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Autore: Zenya Shiroyume    13/02/2015    0 recensioni
In un regno lontano lontano, devastato dalla guerra e dalla corruzione, regnava una giovane Principessa di soli quindici anni. Tutti la temevano, nessuno osava andare contro il suo volere, perché ciò che desiderava l'otteneva.
La chiamavano demone, ma a lui non importava...
Il servo, nonché il gemello della Principessa, era sempre lì per Lei, qualsiasi cosa fosse successo, per il suo bene e per la sua felicità...
La Saga del Male vissuta attraverso gli occhi di chi ha lottato per il bene di una persona, accettando di diventare lui stesso un demone...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaito Shion, Len Kagamine, Meiko Sakine, Miku Hatsune, Rin Kagamine | Coppie: Kaito/Miku, Len/Rin
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Il vento aveva smesso di soffiare, le stelle continuavano a brillare alte e la luna illuminava come un riflettore le mie mani macchiate di rosso.

Nascosta sotto al mantello, una larga chiazza si stava asciugando sulla mia camicia bianca. Nelle narici, il metallico odore del sangue di lei pareva soffocarmi, dandomi il voltastomaco.

In lontananza, seppure ormai impossibile da percepire, sentivo le spade dei soldati che Rin mi aveva affiancato cozzare contro quelle che, forse, erano delle guardie di Kaito e il fuoco divorare la città in cui avevo trascorso parte della mia infanzia.

“Deve essere la mia immaginazione... -mormorai al mio cavallo, i cui zoccoli scandivano il ritmo dei miei passi stanchi- Non manca molto a casa, dopotutto...”

L'animale scosse la testa con uno sbuffo, quasi fosse infastidito.

“Troviamo un posto per dormire, sono esausto anche io... Sei stato bravo a compiere un viaggio di due giorni in un uno...”

Le parole scemarono sulle mie labbra secche, per non dire aride, e il bacio di Miku subito investì la mia mente come un uragano e trafisse il mio cuore ormai in frantumi.

Guardai nuovamente le mie mani alla tenue luce della luna.

Queste sono le mani di un assassino, pensai. Per te, Rin, ho accettato le fiamme dell'Inferno.

“Forza...” mormorai all'animale, portandolo verso una tremolante luce giallognola, che filtrava dalla sudicia finestra di una taverna a metà strada dal nostro Regno e l'inizio del dominio di Kaito.

Appena venni colpito dalla luce, le chiazze sulla mia camicia ripresero a risaltare con forza, come se pulsassero, e una spettrale vocina nella mia testa parve accusarmi più e più volte del mio gesto.

Quel che è fatto, è fatto, fece la mia coscienza amaramente, poi persi l'equilibrio e caddi al centro di quel riflettore, spinto da un ometto con un braccio solo. Non lo vidi in faccia, ma la sua ombra mi rivelò la sua grave menomazione.

“Levati dai piedi!” urlò con la sua sgraziata voce da cornacchia.

Mi coprii velocemente per nascondere gli inquietanti disegni di morte che decoravano la mia camicia, poi cercai di parlare, ma le mie parole si fermarono sul fondo della mia gola.

L'uomo era già entrato e sembrava aver creato parecchio scompiglio nel locale già rumoroso di suo. Mi rialzai e legai le briglie del cavallo a un palo vicino.

Sospirai e appena varcai quella soglia venni colpito da un nauseante odore di cibo avariato, fumo e muffa, il tutto condito dal sudore dei commensali. La stanza, dalle rivoltanti pareti color ocra, era rettangolare e sul fondo c'era una scala nascosta da un lurido bancone. Ovunque mi girassi, v'erano pesanti tavole di legno dalla superficie rovinata e sporca di grasso e terra e, intenti a mangiare, c'erano solo anziani e uomini feriti dalle precedenti battaglie del Regno. Intanto, l'uomo che mi aveva spinto girava tra le tavolate spifferando qualcosa a ogni ospite, che puntualmente alzava la testa in segno di sorpresa e sgomento.

Camminavo piano, respiravo il meno possibile e la mia mente era sgombra da ogni pensiero... Forse l'unico che opponeva resistenza al mio desiderio di estraniamento era il ricordo del bacio di Miku.

Un bacio dolce, eppure tagliente come la lama di un rasoio, tenero, eppure pesante come un macigno.

Non mi accorsi di essere arrivato davanti all'oste, finché non provai un conato di vomito di fronte alla brodaglia che teneva all'altezza del bacino.

“Che cosa vuoi?” chiese roco, senza degnarmi di uno sguardo.

Ricacciai quell'orribile sensazione deglutendo, infine risposi: ”V-Vorrei una stanza...”

La mia voce era debole, non riusciva ad emergere dal rumore generale, eppure lui mi sentì: “Quanto vuoi restare?”

Mi sistemai il cappuccio fin sotto gli occhi: “Solo una notte, posso pagare adesso...”

Iniziai a frugare pigramente sotto al mantello, riluttante a ogni contatto con la stoffa irrigidita dal sangue, e posai sul bancone un sacchetto pieno di monete d'oro.

“Li prenda tutti, a me non servono più...”

“Con piacere!” fece il vecchio, quasi gongolando, come se avessi estinto un debito ormai datato.

Certo che il denaro ne ha di potere, pensai fissandolo mentre metteva al sicuro il suo gruzzoletto.

“Ti faccio preparare la stanza, il cibo lo offre la casa.”

Annuii e allora notai che il brusio s'era fatto più intenso, tanto da riuscire finalmente a cogliere il tema principale, diffuso dall'ometto senza un braccio.

Distolsi lo sguardo e mi ritrovai sotto al naso quella maledetta brodaglia che toccai appena, poi mi misi in ascolto, non per curiosità, perché tanto sapevo già di cosa si trattava, ma per capire a che punto fosse arrivata la sopportazione del popolo.

