Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |      
Autore: Gretha    30/11/2008    0 recensioni
"...non ho mai creduto realmente che le mie visioni potessero salvare la vita a coloro che vedevo già morti..."
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ormai erano tre giorni che il caldo non dava tregua ed io per l’ennesima volta decisi di stendermi sulla pietra bianca del mio balcone all’ombra, con la camicia da notte completamente zuppa d’acqua fredda; le vesti scendevano spinte dal peso dell’acqua sino al piano di sotto gocciolando nel terrazzo della sala trofei di mio padre, la cosa non mi importava, il caldo mi procurava un senso di stordimento e  sonnolenza particolare, o forse era a causa delle lezioni di pittura che prendevo in tarda notte per non farmi scoprire da mia madre.
  Aprì gli occhi lentamente risvegliata dal frizzante profumo dei fiori di glicine che pendevano dai rami rampicanti attaccati ai grandi archi di pietra disegnandone i contorni, alcuni di quei piccoli e graziosi fiori mi erano cascati sul petto e sui riccioli umidi, ne presi uno e mentre cercavo di capirne la forma singolare sentì un rumore provenire dalle stanze sottostanti alle mie, sobbalzai e coprendomi il petto mi accertai che non ci fosse nessuno, ma tra le colonne mi parve di scorgere un mantello blu notte scomparire tra di esse.
  Mi guardai intorno assicurandomi che non ci fosse nessuno perciò decisi di rientrare nella mia stanza, aprì le grandi tende rosse e feci entrare la luce del tramonto l’aria si è fatta meno pesante, metto la mia vestaglia dopo essermi tolta la camicia bagnata presi i miei oli orientali speziati ad una ad una le aprì annusandone il contenuto quello era uno dei doni da parte del barone Augusto al quale sono stata promessa in sposa da mio padre, decisione alla quale mi son sempre opposta.
  Il barone era vedovo a causa dell’epidemia che dilagava nel paese da poco tempo, padre di un bambino di sei anni ha sempre espresso il desiderio di poter dare una madre al piccolo, perciò essendo io l’unica in età da marito e non avendo ancora un fidanzato la decisione è apparsa chiara e cristallina.
  Ma questi non furono gli unici motivi che spinsero mio padre a tal verdetto, la casata del barone è molto ricca e potente nel paese e un unione con la mia ne rafforzerebbe il valore mossa abbastanza strategica. Mia madre fece di tutto per impedire questa unione a causa di voci riguardanti i temperamento volubile del barone nei confronti della prima moglie più giovane anche lei, infatti lui aveva già compiuti quarantatre anni il giorno del nostro fidanzamento ufficialmente io solo diciassette.
  I primi mesi ho pianto chiusa nelle mie stanze senza mai uscirne ma invano, a mio padre le lacrime non hanno mai prodotto effetto alcuno.
Un giorno mia madre dopo le varie esortazioni, neanche lei riuscita a convincerlo, entrò nella mia stanza e mi spiegò che purtroppo nessuna donna sposa mai il suo uomo per amore e che se non lo avessi fatto sarei stata destinata al convento di clausura.
  Mi parlo di molte cose riguardanti la vita matrimoniale, i doveri e i diritti di una moglie e soprattutto cosa importante i vari spostamenti soliti e il tempo di permanenza a palazzo del Barone.
In poco tempo passai dalla rassegnazione all’indolenza, tutte le volte che lui rientrava nel salone dove si tenevano le lezioni di ricamo un brivido freddo mi coglieva alle spalle, i suoi occhi erano apparentemente dolci ma non appena eravamo soli nel giardino vicino le fontane, diventavano famelici, spesso ha tentato di rubarmi un bacio che ha sempre evitato: “Arriverà il giorno in cui non potrai opporti prima di quanto tu immagini!”
Lasciandomi sola e spaventata con il polso dolente per la forte pressione che ci poneva. La rabbia crebbe dentro di me ogni giorno di più, divenni dura e diffidente verso chiunque, l’unica che riusciva a placarmi era la mia amata balia Flavia, per me una seconda madre.
Entrò Flavia con una tinozza e i panni puliti per asciugarmi, accese il caminetto e mise l’acqua a riscaldare, andò fuori e dal pozzo dell’atrio, prese l’acqua per riempire la vasca: “È l’ora del bagno signorinella, anche oggi sei stata fuori tutta nuda!?”
Feci finta di non aver sentito, ma lei mi conosce perfettamente: “Selvaggia! Mai un nome è stato così appropriato ad una fanciulla! Figliuola se vostro padre vi vedesse, no esiterebbe a…”
:”Balia oggi voglio il gelsomino. I miei capelli devono ricordare i fiori bianchi del gelsomino!”
“Benedetta bambina mia! Mi ha detto la signora Aurelia, che vostro padre ha ricevuto nuova gente a palazzo, non dovreste incorrere in situazioni imbarazzanti, ormai il palazzo è sotto sorveglianza dalle guardie che camminano vigili in ogni piano…”
Presi la boccetta di essenza di gelsomino coi Sali profumati e ne versai buona parte nell’acqua della vasca di ottone e in pochi secondi ero con la testa sott’acqua isolata dagli avvertimenti di Flavia che paziente mi strofinava le braccia.
Uscì la testa dall’acqua per respirare: “Balia ricordati che d’ora innanzi tutti i giorni a quest’ora del giorno dovrò fare il bagno, il medico me l’ha consigliato l’altro giorno quando ero in chiesa”
:”Ecco di cosa parlavate, spero che questi metodi di prevenzione ottengano gli effetti desiderati…!”
“Fatelo anche voi, non vorrei che qualcuno si ammalasse, ne soffrirei parecchio.”
