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Autore: books addicted    12/02/2015    2 recensioni
Per tutto il corso della sua esistenza gli era sempre sembrato di essere fuori posto, di non riuscire perfettamente a integrarsi nel mondo, semplicemente di non vivere realmente.
Ma adesso aveva intenzione di iniziare a vivere…
«Comunque sono Sherlock» sussurrò il ragazzo mentre uscivano dal vagone «William Sherlock Scott Holmes»
…proprio adesso che aveva trovato una ragione per farlo.
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«Non so quanto vale. Ma io non ti tradirò mai, Sherlock»
«Sei tutto ciò che ho» rispose sorridendo tra le lacrime «Vale molto più di quanto immagini, John Watson»
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Sherlock sorrise e tutto ciò che riuscì a dire soltanto «Pensavo non me lo avresti più detto»
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One shot sugli anni di John e Sherlock ad Hogwarts. Hope you enjoy it :)
potterlock|Hogwarts!AU|johnlock
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ad Erica,
perchè questa è per te che mi hai fatto conoscere Sherlock e che ami la Johnlock più di tutti. Perchè ieri è stata una giornata importante e questo è il mio piccolo regalo per dirti che io ci sono e ci sarò e per ricordarti quanto sei stata coraggiosa.
Ti voglio bene.






John Watson si era appena Materializzato e stava camminando velocemente, quasi correndo, quasi come se questo potesse cambiare ciò che era successo. Sentì la rabbia ardergli nelle vene, sentì le lacrime pungergli gli occhi e quel senso di vuoto, di vuoto devastante che gli stava penetrando l’anima.

Era un Grifondoro, ma non aveva abbastanza coraggio per affrontare questo.
Non abbastanza coraggio per poter dimenticare e andare avanti.
John semplicemente non poteva, non trovava la forza necessaria per farlo.
Non senza di lui.
 
John aveva solo 11 anni e i suoi occhi vagavano meravigliati e bramosi, cercando di catturare ogni singolo particolare di King’s Cross. A 11 anni, quella era la prima volta che si trovava in un luogo così imponente e perfettamente caotico come la stazione.
Era tutto talmente nuovo per lui, lui che non era mai uscito dal paese in cui era nato e cresciuto sino a quel momento. Aveva condotto una vita talmente ordinaria e noiosa, che quando quel gufo aveva consegnato quella lettera, in cui era scritto chiaramente che lui non era affatto un bambino ordinario e noioso, si era sentito felice e eccitato come non mai.
E ora, 1 Settembre, era pronto a intraprendere questa grande avventura, carico di speranze, sperando che niente potesse rovinare questa sensazione magica.
Continuò a camminare sempre più velocemente perché il treno sarebbe partito di lì a poco e doveva ancora salutare i genitori.
«Papà, posso andare da solo adesso» annunciò fermandosi e guardando il padre.
Il signor Watson lo fissò per qualche secondo e poi annuì, porgendo il baule al figlio.
«Bene» borbottò imbarazzato «John.. Senti, io voglio che tu sappia che io e la mamma siamo orgogliosi di te, qualsiasi cosa tu voglia fare» cercò di spiegare «è solo che ci mancherai tanto. E mancherai anche ad Harry»
John lo abbracciò di slancio e gli sussurrò un ‘ti voglio bene’, prima di allontanarsi e salire sul treno che lo avrebbe portato verso una nuova casa, una nuova vita.
Dopo aver cercato disperatamente un vagone in cui potesse sistemarsi, ne individuò uno in cui erano seduti due ragazzi e si rese conto che se non avesse colto l’occasione non avrebbe mai trovato posto per viaggiare in tranquillità.
«Ehm, ciao» azzardò a dire, dopo qualche secondo che era entrato e si era sistemato e i due ragazzi perseveravano ostinatamente nel loro mutismo.
«Bene» sbottò all’improvviso il più grande dei due «ora finalmente non sei solo» disse rivolto a quello che John suppose essere il fratello «posso andare? »
«Potevi andar via anche prima. La tua ottusa presenza mi impedisce anche solo di pensare» rispose il più giovane.
John trattene una risata mentre il ragazzo assottigliava lo sguardo e si allontanava furioso.
«Stupida Serpe»
John si appuntò mentalmente di chiedere cosa volesse dire Serpe e ritenne opportuno presentarsi.
«John Watson» disse, allungando la mano verso il ragazzo che continuava a fissare il paesaggio fuori dal finestrino.
«Ad Hogwarts ti smisteranno in una Casa. Ce ne sono quattro: Grifondoro, Serpeverde, Tassorosso e Corvonero. Quell’idiota di Mycroft è Serpeverde» rispose lui «ecco cosa significa Serpe»
John spalancò gli occhi e deglutì, mentre ritirava la mano.
«Oh» cercò di dire arrossendo «cioè voglio dire grazie per il chiarimento»
Il ragazzo di fronte a lui si voltò finalmente a guardarlo e John credette di perdere un battito quando quegli occhi azzurri cristallini si soffermarono sui propri. Erano talmente attenti e scrupolosi, da far paura. O probabilmente erano troppo belli.
«Sei un Nato Babbano?» chiese «vuol dire che hai tutti e due i genitori Babbani, ovvero non maghi» aggiunse poi anticipando la domanda di John e lasciandolo di stucco.
«Sai leggere nel pensiero o cosa?»
«No» rispose lapidario «semplicemente intuisco le cose»
John annuì, scettico. «Si sono un Nato Babbano, comunque. Fa differenza?»
Il ragazzo lo guardò per qualche secondo prima di accennare un sorriso. «No. Non fa alcuna differenza. O almeno non per me»
«Sei anche tu un Nato Babbano?»
«No, sono un Purosangue. Provengo da un antica famiglia di maghi» ribattè, storcendo il naso «insomma, un mucchio di idioti»
John si lasciò scappare una risata divertita e poi partì a raffica con una serie di domande sul mondo della magia, di cui era completamente estraneo. E il ragazzo soddisfò qualsiasi richiesta, incuriosito da quegli occhi stupiti e desiderosi di conoscere ogni cosa, da quell’aria eccitata e spensierata di John Watson.
Il viaggio parve brevissimo a John, tanto che quando intravide il castello credette di essere in preda ad allucinazione dopo tutte le Cioccorane – lui le aveva chiamate così – che aveva mangiato.
Guardò Hogwarts e gli sembrò semplicemente di aver trovato il suo posto, la sua casa, anche se non vi era mai stato.
Il castello appariva magico, avvolto com’era dalla luce delle stelle e carico di mistero e segreti.
Il treno si fermò improvvisamente, giunto a destinazione.
Per tutto il corso della sua esistenza gli era sempre sembrato di essere fuori posto, di non riuscire perfettamente a integrarsi nel mondo, semplicemente di non vivere realmente.
Ma adesso aveva intenzione di iniziare a vivere…
«Comunque sono Sherlock» sussurrò il ragazzo mentre uscivano dal vagone «William Sherlock Scott Holmes»
…proprio adesso che aveva trovato una ragione per farlo.
 