“La Principessa sta davvero esagerando!” udii ad un certo punto.

“Esatto, cosa vorrà fare con quel plotone?!”

“Sicuramente qualche atrocità! -disse un altro, la cui voce si distingueva a mala pena dal caos della stanza- Li ho visti dirigersi verso le Terre del Blu, hanno preso il sentiero che va verso il Villaggio del Verde!”

“Li ho visti anch'io, ma non chi li guidava!”

Ormai il frastuono era diventato insopportabile e l'aria sembrava più pesante e consumata.

Presto si scatenerà una rivolta... Me lo sento...

Mi girai verso le scale, in attesa che qualcuno venisse a chiamarmi per andare a dormire, perché le mie palpebre diventavano sempre più pesanti.

Ripensai poi a Rin e alla sua ultima richiesta che ovviamente accolsi.

Non permetterò che le venga fatto del male. Mi prenderò le responsabilità di tutte le mie azioni. E delle sue.

“Fate silenzio!” una voce femminile si levò alta tra tutte, con autorità e fermezza.

La riconobbi, non avevo bisogno di conferme, perciò rimasi fermo a fissare un punto ormai indefinito.

Non l'avevo vista quando entrai, ma in quel momento doveva essere in piedi, con le mani poggiate sul tavolo e la postura solenne di un generale, mentre istruisce i suoi uomini per la prossima battaglia.

“Non possiamo più sopportare tutto questo! Se la Principessa ha attaccato un regno vicino, non possiamo permetterle di vivere ancora!”

A quelle parole provai un brivido, come una specie di presagio.

Forse, dopotutto, ci ritroveremo ancora faccia a faccia.

“E tu chi saresti per parlare così, donna?” chiese spavaldo un altro uomo, i cui colpi di tosse erano accompagnati da numerosi versi di consenso.

“Sono una straniera, è vero -replicò Meiko- ma ho vissuto abbastanza qui per non poter più accettare questa tirannia!”

Abbandonai il cucchiaio nella ciotola e ascoltai con più attenzione.

“Non possiamo permetterle di fare quello che vuole, dobbiamo riprenderci il nostro Regno e governarlo in modo da restituire la pace a tutti!”

“E come pensi di fare?” chiese l'oste, riapparendo di fronte a me, mentre le sue mani strofinavano un vecchio bicchiere di vetro crepato.

“Dobbiamo unire le forze! Riunire quanta più gente possibile e attaccare il Castello! Saremo poi tutti insieme a decidere del destino di quel Demone!”

Il silenzio calò tempestivo, non un utensile colpiva i piatti, non un respiro più forte del normale. Niente.

Mi voltai e vidi tutti scambiarsi espressioni di perplessità e interesse. Le sue parole avevano mosso qualcosa in quelle persone, aveva fatto capire loro che il momento di agire non poteva essere ulteriormente rimandato. E aveva ragione.

Anche io devo muovermi.

“Allora?! -fece la guerriera rossa, impaziente di una risposta- Volete continuare a sopportare tutto questo? Volete che i vostri figli siano mandati al fronte per una guerra che non gli appartiene? Allora?!”

“Ovvio che non vogliamo!” fu la risposta unanime della sala.

Sospirai e cercai di farmi il più piccolo possibile, per non farmi notare dalla folla sull'orlo dell'agitazione.

Nei loro occhi notai un barlume di speranza, Meiko aveva mostrato loro cosa fare e questo aveva animato degli spiriti ormai sopraffatti dal dolore e dalla paura.

Una mano si poggiò sulla mia spalla. Sobbalzai e mi voltai di scatto, spaventando la vecchia moglie dell'oste.

“La sua stanza è pronta...”

Annuii e mi alzai, lasciandomi alle spalle le grida di tutti i commensali.

Sarà una notte lunghissima.

 

*****

 

Passai una notte orribile, tormentato da incubi talmente reali che ebbi l'impressione di rivivere quella notte una seconda volta. Scene incredibilmente vivide, suoni talmente reali e ridondanti da farmi desiderare di morire in quell'esatto istante.

Mi risvegliai esausto al cinguettio degli uccellini, che svolazzavano allegri attorno ad un grosso cipresso.

Cercai di muovermi sul durissimo materasso, ma ogni singola parte del mio corpo sembrava pesare tonnellate. Un raggio di sole apparve poi da dietro una nuvola, filtrando tenue dai vetri sporchi e colpendomi agli occhi.

Subito mi portai il lurido cuscino al viso e ripensai alla lunga notte che avevo trascorso. Desiderai fermamente che fosse solo un sogno.

“Se lo fosse stato, adesso sarei al Castello...”

Le mie parole rimasero soffocate nella stoffa, il cui odore di vecchio mi riportava a quello metallico del sangue di lei. Avvertii un leggero calore attorno agli occhi, come se piangessi. Ed effettivamente era così.

Rimasi in silenzio, non osavo lasciare che i singhiozzi uscissero dalla mia bocca e sgombrai la mente da ogni pensiero.

Intanto al piano di sotto, per quanto fosse presto, l'atmosfera era ancora concitata.

Meiko si starà sicuramente preparando all'attacco.

Allontanai il cuscino dalla faccia e vidi l'ombra di un uccellino saltellare sul davanzale.

Sarebbe un bel problema se mi vedesse, verrei attaccato da tutti e non potrei proteggere Rin...

Mi alzai velocemente, stupito da tanta prontezza, nonostante mi facessero male ossa di cui non conoscevo l'esistenza.

Nella stanza vuota, chiusi gli occhi e ripetei il mio giuramento, per darmi la forza di andare avanti e proteggere la persona per cui decisi di alzare la spada sul mio primo amore.

