Maou
“Un capanno abbandonato accanto ad una scuola.
Un litigio, dei ragazzi delle scuole medie fronteggiavano un loro compagno.
Una colluttazione, e infine uno dei ragazzi cadde a terra con un coltello nello
stomaco.
Una palla da basket cadde a terra e si perse nel cortile….”
Aprì gli occhi di scatto sollevandosi dal comodo letto.
Il respiro affannoso e il volto leggermente imperlato di sudore, la ragazza si
passò una mano tra i folti cappelli scuri cercando di regolarizzare il suo
respiro.
Era un sogno. Soltanto uno stupidissimo sogno, eppure era riuscito a metterla
in soggezione.
Ricordava quegli avvenimenti, dopotutto aveva preso parte al processo minorile
che era seguito a quell’incidente, ma sperava di non doverlo sognare anche di
notte.
Si alzò dal letto e andò in bagno a sciacquarsi il viso.
Terminato questo piccolo rituale tornò nella sua stanza, indossando una
maglietta bianca a mezze maniche e un paio di jeans.
Osservò il risultato allo specchio, ritenendosi soddisfatta scese al piano
inferiore della sua piccola abitazione.
Divideva la casa con Kikyo, una sua carissima e vecchia amica.
Terminate le superiori la ragazza le propose di abitare assieme a lei, in
cambio Kagome lavorava nel piccolo “café “ e nel pomeriggio lavorava alla
libreria comunale.
Sorridente, si avvicinò ad un tavolo coperto da un panno violaceo sul quale
erano poste, a mezzaluna, alcune carte dei tarocchi.
Chiuse gli occhi, lasciando che fosse la sua mano a guidarla nella scelta della
carta giusta.
La sua mano si fermò ed estrasse una carta.
“La ruota della fortuna…”, commentò a se stessa, senza lasciare che il sorriso
abbandonasse il suo volto. “Un incontro nostalgico”
« Kagome! » urlò una ragazza mentre scendeva a rotta di collo le scale.
I lunghi capelli scuri erano legati in una coda alta.
Indossava una camicia bianca, pantaloni scuri e un piccolo grembiule bianco con
l’insegna del locale.
« Kikyo, è accaduto qualcosa? », domandò l’altra, cercando di capire il motivo
di tanta agitazione.
« Ho perso un orecchino! », disse mostrandole un orecchino a forma di luna con
un piccolo brillante a forma di stella che pendeva dalla punta.
Kagome osservò il piccolo oggetto tra le mani dell’amica, sorrise e si accomodò
sul tavolo.
« Sei sicura? » domandò titubante mentre l’altra poggiava l’orecchino sul
tavolo di legno.
Kagome annuì e aggiunse: « non preoccuparti, tanto non ci sono molti clienti la
mattina ».
Trasse un profondo respiro, chiuse lentamente gli occhi e poggiò la mano
sull’orecchino.
In un istante centinaia d’immagini affollarono la sua mente, ma soltanto alcune
erano fondamentali per lei.
Vide il gemello dell’orecchino cadere a terra e infilarsi sotto un mobile del
bagno.
Kagome riaprì gli occhi e sorrise.
« Si trova sotto un mobile in bagno ».
Il voltò di Kikyo s’illuminò, mormorò un veloce grazie e corse come una furia
verso il bagno per cercare il suo prezioso tesoro. Kagome non poté fare altro
che lasciarsi scappare una risata nell’osservare l’amica tanto presa, il suo
sguardo si perse un momento su un punto indefinito della parete e poi si alzò
di nuovo.
Era un dono che possedeva fin da quando era piccola: psicometria.
Gli oggetti, così come le persone, conservano dei ricordi e la psicometria
permette di leggere quei frammenti di memoria.
Si alzò, decisa a prepararsi un
buon caffè prima di andare al lavoro. Al suo “altro” lavoro.
Sbuffò a quel pensiero, ma aveva ricevuto una richiesta disperata dal suo
datore di lavoro e non aveva potuto rifiutare.
In quell’istante la campanella del negozio tintinnò, avvertendola dell’arrivo
di clienti.
« Kagome … » la chiamò una voce maschile.
La ragazza si volse nella direzione della porta, rimanendo visibilmente stupita
nello scoprire chi fossero i primi clienti di quella mattina.
Era un uomo di mezza età, indossava una camicia a quadretti e un paio di
pantaloni scuri sorretti da una cintura.
