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Autore: Nadie    05/02/2015    3 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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14. Ogni giorno. Ogni cosa.


Quando riapre gli occhi il buio è ancora calato su di lui, nessuna luce oltre le finestre sbarrate.
Si mette a sedere, ancora intorpidito dal non-sonno da cui si è appena risvegliato.
Non riesce a vedere nulla ma sente, e sa, che le sue mani sono ancora sporche e impastate di terra e di sangue rappreso.
Si guarda attorno, la stanza ingoiata dal buio, profumo di nulla e sembra quasi che ci sia, nascosto in qualche angolo oscuro, un groviglio rumoroso di ricordi a cui lui non è ancora pronto ad andare incontro.
Si alza ed esce svelto dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Ritorna in salotto, illuminato dalla tipica luce fioca del mattino, si avvicina alla persiana aperta con occhi socchiusi e si sporge per osservare.
Dalla sua finestra – se lo ricorda bene – si riuscivano a scorgere i tetti e le case di Dublino, tetti e case dai colori insoliti; ce n’erano di arancioni, bianco panna, gialle, azzurre e verdi, ce n’erano anche di verdi e lo facevano sorridere, e gli piacevano, gli piacevano da matti.
Otto anni fa, se non era con Prudence, gli piaceva appoggiare i gomiti al davanzale, fumarsi la sua sacrosanta sigaretta e guardare quelle case e pensare, chissà, forse un giorno vivrò anche io in una casa verde, insieme a Prudence, e qualcuno, dal suo davanzale, mi guarderà domandandosi come sarà il futuro.
Appoggia ancora i gomiti al davanzale e si sporge, si sporge e le case ci sono ancora, non sono sbiadite, non si sono fermate quando lui se ne è andato; la gente ha continuato a viverci dentro e chi se ne importa se quel ragazzo non ci fissa più con la sua sigaretta!
Abbassa lo sguardo sulla strada, ci sono solo due o tre passeggiatori solitari e un bar con l’insegna al neon ancora accesa.
Otto anni fa, se non poteva passare la notte con Prudence perché Lei doveva lavorare, si affacciava alla finestra, digitava il Suo numero al telefono e La chiamava, restava ad aspettare appeso a quella linea telefonica dal suono un po’ arrugginito.
 
Tututu.
                                                     
Pronto?
Stavo pensando che… i Beatles.
I Beatles?
Ti conoscevano.
Mi conoscevano?
Direi anche molto bene.
E come fai a dirlo?
Perché sei tu.
Io?
Dear Prudence, sei tu. Non puoi che essere tu! I Beatles ti conoscevano.
Come fai ad esserne sicuro?
Perché è così, cara Prudence, è così.
E se invece si riferissero ad un’altra Prudence?
Non esistono altre Prudence.
Davvero?
Davvero.
Quindi sono l’unica Prudence al mondo?
L’unica Prudence nell’intera galassia e l’unica Prudence di questa e di tutte le dimensioni esistenti.
Sicuro?
Ho controllato personalmente!
Cavolo!
Cosa c’è?
Allora i Beatles mi conoscevano.
Te l’ho detto.
Scusami, Benjamin.
Per cosa?
Se lo avessi scoperto prima, ti avrei portato ad un concerto di George Harrison.
 
Tututu.
 