Uscii di soppiatto dalla taverna e salii in groppa al mio cavallo per tornare a casa.

Durante tutto il viaggio continuai a ripensare alle persone che aspettavano fuori l'uscita trionfale di Meiko.

Il Borgo era in subbuglio, tutti avevo sentito dell'attacco al Villaggio del Verde e chiedevano giustizia, chiedevano che la mia sorellina finisse alla ghigliottina e che la pace tornasse.

Non li biasimai per quello, dopotutto le nostre azioni non potevano essere tollerate ma io stesso non avrei tollerato che qualcuno alzasse la sua spada su Rin.

“Sembrano le parole di un ipocrita -mormorai- Io che penso queste cose, quando sono il primo a far del male ad altri...”

 

Ero in viaggio da ore, i raggi del sole erano talmente forti da spaccare le pietre e la stanchezza ricominciava a prendere possesso del mio corpo. Non mi fermai, non ne avevo il tempo.

La Guerriera Rossa stava per fare la sua mossa, avrebbe attaccato a breve la nostra dimora... E poi c'era Kaito...

Ero certo sarebbe venuto anche lui, me lo sentivo dentro... Chi altri avrebbe potuto radere al suolo uno dei suoi territori? Chi altri avrebbe potuto uccidere a sangue freddo la sua futura sposa? Certamente sapeva chi andare a cercare, sapeva chi meritava la sua vendetta...

Mi prenderò tutte le responsabilità che i miei gesti comporteranno...

In lontananza, vidi finalmente le alte mura del Castello del Sole e sapevo che ad attendermi c'era la mia sorellina, preoccupata per la mia assenza prolungata.

Alla mia vista, la sentinella fece aprire l'enorme portone di legno e di nuovo sentii le lacrime rigare le mie guance.

 

“L-Len? Cosa ti è successo?” chiese Rin, il cui bellissimo volto era deformato dal terrore. Lo notai subito, nel riflesso dei suoi occhi, la mia immagine aveva qualcosa di diverso, di inquietante per certi versi.

Come se quello non fossi io, bensì una versione più 'Oscura' uscita fuori da un mondo alternativo.

“Ho esaudito il tuo desiderio...”

“M-Ma t...”

Posai l'indice della mano destra sulle labbra, facendole segno di non dire una parola.

“Va tutto bene, mia Principessa... Sono il tuo servo e per te, se necessario diventerò persino un demone...”

Non riuscii a terminare la frase, Rin mi gettò le braccia al collo e mi strinse forte.

La sentii piangere, ma fui certo di una cosa: quelle non erano lacrime di gioia, eppure non riuscii a capire cosa le provocasse. Ero troppo stanco per interessarmene.

La allontanai un poco e le sorrisi, rassicurandola: “Non preoccuparti, è stata una mia decisione.”

Udii le campane suonare, come quel giorno di tanto tempo fa.

Mi mancano quei tempi, vorrei poter tornare indietro. Ma quel che è fatto, è fatto.

Le sfiorai la guancia destra, sulla manica della mia camicia risaltavano con forza piccole chiazze ramate. Notai Rin rabbrividire, perciò abbassai la mano e mi voltai.

“È quasi l'ora della merenda! Vado a farmi una doccia e poi ti porterò qualcosa di buono da mangiare, ok?”

La lasciai nella sua stanza, al canto dei canarini e andai verso il corridoio, dove incaricai una domestica di preparare qualcosa per Rin.

“Ho delle faccende da sbrigare...” le dissi sbrigativo.

Entrai nella mia camera, che, come ogni singolo luogo del Castello sembrava immobile e innaturale, e mi chinai sul pesante baule in cui conservavo tutti i miei averi.

Notai una vecchia spada di legno tra quel piccolo mucchietto di cianfrusaglie. Subito i ricordi del mio apprendistato riemersero nella mia mente e provai una fitta al cuore.

Kaito aveva fatto tanto per me, mi aveva accolto nella sua casa e mi aveva sempre trattato come un fratello e io, l'assassino della sua sposa, come l'avevo ripagato?

Provai un brivido che mi attraversò le mani, poggiate sulla lama scheggiata, e mi morsi il labbro.

“Lui verrà e me la farà pagare... Non c'è perdono per una persona come me...”

Mi sedetti con la schiena poggiata sul baule e chiusi gli occhi.

 

Era una calda giornata d'estate e sedevo nella carrozza con i miei genitori. Non mi guardavano, né tanto meno mi rivolgevano la parola. Il loro sguardi erano puntati sul veloce scorrere della strada, sulle sfuggenti figure degli alberi che si susseguivano sotto ai raggi del sole di mezzogiorno.

Sapevo sarebbe successo qualcosa di importante, ma quel qualcosa doveva averli scossi talmente da aver paura di parlarmi. Il loro silenzio era opprimente, talmente pesante da far concorrenza all'afa di luglio.

Attesi a lungo che dicessero qualcosa, che mi chiedessero almeno come stavo, ma nei loro occhi c'era solo tensione.

Fu uno dei viaggi più lunghi della mia vita, o forse la pensavo così perché ero solo un bambino? Non ci feci caso, perché la mia mente era indirizzata a tutt'altro: Rin non era con me in quella carrozza e ciò mi faceva sentire a disagio. In quel piccolo e raffinato abitacolo mancava una persona che potevo considerare una parte imprescindibile di me e, mio malgrado, sapevo che non l'avrei rivista per moltissimo tempo.

Una volta arrivati, venni accecato dalla luce del sole del tardo pomeriggio, ma quando i miei occhi si abituarono all'esterno, vidi per la prima volta quel castello, con le sue guglie e le sue grandi vetrate.