Era la prima notte ad Hogwarts e Sherlock era sdraiato nel suo nuovo letto nel Dormitorio Corvonero. Sua madre non sarebbe stata certamente lieta alla notizia dello Smistamento.
Sherlock storse il naso. Come può esserlo? Mycroft è il perfetto Serpeverde, non ha di certo spezzato una tradizione secolare della famiglia Holmes, a differenza sua.
Oh sì, sua madre non sarebbe stata affatto contenta.
Ma pazienza, Sherlock era stato certo sin dall’istante in cui aveva ricevuto la lettera, che il suo posto non sarebbe stato Serpeverde. Non solo perché lui non possedesse nemmeno una delle qualità che Serpeverde richiedeva, ma perché lui era Corvonero, voleva esserlo.
Si girò nervosamente nel letto, tentando di prendere sonno.
John Watson. Quello era il nome del bambino conosciuto sul treno. Era stato smistato in Grifondoro, e Sherlock non si era stupito neanche di ciò. Aveva letto negli occhi del ragazzo l’audacia e la nobiltà d’animo tipici della Casa, aveva visto quella volontà ferma e decisa di affrontare le situazioni di petto: era come se lo conoscesse da sempre.
Non poteva spiegare quella sensazione.
«Oh, il piccolo Sherlock si è fatto un amico. Era ora, Corvo»
Suo fratello non era un tipo propriamente simpatico, ecco. Ma per Sherlock era l’unica ancora che lo tenesse aggrappato a Casa Holmes, Sherlock era consapevole di quanto Mycroft tenesse a lui sebbene non lo mostrasse.
Un amico.
Si, suonava decisamente bene.
Sul volto di Sherlock comparì un timido sorriso e si addormentò con la speranza che l’indomani arrivasse presto per poter rivedere John Watson.
 
«So in fact, you mean...».
«Yes».
«I'm your best...».
«Man».
«Friend? ».
«Of course, you are. Of course, you are my best friend».1
 