Sorride mentre alza lo sguardo verso il cielo ancora scuro e inspira l’odore di un giorno nuovo, un giorno che può cambiare la cose, può migliorarle o peggiorarle.
Raddrizza la schiena mentre ripensa alle parole di suo padre, ogni giorno può cambiare ogni cosa.
Ogni giorno.
Ogni cosa.
Ogni giorno.
Ogni cosa.
Infila la mano nella tasca del jeans ed estrae il cellulare.
Lo accende.
Sono le cinque e cinquantatré del mattino, forse è troppo presto ma è sicuro che Lei sia sveglia, che Lei sia da qualche parte a mettere in ordine dei libri al posto giusto, oppure a raccogliere le tazzine vuote delle gente di Dublino. Oppure nel suo letto con gli occhi verdi fissi al soffitto.
Prudence fa fatica ad addormentarsi, se lo ricorda; si ricorda di quando passavano la notte insieme e Lei si raggomitolava sul suo petto e respirava affannosamente e allora lui le accarezzava i capelli.
Cara Prudence.
Cara Prudence.
Cara Prudence.
Digita un numero che conosce a memoria e resta appeso alla linea telefonica arrugginita.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Tututu.
«Pronto?» la voce di Occhi Verdi si infila delicata nel suo orecchio, vorrebbe parlare di nuovo dei Beatles e ridere con Lei, ma sa che non può.
Resta in silenzio.
«Pronto?»
Resta in silenzio.
«Chi c’è dall’altra parte? Avanti, dì qualcosa!»
«Prue.» sussurra, il silenzio si infiltra anche dall’altro lato della linea telefonica.
Tututu.
«Prudence, ascolta…» ma Prudence non ascolta. Prudence riattacca.
Sospira, seccato.
Digita di nuovo il numero, è certo che Lei non risponderà ma vuole riprovarci, vuole farle sapere che lui c’è, lì a qualche chilometro di distanza lui c’è, è sveglio e la sta pensando.
Tututu.
«Pronto.» stavolta non è una domanda, stavolta il tono ha perso un po’ di delicatezza e sembra più duro e fermo e impenetrabile.
«Stai lavorando?»
«No.»
«Non riesci a dormire?»
Nessuna riposta.
«Nemmeno io.»
«Interessante.»
«Parliamo un po’?» le propone, titubante.
«Di cosa?»
«Non so. Sai che le comete sono come le lucertole?»
«Le lucertole?»
«Per via della coda.»
«Cioè?»
«Hanno una coda fata di ioni e, quando si avvicinano al sole, se c’è un vento solare molto forte la perdono. Come delle lucertole.»
Silenzio.
Occhi Verdi non gli risponde, ma dev’essere ancora là, appesa anche Lei a quel gracchiare telefonico che li tiene uniti.
«Sei ancora lì?» le chiede.
«Sì.» la sente farfugliare.
Forse Lei vorrebbe riattaccare ma si sente in colpa, si sente in colpa per quel ‘vaffanculo’ e prova tanta pena per lui.
Forse Lei adesso sì, adesso riesce a dormire senza alcun problema, non ha più incubi o pensieri troppo grandi a tenerla sveglia; forse adesso non ha più bisogno né del suo petto né delle sue carezze né delle sue parole.
E magari è stanca e vorrebbe che lui la lasciasse stare, che la smettesse di insistere.
Ma probabilmente non ha più nemmeno la forza di mandarlo al diavolo.
«Scusa, ti lascio in pace.» sospira, e fa per chiudere la chiamata.
«Aspetta, resta!»