Ma la cosa che più mi colpì fu il colore: blu, blu ovunque, come se mi trovassi tra le onde dell'oceano più limpido.

Quel giorno il sole brillava alto e sotto a quella meravigliosa luce estiva c'era lui, una figura minuta in mezzo a due adulti.

“Benvenuti, vi stavamo aspettando!” disse quello che da quel momento in poi chiamai zio, mentre da dietro il suo largo mantello di velluto spuntava il viso di un bambino più grande di me.

Ci guardammo a lungo. Ero esausto dal viaggio, ero preoccupato, non sapevo a cosa stavo andando in contro. Lui intanto mi sorrideva, nei suoi occhi notai una scintilla di eccitazione, forse felicità, ma non ne fui sicuro in quel momento; solo più tardi compresi la profonda solitudine che lo attanagliava, la solitudine tipica di chi non aveva nessun altro con cui condividere i momenti belli della vita.

Io avevo Rin, ma ero lontano, in un posto sconosciuto con dei perfetti estranei.

I miei genitori parlavano con l'altra coppia di adulti, mentre il bambino dai capelli blu come il mare mi guardava, sempre con quell'espressione speranzosa sul volto.

“Vuoi diventare mio amico?” mi chiese con un sorriso. Non risposi ma contraccambiai il suo gesto, senza pensare troppo a quello che sarebbe successo. Già allora desideravo tornare da Rin e non mi importava di nient'altro.

 

Sentii il vecchio pavimento scricchiolare sotto al mio peso e riaprii gli occhi. La stanza era buia, l'aria sapeva di umido e una fresca brezza filtrava attraverso i vecchi montanti della finestra.

Girai la testa per vedere il cielo, che scoprii essere pieno di stelle, poi provai una dolorosa fitta alla base del collo.

“Devo essermi addormentato...” mormorai, cercando di tirare i muscoli indolenziti delle spalle e della schiena, su cui sentivo dei solchi formati dalla pressione col baule.

Mi rimisi in piedi e poggiai le mani sul piccolo davanzale.

Ripensai a quello che doveva essere un sogno, o forse un ricordo voluto dalla mia coscienza e dai sensi di colpa che stringevano in una morsa la mia anima.

Non solo avevo fatto del male ad una persona innocente, la ragazza che per la prima volta mi ha fatto conoscere un tipo di amore che non fosse quello fraterno, ma avevo tradito l'amicizia della persona che mi aveva accolto nella sua dimora.

Sospirai e ripensai alla sua domanda.

“Vuoi diventare mio amico?” ripetei a voce alta, senza curarmi di accendere almeno una delle lampade a olio.

Non ti perdonerà mai, rispose la mia coscienza stizzita. Come pensi possa farlo?

Gettai un occhio alla spada di legno che usavamo per allenarci e scossi la testa, pensando che nessuna persona al mondo avrebbe perdonare un assassino come me.

Mi chinai di nuovo verso l'interno del baule e rovistai ancora tra vecchie cianfrusaglie e ricordi d'infanzia, fino ad incontrare una vecchia camicia bianca e dei pantaloni di tela nera.

Sospirai ancora, l'aria calda emessa dalla mia bocca sfiorò i miei indumenti e sorrisi... O almeno ci provai.

“Non credo che possa essere considerata redenzione... Ma so che almeno Rin non pagherà per le sue azioni...”

 

*****

 

Ignorai quanto tempo passò da quella notte, non mi importava più sapere che giorno fosse, volevo solo dimenticare.

Come si può dimenticare un tale crimine? Come fai ad andare avanti con questo peso?

Abbandonai per l'ennesima volta quei pensieri che mi tormentavano da una settimana a quella parte, in favore di qualcosa di molto più grande e pericoloso.

Ero nella mia stanza, forse l'unico luogo che ancora mi dava un senso di sicurezza, con lo sguardo fisso alla finestra che dava sul giardino, in direzione del grande cancello d'ingresso.

La luce ambrata del tramonto permeava ogni singolo arbusto e cespuglio, i gelsomini bianchi che tanto amavo avevano assunto una deliziosa tonalità dorata, perfettamente in tinta con il colore dominante del Castello, ma qualcosa si imponeva prepotente su quella vista che altrimenti sarebbe stata rinvigorente. Poco fuori il cancello in ferro battuto, attraverso le complicate trame floreali delle sbarre, si intravedeva una folla inferocita, le cui torce andavano a mescolarsi con il tenue bagliore del tramonto.

Ma furono due le figure che più attirarono la mia attenzione. Riuscivo a vederli bene, la mia vista era sempre stata molto acuta e non feci nessun tipo di fatica a riconoscerli.

In piedi, con la spada sguainata, capeggiava una donna dalle curve prominenti e i capelli corti, ispidi, quasi da uomo e gli occhi color argilla rossa (sangue), carichi di determinazione e risentimento. Poi, al suo fianco, c'era un uomo, poco più alto di lei, dai capelli di un blu intenso (lacrime), con gli occhi coperti da una maschera bianca, contornata da interessanti disegni arabescati dello stesso colore della sua chioma.

“Allora è davvero giunto il momento?” domandai al vuoto.

Credi davvero?, fu la risposta acida di quella parte del mio subconscio che aveva iniziato da poco a imporsi tra i miei pensieri, perché troppo attaccata alla figura di Miku e troppo in colpa a causa delle mie azioni.

“Credevo di avere più tempo...”
Tempo per cosa?

“Per scappare via con Rin, ma non farei alto che alimentare questo senso di colpa e te...” feci, come se stessi veramente parlando con qualcuno fisicamente presente nella stanza.

Tsk, qualunque cosa tu faccia, sai già che sarai destinato all'Inferno. Le tue azioni non possono essere perdonate.