John e Sherlock erano semplicemente inseparabili da un paio d’anni.
Ne avevano ormai 13 e tutti gli studenti di Hogwarts erano a corrente di quell’amicizia tra il Grifondoro e lo strambo Corvonero.
«Dai Sherlock!» lo esortò John tirandolo per una manica «faremo tardi. Dobbiamo andare ad Hogsmeade»
Sherlock sbuffò sistemandosi la sciarpa e accelerando il passo verso il cancello di Hogwarts.
«Non capisco tutta questa eccitazione per un semplice villaggio di maghi» borbottò.
John gli lanciò un’occhiata eloquente. «Ne abbiamo già parlato. Non ho mai visitato un villaggio di maghi. E poi è un’uscita ad Hogsmeade, Sherlock!»
«Ho capito. Non c’è bisogno che lo ripeti ancora, ti prego» sbuffò lui «davvero non dirò più nulla e rispetterò la gioia immensa degli studenti di Hogwarts in questo giorno solenne» aggiunse ridacchiando.
«Sei un idiota» sentenziò John scoppiando a ridere.
Raggiunsero gli altri mentre la professoressa McGranitt dava le ultime raccomandazioni.
John era al settimo cielo e Sherlock osservava incantato quel rossore sulle sue guance e quegli occhi brillanti come il primo giorno in cui l’aveva conosciuto. Si riscosse notando che Mycroft lo fissava.
«Fratellino» lo apostrofò «Watson» salutò educatamente facendo un cenno col capo.
«Ciao Mycroft!» rispose John con il solito entusiasmo che non poté non far sorridere Sherlock «scusa, dobbiamo andare. Sherlock mi deve mostrare un sacco di posti» continuò ricominciando a tirare la manica dell’amico.
Sherlock fece una smorfia che sarebbe dovuta passare per un sorriso e si mise a correre per seguire John.
«Tu lo sai che non ci sono mai stato ad Hogsmeade, vero?» domandò Sherlock.
«Si» disse con noncuranza un John affannato per la corsa «perché?»
«E sai che non conosco questi posti che dovrei farti vedere? »
John sbuffò. «Si perché?»
«Perché hai appena detto a mio fratello che... »
«Perché quando sei con lui non parli mai e quindi ho supposto che non volessi stare con lui e quindi ti ho portato via» lo interruppe John «volevo soltanto aiutarti»
Sherlock lo fissò con quegli occhi azzurri, talmente cristallini che John dinanzi ad essi si sentiva spogliato di ogni cosa, sembrava gli perforassero l’anima e gli scandagliassero ogni pensiero. Dopodiché il Corvonero iniziò a camminare come se niente fosse successo, con un’espressione enigmatica dipinta sul volto, perso dietro chissà quale pensiero o congettura.
John in questi momenti si sentiva completamente a disagio, perché il suo amico a volte appariva talmente misterioso che non riusciva proprio a capire cosa gli passasse per la testa.
Nonostante questi rari momenti di incomprensione, John era e sarebbe stato eternamente grato a Sherlock, per tutto quello che riusciva a fare con un solo sguardo.
Sherlock era una di quelle persone sorprendenti e imprevedibili, era il suo primo amico ad Hogwarts e non c’era un singolo momento che non trascorresse con lui.
John semplicemente ringraziava Sherlock per esserci.
«Andiamo da Mielandia?» chiese improvvisamente Sherlock, voltandosi verso John.
«Oh sì, Sherlock! É quello di cui parlava Greg l’altro giorno, vero?» rispose lui, riscuotendosi dai suoi pensieri.
«Chi è adesso Greg?» domandò esasperato.
John conosceva sin troppi ragazzi – Sherlock aveva calcolato più o meno tutti quelli del loro anno e qualcuno del quarto – e per Sherlock era così difficile riuscire a ricordare tutti o probabilmente non ne era davvero intenzionato.
Anche perché non era propriamente interessato agli amici di John, se questi rubavano tempo con i loro futili discorsi a John.
«Il ragazzo Tassorosso. Ricordi? Te l’ho presentato qualche mese fa!»
«Ah sì! George!» esclamò ricordandosi vagamente del viso di quel buffo ragazzo. In realtà era quello più simpatico tra gli amici di John.
«Greg» dichiarò John, con voce stanca e divertita insieme «si chiama Greg Lestrade»
Sherlock liquidò il discorso con un gesto della mano, scoppiando a ridere e trascinando John verso Mielandia, il luogo più amato dagli studenti di Hogwarts.
«Ciao Sherlock!» una vocina squillante risuonò nelle orecchie dei due e John vide Sherlock irrigidirsi e chiedergli implicitamente aiuto con gli occhi.
Entrambi si voltarono e si trovarono dinanzi una ragazza della loro età, con una grossa sciarpa al collo e le guance arrossate per l’imbarazzo.
«Molly» disse lui.
Molly Hooper parve illuminarsi al suono della voce di Sherlock e John dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Ciao, sono John Watson» si presentò mentre Sherlock gli lanciava un’occhiata torva.
«Volevi qualcosa, Molly?» chiese impazientemente Sherlock.
John si portò una mano alla fronte perché non poteva davvero credere quando fosse maleducato il suo amico, ma Molly non sembrò accorgersene e passò subito alla domanda.
«Domani sera c’è la festa del professor Lumacorno» disse con voce incerta «mi chiedevo, se, ecco» continuò «se vuoi venirci con me»
Sherlock spalancò gli occhi e John si gustò la scena, ma non riuscendo più a trattenersi, mormorò delle scuse e si allontanò dietro lo scaffale scoppiando a ridere rumorosamente.
Sherlock rimase a fissare Molly per qualche secondo, incapace di proferire parola. Molly era davvero carina, ma non decisamente il suo tipo.
E poi, dannazione, aveva tredici anni.  
E c’era John.
Aspetta un attimo, dove sei traditore? Mi hai lasciato qui da solo.
Lo ucciderò.
Non ora, non puoi girarti Sherlock.
Se la fissi magari va via.
«Sherlock, ci sei?» chiese passandogli una mano dinanzi gli occhi.
«Oh, Molly, sai...beh, ecco» balbettò incoerentemente «io, cioè, tu... »
«E’ che lo aveva già chiesto a me, Molly. Quindi ci andremo insieme» rispose per lui, uno John Watson ancora provato dall’ilare scena di pochi minuti fa, mentre Sherlock tirava un sospiro di sollievo.
Molly farfugliò qualcosa di incomprensibile e scappò via, decisamente delusa.
«Sherlock! Ma ti pare modo di trattare una ragazza? »
Il cervello di Sherlock in un millesimo di secondo pensò tre cose differenti: uccidere John per ciò che aveva appena detto, essere felice per ciò che John aveva detto pochi secondi prima, uccidere John per averlo lasciato solo pochi minuti prima.
Iniziò naturalmente dall’ultima.
«TU. Traditore che non sei altro» disse Sherlock, avanzando minacciosamente.
John iniziò ad indietreggiare, ridacchiando divertito.
«Tu sei un Grifondoro. E sei scappato, lasciando me in quella situazione. Scappa, Watson. Ti conviene iniziare a scappare»
John si precipitò fuori dal negozio, correndo per le strade di Hogsmeade, con le lacrime agli occhi per le risate, mentre uno Sherlock furioso lo seguiva a ruota, tentando di evitare un intero corpo studentesco di Hogwarts.
Corsero sino a non avere più fiato, tra le minacce di Sherlock e le risate di John, fino a quando non si fermarono esausti.
Sherlock in quel momento realizzò che John aveva detto a Molly che sarebbe andato con lui a quella stupida festicciola del LumaClub e improvvisamente gli parve di essere la persona più felice di questo mondo.
«John, verrai davvero con me alla festa di domani?»
«Me lo chiedi pure? Certo che vengo con te» sorrise timidamente tirandogli un buffetto sulla guancia «non ti lascio mica in preda alle tue ammiratrici»
E poi ripresero a correre, perché John non poteva assolutamente passarla liscia.
 
