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Autore: meiousetsuna    09/02/2015    5 recensioni
Damon e Stefan hanno sempre conservato un posto speciale nel loro cuore, per il ricordo della madre, una donna dolce e affettuosa, al contrario di Giuseppe Salvatore.
Forse le circostanze della sua morte, però sono state tenute occultate ai due ragazzini...
baci, vostra Setsuna
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Lily Salvatore, Stefan Salvatore
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Disclaimer!
  Attenzione!    Spoiler probabilissimo della 6x15/6x17!

NON riguardante lo svolgimento della storia, ma la presenza del personaggio, SÍ.
Se di norma evitate la minima informazione per non guastarvi la sorpresa, non leggete oltre.
Specifico che se ci fossero corrispondenze nella trama, sarebbero dovute puramente  a coincidenze.
Vi prego, inoltre, se andrete avanti, di leggere anche le note finali.

LilyRose

I girasoli le piacevano moltissimo, ne era sicuro.
Da quando aveva memoria, Stefan ricordava di aver visto in casa, nel vaso cinese al centro del tavolo da pranzo, quei fiori così gialli, così grandi e belli, più alti di lui; finché compiuti cinque anni, scoprì che li sovrastava, sentendosi improvvisamente un bambino cresciuto.
Per altre cinque estati era stato il gioco preferito tra lui e sua madre, orgogliosa di come i suoi ragazzi
si avviassero a diventare adulti.
Lily li amava in ugual misura, anche se suo marito, Giuseppe, la rimproverava aspramente perché gli sembrava evidente che lei preferisse il loro primogenito, che era impertinente e capriccioso, secondo il suo punto di vista.
“Lily, voi viziate mio figlio Damon. Gli perdonate tutti i colpi di testa, le bugie per sfuggire alla mia autorità. Credo che la vostra influenza sia negativa sul ragazzo, dovrebbe avere la disciplina che solo altri uomini possono impartirgli; penso che un collegio o l’accademia militare farebbero al caso suo”.
La donna spostò indietro un morbido boccolo corvino, legato da un largo nastro dello stesso celeste degli occhi, portato vezzosamente con una cocca più lunga dell’altra.
Era una moda francese e non vi avrebbe rinunciato tanto facilmente.
“Mio caro… io non sono abituata a mentire, così dovrò rispondervi la verità”. Un silenzio carico di pressione si addensò tra i due coniugi, normalmente così distanti tra loro da non essere neppure toccati dai discorsi dell’altro, tranne quando l’argomento erano i ragazzi.
“Non potrei preferire uno dei miei figli. Ma voi lo fate, quindi non posso che cercare di riparare il danno”.
Giuseppe si girò verso la moglie, che lo attendeva con ferma tranquillità.
Giunto di fronte a lei, sollevò appena la mano destra nell’aria. Il leggero schiaffo non fece troppo rumore sul viso delicato di Lily, che si limitò a mordersi il labbro inferiore, più per rabbia soffocata che per il dolore, sospettò lui.
Stava per aggiungere qualcosa, quando successe l’impensabile.
Un piccolo oggetto di legno lo aveva colpito a una gamba, la dove Damon gli aveva lanciato un cavallino di legno che aveva intagliato per Stefan.
Prima che lui potesse reagire, la donna aveva afferrato il ragazzo per le spalle, scuotendolo e guardandolo fisso negli occhi per trasmettergli un messaggio.
“Se farai un’altra volta un gesto simile verso tuo padre, ti punirò io, Damon. E dovrò essere molto dura. Adesso chiedi scusa”.
Il giovane la osservò con un temporale nell’azzurro delle iridi, ma aveva capito perfettamente: stava salvando tutti e due. Quindi, doveva farlo.
“Perdonatemi, signore. Vedendo mia madre stare male, ho perso la testa”.
Giuseppe rimase interdetto mentre Damon si allontanava a capo chino, andando dritto in camera sua.
Appena chiusa la porta, si gettò con furia cieca contro il pesante cassettone, rovesciandolo, poi prese a calci la sedia e il tavolino da scrittura.
Stefan stava per entrare in cerca del fratello, ma si fermò prima di aver bussato.
Quando Damon faceva così, gli incuteva paura.
Erano gli unici momenti in cui sentiva che quel legame indissolubile, non era abbastanza, che non avrebbe saputo frenare, con la sua presenza, gli attacchi d’ira del maggiore.