“Neanche io vorrei che vi capitasse qualcosa bambina, ma non credo che al mio piccolo Sergio andrà giù!”
Le sorrisi e l’abbracciai forte.
“Oh piccola così mi ridurrete ad una spugna fradicia, su sbrigati o non farete in tempo ad arrivare per la cena, oggi ci sono ospiti!”
“Chi sono?”
“Credo si tratti di affari riguardanti vostro padre, circa l’assunzione di nuove guardie a palazzo.”
Come previsto scesi in ritardo e a tavola rimasero solo le mie due sorelle minori, Ginevra e Giuditta, e la loro balia.
“Papà è arrabbiato con te Selvaggia!” Disse Giudi non appena fui seduta al tavolo.
Feci per ignorarla quando sentì dei passi svelti e leggeri arrivare.
Era mia madre che mi guardava con aria di rimprovero.
“Selvaggia gli ospiti ti augurano di guarire al più presto! Così potrai degnarli della tua presenza!”
“Madre le chiedo perdono!”
“Mantenendomi composta abbassai la testa, non sapevo che avremmo avuto ospiti, avrei altrimenti anticipato i preparativi…”
“E’ colpa delle tue acconciature, dovresti tagliarli quei capelli! Tra qualche mese dovrai stare attenta a non inciamparvi.”
:”…Chiedo scusa…”
“Selvaggia! Credo che tuo padre vorrà parlarti di questa sera, sappi che gli hai procurato un forte dispiacere.”
Mentre afferrai una mela mi alzai da tavola, guardai le gemelle rivolgendo loro una bella linguaccia che ricambiarono con buffe smorfie.
“Posso ritirarmi madre?”
“Quando imparerai a stare in mezzo alla gente? Chiuderti in te stessa ti porterà alla follia!”
Le rivolsi uno sguardo sereno e scesi in giardino, non si era ancora fatto del tutto buio, la servitù accendeva le lanterne tra le colonne del porticato, mi sedetti su di una panchina di pietra sotto il salice che mio padre fece piantare il giorno in cui sono nata, nel giardino dell’atrio. Mentre alzai lo sguardo per vedere le stelle della prima sera, Pepe il mio gatto mi venne accanto, e strusciandosi mi si accucciò in grembo, uno dei pochi gatti che ancora si fidano della mano umana.  


Al mattino seguente, all’alba ero già sveglia, e mentre con Flavia cercavo un metodo per coprire i capelli con il velo di seta indiana, pensavo all’iniziativa di mio padre riguardo l’aumento della sorveglianza a palazzo.
“Spero non si tratti di nulla di grave!”
“Come?”
“No Flavia niente parlavo tra me e me!”
Solitamente andare in chiesa la domenica mi rallegra, perché così ho un motivo per poter uscire dalle mura fredde del palazzo, posso vedere gente e salutarla. Spesso mi son venute strane idee, farmi prestare gli abiti di Luisa, la figlia della cuoca non che mia amica di infanzia e scappare via dal palazzo per un giorno e vedere come vive la gente povera del paese, sono convinta che la situazione è meno catastrofica di quel che si racconta a carte.
Per andare a messa quella mattina scelsi l’abito azzurro che piace alla mamma quasi per farmi perdonare per il sabato sera precedente.
Appena scesi elegantemente nell’atrio con Flavia vidi l mia madre che cercava di tenere le gemelle ferme e composte raccomandando loro di fare silenzio in chiesa.
In un angolo del porticato dietro alcune colonne mi parve di intravedere degli uomini intuì subito che si trattava delle guardie che mio padre aveva assunto, mi parve di riconoscere snella schiera il mantello blu ed ebbi un sobbalzo pensando alle varie ipotesi che si affacciavano nella mia mente.
  “Selvaggia tesoro non tenere la schiena ricurva, alza le spalle e Sali in carrozza, per l’amore del cielo non facciamo tardi!”
Mi esortò mia madre, quindi una volta in casa uscite notai subito che due dei cavalieri seguivano la carrozza sui loro destrieri, ma non feci in tempo  pensarci su che mi addormentai, fu Ginevra a svegliarmi con un abbraccio mozzafiato.
Flavia prese con se le gemelle ed io affiancata a mia madre entrai in chiesa nella quale avevamo trovato rifugio dall’afa di Agosto, tutto il paese, l’aria era più fresca anche se l’odore d’incenso, che io non ho mai sopportato rovinava la sensazione di benessere.
Durante la messa domenicale notai molte donne anziane addormentarsi inginocchiate, apparentemente raccolte in preghiera e vedendone una particolarmente buffa mi sfuggì un gemito che mia madre ammonì con uno sguardo fulminante.
Stranamente le bimbe rimasero calme e composte per tutto il tempo ma una volta fuori per Flavia fu dura rimetterle in riga, mentre mia madre rimase a parlare con delle donne io mi allontanai guardando i due soldati che non mi toglievano gli occhi di dossi e per tutta risposta feci loro un riverente inchino, imbarazzati spostarono lo sguardo sulle bambine e Flavia.
Sorrisi divertita ma le mie labbra si serrarono rigidamente non appena dinnanzi a me si materializzò il Barone Augusto che mi porgeva una rosa rossa ancora in boccio.
:”So perfettamente che questa rosa non rende giustizia alla vostra bellezza come omaggio…”
“Barone non si sprechi in inutili prose…”
“Siamo pungenti mia sposa quest’oggi!”
Presi la rosa con freddezza e lo ricambiai con un sorriso appena accennato.
“Riuscirò a farmi amare da voi Selvaggia, vi renderò felice come meritate di essere, so di cosa avete bisogno ed io mi prenderò cura di voi non temete”
Gli occhi mi si gonfiarono di lacrime ed abbassai lo sguardo verso la rosa che avevo tra le mani.