 
«Don't make people into heroes John. Heroes do not exist, and if they did, I wouldn't be one of them.»1
 
Sherlock era nell’aula di Pozioni a sistemare le sue cose. Stava per andare a prendere John ai suoi primi allenamenti – perché come John adorava dire in quei giorni, era stato scelto per diventare Cercatore della squadra di Grifondoro. Stava pensando a quanto la sua vita fosse stata rivoluzionata da quel bambino che sul treno aveva scelto proprio il suo stesso vagone, dando inizio a ciò che di più caro c’era al mondo per lui in quel momento.
Stava semplicemente riflettendo quando quel pomeriggio di Marzo improvvisamente Greg –o George, non riusciva mai a ricordarselo – Lestrade fece il suo ingresso nell’aula.
«John... Infermeria» disse affannato «duello con Moriarty» concluse, portandosi una mano al petto e poggiandosi allo stipite della porta per riprendere fiato.
Sherlock, nonostante le poche parole del ragazzo Tassorosso, comprese immediatamente cosa fosse accaduto; e, dopo aver ringraziato velocemente Lestrade, si era precipitato nel corridoio, correndo e imprecando contro chi aveva avuto la brillante idea di costruire l’aula di Pozioni così lontana dall’Infermeria.
Corse sino a non sentirsi più le gambe, perché era il solo modo per non logorarsi nella possibilità che a John fosse successo qualcosa.
Quel Moriarty. Era dal primo Settembre che infastidiva lui e John. Era qualche anno più grande, probabilmente futuro Mangiamorte e completamente folle.
«Holmes, dove corri così di fretta?» chiese divertita una voce alle sue spalle «tranquillo, il tuo amichetto non si è fatto nulla, mi sono giusto divertito un po’» concluse scoppiando a ridere.
Sherlock si bloccò immediatamente rimanendo come inchiodato al suo posto.
«Holmes non parli? Tuo fratello non mi aveva detto che eri talmente idiota da non riuscire a parlare» sghignazzò Moriarty. Appunto, completamente psicopatico.
Sherlock avvertì Mycroft irrigidirsi e stringere i pugni. Come al solito completamente inerme e passivo. Si voltò verso la coppia di Serpeverde e li guardò con il maggiore disprezzo possibile, con il cuore ancora ardente di preoccupazione per John.
«Tu non hai niente da dire» sentenziò rivolgendosi stancamente al fratello «e tu. Tu mi fai solo pena» sputò fuori disgustato verso Moriarty. Vide lampeggiare una luce folle negli occhi dell’amico di Mycroft, che lo afferrò per un polso, per bloccare la sua reazione.
«Jim. Fermati. È solo un bambino» mormorò con voce ferma e decisa Mycroft «ed è mio fratello»
Sherlock non riuscì nemmeno a sentirsi sollevato perché Mycroft aveva preso le sue difese e non riuscì nemmeno a notare l’espressione furiosa di Moriarty che era già arrivato in Infermeria, spalancando le porte e correndo verso John.
Era disteso sul letto, con le labbra socchiuse e un’espressione angelica sul volto. A parte qualche graffio e frattura, disse Madame Pomfrey, stava bene e si sarebbe ripreso in fretta.
Sherlock non seppe descrivere la sensazione di vederlo illeso e salvo. Era qualcosa di molto di più del semplice sollievo. Si asciugò velocemente una lacrima mentre John si svegliava cercando di tirarsi su con una smorfia di dolore.
Sherlock lasciò immediatamente andare la sua mano calda che stava stringendo.
«Sherlock» sussurrò «sto..sto bene. Non è successo nulla»
«Lo so, Watson» dichiarò lui «non avevo dubbi. In Difesa Contro le Arti Oscure sei eccellente» sorrise soddisfatto.
John ridacchiò e Sherlock dimenticò tutto ciò che voleva dirgli. Il suo cervello si svuota improvvisamente al suono della sua risata.
E il suo cuore finalmente ricominciò a battere. Perché aveva così temuto che gli fosse accaduto qualcosa che vederlo lì davanti a lui, che rideva divertito, lo rese la persona più felice e orgogliosa al mondo.
«Sherlock non c’è bisogno che fai l’eroe della situazione. Lo so che ti sei spaventato a morte» sghignazzò John.
«Non sono un eroe. Gli eroi salvano le persone, io no» disse deciso Sherlock «tu lo sei. Lo sei sempre stato»
«E chi avrei salvato?» chiese John dubbioso.
«Me, John»
 
 
«Why would you listen to me? I’m just your friend»
«I don’t have friends!»
«No. Wonder why».1
 
