘Sorridi, è gratis. Sansa.’ 
«Mi chiamo Sandor, comunque.» La sua voce raschiante rimbomba ancora nelle orecchie della ragazza, ma lui è già sparito fuori dalla caffetteria.
 
***
 
Sandor non si presenta a reclamare il suo americano grande né il giorno dopo, né quello dopo ancora.
Sansa non sa spiegarsi il perché: le sembrava di essere finalmente riuscita a far comparire un’espressione diversa dall’odio in quegli occhi grigio ardesia, le sembrava di aver portato una ventata di buon umore nella giornata di quell’uomo misterioso e stufo marcio dello schifo che è la vita. E invece.
“E invece sei sempre la solita ragazzina sciocca che crede di saper trovare del buono in ogni persona, che spera di poter salvare il mondo con un sorriso. Non imparerai mai?” si rimprovera da sola la ragazza, tra un mocha e un milkshake alla vaniglia.
Poi, in un pomeriggio di pioggia, mentre Sansa è impegnata a dare una pulita al frullatore, suo fedele compagno di frappuccini, una sagoma massiccia varca la porta di Starbucks. In poche, ampie falcate ha già raggiunto il bancone.
«Uccellino.»
Quella voce profonda e raschiante fa sobbalzare Sansa, le illumina il volto di un sorriso inaspettato.
«Buonasera a lei, Sandor.»
«Risparmiami il ‘lei’ e tutte queste cerimonie.» grugnisce il Mastino, scontroso. Consulta rapidamente il menù, affisso dietro il bancone. «Che cazzo è un ‘iced cinnamon dolce latte’?»
La ragazza scoppia a ridere. «Qualcosa di molto diverso da un semplice americano amaro. Non penso ti piacerebbe.»
«Da quando conosci i miei gusti?»
«Ti faccio tutti i giorni il caffè.» replica lei, quasi risentita. «Tutto sommato, non credo ti farebbe male qualcosa di un po’ più dolce, sai?»
Sandor rotea gli occhi. «E allora fammi quella brodaglia zuccherata. Tall, che se poi fa schifo non voglio aver buttato via più soldi del dovuto.» dice, ruvido, poi si siede al suo tavolino.
“È così… così diretto, ecco. Dice e fa quello che gli passa per la testa, sempre e comunque… Tutto di lui grida ‘non m’importa cosa gli altri pensino di me!’ “ a Sansa piace. Cioè, come modo di essere, s’intende. Arrossisce, come se lui, con quegli occhi che ti fanno la radiografia all’anima, avesse potuto cogliere quel pensiero, inconsciamente pieno di sottintesi.
Il latte è pronto.
Sansa raccoglie quanto più coraggio riesca a trovare, e con il solito pennarellone nero, scrive sul bicchiere: ‘Che fai stasera? Sansa.’
Poi lo chiama e gli consegna la bevanda.
Sandor la guarda a lungo, uno di quegli sguardi cinici e amari e disillusi che feriscono più di un rasoio, che ti entrano dentro e riducono in brandelli tutto quanto, prima di dirle: «Mi ubriaco, come sempre. Non stare a rovinarti la vita con uno come me, Uccellino, vola via.»
Sansa non sa se indignarsi, se offendersi, se provare pena per il Mastino. Nel dubbio, gli occhioni le si riempiono di lacrime, ma non per se stessa: per lui. 
 
Un’incredibile scarica di adrenalina segue quelle lacrime.
Durante tutta la strada dal suo Starbucks a casa, la ragazza trova mille e mille risposte all’ultima frase di Sandor. Vorrebbe riavvolgere il nastro del tempo, tornare indietro e rispondergli che no, non passerà la serata in compagnia di vino e vomito che sa di rabbia, perché ormai le ha lasciato mettere la punta di un piede nella sua vita e lei non se ne andrà finché non l’avrà salvato – da cosa, di preciso Sansa non lo sa.
Sa solo che si è ripromessa di fare tutto il possibile perché le ferite invisibili che Joffrey, il suo ex, le ha aperto a suon di botte e insulti e continui svilimenti, si rimarginino, perché non rimanga più sola in un angolo, schiacciata dagli eventi. E adesso, libera da tutto questo, pensa ingenuamente di poter usare la sua esperienza come una corazza, di poter andare all’assalto di nemici che neanche conosce armata di un sorriso e una buona dose di ottimismo per salvare uno sconosciuto.
Ma Sansa Stark ha diciotto anni, e a quest’età se il cielo è azzurro ti ride negli occhi, ti fa sentire invincibile, pronta a ribaltare il mondo.
 