Dietro di lui c’erano un ragazzo
dai capelli scuri legati un piccolo codino, gli occhi erano di un blu intenso
come il mare di notte.
Era vestito in modo meno elegante dei suoi due colleghi, tra cui una ragazza
con indosso un tailleur grigio e i capelli raccolti in una coda alta.
Kagome lo riconobbe, era il capo della polizia di Shibuya est e si chiamava Toma.
Molte volte era venuto da lei per chiedere il suo aiuto su alcuni casi, la sua
psicometria, le disse, si era rivelata molto utile nella risoluzione dei suoi
problemi. Sorrise cordiale e invitò i suoi ospiti ad accomodarsi.
« Loro sono i miei subordinati: Sango e Miroku. Kagome, abbiamo bisogno di
chiederti una cosa » proruppe l’ispettore in tono grave, avvicinandosi alla
giovane seguito dai suoi colleghi.
La ragazza lo fissò perplessa mentre Sango estrasse una busta di plastica con dentro una
carta dei tarocchi: una delle sue!
« Questa è una delle tue, vero? » domandò serio.
Kagome annuì, riconoscendo la carta che faceva parte della sua collezione di
originali.
« E sai cosa vuol dire? » domandò Miroku.
Il suo volto era una maschera di puro terrore, sudava freddo e sembrava
impaziente di conoscere la risposta a quella sua domanda.
« Le carte hanno diversi significati … » spiegò con calma Kagome, mentre
scrutava i volti dei suoi strani ospiti.
« Esprimono dei suggerimenti per la vita di ogni essere umano che si appella al
loro sapere. »
Prese tra le mani la busta di plastica e osservò la carta. Ritraeva un giovane
angelo che suonava uno strumento simile al flauto.
« Il “Giudizio” implica diverse cose, ad esempio un pentimento per i passati
errori. »
A quelle parole il ragazzo fissò con orrore la carta dinnanzi a sé mentre
sentiva il suo mondo sbriciolarsi sotto quella condanna, sembrava essere
turbato da qualcosa e quelle parole non fecero altro che aumentare la sua
paura.
Kagome ebbe una sensazione di familiarità nel viso di quel giovane detective,
ma non riusciva a ricordare dove poteva averlo incontrato.
« Pentimento per i passati errori … ? » ripeté angosciato.
Kagome annuì, continuando la sua spiegazione sulla carta.
« Il giudizio implica che è
giunto il momento di pagare per i vecchi errori. Suggerisce il susseguirsi di
vicende che porteranno ad una risoluzione per qualcosa che abbiamo nascosto. »
concluse Kagome, lanciando una rapida occhiata al giovane detective.
« Mi rendo conto che non è giusto, ma vorrei chiederti … »
« Non ci sono problemi » rispose rapida Kagome, interrompendo sul nascere le
scuse dell’ispettore.
Kagome prese la busta contenente la carta e si avviò al tavolo.
Miroku la fissava scettico ma decise di non darci peso; doveva restare
concentrata.
Chiuse gli occhi e in un solo istante, com’era accaduto con l’orecchino, una
serie d’immagini presero a passare rapide nella sua mente.
Vide un uomo, un avvocato di mezza età, apriva uno strano pacco ed estraeva,
una carta dei tarocchi e un coltello dalla lama a scatto puntandolo contro un
aggressore ignoto.
Riaprì gli occhi di scatto, come ripresasi da un lungo sogno, l’ispettore
scrutava il suo viso con ansia crescente e preoccupazione.
« C’era un uomo anziano, un avvocato mi sembra … » disse Kagome mentre Sango estraeva
dalla tasca una fotografia.
Ritraeva un uomo di mezza età, indossava una completo molto elegante, e sulla
giacca brillava una piccola spilla; il simbolo degli avvocati.
« Era quest’uomo? » le chiese gentilmente, anche se Kagome avvertì lo
scetticismo nella sua voce.
Annuì decisa con il capo.
A quel punto Miroku, stufo di sentire si alzò di scatto e sbatté entrambe le
mani sul tavolo.
« Dobbiamo stare qui a sentire queste sciocchezze ancora per molto? » sbottò
furente guadagnandosi un’occhiataccia da parte del suo capo e della sua
collega.
« Miroku! » lo richiamò l’ispettore Toma, ma ormai il danno era fatto.
