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Autore: Ladyhawke83    06/02/2015    19 recensioni
Questa breve one shot si inserisce nella più ampia storia da me scritta "La promessa del mago". Consideratelo come un prequel o comunque un flash back rispetto a "la promessa del mago", anche se può essere letta come storia a se stante.
L'ho composta sei anni fa per cui siate clementi nei giudizi. L'universo è sempre quello di D&D e ritroviamo anche qui il mago Vargas e la druida Isabeau alle prese con un doloroso evento.
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Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The magician's promise'
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Un triste giorno


Era una mattina fredda come tante altre negli ultimi giorni, il nostro giaciglio era reso ancora più gelido dal fatto che lui non ci fosse. Ormai erano già alcune settimane che non dormiva più accanto a me, non che la cosa mi toccasse, ma mi intristiva profondamente l'idea che la nostra unione, così solida, si fosse spenta così, senza un motivo valido. 
Ci eravamo allontanati semplicemente, con un tacito assenso.
Alzandomi, e sentendo la gelida pietra sotto i piedi, mi prese una forte nostalgia, ripensavo alla vecchia dimora nei boschi, all'odore del muschio e della terra, alla candida rugiada e ai suoni della natura. Queste cose le avevo abbandonate da tempo, scegliendo di percorrere il mio cammino insieme a lui, un bravo mago, ma pur sempre un mago. Uno studioso, per così dire, ad ogni modo molto distante dal mio mondo.

Come druida, stando insieme a Vargas, avevo tradito la mia gente e la nostra tradizione.
Da generazioni non corre buon sangue tra druidi e maghi, entrambe le genti si guardano con disprezzo e diffidenza, non si capiscono. Dal nostro primo sguardo sapevo cosa sarebbe stato "quel mago" per me, il mio compagno di vita, e il padre di mio figlio, un meraviglioso bambino mezzelfo di quasi tre anni.

Il mio bambino, il mio Nak'ell, il solo pensarci mi fece venire le lacrime agli occhi. Erano già quasi sei mesi che non potevo vederlo, toccarlo, baciarlo, e non sapevo quando avrei potuto di nuovo, visto che ormai da settimane ci trovavamo sotto assedio. 
Tutti noi bloccati, arroccati in quel vecchio castello, simile ad un forte difensivo, totalmente freddo ed inospitale. Non potevamo né fuggire né inviare messaggeri alcuni verso l'esterno.

Cercai di scacciare le lacrime e la tristezza di quella condizione, guardando il cielo dalla piccola finestrella della nostra stanza, un enorme manto di nubi copriva alla vista l'azzurro e il sole, il vento era gelido sul viso. 
Una volta indossata la tunica e stretta in vita la cintura, decisi che avrei preso uno dei suoi mantelli. Scelsi quello più logoro, ma più pesante, non mi importava apparire, piuttosto ripararmi dal freddo pungente.
Scendevo le scale tortuose e malmesse della torre lentamente, facendo attenzione ad ogni passo, per non inciampare nel lungo manto.
Mentalmente continuavo a domandarmi come avrei potuto, almeno per quel giorno, alleviare le sofferenze dei malati e soprattutto della piccola Costance.
"Costance" era il nome che avevamo deciso di darle, Vargas ed io, quando lui la salvò da un gruppo di stregoni negromanti sei mesi addietro. 
La famiglia della piccola druida, così come quasi tutti i componenti del suo clan, erano stati sterminati da questi signori della morte. Un intero villaggio bruciato e distrutto. Un centinaio di druidi, tra i quali molte donne e bambini, brutalmente uccisi, solo perché possedevano il dono della guarigione.
Questi stregoni avevano l'ordine di uccidere qualsiasi druido che incontravano sul proprio cammino. 
La piccola Costance fu salvata da una palla di fuoco lanciata da Vargas e che mise in fuga gli assassini. Da quel momento il mago divenne il suo eroe ed io la sua nuova mamma.

Costance riposava insieme agli altri, anche loro si ammalati, come la piccola, in seguito ad un'epidemia scoppiata non si sa come e che aveva già mietuto alcune vittime. Un morbo molto difficile da combattere, indeboliva fortemente i polmoni e le ossa e, una volta arrivata al cuore non lasciava scampo. Io ne ero immune, tutti i druidi adulti lo erano, ma Costance era ancora troppo piccola per poter far fronte alla malattia.
La bambina dai dolci occhi verdi ed i capelli setosi e castani, era da più di una settimana in preda ad una forte febbre, unita ad una forte tosse che le impediva di respirare. Quando la accudivo la sentivo delirare, farfugliava parole in druidico che solo io capivo e spesso, molto spesso, chiamava il nome di Vargas.
Quando arrivai nel grande salone, che avevamo adibito per i malati, dove stava anche Costance, nell'angolo più caldo e luminoso della stanza lo vidi. Vargas era seduto per terra, accanto al fuoco, con la bimba tra le braccia, per un attimo dovetti trattenere le lacrime ed anche l'immensa voglia che avevo di correre verso di lui e abbracciarlo. 
Camminai, invece, verso di lui lentamente, con una sensazione sempre più crescente di angoscia e paura.
Continuava a cullarla con molta dolcezza e mentre mi avvicinavo, potevo distintamente sentire la melodia che gli stava cantando in elfico, la conoscevo. Quella era la ninna nanna per bambini, la stessa che sua madre usava per far addormentare lui, quando era piccolo. 
Quale padre adottivo avrebbe saputo fare di meglio?
Quando Vargas mi vide, si interruppe e mi guardò per un lungo momento e a me mancò il respiro. 
Il suo solito sguardo calmo e sereno, quasi imperturbabile, era scomparso.
Il suo viso tradiva una forte emozione, un grande dolore, gli occhi scurissimi erano lucidi e arrossati.
Adagiò delicatamente il corpicino di Costance esanime sul letto. Le rimboccò la coperta, le baciò la fronte, le sistemò i capelli e le manine, come faceva tutte le mattine dopo aver vegliato su di lei tutta la notte, fu allora che mi guardò e disse: "L'ho lasciata andare, così come si fa con il vento, che non si può fermare".
   
 
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