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Autore: Alguien    11/02/2015    1 recensioni
Per alcuni amare una persona che a malapena ti conosce è da masochisti, ed è proprio così che io mi definisco: masochista.
Masochista ad avere il suo numero.
Masochista a guardare tutti i suoi accessi in Whatsapp.
Masochista a scrivergli tutte le volte che è online.
Masochista a guardare in continuazione il telefono in attesa di una risposta che probabilmente non arriverà mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per alcuni amare una persona che a malapena ti conosce è da masochisti, ed è proprio così che io mi definisco: masochista.

Masochista ad avere il suo numero.

Masochista a guardare tutti i suoi accessi in Whatsapp.

Masochista a scrivergli tutte le volte che è online.

Masochista a guardare in continuazione il telefono in attesa di una risposta che probabilmente non arriverà mai.

Sono andata avanti così per quasi un anno, parlavamo per dieci minuti se andava bene, poi non rispondeva più, oppure se ne usciva con un “aspetta un attimo” e poi non scriveva più e io come una stupida stavo lì per un'ora a guardare il cellulare aspettando che “quell'attimo” finisse e mi scrivesse di nuovo.

Ma adesso basta, non riesco più a reggere tutto questo, non riesco più a rimanere in disparte mentre lui continua a spassarsela con qualunque ragazza.

Sono stanca, stanca di fare finta di niente quando lo vedo per strada, perché so che non mi saluterebbe volentieri, stanca di essere dipendente da una persona che sa solo come mi chiamo.

Ed è così, spinta dalla voglia di farla finita che prendo il cellulare e comincio a scrivergli un messaggio, l'ultimo che scriverò.

Ciao,

come va? Io non tanto bene... è da un po' che ci scriviamo, e in tutto questo tempo mi sono accorta che quella che iniziava una conversazione ero sempre io, come se tu rispondessi alle domande di un'interrogazione.

Prima ho riletto tutti i nostri messaggi e sono giunta alla conclusione più ovvia: tu non mi sopporti.

Potrebbe essere frutto della mia immaginazione, ma questa è l'idea che mi sono fatta, e credimi fa male, molto male.

Vorrei capire perché non mi sopporti. Perché ti scrivo troppo? Sono troppo insistente? Dimmelo perché davvero io non capisco.

Io ti amo da più tempo tu possa immaginare e continuare a sapere che tu non mi sopporti mi distrugge.

Questo problema si è aggiunto a molti altri ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Purtroppo non leggerò mai la risposta, perché quando tu leggerai questo messaggio io non ci sarò più.

Probabilmente lo chiuderai senza nemmeno leggerlo, e ti do tutte le ragioni, ti ho seccato così tanto... però ti chiedo un favore, se lo leggerai, vorrei che questo messaggio rimanesse un segreto fra me e te, perché non voglio che la gente abbia compassione di me.

Un bacio...

Giulia <3

 

Ps/: Ti auguro una vita felice, di più della mia.

 

Inviai il messaggio e posai il cellulare sul letto, prima di andare in bagno e prendere l'oggetto che metterà fine a tutto questo inferno.

Lo appoggiai sulla pelle, era freddo, faceva venire i brividi, ma era la mia via di fuga, fin dall'inizio.

Sentii il cellulare vibrare, non volevo vedere chi fosse, ma mi sporsi comunque, presa dalla curiosità. Lessi il nome, il SUO nome, non volevo rispondere, probabilmente avrà letto il messaggio e ora vorrà farmi cambiare idea, ma niente potrà farlo.

 

Scusa ma davvero non ho capito.

 

Lessi il messaggio più di una volta, indecisa su cosa rispondere.

Niente lascia stare.

 

No, non è niente, se no non lo avresti inviato.

 

No davvero lascia perdere.

 

Lesse il messaggio, ma non rispose, così presa dalla rabbia premetti la lama fredda un po' più forte sulla pelle e del sangue rosso e caldo cominciò ad uscire dal taglio.