John e Sherlock avevano 15 anni e quella era stata in assoluto la giornata peggiore che avessero vissuto lì ad Hogwarts.
John si era svegliato a fianco ad una Mary Morstan con i capelli biondi scompigliati e le guance ancora arrossate per la nottata precedente e il suo primo pensiero fu quando assurdamente e inspiegabilmente sbagliato gli apparisse la situazione. Cercò di fare immediatamente mente locale sulla serata precedente e purtroppo, a malincuore, i ricordi riaffiorarono.
«Vaffanculo Sherlock! Ti sto invitando ad una festa dei Grifondoro! Potresti anche accettare qualche volta di uscire dal tuo guscio protettivo e divertirti come una persona normale, no? »
Si passò una mano davanti gli occhi. No. No. Maledetto Greg e il suo Whisky Incendiario. Lo sapeva che gli dava alla testa.
«Adesso sarei pure una persona anormale solo perché mi annoio a venire una festa piena di alcol e ragazzi urlanti che festeggiano per la vittoria ad uno stupido sport con della stupida musica e delle stupide ragazze che ballano come delle stupide oche? »
«Ma le ragazze sono sexy»
Oh no. John non puoi averlo detto sul serio.
Si alzò di scatto, rimboccando le coperte a Mary e iniziando a vestirsi freneticamente perché non poteva perdere nemmeno un attimo. E la Sala Comune dei Corvonero era troppo, troppo lontana.
«Allora vattene a scopare una e non scocciare me. Arrivederci, John Watson»
Sherlock Holmes era seduto in Sala Comune a fissare il fuoco scoppiettante, perso tra i suoi pensieri. Non era mai successo che lui e John litigassero, o almeno non in quel modo, non così pesantemente e non usando quelle parole.
Sherlock sapeva di essere odiato, o meglio incompreso, dalla maggior parte dei suoi compagni. Sapeva che in molti lo consideravano lo strambo tipo Corvonero. Sapeva che in molti lo deridevano e lo prendevano in giro.
Ma John. Mai si sarebbe aspettato che proprio John lo deludesse sino a quel punto.
Le lacrime affiorarono agli occhi e la rabbia riprese a serpeggiare in lui. Perché in quei cinque anni John era diventato la sua vita e non poteva rovinare tutto per quello.
Perché John era l’unico che lo capisse davvero e l’unico ad esserci sempre.
Perché John era semplicemente John, e non poteva esistere uno Sherlock senza John. Non più.
Sentì qualcuno scendere dal Dormitorio e vide improvvisamente Molly Hooper sedersi accanto a lui e voltarsi per guardarlo.
«Tutto bene, Sherlock?» domandò interrompendo il silenzio immobile.
«No» sentenziò lui freddamente «non va tutto bene, Molly»
«Credo di intuirne il motivo. Sei triste quando pensi che lui non ti veda1» mormorò Molly, chinando la testa.
«Lui chi?» esclamò Sherlock quasi stupito dell’intuizione sorprendente di Molly. In fondo se era Corvonero un motivo c’era certamente.
«John Watson» dichiarò Molly «non fare il finto tonto con me»
«Molly, per favore…»
«Non ti va di parlarne. O almeno non con me, lo so» disse lei alzandosi di scatto.
Sherlock continuò a fissare davanti a sé un punto indefinito, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Solo una cosa, Sherlock» mormorò timidamente e a Sherlock ricordò la bambina che tanti anni prima gli aveva chiesto di andare insieme alla festa «vallo a cercare. Parlaci. Arrabbiati con lui. Fai qualcosa, perché questa passività ti sta uccidendo e ti logorerà lentamente. Scommetto che lui è già fuori a parlarti»
Sherlock la guardo per qualche secondo e poi le sorrise per la prima volta in tutta la sua vita.
«Grazie Molly, davvero» disse semplicemente, incapace di formulare una frase al pensiero che John fosse lì fuori ad aspettarlo.
Aspettò che Molly scomparisse in Dormitorio, restando ancora qualche secondo seduto sul divano, ma poi non riuscì ad aspettare oltre e uscì fuori dalla Sala Comune Corvonero, trovandosi davanti un John affaticato, come se avesse corso per qualche kilometro, e imbronciato.
«Merlino, grazie!» sbottò John «mi chiedeva un indovinello per entrare! Ma fa sempre così? E non lo avete ancora distrutto? No ok, siete Corvonero quindi li sapete risolvere gli indovinelli, giusto? E poi…»
«John puoi smetterla di parlare per un solo secondo?» chiese Sherlock, infastidito perché John riusciva sempre a farlo sorridere, nonostante fosse furioso con lui.
«Sto soltanto cercando» iniziò a dire John «di scusarmi, perché davvero mi sono comportato da idiota con te. È solo che ero brillo per colpa di Greg e poi avevamo appena vinto la partita e avrei davvero voluto che tu venissi alla festa. Poi stamattina mi sono svegliato con Mary Morstan a letto e sto soltanto adesso iniziando a ricordare e…»
Sherlock lo interruppe immediatamente quasi strabuzzando gli occhi.
«Tu che cosa?» quasi urlò uno Sherlock incredulo «John Watson che cosa hai fatto?»
«Si, avevo bevuto, Sherlock, ma giusto un po’ giuro»
«No, la parte dopo»
«Sto iniziando a ricordare adesso che cosa ti ho detto…»
«Non fare il finto idiota con me, non attacca, John. Tu sei andato a letto con una ragazza sconosciuta» urlò scandalizzato.
«Ehy amico! Non vorrei che tutto il castello lo venisse a sapere, sai?» scherzò ironizzando John «Mary non è sconosciuta, la conosco da sempre, è Grifondoro, come me. Mi sembra di avertela fatta conoscere»
«Tu sei andato a letto» sentenziò Sherlock freddamente «con una ragazza»
John lo guardò sospettoso, chiedendosi cosa diavolo prendesse al suo migliore amico.
«Si, non è stato nemmeno un granché» rispose, scrollando le spalle e scatenando un’espressione basita in Sherlock «ma, senti Sherlock, non è questo il punto, sono venuto per scusarmi. Perché mi dispiace davvero per cosa ho detto, non lo meritavi»
Sherlock seguitò a fissarlo, non metabolizzando ancora cosa stesse succedendo.
E John allora riprese a parlare. «Io non credo che tu sia una persona anormale, o se anche lo fossi sei la persona più perfettamente anormale che conosca e davvero, sono profondamente pentito» affermò portandosi una mano al petto con un sorriso malandrino «di come mi sono comportato e chiedo umilmente perdono»
Sherlock continuava a non dare alcun segno di vita, quando improvvisamente si riscosse e si rese conto che John era proprio davanti a lui e si, gli stava chiedendo scusa.
E si, ti ha appena detto che sei perfettamente anormale, Sherlock.
«Sei davvero andato a letto con Mary?» riuscì a mormorare, ancora profondamente scosso.
John si picchiò la fronte con una mano e scoppiò a ridere abbracciando Sherlock, e sentendosi finalmente di nuovo al suo posto.
 
