Disclaimer:
I diritti di Neon Genesis Evangelion non mi appartengono, mi prostro come
un’umile serva davanti alla genialità indiscussa del sensei Hideaki Anno e ci
tengo a precisare che questa mia storia non ha né potrebbe mai avere finalità di
lucro, ma è solo un modo per poter dar libero sfogo alla mia
fantasia.
Titolo: Moto d’Urgenza
Autore: Thilwen
Data: 08-09-2008
Beta: mise_keith
Indicazione cronologica: fra l’episodio XX e
XXI
Note:
Ho rivisto attentamente alcune puntate di Evangelion dopo aver scritto
questa storia per verificarne la veridicità e la possibilità di coesistere come
interpretazione plausibile all’interno della
storia.
Ho sempre visto il rapporto fra Kaji e Misato come qualcosa di profondo,
capace di sussistere in silenzio nel tempo e nello spazio, senza necessità di
riconferme. Come qualcosa di radicato ed esclusivo fra i
due.
Il momento da me narrato si interpone fra la puntata venti e la ventuno.
Sono del parere che dopo il definitivo riavvicinamento, fra i due si sia
nuovamente stabilizzata anche una relazione di tipo fisico che si prolunga per
più di un’occasione; infatti, alla fine della puntata venti, mentre sono a letto
insieme, Kaji chiede a Misato: “È per questo che mi vedi?” e credo che l’utilizzo del
presente indichi una sorta di continuità: quindi si erano già visti altre volte
e avrebbero continuato a farlo.
La storia si basa unicamente sull’anime.
Ringraziamenti:
Alla mia insostituibile beta, nonché grande amica che dimostra sempre e
quotidianamente la sua pazienza e il suo affetto da cucciola smarrita. Prometto
di comprarti un collarino frou-frou al più presto,
cara.
Dediche:
Ad un amico che ama Evangelion, che spesso non ho trattato come
meriterebbe. Scusami, otaku.
(e che mai leggerà questa mia dedica. È il
pensiero.)
Moto
d’urgenza
Gli sarebbe piaciuto se fosse stata vestita di
rosso.
Misato venne accecata
dalla luce del sole una volta fuori dal fabbricato della Nerv. Si portò una mano
sugli occhi, infastidita, cercando con l’altra gli occhiali dentro la
borsetta.
Ne era sicura, dovevano essere lì, li aveva presi e messi in borsa
insieme al rossetto prima di uscire di casa.
Era distratta, più del dovuto ultimamente, e molto stanca. Si era alzata
con un gran mal di testa e delle occhiaie poco attraenti, ma quella mattina non
avrebbe potuto concedersi più di dieci minuti per sistemarsi. Aveva fatto tardi.
Nuovamente.
In fretta aveva indossato una gonna scura, l’unica pulita e stirata, e un
pullover azzurro. Aveva dimenticato di portare le sue giubbe rosse in
lavanderia. O, quanto meno, di fare sbrigare tale commissione a
Yuga.
Si era infilata velocemente il cappotto. Poi, borsa, chiavi, rossetto,
occhiali. Dovevano esserci, quindi, indubbiamente.
Fu proprio quando le sue dita si chiusero sull’astuccio di questi che una
voce, calda, allegra, quasi sprezzante, la richiamò alle sue
spalle.
«Maggiore Katsuragi, perché non vieni a prendere un caffè con
me?»
C’era una nota d’urgenza sconosciuta nel tono di
Kaji.
Voltandosi Misato vide sul suo volto carezzato dalla barba non fatta un
sorriso strafottente e genuino. I suoi occhi scuri erano però immobili e velati
da qualcosa di incomprensibile.
Doveva anche lui essere appena uscito dalla Nerv. Provenendo da qualche
altro reparto, probabilmente, visto che non aveva notato prima la sua presenza.
Era davvero un peccato che non fosse vestita di rosso. Nei suoi ricordi
l’avrebbe sempre vista così.
Misato rimase con l’astuccio degli occhiali stretto in mano, guardandolo
immobile, cercando di riflettere.
Kaji le si mise a fianco, continuando a sorridere. «Allora?»
«Adesso?» chiese lei, prendendo la parola quasi
smarrita.
«Sei impegnata?»
«Io… no…» balbettò.
«Andiamo, allora» concluse lui.
Quasi si ritrasse nel sentire la mano di Kaji sulla sua spalla
sospingerla avanti, senza darle il tempo di ribattere altro, con un tocco deciso
ma gentile.
