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Autore: Desmond    05/02/2015    0 recensioni
Un ragazzo come tanti, che però si trova invischiato in una faccenda di spionaggio internazionale molto più grande di lui. Un grande segreto che avvolge un membro della sua famiglia. Uno sbaglio di persona che porterà Darius Desmond Rogers a diventare qualcun altro, una spia. Desmond Duncan, al servizio di Sua Maestà, la Regina Elisabetta, sulla quale grava l'ombra di un assassinio: «Un comunicato stampa congiunto di Jonathan Evans e Sir John Sawes, direttori generali rispettivamente di MI5 e MI6, allerta la sicurezza nazionale: Sua Maestà Elisabetta II potrebbe essere in grave pericolo.»
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Avevo un sacco di iuta sulla testa e qualcuno mi aveva appena colpito allo stomaco. Mi ritrovai piegato, senza fiato, pensando all’assurdità della situazione. Mi trovavo in un bar stracolmo di spie e qualcuno mi aveva appena sferrato un cazzotto. Sentii un ghigno femminile vagamente familiare e un ago spingere nella mia spalla, cogliendo con perizia una vena intorpidendomi. Pensai alla donna che, insieme a Tom, aveva cercato di uccidermi rapendomi alla stazione di Cambridge.

Ironia della sorte, ero proprio su un treno quando mi svegliai, ancora intontito. Sentivo il rumore inconfondibile delle ruote sui binari. Dalla frescura intuivo che fosse ancora notte, quindi non doveva essere passato poi molto. Avevo le braccia legate dietro alla schiena con una corda di canapa, di quelle spesse, col volto ancora coperto. Mi stupii della velocità con cui ripresi le forze e i sensi, che si acuirono immediatamente. Avvertii che il respiro di un’altra persona era come il mio, rapido e irregolare. Da una parte mi consolava non essere l’unico ostaggio, ma rabbrividii al pensiero di cosa potesse essere successo a tutte le altre spie alla Royal Wauxhall Tavern. Era impossibile che fossimo stati prevelevanti soltanto io e lo sconosciuto che avevo accanto.

Nessuno ha reagito? Nessuno ci ha salvati? O forse ero troppo perso nei miei pensieri idioti per accorgermi di quel che era successo intorno? C’erano dei morti? Dei feriti?. Mi posi domande a raffica, ben sapendo che non avessero la minima possibilità di risposta. E gli altri? Chloe, Frank, e… di nuovo i miei pensieri furono interrotti dalla voce registrata del treno che avvisava della prossima fermata, ma non ne colsi il nome. Mi dissi che avrei dovuto smetterla di perdermi tra le nuvole, se mai fossi uscito vivo. E persi la ripetizione del nome della fermata, maledicendomi.

«Dove cazzo siamo?» chiesi, spostando il peso del corpo per urtare con la spalla il mio ignoto compagno di sventura.

«Addlestone». Riconobbi la voce grave e amichevole di Frank, tirando un sospiro di sollievo. Ma la piacevole sensazione di avere un amico al mio fianco durò ben poco, perché nel giro di pochi istanti avevo una pistola puntata alla tempia.

«Un’altra parola e siete morti», intimò una voce glaciale con un accento vagamente tedesco, che apparteneva indubbiamente al belga. Ormai ne ero certo: una volta scoperto che ero ancora in vita aveva aspettato la prima occasione utile per tornare a prendermi e finire il lavoro che la sua complice non era riuscita a completare. Il treno si fermò e con lui il suo caratteristico dondolio. Eravamo giunti a destinazione e sentii allentata la pressione della pistola dalla mia tempia l’uomo mi prese di peso, doveva essere enorme, perché sembrava non essere minimamente messo in difficoltà dalla mia strenua resistenza. Il belga aveva un compare che si stava occupando di Frank, ma non con la stessa fortuna. Sentii un leggero fruscio, seguito dal rumore sordo di un calcio ben assestato.

«Stronzo», mormorò, con un accento tedesco ancora più marcato. Poi, la deflagrazione di uno sparo mi raggelò. Frank doveva avere le mani legate come me, quindi…

«Questo non ci darà più problemi, capo», disse ancora il secondo uomo, trattenendo a stento una risatina di sadico compiacimento.

Mi portarono giù di peso, senza risparmiarmi qualche pugno per farmi stare più tranquillo. Sentii aprirsi un portone e venni scaraventato su una sedia e mi venne tolto il sacco di iuta dal volto. Mi ritrovai in uno stanzone buio illuminato fiocamente da una sola lampadina che pendeva oscillando dal soffitto. La scena era fin troppo familiare: solo che stavolta erano armati di pistole, anziché di veleni. Dovevano essere certi.

«Signor Cooper, ancora tra i piedi, eh?», chiese quello che mi aveva portato fin lì di peso.

«Non mi chiamo Cooper e non so di chi tu stia parlando», risposi freddamente. «Ma so chi sei, fottuto belga».

«Certo, ora si fa chiamare così? Nuovo nome in codice? – ridacchiò – Comunque, se sa chi sono, di certo sa troppo e la dovrò eliminare in ogni caso». Sentii i suoi passi lenti e misurati allontanarsi e poi riavvicinarsi alle mie spalle; mi era venuto dietro evitando il fascio di luce. Ora parlava pochi centimetri sopra al mio orecchio.

«Sono sicuro che lei capisca – mi balenò un’idea folle in mente – il motivo per cui non posso permettermi che lei rimanga…». La parola “vivo” gli restò strozzata in gola, perché scivolai di scatto dalla sedia, la sollevai con le mani, ancora legate dietro la mia schiena, e lo colpii sul mento. Scansai la sedia e intravidi l’uomo barcollare davanti a me. Gli diedi una testata che lo fece vacillare ancora di più, sferrandogli poi un calcio con la gamba destra dritto sulla milza.

Sentii un applauso dietro di me e improvvisamente un bagliore accecante mi ferì gli occhi. Mi girai per capire cosa stesse succedendo, e vidi Clyde alle mie spalle, sorridente e impettito.

«Hai visto che funziona? Usa l’astuzia! – sembrava fiero e divertito allo stesso tempo – I miei complimenti, coso. Anzi, ormai… agente Duncan».

Al suo fianco, Tina Young teneva aperto il distintivo con la mia foto. Ero diventato una spia.
 
  
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