:”Barone, quale piacevole sorpresa”
Ci interruppe mia madre, che per me fu un sollievo.
“Madame Lavinia, le porgo i miei ossequi, vederla in paese è diventato un evento ancor più raro”
Neanche mia madre riusciva a mantenere un atteggiamento gelido dinnanzi al Barone ed abbassò lo sguardo come se arrossisse.
“Vorrei chiedervi il permesso di poter portare la nostra piccola Selvaggia con me per una passeggiata, sarò io, entro poco tempo a riportarla sana e salva al vostro palazzo”
Una fitta al petto mi gelò facendomi voltare verso mia madre che con occhi tristi asserì.
“Certo Barone, ma che la permanenza fuori al palazzo non duro troppo, non vorrei che…”
“Vostro marito non si opporrebbe e tanto meno tormenterebbe per la lontananza di Selvaggia, vi basterà dirgli che è in mia compagnia. Nessuno quanto me tiene all’incolumità di vostra figlia”
“Giusto!” Si arrese mia madre mostrando uno dei suoi sorrisi più finti e preoccupati guardandomi.
Lei si allontanò richiamando Flavia e le gemelle, i soldati mi guardarono interdetti e presero subito a scortare nel cammino la nostra carrozza.
“Dove mi porta oggi Barone?”
“Voglio farle respirare un po’ d’aria fresca, oggi dalla costa di ponente l’aria è particolarmente frizzante, con questo cado e in quel vestito pesante la vostra pelle starà soffrendo l’arsura…!”
Mi guardò il petto e i fianchi come se con lo sguardo volesse penetrare i vestiti mi sentì un oggetto, un brivido freddo mi corse lungo il collo.
:”Seguitemi!” Disse indicandomi il suo cavallo:”Per farle meglio apprezzare la passeggiata desidero portarvi a cavallo con me, se volete un aiuto a montare in sella anche se ho saputo da vostro padre che siete brava come un’amazzone”
Non potevo oppormi e salì a cavallo col barone, il fatto di stare a stretto contatto col suo corpo mi faceva rabbrividire, anche se aveva un buon odore e nonostante la sua età la pelle era ancora giovane e chiara.
Per molte donne il barone era un uomo ricco di fascino e modi gentili e galanti, per me era avido, orgoglioso, presuntuoso, e poco a modo, lontano dal principe che da bambina sognavo d’incontrare.
Stranamente la passeggiata lungo il mare fu rigenerante e nonostante fossi in compagnia del barone “l’orco cattivo” rimasi tranquilla e rilassata, mi riscoprì a sorridere con lui, quando con una rincorsa passammo attraverso uno stormo di gabbiani che si alzavano in volo al nostro passaggio.
Il velo di seta pian piano a causa del vento volò via andandosi a posare nel roseto coltivato proprio alle porte dell’entrata del mio palazzo.
Il barone si offrì di recuperarlo e lo vidi scomparire tra i cespugli in fiore.
Scesi lentamente da cavallo e feci un bel respiro di sollievo, era la prima volta che egli si mostrava così gentile nei miei confronti, il lato giocoso e fresco del suo carattere mi piaceva, tenendo le briglie del cavallo mi avvicinai ad una rosa gialla per annusarne il profumo delicato e sentì un urlo provenire dai cespugli dietro di me, era il barone, mi precipitai subito in direzione dei suoi lamenti e lo vidi inginocchiato per terra, aveva recuperato il velo e si teneva il polso della mano destra, subito pensai ad un morso di serpente ma per fortuna si trattava di profondi graffi dati dalle spine delle rose.
Con mio grande stupore il barone aveva l’aria sofferente e notai subito il forte sanguinare, perciò presi il mio preziosissimo velo di seta indiana lo strappai ricavandone una benda lunga e delicatamente gli fasciai il polso, lui fu così silenzioso, mi lasciò fare senza guardarmi, era concentrato su quello che stavo facendo, ma non appena ebbi finito mentre gli dissi come avrebbe potuto disinfettare la ferita alzai lo sguardo e notai che mi guardava con occhi dolci e mi sorrideva quasi timidamente
:”Ti ringrazio Selvaggia.”
“Non mi ringraziate, non ho fatto altro che una modesta fasciatura…”
“Intendevo, non solo per questo, ma per la gioia di questi momenti passati con te mi hai fatto sentire più felice davvero…”
“Barone non mi dite questo…”
“Non chiamatemi più così, io per voi sono Augusto, mi farebbe veramente piacere sentirtelo dire!”
  Mi sorpresi a tremare e lui notò subito la cosa, mi strinse le mani nelle sue.
:”Oh Selvaggia state tremando, non dovete”
“No, vi sbagliate Augusto non tremo”
  Il cuore mi batteva così forte che non ne capivo la ragione e temevo quasi di provare qualcosa di diverso per il barone.
  Con una mano mi accarezzò i capelli e la guancia e senza aggiungere altre parole di lusinga, come era solito fare.
  Fu a lui il mio primo bacio, era così caldo, morbido, sentì il suo respiro col mio, avevamo entrambi lo stesso imbarazzo, ma la magia durò il batter d’ali di farfalla, perché non appena le mie labbra si allontanarono dalle sue, mi strinse nelle spalle e prese a baciarmi il collo con foga e il petto: “Selvaggia dimmi che sei mia!”
“Barone smettetela, lasciatemi!”
Ero spaventata e gli diedi uno schiaffo, mi restituì il gesto e mi spinse per terra con forza. Rimasi lì scoppiando in lacrime soffocandole, coprendomi la bocca con la mano.