Rimane appeso alla linea telefonica, la speranza che gli cresce improvvisamente nel petto.
«Cosa c’è?»
«Parla ancora un po’.»
«Perché?»
«Non riesco a dormire, lo sai.»
Sorride.
Ogni giorno può cambiare ogni cosa.
«Di cosa dovrei parlare adesso?»
«Non lo so, dimmi qualcosa.»
«Che cosa?»
«Le prime parole che ti vengono in mente.»
«Cara Prudence.»
Nessuna risposta ma è sicuro che Lei sia ancora lì e vorrebbe vederla, vorrebbe sapere quale espressione c’è adesso sul suo viso, se i suoi occhi verdi si sono illuminati; se le sue labbra carnose si sono curvate in un sorriso.
La sente respirare, ascolta ogni respiro e sorride, sorride perché, a qualche chilometro di distanza, Lei c’è, Lei non ha riattaccato, Lei è rimasta appesa ad un filo gracchiante e arrugginito che li lega, li lega e gli ha chiesto di parlarle, di dirle qualcosa, come se fossero tornati indietro di otto anni, come se il tempo non avesse cambiato le cose.
E allora c’è, c’è una possibilità. C’è uno spiraglio in cui lui può e vuole infilarsi.
«Quindi mi hai mandato affanculo.»
«Sembrerebbe di sì.»
«Ma non volevi farlo.»
«Non volevo?»
«No. Hai lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento.»
«Cosa?»
«Si chiama lapsus freudiano
«Ah, il buon Freud!»
«Freud sapeva un sacco di cose.»
«Ne sei sicuro?»
«Certamente.»
«E se invece avessi davvero voluto mandarti affanculo?»
«Non saremmo qui a parlare di Freud.»
Lui sa, sa che dall’altra parte di quel telefono, è appena nato un sorriso.
Smette di parlare.
Lei non gli chiede di continuare a parlare.
Nessuno riattacca.
Il gricgric della linea invisibile che li unisce riempie gli spazi vuoti lasciati dal silenzio.
«Benjamin, sei ancora lì?»
«Sì.»
«Dovresti andare.»
«Dove?»
«Via.»
«Non posso.»
«Perché?»
«L’inconscio.»
La sente sbuffare rumorosamente.
«Il tuo inconscio ti ucciderà.»
«Forse. Ma tu puoi salvarmi, dopotutto: non sei forse la mia ancora di salvezza?»
«La vita è più complicata di una canzone degli Oasis, Benjamin.»
«Dici?»
«Te lo assicuro.»
«Bé, cara Prudence, nessuno sa cosa accadrà domani, cerchiamo di non mostrare quanto siamo spaventati. Se mi ami, ti proteggerò come posso. Devi credere che alla fine andrà tutto bene.»
«Questi sono i Duran Duran, What Happens Tomorrow, giusto?»
«Precisamente!»
Silenzio.
Si sente stranamente leggero, quel grosso masso nel suo petto deve aver cominciato a sgretolarsi parola dopo parola. Vorrebbe ridere, ma resta zitto e ascolta il respiro regolare di Occhi Verdi che lì, da qualche parte, chissà cosa starà pensando.
«Devo chiudere, Ben.»
«Aspetta!»
Nessuna risposta, ma sa che Lei è ancora lì.
«Perché stasera non ci vediamo?»
«Benjamin…» non conclude la frase, le parole – chissà quali parole – restano appese al gracchiare telefonico.
«Stasera per l’ultima volta. E se siamo davvero senza speranze, prometto di scomparire.»
Il silenzio dall’altra parte del filo persiste, ma Lei c’è, è ancora attaccata alla linea e lui può sentirla respirare.
«Prue?»
«Dove?»
«A casa mia.»
«E dov’è casa tua?»
«Ma come, non ti ricordi?»
 