“Hai ragione...” Sentii le labbra inarcarsi in un debolissimo sorriso, immaginando di avere Miku davanti, perché in cuor mio sentivo che era veramente lei a parlarmi.

La voce non disse più nulla, non sembrò nemmeno voler gongolare della sua vittoria, perciò mi preparai a quello che stava per succedere. Afferrai i miei vecchi vestiti e mi diressi nella stanza di Rin, strascicando i piedi per i lunghi corridoi del castello, che quasi sicuramente non avrei più rivisto.

 

Ero di fronte alla porta della sua camera da letto e feci per bussare, ma la mia coscienza decise di intervenire ancora, alimentando quella frustrazione che mi attanagliava da giorni.

Perché continui a volerla proteggere? È per colpa sua che stai così male. È per colpa sua che hai dovuto uccidere Miku.

“Fa' silenzio...” mimarono le mie labbra, senza che alcun suono ne uscisse.

Davvero la sua vita vale più della tua? Davvero i suoi capricci valgono più della tua felicità?

“Stai zitta!” ringhiai violentemente, tanto che mia sorella venne ad aprire la porta.

Intanto, la voce della mia coscienza smise di nuovo di parlare, in attesa di un mio passo falso da additare immediatamente.

“L-Len? Che ti succede? Sei pallido...” fece Rin, nei cui occhi notai una profonda preoccupazione.

Entrai senza risponderle, ormai lo facevo da parecchi giorni, perché una parte di me (forse quella a cui apparteneva quella voce) si era arresa e non sembrava più voler avere a che fare con il mio ruolo di servo. La Principessa cercò di dire qualcosa, ma le sue parole vennero soffocate da un verso di rabbia e rancore.

“Si può saper che cosa ti prende?! Che cosa ti ho fatto di male?!” urlò poi alle mie spalle, mentre la mia attenzione si posava nuovamente alla folla che potevo scorgere dalla finestra.

“Len, ti ordino di rispondermi!”

Sai cosa mi hai fatto? Mi hai reso un mostro!, disse la voce nella mia testa. Mi sforzai con tutte le mie forze per impedirle di prendere il controllo della mia bocca, poi presi un profondo respiro.

“È stata una mia scelta...”

“Come hai detto?!” chiese Rin, sempre più aggressiva. Poggiai la mano destra sul vetro freddo della finestra, allontanando con la sinistra le tende che mi sfioravano le spalle, illuminate da flebili riflessi ambrati. Scossi ancora la testa nella speranza di cacciare quella voce, che solo allora volli ricollegare a qualcuno. Miku? No, era fin troppo lontana dall'essere lei, era fin troppo maligna per essere la dolce ragazza che mi aveva rubato il cuore. Kaito? Forse, ma non ne ero certo.

Chi credi che io possa essere?, interruppe la voce sempre più stizzita, con tono quasi glaciale.

“Len! Non mi hai sentita?!” urlò ancora Rin, avvicinandosi alla mia destra e prendendomi il braccio. La sua stretta era salda, carica di rabbia, ma allo stesso tempo tremava.

“Guarda fuori...”

Indicai meccanicamente il cancello d'ingresso la cui ombra s'allungava sempre più verso il centro del giardino in una lama d'ombra. Indicai la folla, tra cui identificai altre persone incontrate precedentemente, mentre attendevo che la Principessa dicesse qualcosa in merito.

Hai ancora la possibilità di consegnarla a chi di dovere. Hai ancora la possibilità di ricominciare daccapo.

Cercai ancora di dare un nome a quella voce, poi sentii la presa della mia gemella farsi più debole.

“Sono qui per me?”. La sua voce tremava, notai i suoi occhi azzurri inumidirsi e le guance farsi paonazze.

Tsk, lacrime di coccodrillo... Se l'avessi conosciuta prima per quella che è, adesso Miku sarebbe ancora viva e tu non saresti in questo mare di guai...

Ebbi un sussulto che notò anche Rin. Finalmente riuscii a dare un'identità a quella voce che tanto alimentava i miei sensi di colpa.

Hai capito chi sono?

Annuii e lasciai che la voce del me bambino continuasse a infierire. Avevo deciso e non avrei cambiato idea per nessun motivo al mondo. Dopotutto Rin era la cosa più importante che avevo.

La strinsi forte tra le braccia, inebriandomi del suo profumo, assaporando il suo corpo premuto contro il mio, mentre le dita si avvolgevano ai suoi capelli. Le baciai la guancia destra e poi mi decisi a parlarle: “Tutto ciò che abbiamo fatto, tutto il male che abbiamo provocato... Sarò solo io a pagare...”

“Di che stai parlando?” balbettò. Notai un singhiozzo e una lacrima repressa.

L'allontanai e le porsi i miei abiti, più un altro cambio di vestiti messi nel mio sacco da viaggio.

“Tieni, questi sono i miei vestiti. Indossali e scappa!”

Lo vuoi davvero?, chiese il me bambino, con una punta di rammarico. Perché?

Perché è quello che desidero.

Rin non riusciva a capire, così come la voce, allora le sorrisi cercando di tranquillizzarla. La mia mano sfiorò la sua guancia, il pollice le toccava il mento, poi udii un tonfo metallico. I miei occhi guizzarono all'esterno e vidi l'esercito di rivoltosi entrare come un fiume nel giardino, in direzione del portone.

“Sbrigati!”

“M-Ma capiranno che non sono io...”

“Non ti preoccupare... Siamo gemelli e nessuno sa della mia esistenza, nessuno lo noterà. Di questo puoi stare tranquilla.”

La condussi velocemente verso il suo armadio, dove la feci entrare al posto di un suo abito estivo. Mi guardò con aria interrogativa e una lacrima le scese sul viso.

“Non piangere, andrà tutto bene...”