“Lily, non mi contesterete una seconda volta davanti o nostro figlio, sia chiaro”.
“Sì”.
“Non mi prendete in giro con questa vostra attitudine sottomessa! Ecco perché sono più soddisfatto di Stefan: è docile, perché desidera profondamente assecondarmi e compiacermi, non è una puerile presa di posizione. Ora andate pure a riposarvi un po’, siete pallida”.
Nessun dubbio che il vero senso di quella frase fosse: ‘fuori dalla mia vista, in camera tua’, come se fosse la terza bambina sotto il suo controllo.
In questo caso, era una cosa tornata a suo favore, pensò tristemente Lily.
Un colpo di tosse la scosse proprio in quell’istante. Non forte, non lungo.
Ma sufficiente a lasciare una piccola macchia di sangue nel centro del fazzoletto ricamato con una L e una R parzialmente sovrapposte.
‘Non posso cedere… figli miei che ne sarà di voi se non ci sarò più?’
Pensò a Stefan, che non aveva neppure compiuto dieci anni, così influenzabile dal padre: temeva che potesse crescere somigliandogli troppo, reprimendo la sua infantile spontaneità, per lasciargli solo la parte che credeva di governare. Ma era più preoccupata per Damon.
Lui era un uomo, se si trattava di coraggio e generosità, ma in realtà il suo animo era più fragile.
Erano le sue dita fini a suonare con lei il pianoforte a quattro mani, scegliendo sempre brani romantici, che amava ballare stringendo anche troppo calorosamente la sua dama; lui si perdeva a osservare la Luna rossa dei tramonti estivi, come se attendesse un’amante bellissima e pericolosa.
“Tu farai felice una donna, un giorno. Ma forse, nessuna ti saprà ricambiare così”.

Giorno dopo giorno, il  male di Lily divenne più evidente, il suo viso più simile a una bambola di porcellana, il respiro più affannoso.
Cominciò a restare confinata nella sua stanza più a lungo e malgrado fosse piena estate, la notte la sua femme de chambre portava lo scaldino pieno di brace, spingendolo sotto il letto con le pinze di ferro.
Suo marito non restava più a dormire con lei, ma la cosa non le dispiaceva affatto.
Stefan stava salendo la scala che portava dall’ultimo disimpegno verso la camera della madre, ma si fermò a metà dei gradini.
Si voltò su se stesso, per andare a sbattere contro Damon, che lo stava seguendo.
“Che fai, Stef?”
“Porto via i girasoli”. Il bambino strinse le mani intorno agli spessi steli, come per comprimerli, facendoli diventare più piccoli.
“Forse non sono adatti. La mamma si può offendere. Sono così pieni di vita e lei è ammalata”.
Damon rimase un attimo in silenzio, come accadeva quando il minore gli rivolgeva delle frasi così mature per la sua età.
Troppo, quelle di un bimbo che dovrà crescere presto.
“È facile, vieni con me”.
Stefan non si fece pregare, seguendo il bruno fino alla piccola serra che la madre curava personalmente.
“Pensa al nome della mamma”.
“Certo! Gigli e rose, come ho fatto a non immaginarlo… grazie!”
Damon gli rivolse quel suo sorriso naturalmente seducente, osservandolo comporre il mazzo.
Quando fu pronto e il piccolo glielo mostrò, non poté trattenere un brivido freddo che correva lungo la schiena.
Le rose bianche, con i delicati gigli, formavano una perfetta composizione funebre.