Kagome si alzò rapida dalla sua postazione avvicinandosi alla porta per prendere
una piccola borsa bianca, di certo, pensò, se lui non voleva crederle non aveva
ragione di aggiungere altro.
« Kagome, aspetta … »
L’ispettore tentò di richiamarla
ma fu inutile; la ragazza era uscita senza dire una parola in più
sull’argomento.
Camminando lungo le strade
affollate di Tokyo lasciò che la sua rabbia scemasse, molto lentamente.
Era abituata a quegli
atteggiamenti, ma sperava di non dover udire certe frasi da un collega
dell’ispettore Toma.
Aveva grande stima di lui, la trattava con dolcezza e rispetto; proprio come avrebbe
fatto con una sua figlia.
Sospirò affranta, mentre si
rendeva conto di aver esagerato con le sue azioni.
« L’avvocato Aoyama è stato trovato morto
questa mattina, secondo alcune indiscrezioni pare che la vittima sia stata
ferita all’addome con un coltello. Non si conoscono ancora … »
Kagome si volse verso la vetrina del negozio da cui aveva sentito provenire
quella voce femminile, erano esposti diversi televisori che trasmettevano un
notiziario del mattino.
La foto dell’avvocato trovato morto era quella che le aveva mostrato
l’ispettore, poi un lampo le attraversò la mente: quel ragazzo, Miroku, credeva
che avesse già sentito la notizia alla televisione e quindi veniva spiegato il
motivo per cui non le credeva.
Mosse alcuni passi indietro, allontanandosi
dalla vetrina, ma in quello stesso istante urtò contro qualcuno.
Sentì il rumore di qualcosa che
cadeva e si volse rapida alle spalle, sperando di non aver creato dei problemi
per qualcuno.
« Mi scusi … » mormorò impacciata.
Un ragazzo, che aveva più o meno la sua età, fece un cenno di diniego con il
capo e le regalò un sorriso cordiale.
« Non si preoccupi, non è accaduto nulla di grave » spiegò, mentre si chinava a terra per
raccogliere alcuni libri.
Si chinò anche lei, cercando di rimediare al danno che aveva fatto aiutando lo
sconosciuto a raccogliere i molti libri ora sparsi a terra.
Inginocchiata a terra, di tanto in tanto, lanciava qualche occhiata all’uomo
che aveva urtato e si perse a guardarlo. Era un bel ragazzo dai lunghi capelli
scuri, come il manto della sera e occhi color ambra.
Per un breve istante provò ad
immaginare cosa si potesse provare a perdersi in quegli occhi, ma si riscosse
subito da quei pensieri arrossendo un pochino e sperando, anzi pregando con
tutto il cuore che il misterioso estraneo non ci facesse caso.
Il rossore improvviso del suo volto fece scattare il suo interlocutore, preoccupandolo
sulla sua salute anziché di un possibile imbarazzo di lei.
« Tutto bene signorina? » chiese dolcemente, ma Kagome scosse violentemente il
capo e si rialzò da terra.
Avevano raccolto tutti i libri, alcuni
di essi erano di argomento diverso l’uno dall’altro: c’era un libro che parlava
di “Faust”, un altro sulla “Divina Commedia”, altri erano libri
sull’architettura e uno faceva parte di una collezione per il codice penale.
« V’interessate di architettura a quanto posso notare. » commentò, indicando
con un cenno del capo il piccolo plico di libri sull’argomento.
Il giovane avvocato continuò a sorriderle in modo cordiale, dolce, ma Kagome
notò una certa freddezza in quei gesti.
« No, sono per un caso che sto seguendo. Gli altri sì, rappresentano una mia
passione. » spiegò tranquillamente.
« Anche per me è lo stesso! » replicò
Kagome sentendo dentro di sé uno strano entusiasmo a quella rassomiglianza,
avvertiva più chiaramente gli angoli delle labbra che si piegavano in un
sorriso.
« La letteratura occidentale mi ha sempre affascinata! » spiegò lei mentre
sentiva crescere dentro di sé uno strano imbarazzo. Forse, pensò, si era
comportata in modo troppo familiare nei suoi riguardi.
Una risata sfuggì dalle labbra del giovane avvocato, mentre Kagome cercava di
riprendersi da quel senso d’imbarazzo.