Faceva male, ma mai quanto la ferita che portavo dentro, il dolore fisico non riusciva nemmeno ad eguagliare il dolore psicologico.

Il cellulare cominciò a suonare insistentemente, mi sporsi in avanti e lessi di nuovo quel nome, questa volta però mi stava chiamando.

Presi un bel respiro e risposi alla chiamata.

-Pronto- dissi esasperata.

-Non farlo... non andartene- mi disse.

-No, non ce la faccio più- dissi al limite del pianto.

-Non è vero, puoi ancora farcela, basta che ti apri con qualcuno, non devi sempre tenerti tutto dentro!- mi rimproverò.

-No, non funziona, e non ce la faccio davvero più- risposi.

Appoggiai il telefono sul materasso e infilai gli auricolare, per avere le mani libere, e cominciai a far fregare la lama sulla pelle, ogni volta un po' più forte, fino a far uscire nuovamente del sangue, questa volte molto di più, mentre la sua voce mi rimbombava nelle orecchie.

-Per favore non fare cazzate di cui potresti pentirti.- mi supplicò con la voce preoccupata.

La testa incominciò a girare, e io sentii di cominciare a perdere le forze.

-N-no, a-adesso per favore dimenticati di me- chiesi.

-Non potrei mai farlo, non potrei mai dimenticare una persona che mi ama nonostante sia uno stupido egoista. Ti prego non farlo, è come se ti uccidessi con le mie stesse mani- mi disse.

Mi supplicò molte altre volte, ma la voce si faceva sempre più lontana, fino a scomparire.

Alle 17.20 sono morta dissanguata.

 

Ero preoccupatissimo, non mi rispondeva più alle chiamate né ai messaggi e l'accesso a Whatsapp risaliva a circa un'ora fa.

Ho paura che l'abbia fatto, l'ho supplicata in tutti i modi, poi ad un certo punto la chiamata si è interrotta perché è caduta la linea e quando ho provato a richiamarla non mi ha risposto e così per le altre 25 chiamate che le ho fatto: tutte senza risposta.

Continuavo a camminare avanti e indietro per la mia camera, con il cellulare in mano, ormai disperato.

Non sapevo chi chiamare per avvisare che stava per fare un cazzata di quelle colossali, e anche chiamare l'ambulanza sarebbe risultato inutile, perché non sapevo dove abitava.

Il senso di colpa mi attanagliava, se non l'avessi rifiutata la prima volta, probabilmente adesso non starebbe cercando di dar fine alla sua vita.

Provai nuovamente a chiamare, ma nulla, squillava a vuoto. Decisi di lasciarle un messaggio in segreteria.

-Ascolta, mi dispiace, sono stato uno stupido, ora però ti prego, non farlo...-

Continuavo ad essere preoccupato per la sua incolumità.

A cena non toccai cibo, e i miei genitori si preoccuparono e non poco, era strano, di solito mangiavo poco, ma mangiavo, invece quella volta non toccai cibo.

Dalla televisione in sala sentii che al telegiornale parlavano di un suicidio, mio padre alzò il volume per sentire meglio.

<< Il suicidio è avvenuto a Pinerolo, una città vicino a Torino, la ragazza è stata trovata dalla madre, che era rientrata tardi dal lavoro, era in una pozza di sangue, e a fianco teneva ancora il cellulare, inutile la corsa in ospedale.

Tutti si chiedono perché l'abbia fatto, la madre dice: “Mia figlia era una ragazza solare, sempre allegra”.

Era una ragazza sportiva, giocava a pallavolo come alzatrice, nella palestra della scuola. Era anche una delle tante fan della celebre band One Direction, era andata a due delle tre date italiane, l'anno scorso.

Un'amante spassionata degli animali. Si pensa che non avesse assorbito il colpo del divorzio dei genitori. >>

Annunciò la giornalista, facendo passare in continuazione sue foto, ne riconobbi una alcune, le aveva messe come foto profilo di Whatsapp.

In quel momento sentii la mia testa girare, l'aveva fatto, se n'era andata, e tutto per colpa mia.