 
 
Quando si abbandona una cosa, nella maggior parte dei casi, questa smette di funzionare.
Basta prendere come esempio questa casa piena di polvere, in cui le luci non sanno più accendersi e l’acqua non sa più scaldarsi.
Il getto gelido della doccia lo fa sussultare, chiude gli occhi e appoggia la fronte contro le piastrelle bianche e umide.
Si sente estremamente vicino alla casa in cui si è infiltrato, gli sembra di nuotare in un lago di fango che ha mangiato ciò che prima era pulito e stabile.
Le rovine di una casa. Le rovine di una storia.
Gran bella simmetria!
Mentre lava via i suoi giorni senza cibo e senza sonno, pensa che forse sua madre aveva ragione, che forse è vero che niente si rompe irreparabilmente e nessuno si perde per sempre.
Sì, il suo tetto sopra la testa in affitto non è certo splendido come un tempo, ma basterebbe pagare qualche bolletta per riavere indietro luce e calore; basterebbe pulire per cacciar via la polvere e le ragnatele e l’odore di abbandono e allora, allora se si può aggiustare una casa, perché non si può aggiustare una storia?
Si stringe nel suo accappatoio blu ed esce fuori dalla doccia e Prudence, cara Prudence, allora anche per noi sarà così semplice, non sempre tutto è difficile, ci basterà illuminare i nostri bui, scaldarci un po’ e spolverarci e poi vedrai, vedrai se non ritorneremo in piedi e forse sarà anche meglio di prima!
Fissa l’uomo nello specchio un po’ appannato.
Non ha un bell’aspetto, i capelli avrebbero bisogno di una bella sistemata e la barba andrebbe decisamente spuntata; sotto ai suoi occhi arrossati ci sono due occhiaie che lo fanno sembrare così stanco e disperato.
Si guarda le mani: almeno adesso sono pulite e niente più terra sporca tra le dita.
Sulla mano destra c’è ancora una grossa ferita sanguinante, se la fascia con una garza sottile e bianca che fa in fretta a sporcarsi.
Sbuffa. Non ha proprio tempo per occuparsi di quel dannato squarcio e dei suoi residui di vetro che bruciano, e come bruciano!
Afferra svelto il suo rasoio e la schiuma da barba dal borsone e cerca di rendersi presentabile, ma la mano gli trema e non può, non riesce a farla star ferma e ogni minimo gesto lo fa sussultare.
Alla fine la barba non c’è più, ma sulle sue guance restano due o tre taglietti che bruciano in modo insopportabile.
Si asciuga e si riveste in fretta, lascia la porta del bagno aperta e si mette all’opera.
Il cielo di Dublino, dopo una giornata di sole, sta scurendosi a poco a poco e lui non ha l’elettricità, ma ha le candele, le candele nel secondo cassetto a destra del mobile in cucina e se lo ricorda, lo ricorda come se avesse continuato ad abitare lì anche in quei lunghi, lunghissimi otto anni.
Ne prende una decina e le posiziona in punti sparsi del salotto, sulle mensole o sul tavolino di fronte al divano bianco, candele dappertutto che illuminano una casa abbandonata.
Si guarda intorno soddisfatto e sorride, poi si siede sul divano e stappa una delle birre che ha comprato nel pomeriggio.
Conta i minuti, non sa se è un bene sentirsi ottimisti o se non dovrebbe dar forma ad alcuna illusione.
Lui sa che basta poco per cadere dal filo che tiene in equilibrio la sua storia interrotta, sa che basta anche solo una parola sbagliata per crollare, sbattuto per terra.
Ma forse oggi sarà diverso, basta un giorno per cambiare tutto.
Ogni giorno può cambiare ogni cosa.
Ogni giorno.
Ogni cosa.
Ogni giorno.
Ogni cosa.
Continua a ripeterselo nella mente, la voce calda e rassicurante di suo padre che si espande nella sua testa, stavolta aggiusterà tutto.
Se si può aggiustare una casa abbandonata, si può aggiustare una storia abbandonata.
Chiude gli occhi e si abbandona contro lo schienale del divano.
Si addormenta.
Cade in un buio ampio e sconfinato, una voragine senza fondo e si sente come una goccia di pioggia troppo lontana dal suolo.
Precipita, precipita senza mai precipitare davvero e quando gli sembra di essersi infranto a terra sente un rumore di unghie che grattano sulla porta di casa sua.
Riapre immediatamente gli occhi e fissa la porta nera.
Ogni giorno.
Ogni cosa.
Si passa una mano tra i capelli ancora umidi e sospira.
«È aperto.» dice.
Ogni giorno.
Ogni cosa.
 
 
 



Ave o ciurma(?)!
Come ve la passate?
Daje, a 'sto giro il ritardo non è stato così improponibile!
Comunque, vi dirò la verità: io avrei voluto mettere subito il pezzo dell'incontro Ben/Prue a casa di Barny, ma dato che se lo avessi fatto il capitolo sarebbe stato lungo all'incirca ventordici pagine, ho dovuto mollare sul più bello!
Ma il prossimo capitolo è già quasi pronto e quindi settimana prossima sarà già pubblicabile ;)
Per il resto... mah, non posso far spoiler su ciò che sarà(maperché?), ma intanto spero che queste conversazioni telefoniche non vi abbiano annoiato troppo e... niente, smammo!
Grazie come sempre a chi legge, grazie di cuore!
C.

 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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