:”Farete meglio a non farne parola a vostro padre, se non volete giocarvi la reputazione ragazzina!”
Si abbassò e mi prese il mento:”Spero che vostra madre vi educhi al più presto ai doveri di moglie, o sarò peggio per voi e credetemi non sarò affatto tollerante se mi rifiuterete!”
La rabbia si accese nel mio cuore, mi alzai e scappi via da lì, in quel momento mi si spezzò il cuore pensando a ciò in cui realmente andavo incontro. Caddi per terra inciampando in un sasso e lì rimasi sciogliendomi in un pianto di rabbia e rancore.
Piansi cos forte da sfinirmi e mi addormentai, poco dopo ero tra le braccia del barone che mi portò a palazzo.
Flavia accorse spaventata.
:”Barone cosa è successo? Selvaggia!”
“Non si preoccupi si è solo addormentata”
“Ma è tutta sporca di terra!”
“E’ inciampata sul roseto mentre raccoglieva le rose, nulla di grave sta bene.”
Aprì lentamente gli occhi e le palpebre pesanti.
“Oh, Selvaggia bimba mia, per amore del cielo stai bene?”
  Aprì definitivamente gli occhi e mi resi conto in che situazione ero, guardai Flavia e mi sentì avvampare dall’imbarazzo, poi mi ricordai che cosa era accaduto col barone e come un gatto balzai via dalle sue braccia.
:”Vi ringrazio barone per la splendida passeggiata e vi prego di perdonarmi…ora con il vostro permesso mi ritiro nelle mie stanze!”
  E corsi lasciandoli a bocca aperta.
Mi tolsi via tutti le vesti e mi immersi nell’acqua fredda della vasca.
  Pensavo e ripensavo a quel bacio del quale mi vergognavo cercai in tutti i modi di depistare i miei pensieri quindi mi vestì e corsi in sala da pranzo dove erano tutti a tavola che pranzavano, compreso mio padre che non vedevo da tre giorni.
:”Selvaggia!” Tuonò mio padre con la sua voce alta e grave.
:”Figlia mia finalmente ti rivedo!”
  Mi dirigo verso di lui e gli bacio lievemente la guancia destra:”Perdonatemi padre per non essere stata presenta la scorsa sera a cena.”
“Sei perdonata per questa volta, figlia mia in tre giorni ti sei fatta ancor più bella…”
  Poi rivolse uno sguardo a mia madre: “È inutile co0n le mie figlie proprio non riesco ad arrabbiarmi per più di qualche attimo.”
  Trassi un sospiro di sollievo e mi sedetti accanto alla mamma che mi porse un piatto di verdure bollite e tacchino.
  Dopo giorni finalmente ritornavo a provare appetito, a causa del forte caldo ogni bisogno primario e fisico diventava un incombente peso.
Parlai con mio padre dell’incontro col barone e a malincuore gli mentì per non dargli dispiacer, pensai che comunque non era il caso di fargliene parole onde evitare reazioni poco gestibili da parte mia, senza contare che a tavola c’erano le gemelle.
  Guardandole pensai a chi erano destinate se anche loro dovevano subire il male che era stato deciso per me, il terrore di perdere tutta la mia famiglia, di perdere le amicizie, il non poter vivere in questo palazzo mi rendeva tanto triste, ma sapevo che se non avessi accettato la proposta del barone mi sarebbe toccata una sorte ben peggiore ed inaspettata.
  Mi augurai che entrambe le mie sorelline sarebbero state accompagnate dalla fortuna sino ed oltre il loro matrimonio.
:”Selvaggia vieni a giocare con noi a nascondino?”
  Entrambe vennero a tirarmi le braccia una da sinistra e una da destra.
:”Si dai Selvi, vieni con noi, stai sempre da sola, dai vieni, vieni!”
  Mia madre e mio padre sorridendo si allontanarono ed io rimasi lì a tavola con le due pesti che mi saltellavano intorno, poi vidi arrivare Maria Benedetta la balia delle gemelle.
:” Bambine, bambine smettetela di far baccano e venite con me, dovete studiare, per prima cosa, poi Selvaggia giocherà con voi, dico bene principessa?”
  Io annuì sorridendo e rimasi ferma davanti alla grande vetrata che dava sul giardino dell’atrio, il sole era bollente e la sensazione che mi dava il sudore prese nuovamente ad infastidirmi, feci delle lunghe passeggiate nelle stanze e nel giardino cercando di non pensare al calore, ma fu tutto inutile, perciò cedetti nuovamente, all’idea.
  Chiamai la servitù e mi feci portare in camera le tinozze con l’acqua fresca del pozzo.
  Camminando lungo i porticati stranamente non notai le guardie, pensai e me ne convinsi che forse a quell’ora non era necessario sorvegliare il palazzo, perciò corsi nella mia stanza, mi cambiai e indossando la mia solita camicia da notte bianca dopo esser uscita dalla vasca salì sul cornicione largo del porticato e mi sdraiai sulla pietra fredda.
  La sensazione di sollievo fu immediata, d’improvviso prese a soffiare un leggero venticello profumato di erba secca e sterpaglie arse dal sole e mentre stavo per addormentarmi una grossa manciata di sabbia mi scese addosso, spaventata balzai dal cornicione e subito sentì le risa delle gemelle che dal piano di sopra avevano architettato lo scherzo.
:” Ora vi prendo e vi faccio vedere io piccole pesti!” Urlai.
  Le bambine cominciarono a correre per i corridoi del porticato entusiaste ed alla fine ci presi gusto anch’io.
  Giocammo a nascondino e mentre le rincorrevo dimenticai completamente di esser nuda con solo una veste sottile indosso che si era quasi asciugata ma non del tutto a causa dei capelli che avevo lasciati sciolti che continuavano a sgocciolarmi lungo il viso.