C’era una certa urgenza in tutti i suoi modi, quel giorno.
Ebbe paura, d’un tratto, pensando potesse essere venuto a conoscenza di
qualche novità allarmante e pericolosa.
Anche lei era finita troppo dentro a quella vischiosa situazione di
misteri e complotti.
Fin dove avrebbero potuto spingersi? Ci voleva molta, troppa
cautela.
Misato trasse fuori gli occhiali dall’astuccio e li inforcò. Adesso che
un velo buio era calato sui suoi occhi le sembrava di vederci più chiaramente.
Probabilmente doveva essere a causa della sua perenne situazione di disagio nei
confronti del mondo. Era come una maschera: il suo sguardo era reso
imperscrutabile, i suoi pensieri erano
inarrivabili.
Mentre si avviavano si lasciò accompagnare dalle lieve pressione della
mano di Kaji sulla spalla; lui continuò a stringerla dolcemente, come se temesse
potesse scappargli.
Avrebbe preferito fosse stata lei a guidarlo, oltre i confini di quella
realtà troppo sfuggente.
Nonostante ci
fosse poca gente nel caffè dove si erano recati, avevano preferito comunque
sedersi in un posto appartato, in un angolo vicino alla finestra.
Un punto dove non essere visti ma poter
vedere.
Avevano ordinato due caffè restando in silenzio mentre aspettavano che li
servissero.
Misato notò che gli occhi di Kaji si soffermavano spesso su diverse parti
della sua persona, per poi scostarsi goffamente.
Era strano quel suo atteggiamento incerto e quasi doloroso; era sempre,
apparentemente, un tipo spigliato, privo di serie preoccupazioni, gentile ma
tenace nell’intimità.
Quando arrivarono i caffè non sorrise alla cameriera come di solito
avrebbe fatto, ma si limitò ad avvicinare la tazza alla sua persona osservando i
gli intrecci di fumo che si sollevavano.
«C’è qualche problema, Kaji?» gli chiese, quindi, prima di concentrasi
sul suo caffè, assottigliando lo sguardo come una gatta e soffiando le parole
fra le labbra, velocemente.
Come da copione sul volto di Kaji comparve un sorriso di scherno, dal
quale anche questa volta i suoi occhi vispi furono
esenti.
«Cosa te lo fa
pensare?»
«Il tuo atteggiamento» Misato prese la tazza fra le mani e bevve un sorso
fingendosi svagata. «Sei strano oggi. E sembra ci sia qualcosa che ti
turbi».
«È vero» ammise. «È il tuo fascino a turbarmi, Katsuragi». Questa volta
il suo sorriso si specchiò nei suoi occhi, addolcendo l’espressione dell’intero
viso.
«Ma smettila!» sbuffò la ragazza, eppure arrossì, mentre si voltava a
guardare fuori dalla finestra per non fargli notare che il complimento le aveva
fatto piacere.
Kaji iniziò a bere il caffè lentamente. «È naturale essere stanchi e
preoccupati dopo gli ultimi avvenimenti. Ciò che è successo da poco a Shinji
Hikari ha provato molto anche te. Soprattutto,
anzi».
Pensò che nella sua forza d’animo dovesse esserci qualcosa di
primordiale. Se si era spinto così oltre nella sua ricerca del vero era stato di
certo sostenuto da quello sguardo ora perso oltre la
finestra.
Rimasero in silenzio finendo i rispettivi
caffè.
«A che devo questo invito?» chiese Misato dopo un po’, posando la tazza
sul piattino. «È per caso qualcosa che riguarda il tuo lavoro? Qualche
informazione a proposito…» si morse un labbro, come se dovesse fermare una
dichiarazione sconveniente.
L’uomo rimase immobile alcuni secondi. Poi scosse il capo. «No, non è
stato un invito di lavoro. Non sarebbe neanche il posto adatto per poter parlare
di queste cose».
«Perché mi hai portata qui, allora?» si ritrovò a chiedere lei, con un
tono non propriamente gentile.
Kaji stiracchiò le gambe sotto il tavolo e poggiò la schiena alla
spalliera della sedia in maniera scomposta; un suo piede strofinò, per caso o
volutamente, contro la gamba di Misato.
«Mi andava di fare quattro chiacchiere con te. C’è sempre poco tempo per
stare insieme».
«Mmm» la giovane donna fece uno sguardo poco convinto. «È più probabile
tu voglia sedurmi».