« Sei una ragazza simpatica, è stato un piacere essere “incappato” nella tua
presenza. » disse ironico, provocando nella ragazza un forte aumento del
rossore sulle guance. Un inchino, un saluto ed egli prese congedo dalla sua
nuova “amica”.
Kagome lo guardò allontanarsi mentre sentiva una strana sensazione provenire
dalla sua figura.
Era gentile e dolce, tuttavia, le era parso, sembrava facesse quei gesti in
modo così artefatto da non sembrare reale.
La sua schiena, mentre si allontanava, pareva così familiare ai suoi occhi ma,
nello stesso istante, non lo era.
Scosse il capo, ridestandosi da quei pensieri così molesti.
Il suo sguardo si posò verso il basso, catturato da un telefono cellulare nero;
sicuramente apparteneva al giovane avvocato.
Lo prese con sé, promettendosi di chiamarlo non appena fosse giunta alla
libreria, ma quando lo strinse tra le mani, senza che lo volesse, riuscì a
vedere alcune immagini residue su quell’oggetto.
Vide una donna piangere davanti ad una fotografia, poi l’immagine cambiò ancora
e vide uno strano uomo parlare con l’avvocato.
Si riscosse rapida, procedendo più in fretta che poteva verso la libreria.
Era la prima volta che andava così a fondo nel passato di qualcuno, però doveva
aver pensato a quella donna recentemente, altrimenti non avrebbe mai visto
quell’immagine.
Strinse il cellulare più forte tra le mani mentre entrò rapida in libreria.
Era una giornata particolarmente lenta, nessuno entrava e, se qualcuno lo
faceva, si limitava a sfogliare qualcosa senza acquistare nulla.
Così, approfittando del tempo
libero, decise di controllare il cellulare che aveva raccolto quella mattina.
Per sua fortuna era acceso e, senza pensarci troppo, prese a cercare un
recapito nella rubrica.
Lo sfondo del cellulare era quello della marca del telefono, nulla di personale
o di qualcosa che ammirasse.
Schiacciò il tasto del menu e raggiunse la rubrica.
L’aprì, scoprendo che conteneva soltanto due numeri di telefono: uno per
l’ufficio e uno segnato come X.
Kagome si stupì di questo, ma decise di non darci troppo peso e trascrisse il
numero dell’ufficio su un pezzo di carta.
Sentiva una strana inquietudine crescere dentro di sé, mentre premeva i numeri
sul telefono della scrivania.
Dopo un paio di squilli qualcuno rispose al telefono dall’altra parte.
« Ufficio legale Nikaido, posso aiutarla? » chiese una voce maschile,
appartenente sicuramente ad uno dei segretari dello studio legale.
« Ehm … ecco … » cominciò a balbettare, « vorrei parlare con l’avvocato che
gestisce l’ufficio, è possibile? » domandò incerta. Sarà stato un uomo
impegnato, sicuramente, ma l’idea di non trovarlo non le andava molto a genio.
Seguì un piccolo istante di silenzio.
« Certamente, vi metto subito in contatto con l’avvocato Nikaido » aggiunse l’uomo
in tono cordiale e professionale mentre inseriva l’attesa di chiamata.
Nell’attesa cercava di trovare un modo per spiegare la situazione, dopotutto
non era accaduto nulla di grave, si disse, e non aveva motivo di sentirsi così
in ansia.
« Pronto? »
Kagome sospirò, felice che qualcuno avesse risposto all’altro capo del telefono
e ancora più felice che si trattasse proprio dello stesso ragazzo.
« Ehm … ecco … Io sono la ragazza di stamattina, quella dei libri. »
Balbettò come una ragazzina alla sua prima cotta mentre con le dita giocava
nervosamente con una penna, tracciando strani disegni e ghirigori senza alcun
senso.
«Ecco ... Nell’urto deve essere caduto il
vostro cellulare … »
Continuò lei mentre dentro di se
si malediceva per tutta quella timidezza improvvisa.
« Ti ringrazio di cuore, mi hai proprio salvato! » aggiunse con estrema
dolcezza.
« Posso sapere a chi devo questo
grande favore? »
« Kagome, mi chiamo Kagome. » Rispose sentendo le guance andare in fiamme.
« Molto bene, passerò verso le 19 al tuo posto di lavoro che si trova … ? »
« E’ la libreria infondo alla strada, dove ci siamo scontrati … » spiegò Kagome
mentre avvertiva il leggero scricchiolio di una punta di matita dall’altro
lato, incapace di trattenersi oltre sorrise ancora di più.