  Mentre le piccole si eran nascoste, per farle sbucar fuori e riprendere a rincorrerle mi feci ancor più silenziosa e scomparì dietro una colonna.
  Le due bambine impazienti non vedendomi presero a cercarmi ma non appena inconsapevoli della mia presenza mi si avvicinarono.
Urlai per farle spaventare.
  Ormai il gioco e la corsa mi avevano sfinita per cui fu difficile tenere il loro passo nella corsa, e fu così che le persi.
  Cominciai a cercarle ma invano, di improvviso sentì dei passi e cominciai a correre verso i rumori che sentivo, correvo, correvo e non appena girai l’angolo non trovai le gemelle ma un giovane uomo col mantello blu, era una delle guardie di mio padre, notai la sua sorpresa ed il suo imbarazzo, poi guardai me ricordandomi di come ero conciata. Mi coprì.
  Tutto questo in pochi istanti e vedendo l’uomo avvicinarsi verso di me ebbi come istinto quello di urlare, ero pietrificata dalla vergogna e anche un po’ spaventata.
Il cavaliere in una mossa secca e leggera mi avvolse nel suo mantello e mi coprì la bocca ammutolendomi.
Mi prese con lui e mi trascinò dietro ad un muro.
Il cuore prese a battermi forte, non sapevo a cosa pensare, o meglio, non riuscivo a più a pensare.
  Non dimenticherò mai quell’abbraccio, la premura che ebbe nel coprirmi con il mantello e la delicatezza in un gesto così forte, sentivo un forte calore nel petto, avrei voluto lasciarmi andare a lui, del resto per quel poco che ebbi di notare, era anche un  bel giovane dai lineamenti mediterranei: alto, pelle olivastra, occhi e capelli corvini e labbra rosse e carnose, nulla a che vedere con quelle sottili quasi inesistenti del barone Augusto.
  Chiusi gli occhi e cercai di calmarmi e soprattutto capire perché quel gesto da parte del cavaliere quando d’improvviso con un tono di voce basso mi sussurrò all’orecchio:
“Vi domando scusa non era mia intenzione spaventarvi,così, non abbiate timore, sono una delle guardie di vostro padre…”
  Fece una breve pausa e deglutì:
“Se vi lascio parlare voi mi promettete di non urlare? Vi dico ciò solo per il vostro bene, se ci scoprissero sarebbe un grosso problema per voi tentare di spiegare  a vostro padre come stanno realmente le cose!”
  Accennai col capo, ed egli lentamente mi tolse la mano dalla bocca ed io non sapevo se voltarmi e parlargli oppure scappare via, strinsi a me il mantello cercando di tenermi ben coperta anche se ormai mi aveva quasi nuda. Mi voltai imbarazzata, lui mi sorrise:
  “Non dirò a nessuno di questo incontro, potete stare tranquilla”
  Quando lo guardai negli occhi  mi sentì davvero molto stupida e sciocca come una bambina.
  La voce non mi usciva e per ringraziarlo prima di lasciarlo solo feci segno con la testa per ringraziarlo e mi ritirai.
  Feci appena in tempo ad arrivare nella mia stanza e nascondere dietro una sedia il mantello che vi entrò mia sorella maggiore, Smeralda. Lei è sposata ormai da due anni con il conte Aurelio di Toscana:
 “Ma…ma…Selvaggia!”
“Smeralda?” Rimanemmo impietrite con gli occhi serrati.
    Rimase impietrita davanti alla porta con gli occhi sbarrati.
“Oh, si scusami sorella, ma tu che ci fai qui? Nessuno mi aveva parlato della tua venuta!”
“Volevo fare una bella sorpresa e a quanto pare ci son riuscita soprattutto con te, ti colgo sempre mentre stai combinando qualche guaio!”
  Mi misi sulla sedia per evitare che scorgesse il mantello allargandomi la veste che ormai era asciutta ma imbrattata di terriccio:
“Smeralda siediti pure dove vuoi, sarai stanchissima per il lungo viaggio!”
  Sistemai con un gesto i capelli via dalla fronte cercando di sembrare il più naturale possibile:
“I nostri genitori ti han vista?”
  Smeralda si sedette sul mio letto molto lentamente come se avesse mal di schiena e la guardai ______ non riuscendo a capire inizialmente il perché di quei movimenti rallentati.
“No, non li ho ancora visti ma ho visto Maria che mi ha accompagnata sin qui.”
   Fui felice di vederla anche se non abbiamo mai avuto un legame particolarmente stretto.
  Mia sorella era l’opposto esatto del mio carattere, sempre a modo, mai scontrosa, eccellente in tutte le materie composta, elegante e semplice, sapeva parlare perfettamente il francese.
  “Selvaggia devo dirti una cosa che voglio dire in seguito a mamma e papà con il tuo aiuto…e poi mi dici anche a chi appartiene quel mantello blu!”
  Mi sentì avvampare dalla vergogna e poi subito pensai a cosa inventarmi per non rischiare che andasse a rivelare tutto alla mamma e papà.
  Abbassò lo sguardo intrecciando le dita come una bambina.
“Io e Aurelio aspettiamo un bambino!” e si portò una mano sul basso ventre.
  Ebbi un brivido freddo pensando a come fosse successo e d’impulso le domandai:
“Perché?”
“Come?”
“Cioè dico, come…tu e Aurelio vi amate?”
“Selvaggia come osi?” Mi fissò incredula ed aspra.
“Scusami non volevo essere insolente, ma voglio capire se è il frutto di  un sentimento o l’imposizione dell’ennesimo uomo padrone…”
“Aurelio non è il mio padrone!”