«You…You never felt pain, did you. Why did you never feel it? Pain... »1
 
Sherlock camminava lentamente mentre trasportava il baule per le strade Babbane di quel quartiere affollato, mentre le lacrime gli irrigavano il volto e continue immagine delle ore precedenti continuavano a balenargli nella testa.
«Non posso crederci, Mycroft. Tu non c’entri niente con loro»
«Sherlock posso spiegarti, ti prego»
Quel disgustoso marchio sul braccio. Quegli occhi così vicini ma lontani. Era suo fratello. Come aveva potuto tradirlo in quel modo? Come soltanto osava averlo ferito in quel modo?
«Sherlock, devi farlo. Devi unirti al Signore Oscuro. È qualcosa che va al di lá della nostra volontà»
«Mi fate schifo, madre. Siete ripugnanti, voi e il vostro Oscuro Signore»
La risata crudele di sua madre continuava a riecheggiargli nella testa, continuava ad urlargli quanto fosse sbagliato tutto questo. La sua famiglia, la sua stessa famiglia, il suo stesso sangue. Erano loro i traditori. Non lui,
«Tu e quello schifoso Sanguesporco. Uccidilo, Sherlock, devi farlo. Appartieni ad un nobile rampollo di Purosangue. Lui è un lurido Nato Babbano»
«Stai zitto. Non mi parlare. Non parlare così di John. Lui è una persona migliore di tutto voi! Non posso credere di aver vissuto 16 anni con voi. Ma non sopporterò un minuto in più. Vado via, da voi e dalla vostra orribile esistenza a cui vi siete condannati»
Si asciugò le lacrime con una mano, mentre con l’altra continuava a trascinare il baule urtato dalla folla che continuava a lasciargli occhiate sospettoso e spaventate. Era arrivato sin lì con la scopa, ma non poteva rischiare di farsi vedere nel pieno centro di quello strano paese.
Giunse fino a all’indirizzo che lui gli aveva fornito anni prima e non fece nemmeno in tempo a bussare che le braccia di John lo travolsero.
«Sherlock! Che ci fai qui? È così bello vederti, ti ho visto dalla finestra e sono venuto prima che Mrs. Hudson arrivasse…» iniziò a dire, concitato «Sherlock? Cos’è successo?» chiese a un tratto notando gli occhi arrossati dell’amico e la sua mesta espressione.
«John. Scusami se non ti ho avvisato, ma è stato tutto così veloce» rispose in tono sommesso «e mi chiedevo se tu...potessi ospitarmi qui per qualche giorno. Poi troverò un posto, al Paiolo Magico o da qualche parte o...»
John lo interruppe subitaneamente perché Sherlock non era mai uno di tante parole, a meno che non ci fosse qualcosa di realmente importante che non volesse dire.
«Sherlock…»
«I miei genitori e Mycroft. Sono dei Mangiamorte, si sono uniti a Voldemort. Non sono più…»  ribattè con disprezzo, storcendo il naso «ecco, il benvenuto a casa Holmes» concluse lasciandosi cadere sul pavimento dell’atrio e appoggiando la schiena al muro con la testa tra le mani.
«Come hanno potuto John? Sono degli schifosi Mangiamorte!» urlò «mi fanno ribrezzo! Anche Mycroft. Anche mio fratello, John! Lui era quello che mi portava le Cioccorane da piccolo, era il ragazzino che mi mostrava contento la sua bacchetta, era il giovane uomo che mi era sempre stato accanto. E mi ha tradito. Anche lui»
John rimase senza parole, semplicemente pietrificato da quelle parole. Cosa si poteva dire dinanzi a così tanto dolore? Cosa dinanzi a tale disperazione?
Sherlock continuava a singhiozzare e John non riuscì a far altro che sedersi a fianco a lui e stringerlo in un abbraccio.
«Non so quanto vale. Ma io non ti tradirò mai, Sherlock»
«Sei tutto ciò che ho» rispose sorridendo tra le lacrime «Vale molto più di quanto immagini, John Watson»
 