« Grazie ancora Kagome, io sono Inuyasha Nikaido. »
Il telefono venne riattaccato mentre la ragazza sentiva il suo cuore battere
forte come mai prima di quel momento
Guardò l’orologio appeso alla parete, maledicendo mentalmente il lento scorrere
del tempo.
Si alzò dalla sua postazione, dirigendosi verso alcuni scaffali in libreria ed
estrasse le copie dei libri che aveva scelto Inuyasha: “Faust” e “ la Divina
Commedia”.
Leggendo “Faust” le tornò in
mente la storia per i bambini della chiesa, vicino all’orfanotrofio in cui era
cresciuta, che raccontava sul Diavolo; una storia alleggerita dal peso della
realtà.
Era qualcosa che da piccola l’aveva affascinata, provava persino pena per la
sua condizione di esiliato, ma crescendo questa sensazione di disagio
scomparve.
Dai libri aveva imparato la storia vera e sapeva quante azioni crudeli aveva
compiuto e altre che poteva far compiere, la sua vera natura era instabile e
poteva presentarsi sotto qualsiasi forma: persino quella del più rispettabile
degli uomini.
La figura di Inuyasha, per un istante, comparve nella sua mente e la fece
sobbalzare.
Non riusciva a capire perché la
sua mente avesse fatto proprio quell’associazione inopportuna, ma decise di non
darci troppo peso.
Il tempo continuava a scorrere lentamente mentre si perdeva nella lettura di
uno dei libri sentì la porta della libreria aprirsi.
Richiuse in fretta il libro, rimanendo sorpresa nel vedere chi entrava con un
espressione affranta sul volto.
« Miroku … » mormorò sorpresa, ma allo stesso tempo si mantenne fredda come il
ghiaccio. Non aveva dimenticato quello che era accaduto poche ore prima.
Sul volto di lui comparve una smorfia di sarcasmo mentre cercava di riprendere
fiato, mostrò alla ragazza una busta da lettere rossa e la porse verso di lei
pregandola di prenderla.
« Cosa significa? Credevo mi giudicate un’imbrogliona »
Rispose lei aspramente.
« Mi rendo conto di averti
offeso, ma ti prego di perdonare un povero sciocco. » Mormorò chinando il capo,
lasciando la ragazza visibilmente colpita dal suo atteggiamento.
« Ti prego, ho bisogno del tuo aiuto per trovare il colpevole … » continuò,
stavolta diventando più serio in volto.
« Un uomo che si nasconde dietro
qualcun altro per compiere i suoi crimini, qualcuno che non si sporca direttamente
le mani non merita di cavarsela. »
Kagome osservò prima Miroku e poi la busta rossa dinnanzi a se, trasse un
profondo respiro e decise di accontentarlo; avrebbe letto le immagini residue
di quell’involucro rosso. Afferrò la busta, sospirando e la poggiò sopra il
ripiano della cassa.
Chiuse gli occhi e posò la sua mano sopra la busta.
Si concentrò più che poteva ma non vide nulla, soltanto l’immagine di una
scritta al computer.
“La verità non può essere distorta”.
Riaprì gli occhi di scatto, sotto lo sguardo ansioso del giovane detective.
Kagome scosse il capo negativamente, e disse: « mi spiace, ma c’era soltanto
una schermata di n computer che diceva: “la verità non può essere distorta”. Ha
un qualche significato per voi? »
domandò Kagome, ma anche Miroku scosse il capo.
« Ti ringrazio, mi spiace di averti dato dell’imbrogliona stamani. Devi capire
che io, come poliziotto, sono portato a credere soltanto a prove concrete dei
fatti. »
Kagome annuì e gli sorrise.
« E io spero che abbiate capito ora. »
Miroku annuì, sorrise e si diresse verso l’uscita della libreria. Infondo,
pensò, non era poi un così cattivo ragazzo come le era parso quella mattina
Kagome sospirò, sentendo un po’ di stanchezza per l’uso eccessivo delle sue
capacità in quella giornata.
Senza quasi che se ne rendesse conto arrivarono le 19.
La libreria ormai aveva chiuso da
circa un oretta ma lei rimase lì, aspettando paziente l’arrivo dell’affascinante
avvocato che non mancò di rivelarsi estremamente puntuale. Inuyasha apparve
davanti a lei vestito in modo elegante, come quella mattina, giacca e cravatta
con la spilla dorata che faceva la sua figura.