Ne sei davvero sicuro?, chiese insistente la voce, a cui sorrisi mentalmente come se volessi tranquillizzare anche lei. Le urla del popolo si facevano più vicine, sentivo le guardie difendere a spada tratta le stanze che precedevano quelle di Rin. Iniziai a udire lo scoppiettare delle fiamme, numerosi cocci andare in frantumi.

“Aspetta qui dentro finché il castello non si svuota, poi scappa via, verso il porto! Andrà tutto bene...”

Le rivolsi un ultimo sorriso e mi sciolsi i capelli, per poi chiudere l'anta del guardaroba sulla figura spaventata della mia amata gemella.

Addio...

Mi spogliai velocemente per indossare i panni della Principessa e accogliere il suo destino. Mi muovevo meccanicamente, con la mente svuotata da ogni pensiero, nemmeno la voce del me bambino osava dire qualcosa: qualsiasi cosa sarebbe successa, sapevo meritava la più totale austerità. Non mi rendevo pienamente conto di quello che stava succedendo finché non alzai lo sguardo e incontrai il mio riflesso nello specchio.

Nella lunga e stretta lastra di vetro, si stagliava la figura di una ragazza dai capelli biondi, che cadevano leggeri sulle spalle strette al petto. L'abito mi ricadeva fastidiosamente sulle anche, la gonna sembrava tirarmi giù come fosse fatta di ferro e i delicati ricami di filo d'oro mi causavano un leggero prurito.

“Non credevo ci assomigliassimo così tanto...”

Verrai condannato, commentò la mia coscienza abbattuta per non essere riuscita a farmi cambiare idea. Verrai condannato al suo posto.

“Se Rin verrà giudicata come un demone... Beh, allora lo sono anche io, dopotutto nelle mie vene scorre il suo stesso sangue...”

Non hai tutti i torti.

“Sono contento che almeno su qualcosa siamo d'accordo...” sorrisi quando la porta si spalancò violentemente.

La stanza era sommersa da una delicata luce dorata, le ombre degli alberi e dei montanti delle finestre si allungavano creando un disegno modulare sul pavimento di legno. Gli uccellini avevano smesso di cantare, tranne i canarini di Rin, che sembravano soffrire le pene dell'inferno, forse le stesse che avrei sofferto io.

“Benvenuti...” dissi muovendomi verso la gabbietta d'oro, sotto gli occhi inquisitori dei miei ospiti. Gli uccellini saltellavano sulle varie stecche di legno, come piccoli trapezisti gialli, al ritmo dello scoppiettare delle torce. Aprii la porticina e li accolsi sulle mie dita, in attesa che Meiko o Kaito dicessero qualcosa.

I due guerrieri erano immobili, sulla soglia della stanza, con il viso contratto in una smorfia di sgomento.

Sanno che non sei tu quello che cercano... commentò il giovane Len nella mia testa, con lo stesso tono tipico dei bambini spaventati.

“Cosa desiderate?” chiesi portando gli animaletti verso la finestra aperta più vicina. Meiko deglutì pesantemente e mi puntò la spada contro. Provai uno strano senso di sollievo nel vedere che mi aveva riconosciuto, ero felice che non ci fosse Rin al mio posto.

“Sono qui per conto del popolo! Sono qui per riprendere ciò che ci appartiene di diritto!” furono le sue parole, dure e taglienti come la lama che teneva in mano. Dietro di lei si levò un feroce grido di guerra, ma non mi importava molto. Ciò che aveva attirato la mia attenzione era Kaito, che si guardava attorno guardingo, sospettoso, alla ricerca della mia Principessa. I suoi occhi, nascosti dalla sua maschera, erano umidi, lo notai bene, ed erano carichi di odio, che si rifletteva nella mano tremante e stretta sull'elsa della sua spada.

Feci volare via i canarini nel cielo ambrato, ricordando quei pochi anni che trascorsi al fianco di Rin, giocando ad acchiapparella e a nascondino. Sorrisi a quei ricordi così nostalgici, poi mi voltai verso i miei ospiti con un sorriso beffardo e strafottente.

“Allora cosa vuoi fare?”

“Non mi provocare! -ringhiò fendendo l'aria con la spada- Prendetela!”

La donna e il Re del Blu vennero superati da una decina di uomini che mi vennero incontro con catene e funi, che utilizzarono per immobilizzarmi.

Non ti saresti comunque opposto, è vero?

Non ne avrei motivo, visto che ho già accettato il mio destino.

Anche se non sono totalmente d'accordo con quello che stai facendo, ammiro molto il tuo coraggio.

Sorrisi e mi voltai l'ultima volta verso l'armadio in cui era nascosta Rin, con la speranza che scappasse lontano, al sicuro da tutti.

Ti voglio bene, Rin.

 

*****

 

Il cielo era limpido, il sole splendeva alto e l'aria che filtrava dalla finestra era così frizzantina. Avevo trascorso la notte insonne, pensando a dove fosse Rin, a dove si sarebbe diretta appena al sicuro, senza che potessi minimamente immaginare chi avrebbe potuto aiutarla.

Manca poco, vero?, chiese la voce atona, sicuramente spaventata da quello che stava per accadere.

“Non lo so... Hai paura?”

Io sono te, come pensi che mi senta?

Mi lasciai sfuggire una risata, sapevo esattamente cosa provavo e feci quella domanda perché, probabilmente, avevo bisogno di parlare con qualcuno in quella lurida cella.

“Con chi stai parlando?” chiese Meiko apparendo da dietro le sbarre, su cui poggiò le mani avvolte da guanti di cuoio rossastro. La ignorai per pochi istanti, guardando ancora quel minuscolo spicchio di cielo che mi era dato di contemplare. Passai piano le mani sulla gonna e sospirai, sorridendo mentalmente al me bambino, rimasto incantato da quella porzione azzurra.