 
«Keep your eyes fixed on me. Please, can you do this for me? ».1
 
John e Sherlock avevano 18 anni ed erano distesi ai piedi del massiccio albero sulla riva del Lago Nero, il loro ultimo giorno ad Hogwarts.
I MAGO si erano finalmente conclusi – nonostante John fosse ancora terrorizzato sul come fossero finiti -  e quello sarebbe stato un pomeriggio di perfetta serenità, se non fosse stato che, appunto, era l’ultimo giorno trascorso nel castello, che quegli anni era diventato il loro rifugio, la loro casa.
John riusciva già ad avvertire quel terribile senso di nostalgia e malinconia, perché la loro giovinezza aveva fine in quel giorno, perché dall’indomani in poi sarebbero improvvisamente diventati adulti, non più protetti dalle mura di Hogwarts, ma pronti a combattere contro quell’oscurità sempre più dilagante. Era come se un’epoca si stesse improvvisamente concludendo e lui potesse soltanto rimanere lì fermo a guardare la sua vita rivoluzionarsi completamente.
Ma più di tutto, lo spaventava Sherlock. Non avevano ancora parlato di cosa sarebbe successo una volta lasciata Hogwarts. John voleva stare con lui, non gli importava del dove, del come. Sapeva che il suo posto era con lui.
E poi c’era quella sensazione strana nello stomaco ogni volta che Sherlock semplicemente lo sfiorava o posava i suoi occhi azzurri su di lui.
«John...»
E quando pronunciava il suo nome, quel brivido che gli percorreva la schiena.
«Si» balbettò «dimmi, Sherlock» tentò di dire evitando di risultare il meno imbarazzato possibile.
Sherlock si voltò verso d lui, sfiorandogli una mano.
«Vuoi venire a vivere con me?»
Non seppe se fosse stata la sincerità e la naturalità disarmante con cui lo aveva chiesto, o fosse stato che i suoi occhi quel giorno erano più azzurri e belli del solito, o ancora che era semplicemente ora, ma fu esattamente quello il momento in cui John Watson si rese conto di amare William Sherlock Scott Holmes. Si rese conto di amarlo probabilmente da sempre, di amarlo in modo così smisurato e puro da non poterlo più negare.
«Pensavo che non me lo avresti più detto» disse, sorridendogli «certo che lo voglio, credo sia una delle cose che desideri di più al mondo»
«Adesso sono solo una delle cose?» chiese Sherlock fingendosi imbronciato.
John si alzò su un fianco e rivolse lo sguardo verso di lui.
Non esisteva assolutamente niente di più perfetto.
«No, Sherlock, devi prestare attenzione a ciò che dico»
Sherlock lo guardò corrucciato e si tirò su, appoggiando la schiena contro il grosso tronco.
«John Watson, ricordati che quello più intelligente sono io, qui. Non prendermi in giro.
John ridacchiò e alzò gli occhi al cielo.
«Voglio diventare un Medimago, sai?» disse improvvisamente.
Sherlock lo guardò a metà tra lo stupore e la profonda ammirazione e gli strinse inaspettatamente la mano, sorridendo.
«È una scelta molto nobile, John» rispose «lo immaginavo già, nonostante le tue scadenti doti in Pozioni»
John rise di nuovo, ancora non realizzando che la sua mano era nella stretta rassicurante della mano di Sherlock.
«E voglio entrar a far parte dell’Ordine della Fenice, Sherlock. Voglio combattere per il nostro mondo» dichiarò ancora John.
«Oggi è la giornata delle grandi rivelazioni?» chiese ironicamente, Sherlock «sei sempre stato così coraggioso, John» mormorò poi, avvicinandosi a lui «ti ho sempre ammirato per questo. Per questa tua straordinaria nobiltà e capacità di combattere contro ogni cosa per ciò che è giusto, per questa tua ferma volontà di salvare chiunque. Mi hai salvato così tante volte e in così tanti modi1, John»
John deglutì, incapace anche solo di proferire parola o di pensare, dopo le parole di Sherlock.
Sherlock lo guardava con una tale intensità e una tale dolcezza, che John si disse di non averlo mai amato tanto come in quel momento.
Devi dirglielo, John.
No, non poteva.
Si che puoi, John. Diglielo. Adesso.
«In realtà» sussurrò, schiarendosi la voce «c’è ancora un’altra sorprendente rivelazione oggi»
«Si?» ribattè Sherlock «allora prego, John. Sono tutte orecchie»
John abbassò la testa e prese a torturare una manica della divisa.
«Non chiedermi il motivo o da quanto sia così, ma credo davvero di amarti, Sherlock» disse, prendendo coraggio «è buffo che sia un Grifondoro e non abbia il coraggio di parlare no?» continuò sorridendo e alzando finalmente gli occhi su uno Sherlock arrossato e con gli occhi brillanti «ti amo, Sherlock Holmes. Non riesco a ricordare un momento in cui non sia stato così. Perché anche quando non ne ero consapevole, nel profondo sapevo già di amarti. E capisco perché dicono che l’amore sia ciò che ti rende più felice al mondo. Perché solo per il fatto di amarti mi rende una persona migliore. Perché tu mi rendi una persona migliore. Tu, con tutte le tue contraddizioni, tu e la tua genialità, tu e quella straordinaria capacità di regalarmi un sorriso ogni giorno. Non so cosa succederà domani, non so dove saremo tra un anno, non so quanto tempo ancora ci rimane, ma so che ti amo e questa è la mia più grande sicurezza. Tu lo sei, lo sei sempre stato e so già che lo sarai»
John concluse tirando un sospiro di sollievo e fissando ardentemente Sherlock, il quale, invece, era completamente perso nei suoi pensieri, inspiegabilmente incapace di capire cosa stesse provando.
Non può essere vero. John mi ama.
Si, Sherlock ti ama.
Si, John mi ama.
Sherlock, ehm, dovresti dire qualcosa, sai.
Giusto, devo dire qualcosa.
Sherlock sorrise e tutto ciò che riuscì a dire soltanto «Pensavo non me lo avresti più detto»
John non riuscì ad aspettare oltre, perché forse era troppo tempo che avrebbe voluto farlo, troppo tempo che avrebbe dovuto farlo e poggiò le proprie labbra sulle sue.
Lo baciò e ad entrambi sembrò di aver trovato finalmente il loro posto.
Casa non era Hogwarts, casa era John per Sherlock e Sherlock per John, era trovarsi l’uno nelle braccia dell’altro, casa era per l’uno dove si trovasse l’altro, casa era quel bacio così carico di speranza e di giovinezza, casa era quel sorriso che sbocciò sulle labbra di entrambi, casa erano loro, insieme.
Perché la sensazione provata quando erano insieme, valeva più di qualsiasi altra cosa.
Perché insieme erano pronti a tutto.
 
 
«Sherlock» sussurrò John sfiorandogli la mano «Sherlock, ascoltami per favore»
John non riusciva a calcolare quanto l’espressione di Sherlock gli facesse male. E si rese improvvisamente conto che il bambino del treno era cresciuto ed era diventato lo straordinario uomo che aveva davanti, l’unico amore della sua vita. Ma gli occhi. Gli occhi erano sempre gli stessi occhi disarmanti e splendidi.
«Cosa c’è?» sibilò lui in risposta.
«Sherlock, lo sai. Non posso non farlo. Io combatterò» rispose incerto John.
«Tu e il tuo stupido coraggio Grifondoro»
John sorrise. «Va oltre l’essere Grifondoro. Si tratta di combattere per ciò che ritieni giusto. Si tratta di combattere per un mondo migliore. E io voglio e devo farlo»
Sherlock lo guardò di nuovo per qualche secondo, probabilmente perché John era l’unica persona che continuava a sorprenderlo quotidianamente. «Sei l'essere umano più coraggioso, gentile e saggio che abbia mai avuto la fortuna di conoscere, John.1»
John spalancò gli occhi prima che la sua bocca si aprisse in largo sorriso e buttasse le braccia al collo di Sherlock.
«Questo vuol dire che non mi impedirai di combattere?» sussurrò John sul collo di Sherlock, facendolo rabbrividire.
«No» rispose risoluto «perché tu non mi impedirai di combattere al tuo fianco»
John si staccò improvvisamente. «Sherlock» mormorò con la voce rotta «è una cosa seria»
«Non sono mai stato così serio in tutta la mia vita» e poi lo baciò e John semplicemente non capì più niente. Riusciva a sentire solo il profumo di Sherlock, il corpo di Sherlock che premeva contro il proprio, le proprie dita nei ricci di Sherlock, le sue labbra calde, il suo respiro, riusciva a malapena a formulare un pensiero coerente. Voleva soltanto che Sherlock non smettesse mai di baciarlo, perché quella sensazione valeva più di qualsiasi altra cosa.
Perché con Sherlock aveva iniziato a vivere davvero, con Sherlock stava continuando a vivere.
Perché Sherlock lo faceva sentire vivo, come nessun altro al mondo.
«Allora» disse Sherlock con un sorriso malizioso «Ti ho convinto? »
John mugolò. «E’ tutto quello che sai fare?»
E Sherlock ricominciò a baciarlo.
E John dimenticò ogni cosa.
 