  Disse inalberandosi.
“Allora perché ti agiti così tanto? Che tra l’altro non ti fa bene…Smeralda ascoltami, dico questo perché ci tanto a mia sorella e augurandole tutto il bene di questo mondo non voglio che nessuno ti faccia del male o approfitti di te!”
“Selvaggia, Selvaggia quietati! Capisco cosa intendi, ma credimi questo figlio l’ho desiderato io, sono stata io a deciderlo!”
  Nei suoi occhi, lessi determinazione, Smeralda mi stava dicendo la verità ed io non potetti far altro che andarle incontro e stringerla forte a me, entrambe scoppiammo a ridere e piangere dalla felicità.
  Quando ci calmammo lei raccolse il mantello da terra si sedette sulla sedia fissandolo, lo annusò:
“Non ha un cattivo odore ed è anche fatto con tessuti pregiati…uhm…”
  Mentre lavavo via il terriccio dalle mie braccia nella vasca, cercavo di pensare ad una scusa più che valida o tanto più che convincente:
“Beh, è caduto dal piano superiore ed io l’ho raccolto…”
  Alzandosi lo aprì completamente e lo scrutò:
“Sicuramente non è del Barone Augusto…Selvaggia hai una tresca con un uomo?”
  Ebbi un sussulto e scoppiai a ridere.
“Non sono riuscita ad indovinare…bene allora dimmi tu cosa, e guardati bene dall’inventarti storie!”
“Mi prometti che non fai la solita ramanzina da sorella saputella?”
“Io non ho mai fatto ramanzine…”
  La guardai di traverso e subito si mise composta a sedere con l’aria assorta.
“È di un cavaliere, una delle  nuove guardie che nostro padre ha assunto per non so quale ragione.”
  Smeralda sgranò gli occhi.
“Non preoccuparti la mia virtù è inviolata e spero lo rimanga per almeno altri vent’anni!”
“Solo?”
“Il tempo che rimane di vita al barone, no?!?”
  Smeralda scoppiò in una fragorosa risata.
“Semplicemente mentre correvo per raggiungere le gemelle mi sono imbattuta in un affascinante cavaliere…”
  Mi rivolsi a mia sorella con sguardo ammiccante.
“Non dirmi che ti sei fatta vedere così svestita da quell’uomo!”
“Ed invece si, non sai che vergogna, ero convinta che non ci fosse nessuno nel porticato, e poi se non fosse stato per la marachella delle bambine non mi sarei mossa di qui!”
“Ora non cedere la responsabilità dei tuoi errori a due povere innocenti…!”
“Non era quello che intendevo!”
“Quindi sono state loro a ridurti in quello stato! Sono due angioletti dispettosi…”
  Scendemmo per l’ora di cena, Smeralda mi acconciò i capelli e mi fece indossare un nuovo abito color porpora che mi portò in dono dalla Toscana.
  Quando i miei genitori la videro si commossero e la mamma non riusciva a smettere di piangere dalla gioia quando seppe che era incinta.
  Per me fu una bella serata, le gemelle non smettevano di cantarle canzoncine e girarle intorno e mio padre entusiasta volle organizzare una grande festa a corte con centinaia di invitati.
  Inizialmente il conte Aurelio si oppose per non far affaticare troppo Smeralda ma poi notando il suo entusiasmo acconsentì.
  Quella notte andai a letto tardi dopo aver ascoltato tutte le vicende accadute in Toscana da Aurelio e Smeralda, mi addormentai tranquilla senza avere il minimo sentore che durante le prime ore dell’alba avrei avuto uno dei sogni più lugubri della mia vita.
  Mi alzai sudata e corsi ad aprire le tende per far entrare della luce.
  Guardai il cielo che si era ormai schiarito e in lontananza udì il cinguettio dei cardellini, le rondini sfrecciavano nel cielo e notai i servitori raccogliere le ciliegie per la colazione, quello scenario così tranquillo mi fece un attimo ritornare alla realtà.
 Mi guardai intorno come se cercassi altri spunti visivi per rassenerarmi, chiusi gli occhi e rividi quelle scene tetre e buie, li riaprì e tirai un sospiro di sollievo ma dentro mi sentivo profondamente turbata.
  Per cui decisi di scendere nelle cucine e parlarne con Luisa, lei sapeva tutto dei miei sogni e quando si avveravano anche se a distanza di molto tempo.
  Il sole ormai si era levato del tutto ed iniziava a far ardere persino le pietre.
Cercai in tutta la cucina la mia amica ma non trovai né Luisa né sua madre. Decisi di far colazione lì, ed aspettarla, ma fu inutile.
  Perciò decisi che, se confidarmi non era possibile una passeggiata a cavallo mi avrebbe rasserenata comunque.
  Riuscì ad uscire anche senza l’autorizzazione di mio padre, ma mentre uscì una delle guardie volle tenermi d’occhio fuori le mura del palazzo.
  Mentre a trotto percorrevo il sentiero che portava nell’uliveto pensai al cavaliere che il giorno precedente mi aveva stretta a sé in un modo così ...
  Luisa, la intravidi tra i cespugli di rose con una grande cesta sotto il braccio piena di rose, le andai incontro a cavallo:
“Luisa amica mia, ti cercavo…!”
Le mi si voltò sorridendo: “Buondì Selvaggia! Perché mi ceravate?”
“Luisa non essere così formale con me non ce n’è motivo!”
“Vostra madre me lo ha ordinato ed io non posso non obbedire”
“Ancora con questa storia, lo sai che si tratta solo di rancore per quella vecchia faccenda…che barba!”
“Perché mi cercavi?”