“Fatemi salutare i miei figli, Giuseppe!”
L’uomo non rispose nemmeno, facendo cenno alle robuste infermiere di far salire la sua sposa in carrozza, il fresco della sera non le avrebbe certo giovato.
Avrebbe provveduto dopo a spiegarlo ai ragazzi, era meglio così; se poi avessero causato problemi avrebbe aumentato la disciplina. Niente scenate di fronte ai servi, che abbassano il livello di chi vi si abbandona.
Salì anche lui, ponendosi di fronte a Lily, sul lato opposto del sedile, per limitare al meglio la possibilità del contagio.
Dopo appena dieci minuti di percorso nella direzione per la Georgia, sottolineati dal pianto inarrestabile della donna, la luce di una lanterna da cocchiere entrò nel loro campo visivo.
I due conducenti rallentarono, vista la limitata ampiezza della strada polverosa, accostandosi per un saluto.
Un secondo dopo, Johnathan Gilbert balzava giù dalla sue vettura, coperto da un mantello col cappuccio che non si addiceva alla stagione.
Fattosi riconoscere da Giuseppe, gli fece cenno di scendere.
“Mister Gilbert…”
“Non datemi spiegazioni, so tutto, per questo vi attendevo. Vi fidate di me, vero? Seguitemi”.
Le carrozze entrarono nel cortile della residenza Gilbert; le infermiere furono congedate con una lauta mancia, mentre i tre interessati entrarono in casa.
Johnathan li precedeva, guidandoli verso il seminterrato. In una gabbia, c’era una ragazza avvolta da abiti sudici, appallottolata nell’angolo più buio. Era magra e bianca fino ad essere cadaverica.
“Buon Dio, Gilbert! Questa giovane?”
Lily fissò con terrore quell’essere umano, perché non poteva non considerarla così, anche se i personaggi delle storie di fantasmi che aveva letto ai bambini di nascosto le passavano davanti agli occhi.
“È uno dei mostri a cui diamo la caccia Giuseppe. Sto conducendo degli esperimenti medici su di lei”.
Prese una fialetta, avvicinandola a una candela; il suo contenuto, denso e color rubino, era facilmente identificabile.
“È un azzardo, lo so. Purtroppo, d’altronde non c’è nulla da perdere, temo. Se funziona sarà guarita”.
Giuseppe si sarebbe opposto, ma Lily gli aveva già strappato il contenitore di vetro dalle mani, bevendo il liquido tutto di un fiato.
“Potrò tornare dai miei figli”.
“Come vi sentite?”
Lily respirò profondamente. Di nuovo e di nuovo.
“I polmoni non bruciano più… e ho molto appetito!”
I due uomini si abbracciarono, contenti, poi Giuseppe si chinò a dare un bacio sulla guancia alla moglie.
“Sono molto felice, mia cara”.
“Missis Salvatore, venite a stendervi un po’ al piano di sopra; ci sono delle camere per gli ospiti pronte, vi farò servire una cena leggera. Domattina potrete rientrare a casa”.
Lily era completamente invasa dalla gioia e seguì volentieri le istruzioni ricevute.
Era ancora l’alba quando Giuseppe entrò per ricondurre la moglie a casa senza attirare l’attenzione.
Anche una persona insensibile come lui, poté notare che qualcosa non andava.
Lily era in fondo al letto, tremante sotto le coperte. Quando lui scostò appena il tendaggio, un grido soffocato uscì dalla sua gola, mentre nascondeva la mano ustionata, ma non abbastanza velocemente perché lui non la vedesse.
Le spostò le braccia, facendo molta fatica, malgrado lei fosse fragile e indebolita e vide.
I canini sporgevano leggermente dalle gengive retratte, gli occhi color del cielo erano freddi come il ghiaccio.
“Giuseppe… uccidetemi. Ho sete, capite? Anche adesso, vi guardo e tutto quello che mi importa è il pulsare del sangue nelle vostre vene, io… non voglio poter nuocere ai miei bambini, vi prego…”
Un attimo dopo la voce le si spegneva tra le labbra, mentre con tutte e due le mani stringeva la freccia di legno che Johnathan Gilbert le aveva tirato nel cuore con una balestra.
Letale, precisa.
Le lunghissime ciglia si abbassarono per sempre, ombreggiando il suo sorriso.
‘Addio, figli miei. Il mio rimpianto è di lasciarvi così presto, ma so che ci sarete uno per l’altro, per sempre’.
“La seppelliremo nel mio terreno, Giuseppe, nessuno saprà nulla. Questa è la cosa più importante”.
I due gentiluomini si tolsero il cappello, in una triste parodia di rispetto e amore.

FINE

Eventuali dolci persone arrivate fin qui… molto eventuali!
Sarò breve: dopo aver sostenuto che la mamma era morta partorendo Stefan, nella quinta serie la cara Julie ha deciso che invece morì di tisi “quando i Salvabros erano molto giovani” (cit. 5x16)
Ora pare che si chiami Annie, detta Lily (perché?) Non era francese, poi?
Essendo per me Rose il miglior personaggio per Damon, ho deciso che la mamma avesse questo nome composto; che ne dite?
Ovvi i riferimenti al poverino trasformato da Caroline per sbaglio e alla morte di Enzo. Molte si chiedono perché il sangue di vampiro non curi le malattie infettive. A me pare chiaro che i virus non c’entrino, e il sangue curi le ferite, gli emboli… quello che riguarda il sangue stesso. I batteri non agiscono sui cadaveri, che i vampiri sono. Non li raccolgono, non li curano.




 

  
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