***
 
Sono le dieci passare e la caffetteria sta per chiudere, finalmente. Sansa è letteralmente a pezzi. Un’intera giornata a star dietro a macchinette per il caffè, frullatori, torte e pasticcini, fai il resto a questa, scrivi il nome sul bicchiere di quell’altro, e “come lo vuole il latte macchiato, tall, grande o venti?”. E poi oggi è mercoledì, e il mercoledì ha il turno lungo con quell’imbranata di Lollys Tanda, che non fa niente se non lamentarsi dei dolori premestruali. “Tutto il santo mese”, pensa Sansa, che le cucirebbe volentieri la bocca dopo neanche cinque minuti con lei. 
 
Come se non bastasse, quello che sembrava il magnifico piano d’azione di Sansa-salvatrice-dell’umanità che si precipita nel più profondo dei Sette Inferi per redimere l’anima del Mastino, si è penosamente arenato. Sandor ha accuratamente evitato di prendere il suo americano grande durante i turni Sansa, e lei sta cominciando a pensare di aver, forse, un po’ esagerato, di essersi lasciata trasportare dall’emozione del momento. “Con quale autorità, da che pulpito pensi di poterti intromettere nella sua vita, sciocca che non sei altro?” si maledice da sola ogni volta che le parole del Mastino, dure e piene d’astio, tornano a riempire i silenzi, ogni volta che il suo volto, contratto in una smorfia sprezzante, balza fuori dagli angoli bui. Il che, purtroppo, capita più spesso di quanto la ragazza voglia ammettere a se stessa.
 
Sansa si toglie il grembiule con un gesto rapido, afferra borsa e giacca e in pochi passi è già sulla porta.
«Allora Lollys io vado, oggi sta a te chiudere…»
«Vai pure, tesoro…» cantilena lei, aggiungendo qualcosa che Sansa nemmeno sente, tanto parla piano.
 
Una moto nera, le finiture in carbonio e titanio in contrasto tra loro, cattura l’attenzione di Sansa, appena uscita dal negozio. Segue, rapita, quelle linee muscolose ma slanciate, tanto da far sembrare il bolide sul punto di scattare in avanti, i radiatori laterali ad allargargli ulteriormente le spalle. Compatta, aggressiva e potente senza perdere l’eleganza. È magnifica.
Nemmeno si accorge che l’uomo che c’è sopra si è tolto il casco e la sta osservando, sinceramente divertito, mentre le luci dei lampioni danzano tra le pieghe delle sue cicatrici.
«Vedo che Straniero ti piace. Sali?»
Quella voce la fa trasalire, e per poco la ragazza non perde l’equilibrio, rovinando sul marciapiede. «Sa-Sandor…?!»
«Che c’è, ragazzina, ti faccio davvero così paura?» di nuovo quel tono di scherno.
«Io… non mi aspettavo di trovarti qui, ecco. Mi hai presa alla sprovvista.»
«Vuoi volare, Uccellino?» quello che esce dalla sua bocca è poco più che un rantolo.
«Cos… Io?» Sansa è totalmente in confusione. “Perché devi fare sempre la figura della stupida?!” si rimprovera, mordendosi furiosamente l’interno della guancia.
«Oh, al diavolo. Sì, te.» le porge un casco. «Sali.» Non ha l’aria di essere una domanda e non è gentile né accattivante il tono con cui l’ha detto. Ma Sansa sente un leggero formicolio agli angoli della bocca, e non riesce a trattenere un sorriso timido.
Si allaccia il casco, s’issa a cavalcioni sulla moto e si aggrappa a quella schiena ampia e muscolosa.
In un attimo, sta volando su un rombo di tuono, nella notte, dietro a uno sconosciuto. E, paradossalmente, non si è mai sentita così al sicuro.
 
[1] Dimensioni delle bevande di Starbucks. Equivalgono, rispettivamente, a piccola, media e grande.

 
  
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