Il sorriso mi si spense per lasciarmi amareggiata al pensiero di quel sogno, quando devo annunciare certe cose preferisco essere coincisa perciò tutto ad un fiato dichiarai:
“Accadrà qualcosa di terribile al parroco don Pietro!”
“Cosa? E’ un altro dei tuoi sogni premonitori?”
“Si, questa notte, veniva aggredito da enormi bestie demoniache, ho provato lo steso terrore che era ne suo cuore, come se ci fossi stata io al suo posto”
I miei occhi si riempirono di lacrime scesi da cavallo e Luisa lasciando cadere la sua cesta piena di rose mi abbracciò forte:
“Ne sei certa? Credi sia questa la giusta interpretazione?”
“Non so cos accadrà di preciso o quando ma sarà terribile!”
“Purtroppo non ti è dato di sapere quando avvengono gli eventi che tu riesci a vedere nei tuoi sogni, quindi non potrai mai fare granché per evitarlo, se si venisse a sapere di queste tue capacità mediane potrebbero accusarti di stregoneria o eresia!”
  Mi asciugai le lacrime e tirai su col naso come una bambina.
“Selvaggia fattene una ragione, non pensare più a queste brutte cose ma concentrati su tua sorella e il bimbo che porta in grembo, questa sera si terrà la festa a corte, devi essere tranquilla e serena, se piangi ti si gonfiano gli occhi” Riprese la gesta sotto il braccio: “Non c’è nessuna bella novella? Così per cambiare argomento…?”
Le sorrisi “ beh, ora che ci penso su ci sarebbe una cosa divertente da raccontarti accaduta appena ieri…!”
Luisa si voltò e riprendendo il suo insolito lavoro disse “Ti seguo sono tutta orecchie!”
“Ieri mi son imbattuta in una delle guardie che girano ultimamente a palazzo!”
“Che intendi dire di preciso?”
“Mi son ritrovata faccia a faccia con uno di loro mentre giocavo con le gemelle…”
“Cosa c’è di strano in questo?”
“C’è di strano che ero zuppa d’acqua col mio solito camicione bianco…” e presi a ad intrecciarmi una ciocca di capelli guardando in aria.
“Oddio Selvaggia!Praticamente ti ha vista nuda!” Si girò con forza e gli occhi sbarrati.
“E’ stato un piccolo incidente sul quale conto non ricapiti più, anche perché è stato molto imbarazzante ma… devo ammettere eccitante!”
D’improvviso sentì Flavia urlare in lontananza il mio nome, mi stavano cercando.
“Sei stata beccata! Ti converrebbe battere in ritirata amica mia…”
“No credo proprio Luisa!” Le rubai una rosa bianca dalla cesta e salì frettolosamente a cavallo dandomi alla fuga e come previsto il cavaliere prese a seguirmi. Fu molto divertente vederlo nel panico mentre tentava di raggiungermi, ma riuscì a seminarlo.
Dal cavallo salì su di un ulivo ed aspettai pazientemente silenziosa.
Dopo qualche minuto lo vidi arrivare, affiancò il mio cavallo si fermò, scese dal suo destriero e si guardò intorno tenendo strette le briglie di entrambi gli animali, annusai la mia rosa e la lasciai cadere sulle spalle del cavaliere che mi era proprio sotto egli la prese al volo alzando lo sguardo alle fronde dell’albero tra le quali avevo trovato il mio nascondiglio.
“Buongiorno signore, bella cavalcata dico bene?”
“Principessa non dovreste comportarvi in questo modo, rischiereste grosso se lo venisse a sapere vostro padre e non solo voi!”
Ero sdraiata a pancia in giù su di uno dei rami più robusti, poggiai i gomiti tenendomi il mento sui palmi delle mani, mi rilassai facendo scivolare una gamba, alla visione della mia coscia nuda il giovane uomo abbassò lo sguardo e la cosa mi fece sorridere.
“Come vi chiamate Sire?”
“Hiorvard”
“Lieta di fare la vostra conoscenza Hiorvard io sono Selvaggia, perché non mi guardate? Non datemi le spalle!”
Hiorvard si guardò attorno “ Mia signora io vi rispetto e quindi fino a che non decidiate di scendere da lassù…”
Pian piano con prudenza scesi dal tronco: “Ora va meglio?”
Dissi sorridendogli con dolcezza.
:”Mi permettiate di dirle che siete selvatica come una gatta!” Affermò porgendomi la rosa che gli avevo gettato dall’albero.
“Lo prenderò come un complimento Hiorvard!”
“Ora fatevi riaccompagnare a palazzo prima che qualcun altro si accorga della vostra fuga clandestina” Mi disse porgendomi le briglie della mia Artemide la mia cavalla.
“sarò felice di seguirvi se prima di andare mi spiegaste il perché della decisione di mio padre di aumentare la sorveglianza ed il numero delle guardie a palazzo”
Il cavaliere salì sul suo destriero ed io feci altrettanto, insieme ci incamminammo a passo: “Vostro padre non vi ha messo al corrente del pericolo che correte se vi allontanate troppo senza la dovuta sorveglianza?”
Anche questo cavaliere straniero aveva un aspetto cortese e affascinante, i suoi capelli erano rossi, carnagione rosea e chiara, pensai che probabilmente era anche molto giovane rispetto agli altri che avevo incontrato.
“vostro padre ci ha assunti per proteggervi da eventuali assedi al palazzo, ultimamente la situazione nel vostro paese non scrive una buona storia di sé, furti, assassinii, ribellioni, Francia e Spagna si contendono le terre italiche da ormai molto tempo e anche il vostro paese, questo ha causato una netta divisione tra le nobili casate della città”
“Non è possibile che son sempre l’ultima a sapere le cose!”