-Oh mio Dio- dissi solamente.

-Aspetta, ma quella ragazza non è la nipote di Simona? Veniva alle elementari con te- mi chiese mio padre.

-S-sì...- dissi annuendo.

<< Si cerca ancora la causa che l'ha spinta a tutto questo. L'ennesima ragazza suicida in questi due anni >> continuò la giornalista.

-Hey, stai bene, sei un po' pallido- mi disse mia madre guardandomi negli occhi.

-I-io... i-io ho parlato con lei prima- ammisi, sentendo le lacrime cominciare a formarsi nei miei occhi.

-Cosa?- disse mio padre incredulo.

-S-sì, è con lei che parlavo al pomeriggio, ed era a lei che pensavo quando avevo la testa fra le nuvole, io l'ho pregata che non lo facesse e... e poi è caduta la linea e non rispondeva, ho provato a chiamarla molte volte, ma non rispondeva e... io non sapendo dove abitasse non potevo chiamare l'ambulanza o chiamare qualcuno per dirglielo, per fermarla...- ammisi ormai fra i singhiozzi.

Mia madre mi abbracciò forte, come quando da bambino cadevo e mi facevo male.

-Perché non ce l'hai detto, avremmo potuto chiamare Simona, o cercato l'indirizzo- mi chiese mia madre, anche lei piangendo.

-Mi... mi ha mandato un... messaggio, in cui chiedeva di non dirlo a nessuno... io l'ho chiamata, ho cercato di farla ragionare, ma niente... lei piangeva e... e non mi ascoltava, poi è caduta la linea e... e non mi rispondeva più, io sono in panico... è colpa mia, è... è colpa mia se adesso lei non c'è più- continuai a sfogarmi nell'abbraccio protettivo di mia madre.

-Ma cosa dici, non è colpa tua, hai fatto di tutto per salvarla- mi disse mio padre.

Io scossi la testa ed estrassi il cellulare, dove il suo contatto era ancora aperto, ed andai su Whatsapp, nella conversazione con lei.

-No, guarda è colpa mia...- passai il cellulare a mio padre.

Lesse tutti i nostri messaggi e ogni tanto storceva il naso, mi sentivo così in colpa. Provai a pensare che non era vero, ma non ci riuscivo, non riuscivo a mentire a me stesso.

-Mi dispiace, ma perché le hai raccontato una bugia?- chiese mio padre passando il cellulare a mia madre.

-I-io non lo so, avevo paura, paura che potesse fare come Letizia, ero ancora distrutto e ho detto la prima cosa che mi è passata per la testa... dandole così un motivo per farla finita- mi rimproverai.

-Qui dice che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma non è solo colpa tua, c'erano anche altri problemi...- mi rassicurò mia madre.

-Lo so, ma mi sento in colpa comunque...- dissi riabbracciandomi a lei e che mi diede un bacio sulla testa.

-Ora vai a dormire, domani parleremo con sua mamma okay?- mi chiese mia madre.

Io annuii e mi andai a sdraiare nel letto.

Non riuscii a chiudere occhio tutta la notte, le immagini del telegiornale mi comparivano in testa e facevano aumentare il senso di colpa.

Presi il cellulare e cambiai lo stato di Whatsapp.

<< Mi dispiace, mi sarei dovuto accorgere prima dei problemi e aiutarti a risolverli, invece che metterti da parte e fregarmene. >>.

Spensi il cellulare e riprovai a chiudere gli occhi ma la sua immagine mi tornava in mente in continuazione, le sue parole e quelle della giornalista mi rimbombavano in testa, rendendo il tutto più angosciante.

 

A scuola c'era una tensione che si poteva tagliare con un coltello, tutte le terze erano devastate, molti ragazzi avevano gli occhi rossi e gonfi, mentre altri delle occhiaie da far paura.

Alcune ragazze guardando il suo banco vuoto piangevano, ricordando di tutte le volte insieme avevano chiacchierato o anche solo riso.