“Con la mia coscienza... Mi crederai pazza, non è vero?”

“Smettila di parlare al femminile, so che non sei la Principessa!” ruggì la guerriera, l'angolo sinistro delle labbra leggermente inarcato verso l'alto.

“Sapevo che mi avresti riconosciuto... Abbiamo parlato una volta sola, ma da allora i nostri destini si sono irrimediabilmente intrecciati, non è vero?”

Mi chiedo ancora come tu faccia a non avere paura...

Diede un pugno sulle sbarre e ringhiò, furiosa: ”Non dire stupidaggini! Dov'è quel demone?!”

“Ce l'hai di fronte... -risposi pacatamente, seguendo con le dita i leggeri ricami della gonna- Le mie azioni fanno di me un demone a tutti gli effetti.”

“Non era certo così che immaginavo sarebbe finita... Mi avevi dato un'impressione completamente diversa quel giorno, credevo volessi sopravvivere e stare con lei...”

Lo avrei voluto davvero.

Mi alzai e le sfiorai la mano: “Ho fatto cose che non possono essere perdonate, se non con il mio sangue...”

Una scintilla di odio si accese nei suoi occhi, un barlume di rancore mi fece sussultare e rabbrividire; sembrò voler dire qualcosa, ma si morse il labbro per evitare di far uscire quelle parole dalla sua bocca. Scacciò la mia mano e colpì ancora la cella, per girarsi e andarsene indignata.

“E io che volevo chiederti se volessi cambiare idea, se volessi consegnarci quel demone... Sono stata una stupida a crederlo...”

“Immagino avresti fatto lo stesso per tua sorella; da come me ne hai parlato, dovevi volerle molto bene...”

La donna fece dietrofront e mi afferrò per il colletto, limitando le sue mani a quello e non alla mia gola: “Non osare parlare di lei, voglio ricordarti che è morta a causa delle azioni della tua gemella...”

“Mi ricordo bene il nostro incontro, le tue parole mi hanno spinto a continuare a proteggere Rin...”

Ti prego, smettila, fece il me bambino esasperato dalla situazione. Non alimentare ancora di più il suo odio.

Non so cosa mi spinse a parlarle in quel modo, ma stranamente mi sentii alleggerito da un peso che mi portavo dietro da tempo.

“Allora sappiamo entrambi come finirà... -disse allontanandosi- Ho un'esecuzione da preparare...”

La guardai andare verso la sua destra, per uscire dal corridoio su cui dava la cella, e decisi un'ultima volta di fermarla.

“Aspetta! Kaito, l'uomo che ti ha accompagnato... Era un mio caro amico... Ti ha detto se mi ha riconosciuto?”

“Chiediglielo tu stesso.” fu la sua risposta stizzita e indispettita, facendo segno col capo all'uomo nascosto dietro al muro.

“Hai detto bene... Non sono più tuo amico!”

Questo si avvicinò, con fare lento e minaccioso, non aveva più niente di amichevole. Non era più mio amico, né tanto meno quel ragazzo che consideravo come un fratello. Rimase in silenzio, a fissarmi dalla testa ai piedi, dietro a quella maschera teatrale che nascondeva la sua identità ai più. Si muoveva nervosamente avanti e indietro, con le mani dietro la schiena e il respiro corto.

Osai emettere un suono, l'iniziale del suo nome ebbe la fortuna di uscire dalle mie labbra, cosa che il resto della parola non ebbe.

Mi ritrovai a terra, uno strano sapore ferroso mescolato alla saliva mi riempiva la bocca.

“Non sarò gentile come Meiko! Come hai potuto?!” chiese velocemente, con la voce tremante e roca, piena di rancore e odio. Abbassai lo sguardo, non avevo la forza di guardarlo in faccia a causa di quello che avevo fatto. Fissavo i suoi piedi, vicino ai quali cadde la maschera.

“Alzati!”

Obbedii senza riserve.

“Mi odi? Non posso biasimarti... Anch'io provo odio per me stesso...”

Lo sentii stringere i denti, poi la porta si aprì cigolando. Si avvicinò minaccioso, pronto a colpirmi di nuovo, perciò chiusi gli occhi e attesi un pugno che non arrivò mai.

“Smettila di dire scemenze! Come hai potuto fare una cosa del genere?! Come?!”

Mi scosse forte per le spalle con l'intento di farmi male, come se volesse che sputassi quella risposta di cui aveva tanto bisogno.

“Miku non aveva mai fatto del male a nessuno! Era la persona più buona e generosa che avessi mai incontrato... E tu me l'hai portata via!”

“So che quello che ho fatto è imperdonabile... Tutto quello che ho fatto, è stato fatto per la felicità di Rin...”

“Credi che quello sia un buon motivo? Credi sia giusto distruggere la felicità di uno per soddisfare quella di un altro?”

Il tono della sua voce mi fece provare, per la prima volta da quando avevo accettato il mio destino, la paura per quella che è, la paura per la morte.

Sei sicuro sia quella, quella che stai provando?

No, ma ci si avvicina...

“Non è assolutamente giusto, è per questo che sono qui... Per pagare...”

“Non ha senso ucciderti adesso, il popolo si aspetta di veder rotolare la testa della Principessa, o perlomeno la tua...”

In quell'istante arrivò un vecchio contadino dall'aria molto trasandata che bisbigliò qualcosa all'orecchio di Kaito. Questo annuì e con un cenno del capo mandò via l'uomo, che, prima di scomparire per il lunghi corridoi delle prigioni del castello, mi lanciò un'occhiata divertita e soddisfatta. Quello che il nostro popolo aveva sempre desiderato stava per accadere, la testa di chi li aveva fatti soffrire così tanto sarebbe rotolata giù negli Inferi.