« Spero di non essere in ritardo. » disse, indicando la libreria chiusa.
Kagome, finalmente felice per averlo incontrato, sorrise e scosse il capo.
« Affatto, siete stato molto puntuale. »
Commentò senza smettere di sorridere.
Frugò nella borsa che aveva con se ed estrasse il cellulare scuro, lo porse ad
Inuyasha che lo strinse tra le mani con timore, quasi, non fosse reale.
« Ti ringrazio Kagome, spero soltanto di avere il piacere d’incontrarti di
nuovo. »
Nell’esprimere quel semplice desiderio, il cuore di Kagome perse un battito per
l’emozione ed espresse la stessa speranza prima di congedarsi da lui.
Fece pochi passi, poi si volse per osservare ancora quella schiena che si
allontanava.
« Lucifer era un angelo amato da Dio, ma un giorno provocò l’ira celeste e fu
scacciato dal paradiso. Avendo perso un luogo in cui tornare, cambiò il suo
nome e divenne il diavolo … » La sua voce era un mormorio nelle tenebre, un
sottile filo di vento si alzò da terra scompigliando alcune ciocche dei suoi
capelli mentre osservava la figura di Inuyasha sparire in lontananza.
Scosse il capo, voltandosi e proseguendo per la sua strada.
Inuyasha proseguì ancora per qualche isolato prima di sedersi su una panchina
vicino alla fermata di un autobus, poggiò la sua ventiquattrore a terra e
rimase lì. In attesa.
« Sei stato incauto oggi, cosa ti è accaduto? » domandò una voce maschile alle sue spalle. Un
uomo, lunghi capelli scuri appena ondulati, si era seduto sulla panchina
speculare a quella dell’avvocato.
« Un imprevisto molto grazioso … » commentò sibilino Inuyasha, i tratti del suo
volto erano rimasti inalterati, certo, ma se ripensava al sorriso di Kagome non
poteva non sentirsi pervadere da una strana serenità.
« Non desideri più vendicarti? Oppure … intendi coinvolgere nella tua vendetta
anche lei? »
La domanda dell’uomo alle sue spalle era legittima, ma non celava una nota di
divertimento al pensiero di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Inuyasha rimase impassibile, lasciando per qualche attimo che il silenzio
cadesse tra di loro.
« Lei è un tassello importante. Non le causerò nulla di male, ma vorrei che
guidasse il nostro stolto amico verso la direzione giusta … » continuò
Inuyasha, mantenendo un tono di voce freddo e privo di qualunque emozione.
« Non vorrei lasciarlo troppo nell’ombra. Voglio che soffra ogni singolo
istante. »
Una debole risata arrivò dalle sue spalle.
« Cosa devo fare? » domandò l’uomo,
chiaramente entusiasta di quelle parole.
« Proseguire con il piano … » rispose
Inuyasha, sbrigativo mentre si alzava dalla panchina.
« La porta per l’inferno è appena
stata aperta. »
« Molto bene. »
Detto questo, si udì il rumore di
passi che si allontanavano da quel luogo; anche il suo interlocutore si era
allontanato.
Inuyasha sollevò lo sguardo verso il cielo ormai completamente scuro mentre una
lacrima invisibile ai suoi occhi solcò il suo viso e poi, come se nulla fosse,
scomparve dietro una maschera di freddezza e astuzia costruita apposta per
l’occasione.
“Mi spiace, Kagome… ma devo
mostrare l’inferno anche a te.”
In attesa che io, da pigrona, mi decida a
fare qualcosa di costruttivo vi lascio questa vecchia one-shot
che scrissi tempo addietro. Essa è completamente ispirata alla serie televisiva
Giapponese intitolata, per l’appunto, Maou (Diavolo).
E’ un poliziesco davvero niente male, se non avete niente da fare di
particolare ve lo raccomando.
Essendo una storia vecchia non avevo molta
voglia di sistemarla, ho corretto alcune cose, sì, ma non più di tanto e
tuttavia mi auguro che possa piacervi comunque.
Se avete voglia, ovviamente, c’è anche l’altra
mia storia attualmente in corso su Inuyasha chiamata Il marchio del Drago.
Dategli un occhio se vi va ~
Un saluto da
Scheherazade ♫