«Sei troppo convinta delle tue possibilità, mia
cara».
«Tua
cara?»
Scoppiarono a ridere entrambi. Kaji allungò una mano sul tavolo e sfiorò
le sue dita, un tocco leggero ma deciso. Lesse nei suoi occhi il suo stesso
sguardo.
«Ti andrebbe di venire a casa mia, Misato?»
Il suo nome sulla sua bocca le dava sempre una strana sensazione di
calore al basso ventre.
Annuì.
Non sapeva quanto tempo gli restava. Sarebbe stato comunque troppo
poco.
Erano crollati a
letto insieme, nella semioscurità della camera di
lui.
E nuovamente Misato poté sentire quell’urgenza angosciata nei respiri fra
i loro baci, nell’insinuarsi deciso e gentile delle sue mani sotto i
vestiti.
La spogliò, si lascio spogliare.
Le ansimò contro la pelle tutti i sospiri del suo desiderio, fino ad
inchiodarla con il suo peso, sul letto ancora disfatto dalla notte
precedente.
Cercò più volte i suoi occhi, nei vaghi raggi del sole che filtravano fra
le tapparelle appena dischiuse. Trovandoli vi immergeva lo sguardo, come a voler
cercare la vera essenza dei suoi pensieri dietro quel velo di piacere,
disperdendo più in basso la mano nell’umidità del suo
corpo.
Lasciava che le sfuggissero gemiti di piacere intrattenibili e ne
godeva.
Cercò fra i suoi seni, i capezzoli induriti sotto le sue dita, a morsi
uno spazio dove sostare. Bagnò di
baci la sua cicatrice, con reverenza, come se avesse trovato lo squarcio
dove lasciar passare integra la sua possibilità di salvezza
eterna.
Vi aveva nascosto la sua anima, lì, nella cicatrice fra i seni di Misato.
Sarebbe stata per sempre al sicuro.
C’era stato un attimo di esitazione, mentre Kaji affondava la mano nel
cassetto del comodino per cercare i preservativi, come se non li volesse
prendere. Infine ne scartò uno, mordendosi un
labbro.
Lo sentì affondare dentro di lei con la stessa insicurezza della prima
volta.
Poi il movimento dei suoi fianchi, il loro scontrasi e strusciarsi, si
fece necessario e sostenuto.
Egli vi riversò una foga che ricordava la voglia d’amore; era quasi come
se volesse lasciare impressa la sua forma nel suo corpo, un segno indelebile di
appartenenza.
Era carne contro carne. Pelle contro pelle. Sentì che qualcosa sarebbe
rimasto inciso lì per sempre, attraverso il sangue nelle profondità del
cuore.
Ansimò accogliendo il suo respiro nella profondità della sua bocca. Era
un alito di pura vita.
Pensò che la morte dovesse essere come quell’istante. Lo avrebbe guidato
il fiato di Misato.
C’era qualcosa di
caldo fra l’intreccio delle loro dita, mentre riprendevano fiato, stremati e
abbracciati.
Improvvisamente Misato ebbe l’impressione irrazionale che quella volta
avesse tutto il sapore di un’ultima notte d’amore.
In fondo, in quel mondo era tutto tanto precario che avrebbe potuto
esserlo.
Improvvisamente sentì la necessità di parlare e rompere quel
silenzio.
«Ne avevi proprio voglia, Ryoji».
Kaji la strinse un po’ di
più contro il suo copro nel sentire pronunciare il suo nome. La sua pelle
ardeva, umida e levigata.
«Ne ho sempre voglia con te».
Lei alzò il capo dalla sua spalla, cercando di afferrare i mille
significati nascosti nella profondità del suo sguardo, accarezzando la barba
morbida della sua mandibola con un dito.
Era quel suo tono beffardo a tradirla sempre. A renderla
vulnerabile.
«Sai, sei davvero strano oggi».
La baciò. Cercò con una carezza la sua nuca, i suoi
capelli.
«Spero allora tu possa perdonarmi, Misato. Di tutto» disse poi,
scivolando con le mani lungo la sua schiena, sui suoi
fianchi.
Ma le parole non dette restarono lì, sospese, mentre ricominciavano ad
spingere oltre le loro carezze.
Eppure, sospirando di piacere, poterono percepirle
entrambi.
Avevano la forma acuminata dell’irreparabile succedersi degli
eventi.
Sperava davvero potesse perdonarlo, per tutte quelle parole che non era
mai riuscito a dirle.
Prima o poi.