Il Re del Blu si voltò e mi ordinò di seguirlo.

“Vieni, sarò io a portarti al patibolo...”

“Spero solo che questo possa metterti l'animo in pace...” mormorai, con la speranza che dopo quel pomeriggio lui non avrebbe sofferto più, che la vendetta sanasse quella profonda ferita che gli avevo inferto.

“L'unica cosa che potrebbe ridarmi la pace, sarebbe avere di nuovo Miku al mio fianco.”

Non dissi nulla, ascoltavo i nostri passi riecheggiare sulla pietra, soppesando la possibilità di chiedergli se sapeva ciò che lei provava veramente.

Sarebbe una cosa stupida, commentò la voce nella mia testa, nonostante fosse lei a ricordarmi costantemente quegli ultimi istanti trascorsi con Miku.

Sto per morire, non ho più nulla da perdere.

Una lacrima scese piano, poi Kaito parlò: “Lei per me era tutto. Dopo la tua partenza, ripiombai in quella spirale di solitudine che mi aveva sempre afflitto. Non hai idea di quanto ti invidiassi!”

“Cosa?”

“Stavi tornando da tua sorella, avresti realizzato il sogno di stare di nuovo con lei, come mi raccontavi sempre... Ma non ti sei mai accorto di quanto soffrissi nel sapere che te ne saresti andato senza mai tornare.”

“N-Non credevo s-stessi così male...” mormorai, mentre un nuovo senso di colpa mi accoltellava il cuore.

“Ma poi è arrivata lei... È stato come rivedere la luce... Qualsiasi cosa facesse, la faceva col sorriso. Amava tanto la vita e voleva bene a tutti...”

La sua voce si ruppe, le parole smisero di uscire e i pugni si strinsero nuovamente.

“Lei ti ricambiava?”

Si girò e mi sferrò il pugno che aspettavo da parecchi minuti: “Certo che non mi amava! Da quando vi siete incontrati, non faceva altro che parlare di te! Voleva sapere tutto, voleva che le raccontassi ogni cosa di te... Non pensava più a me...”

“Ha pensato a te fino alla fine, ha detto di aver rinunciato alla sua libertà per renderti felice, nonostante volesse provare a stare con me... Non voleva che nessuno dei due stesse male... Era molto combattuta.”

“Basta così, voglio porre fine alla tua vita il prima possibile!”

 

*****

 

Eccoci qui, non è vero?

“Già, eccoci qui...”

Mi guardo attorno. Sono su una piattaforma di legno costruita appositamente per quest'occasione, al centro del campo di addestramento dei soldati, circondato da una folla di persone urlanti. Ci sono molte più donne e bambini, più giovani tornati dal fronte e tanti anziani. Alzo gli occhi verso il cielo limpido, azzurro e senza nuvole, perfetto per fare una passeggiata. L'aria non è per niente calda, una delicata brezza soffia dal mare e il sole delle tre si riflette sulla lucida lama della ghigliottina.

Meiko mi conduce sul poggiapiedi di fronte alla gogna in attesa del mio collo. Le mani tremano, il mio passo è incerto.

Non potrebbe essere altrimenti, commenta ancora la mia coscienza, l'unica che posso ancora considerare un'amica. Sorrido mentalmente, mentre vengo spinto a forza sull'incavo di legno che mi graffia la pelle.

“Hai qualcosa da dire? Puoi ancora salvarti la vita...”

Scuoto la testa con gli occhi chiusi: “Non tradirò mia sorella... Anche se il mondo intero diventasse suo nemico, io diventerei persino un demone pur di proteggerla...”

“Va bene, al suono delle campane, questa lama calerà su te...”

Annuisco e guardo per un'ultima volta Kaito, che rifiuta di incrociare i miei occhi, forse per quello che ho appena detto, o forse per quello che ho fatto. In ogni caso non importa più.

Ti aspetta solo la morte.

Sospiro, in attesa che il tempo passi. Mancano cinque minuti e l'attesa è snervante.

Vorrei solo poter rivedere Rin...

I miei occhi si chiudono, affaticati dalla luce del sole, le spalle si fanno pesanti e la schiena inizia a far male.

Vorrei che tutto finisse adesso... Non voglio più aspettare...

“Len!”

Una voce chiama il mio nome in mezzo alla folla e i miei occhi si aprono di scatto. Quello che vedo scatena un turbine di felicità e preoccupazione. Rin è di fronte alla piattaforma, con il cappuccio tirato fino a coprirle metà del volto.

Ha le lacrime agli occhi ed è spaventatissima. Trema come una foglia e respira affannosamente, mentre i suoi occhi sono puntati alla pesante lama che pende sopra il mio collo.

“Non aver paura...” faccio senza far uscire un suono. Lei annuisce e si sforza di sorridere, quell'immagine mi rincuora e mi sento bene. Felice.

Le campane suonano. Tutto tace.

Sento la lama fendere l'aria.

“Oh, è già l'ora della merenda?”

.

.

.

.

.

Perdonami... Semmai avessi la possibilità di rinascere, di rivederti sorridere... Beh, mi piacerebbe poter giocare ancora con te...

 

 

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Angolo Autrice ^^"
Beh, che dire? Sempre più lenta e sempre più logorroica... Circa ^^"
Lo so, ormai pubblico ogni morte di papa, colpa degli esami >.< ma finalmente ho trovato il mio giusto ritmo u.u (che infrangerò appena la mia ispirazione deciderà che non ne può più)
Ok, come al solito, spero che il capitolo vi piaccia e che abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate (critiche sempre ben accette!)
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito e seguito questa storia e al prossimo aggiornamento!

Un bacione!!
Dark Sun

   
 
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