«Stupida Serpe»
Erano state quelle le ultime parole di Sherlock Holmes, mentre lanciava uno Schiantesimo contro un Mangiamorte, loro ex compagno di scuola.
E John Watson aveva sorriso perché erano state le prime parole che avesse mai sentito pronunciare a Sherlock.
Era stato l’inizio, si.
L’inizio della fine.
Poi iniziò la fine, davvero.
Il primo pensiero di John fu che non era possibile. Semplicemente non stava accadendo. Era ridicolo. Lo stava solo immaginando, si disse.
John Watson non poteva crederci, quando il lampo di luce verde colpì Sherlock Holmes dritto nel petto. Il sorriso di Sherlock si congelò sul volto che sarebbe rimasto giovane per sempre, il suo corpo cadde all’indietro e John continuava a non crederci.
«Avada Kedavra» urlò puntando la bacchetta contro Jim Moriarty. Non esitò nemmeno un attimo perché ancora non ci credeva.
Quando anche il corpo di Jim Moriarty si accasciò rigidamente per terra, John realizzò.
No. Non Sherlock.
«No!» urlò correndo verso Sherlock «no Sherlock, ascoltami per favore»
Tieni gli occhi fissi su di lui, John. Non staccare mai gli occhi dal suo volto, dai suoi ricci neri, dalla sua pelle bianca.
Apri gli occhi Sherlock.
Dimmi ancora che mi ami.
«Sherlock!» gridò «Sherlock svegliati, cazzo. Sherlock ti prego, non puoi. Non lasciarmi, Sherlock»
E poi arrivò prepotente, arrivò così all’improvviso, arrivò senza che John avesse il tempo di impedirlo.
Era dolore puro. Quel sentimento talmente sconvolgente, assurdamente terribile.
Gli mozzava il fiato. Non riusciva a trovare l’aria per respirare, non riusciva a trovare un motivo per restare ancora in vita, perché la sua unica àncora era appena scomparsa.
Non riusciva più a vedere, perché gli occhi si erano trasformati in un pozzo di lacrime, per Sherlock.
Non riuscì a calcolare quanto tempo rimase a stringere il corpo senza vita di Sherlock, quanto a sussurrargli che lo amava, quanto ad urlargli di risvegliarsi, quanto a singhiozzare che era tutta colpa sua, quanto semplicemente a fissarlo svuotato da qualsiasi possibile emozione.
C’era solo quel dolore, ormai anche quello anestetizzato dalla consapevolezza che Sherlock non c’era più, che Sherlock non gli avrebbe più sorriso, che non si sarebbe più risvegliato accanto a lui e che non avrebbe più baciato le sue labbra.
«Ti amo, Sherlock» sussurrò sfiorandogli le labbra un’ultima volta. E poi malgrado tutto, malgrado il senso di colpa – perché era colpa sua se Sherlock aveva deciso di combattere, colpa sua se adesso era morto – si alzo mentre luci rossi e verdi saettavano intorno a lui.
Perché non doveva arrendersi, perché Sherlock non doveva essere morto invano.
Continuò a combattere nonostante l’immagine del sorriso di Sherlock continuasse ad apparirgli, nonostante sentisse la sua voce, nonostante continuasse a vedere i suoi occhi azzurri cristallini.
Combatté sino alla fine quella battaglia.
Ma quando finì non provò alcun sollievo, alcuna gioia, alcun sollievo.
C’era solo quel senso di vuoto che gli era penetrato dentro e di cui non riusciva a liberarsi.
Perché l’amore della sua vita era morto.
E non sarebbe tornato mai più.
E John non poteva, non riusciva ad accettarlo.
Probabilmente non lo avrebbe mai fatto e non voleva farlo.
Non poteva ricominciare a vivere normalmente se la parte migliore di lui era appena andata via.
Non poteva ricominciare a vivere senza di lui.
Non senza Sherlock.
 
 
John si avvicinò cautamente alla sua tomba e finalmente si lasciò cadere sulle ginocchia. Lasciò che le lacrime gli righino il volto come il giorno prima e quello prima ancora e come il giorno successivo perché il dolore esige di essere sentito2, perché il dolore non si estinguerà mai. E le parole uscirono spontaneamente dalla sua bocca.
«Ok. Tu, una volta mi hai detto che non eri un eroe. Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato che non fossi umano, ma ti dico una cosa, eri l’uomo migliore, l’essere umano più umano, che io abbia mai conosciuto. Ero davvero molto solo e ti devo davvero tanto. Ma, ti prego, c’è ancora una cosa. Un’ultima cosa, un ultimo miracolo, Sherlock, per me. Non essere morto. Potresti farlo per me? Smettila. Smettila!»1.
Il senso di colpa non se n’era andato e non lo avrebbe mai abbandonato, soltanto perché ancora non ci credeva. Perché Sherlock non poteva essere morto.
Sarebbe sempre rimasto vivo, nei suoi ricordi.
Non se ne sarebbe mai andato davvero da lui.
 
 
 
 
1 Sono tutte citazioni e semi-citazioni direttamente dalla serie tv di Sherlock.
2 Semi-citazione da Colpa delle Stelle di John Green.




Nda:
Ciao a tutti i coraggiosi lettori che sono arrivati fin qui. Okay, ho scritto questa fanfiction perchè continuavano a balenarmi in testa immagini della Johnlock ad Hogwarts e ho dovuto scrivere per forza altrimenti sarei impazzita. Ho cercato di raccontare al meglio quello che immaginavo, anche se ho il terrore di essere andata un tantino OOC specie per Sherlock.
However, spero che vi piaccia e che mi facciate sapere che ne pensate.
Bye bye <3
  
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