“Se la scorsa sera foste venuta a cena ne sareste al corrente anche voi!” Mi rivolse un sorriso benevolo, ma colsi un sottil rimprovero in quelle parole dette con garbo.
Arrossì dalla vergogna; rientrai a palazzo accompagnata da Hiorvard che ormai si era guadagnato la mia simpatia, ma l’atmosfera serena sfumò quando vidi gli occhi furenti di Flavia. Scesi dalla mia cara Artemide.
“Signorinella cosa ci siamo messe in testa? Guardate che vostro padre è venuto a sapere del vostro comportamento poco responsabile, quindi vi sta aspettando di sopra per parlarvi, dovete ringraziare vostra sorella Smeralda se ora non vi è lui in persona qui ad accogliervi con una sberla!”
Seccata dalla reazione mi diressi alle stalle per lasciarvi il cavallo a riposare, prima riempì un secchio d’acqua per abbeverarla. Lentamente entrai nelle stalle dove erano stati sistemati anche i cavalli delle nuove guardie, ero sovrappensiero ma improvvisamente udì degli strani gemiti provenire dal soppalco dove erano custoditi alcuni attrezzi delle balle di fieno, l’idea imbarazzante di aver capito a cosa fossero dovuti non mi fermò dal salire la scala per curiosare e quindi capire a chi appartenevano quegli strani lamenti. Salento silenziosamente guardai in basso e in un angolo notai la cesta di rose che Lisa portava con se quando ci siamo incontrate nel roseto.
Arrivata in cima apparve dinnanzi ai miei occhi una scena che ho sempre desiderato dimenticare: Luisa accovacciata e dietro di sé il cavaliere al quale dovevo ancora il bel mantello color blu notte. Inavvertitamente feci scricchiolare rumorosamente la scala facendomi scoprire dagli inconsueti amanti, scesi il più veloce possibile dalla scala e fuggì via sbigottita.
Fu quasi scioccante vedere la mia amica che credevo illibata e il cavaliere del quale mi ero infatuata intenti ad “amarsi” nelle stalle, senza volerlo dalla collera mi scesero delle lacrime sulle guance che asciugai frettolosamente prima di entrare nello studio di mio padre.
Mi fu data una punizione esemplare mia avuta neanche nei tempi in cui ero ancora una bambina, il castigo consistette nel tenermi chiusa per una settimana nelle mie stanze e la seguente non potetti uscire invece dalle mura del palazzo; tutto ciò grazie a Smeralda che quietò di parecchio l’ira di nostro padre
Fui accompagnata dalla servitù capitanata da Flavia che impartì ordini circa le ore in cui dovevano portarmi i pasti giornalieri e il bucato pulito, lei mi sembrò molto più arrabbiata con me di mio padre.
Messa sotto chiave e rabbiosa presi il mantello blu e lo lanciai verso la libreria sui quali erano riposti profumi ed i vari oli che cadendo si versarono su di esso, mi lasciai cadere sul letto e schiacciando il viso contro i cuscini strillai, non riuscivo a focalizzare la collera in una sola ragione, riaffiorò alla mente la proposta di matrimonio del barone,e scoppiai in un pianto rotto dai singhiozzi verso tutti quelli che avevano deciso la mia sorte senza nemmeno interpellarmi.
Quando riuscì a calmarmi andai al balcone per prendere una boccata d’aria e rinfrescare il viso bollente, mi affacciai chiudendo gli occhi e traendo profondi respiri, quando li riaprì rivolgendoli verso il basso notai subito lui, il cavaliere che usciva dalle stalle come se nulla fosse, mi venne una fitta bruciante al petto, ritornai dentro raccolsi il mantello ormai tutto unto e trascinandolo per terra facendogli raccogliere a sé la polvere ritornai lentamente al balcone e fortuna volle che egli fosse proprio sotto la mia traiettoria, lo sollevai delicatamente per non sporcarmi e lo lascia cadere di sotto. Gli finì in testa e soddisfatta mi ritirai svelta.
Poco dopo il calar del sole entrò Flavia nella mia stanza seguita dal parrucchiere di fiducia di mia madre, la sarta e le sue assistenti
“Ero convinta che non avrei partecipato ai festeggiamenti di corte …”
“Saranno presenti tutti Selvaggia, non credo farebbe piacere al barone rimanere senza una dama…” Disse secca poggiando uno degli abiti più eleganti che mi era capitato di vedere sino a quel momento. Era bianco perlato con ricami e bordature dorate.
Mentre due persone mi acconciavano i capelli, Flavia mi si avvicinò silenziosa tenendo stretto a sé un cofanetto rosso, lo aprì con cura:
“Selvaggia, questo è un dono da parte del barone perché tu lo possa indossare questa sera”
Rimasi incantata dinnanzi a quella visione, un collier d’oro con zaffiri grandi quanto nocciole  e un centrale più grande degli altri; mi venne subito da pensare a quanto mi sarebbe costato u tale regalo una volta sposati.
La corte era ormai quasi al completo, la gente nobile del mio paese aveva riempito il gran salone di corte, l’entusiasmo dei miei genitori e la loro impazienza di festeggiare l’evento di mia sorella non diede il tempo di invitare anche i parenti del conte Aurelio.
Scesi dall’alta scalinata che dalle stanze private portava ad un grande atrio dal quale si poteva accedere a diversi saloni, quello centrale il più ampio fu quello scelto per accogliere gli ospiti per il festeggiamento; all’entrata riconobbi immediatamente Hiorvard tra le altre guardie che si voltarono a guardarmi stupiti al mio passaggio, egli mi fece cenno con un sorriso complice ed io ricambiai ma come tutte le volte il mio sorriso sfumò non appena vidi il barone che mi accolse con una riverenza.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Gretha