Perfino i maschi che di solito guardando un film non si commuovevano, piangevano, tutti uno abbracciato all'altro, e sul banco cominciavano a spuntare orsetti di peluche, fiori e candele.

L'argomento della giornata era quello di capire cosa fosse successo, cosa l'avesse spinta a tanto, sarebbero anche andati dei poliziotti per capire meglio.

-Ragazzi per favore sedetevi tutti- ordinò la professoressa di italiano entrando in classe seguita da una donna, alta, capelli ricci e scurissimi, e un uomo, alto, di colore.

Tutti si sedettero ai propri posti, guardando malinconici quel banco che resterà vuoto per sempre.

-Buongiorno ragazzi, oggi siamo qui per capire il motivo che l'ha spinta a tanto, capisco che il lutto è difficile da ingerire, soprattutto alla vostra età, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto per capire.- disse la donna, posizionandosi di fronte alla cattedra.

Una ragazza, in penultima fila, alzò timidamente la mano.

-Giulia era una ragazza abbastanza gioiosa, aveva un'ossessione per i One Direction, infatti, sul banco c'è ancora scritto Harry- disse fra i singhiozzi indicando il banco vuoto.

-È vero, lo scriveva ovunque, perfino sui finestrini della sua auto- disse un'altra ragazza.

-A volte era un po' triste, dava segni che ci fossero dei problemi?- chiese l'uomo.

-L'unica che saprebbe queste cose è Alessia- disse la ragazza, indicando la ragazza alla sinistra del banco vuoto, ricevendo l'assenso di tutta la classe.

-Okay Alessia, ti ha mai parlato di problemi consistenti che le occupavano la mente?- chiese la donna.

-A volte litigava con la mamma, oppure con il padre e mi raccontava qualcosa, ma niente di più..- disse Alessia coraggiosamente.

-Non ha mai parlato di un ragazzo che l'avesse ferita sentimentalmente? O di qualche parola che l'aveva ferita particolarmente?- chiesero i signori.

-Dovreste provare a chiedere alla sua migliore amica, si chiama Micaela, sono sicura che con lei parlasse- disse una ragazza in ultima fila.

-Sì è vero, si conoscono da quando sono nate, sono come sorelle, ne parlava in continuazione di lei, la vedeva come sua sorella più che come la sua amica- disse un'altra ragazza.

-Okay, ma sicuri che qui non ci fosse qualche ragazzo che la tormentasse, o che stesse con qualcuno?- chiese l'uomo.

-Sì, a volte parlava di ragazzi ma di solito ci litigava sempre, e non siamo mai riuscite a farle dire chi le piacesse, nonostante sapessimo che le piaceva qualcuno- dissero le compagne.

-Okay, bene, vi lasciamo alla lezione- dissero i signori lasciando l'aula e il lutto che portava.

I ragazzi continuarono a piangere e a cercare di capire se fosse stata vittima di bullismo o se avesse avuto qualche problema importante. Ma non trovarono nulla, Giulia era piuttosto riservata nei fatti propri e non aveva dato segni di cedimento.

Non seppi nemmeno con che faccia mi presentai al funerale, ma lo feci e vedendo quante persone stessero piangendo per lei mi sentii doppiamente in colpa.

C'erano tutti i suoi compagni di classe, li conoscevo tutti dalle elementari e questo fece anche più male, in prima fila c'era anche una ragazza che avevo visto spesso nelle sue foto.

Mi sentivo in colpa, se continuavo così sarei morto, non ce la facevo a vedere quante persone avesse lasciato per colpa mia.

La funzione durò circa un'ora, e alla fine decisi che era il momento adatto per chiedere scusa alla famiglia.

Mi avvicinai alla madre che era ormai in lacrime e cercai di spiegarle cosa era successo, le diedi anche un foglio, dove sopra avevamo stampato la foto del messaggio, chiesi scusa molte volte e nonostante anche loro mi dicessero che non era assolutamente colpa mia, io mi sentivo in colpa e mi sarei portato tutto questo nel cuore per sempre.

 

  
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