Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    14/02/2015    6 recensioni
Tutti abbiamo degli scheletri nell'armadio, segreti che non vorremmo che mai e poi mai fossero rivelati, giusto? Bene. Anche Milo di Scorpio ne ha uno. E bello grosso, pure. Che proviene dritto dritto dal suo passato. E che salta fuori, all'improvviso, da un anonimo quaderno con la copertina bordeaux...
[Baby!Gold Saint!]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Shion, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Colui che è capace di sorridere quando tutto va male,
è perché già ha pensato a chi dare la colpa.
(Confucio)

 
 
 
«Il Sacerdote ha detto di partire immediatamente.» 
Milo glielo ricorda, mentre tornano indietro. Camus ha tutta l'aria di chi vuole cincischiare, perdere tempo, procrastinare l'inevitabile. Lui se l'aspettava. Lui ha capito che sotto quell'aria angelica si nasconde una canaglia da manuale; ma non una canaglia simpatica, tutt'altro: uno stronzo fatto e finito, pronto ad accoltellarti alla schiena quando meno te l'aspetti.

«La mia idea è quella di non dare nell’occhio. Non voglio che il nemico si accorga di noi.»
«Immediatamente significa subito
«Significa subito anche in francese. Ma la fretta è cattiva consigliera. E due ragazzini che viaggiano da soli, di notte, attirano gli sguardi dei curiosi. E non ho nessuna intenzione di rompermi l’osso del collo scendendo a trovare Saga alla luce della luna.»
«Dirai questo, al Sacerdote? O che hai paura del buio?»

Camus entra nel dormitorio a grandi falcate.
«Dobbiamo prima raggiungere Atene. Anche se partissimo adesso, a quest’ora non troveremmo più pullman che vadano a Capo Sounion.»
«Pullman?!», gli chiede, con lo stesso tono con cui esclamerebbe: «Tu sei pazzo!».
«Alla strategia penso io», E quand’è che saresti stato eletto capo?, pensa Milo. «Tu  parlerai con Saga.»
«E quand’è che saresti stato eletto capo?!»
Non è riuscito ad impedirsi un tono scandalizzato, nervoso, furioso. Un tono che non promette niente di buono. Anzi.

Camus si stringe nelle spalle. «È la scelta più logica. Il mio greco non è così fluente come il tuo.»
«Eggrazie
«Dovrai aprire bene le orecchie, perché dubito che Gemini ci affiderà qualcosa di scritto.»
«Dici?»
«Dico. Se il Sacerdote ci invia in coppia», e a quella parola Camus ha un brivido involontario, brivido che non sfugge all’altro, «è perché è sicuro che il nemico stia tenendo d’occhio Saga. E Saga lo saprà, quindi figurati se potrebbe mai affidarci qualcosa di scritto. Qualcosa che possa cadere nelle mani sbagliate!»
«Bah. Per me è tutta una balla», soffia fuori Milo, con la stessa noncuranza con cui si sbilancerebbe sul tempo di domani. Soleggiato? Nuvoloso? Chi lo sa?
«Possibile. Probabile. Sicuro, anzi. Ma non ne abbiamo la certezza. E siamo in missione. E ogni missione…»
«… è un ordine di Athena. Lo so, lo so.»
«Bene. Allora vuoi preparare il tuo zaino? Partiremo prima che albeggi, così da essere ad Atene per salire sul primo pullman.»
«Ho un’idea migliore», dice Milo, una luce sfavillante nello sguardo azzurro mare. «Partiamo adesso…»
«Adesso? Ma hai sentito una sola parola di quello che ho detto?!»
«… e pernottiamo ad Atene.»
«E dove?», gli chiede Camus.
«Lascia fare a me, stratega…»


Alla base dell’Acropoli, appena oltre la cancellata marrone, c’è una stradina che si infila tra le case ed i vicoli di Plaka. Tre gradini oltre i cancelli si trova il Kallistê, subito sulla sinistra – sulla destra se si prende la stradina venendo dal centro della città. Non ci si può sbagliare: c’è un pergolato che si affaccia sui budelli di Plaka, i tavoli coperti da tovaglie a quadretti e un grosso gatto grigio che dorme sulle cassette di plastica, o tra i limoni.

Il cancelletto basso avrebbe bisogno di una bella verniciata, ma a zio Kostas non va a genio l’idea di mettersi a scartavetrare la vecchia copertura verde scuro, passare l’antiruggine e poi la vernice nuova. Bianca, magari, come sua madre –nonna Melpomenê – chiede da un po’.
«Troppo lavoro», dice, sedendosi a leggere il giornale accanto alla cassa; né è propenso a pagare qualcuno che faccia quel lavoraccio al posto suo. «Costerebbe troppo», aggiunge, liquidando così la questione. «Magari, appena Milo è libero, mi faccio aiutare da lui», ma Milo si vede sempre di meno, laggiù, e Kostas ancora non sa che quell’innocuo appena Milo è libero si realizzerà, sì, ma dopo quasi vent’anni, e per intercessione di una gonnella. Ma questo è il futuro, e adesso non ci interessa. Ci interessa parlare di stasera, e stasera Kostas sta fumando una sigaretta sventolandosi con il giornale, un bel bicchiere di vino bianco ghiacciato davanti a sé ed il libro della contabilità aperto per inganno sul tavolo. E quasi non crede ai suoi occhi quando vede il figlio di sua sorella affacciarsi oltre la cancellata e scavalcarla con un gesto fluido, nemmeno fosse una staccionata.

Kostas balza in piedi, la sigaretta che rimane nel posacenere sul tavolo e la sedia che si rovescia sul pavimento.
«Milo!», esclama – trilla – andandogli incontro. Suo nipote sarà anche grande, sarà anche un Santo d’Oro – buona grazia di suo padre, che il Diavolo se lo porti! – ma è pur sempre il figlio di sua sorella. Ed un abbraccio stavolta non glielo toglie nessuno. Kostas spalanca le braccia e afferra quel ragazzino dai capelli ricci con un gesto fluido, portandoselo al petto.
«Disgraziato! Ti pare questa l’ora di rientrare?!», gli dice, scompigliandogli i capelli. «Mamma! Mamma!»
«Shhh!! Sono in missione», protesta Milo, cercando di divincolarsi dalle braccia forti dello zio con non troppa convinzione.
«Eh?», domanda Kostas guardandolo negli occhi. Come assomigli a tua madre, pensa.
«Sono in missione. Con un francese!», sibila Milo. Scandalizzato, quasi. «Possiamo pernottare qui?»
«Certo che sì! La tua stanza è sempre…»
«Shh!», bisbiglia il prode Scorpione. «Sono in missione. Non posso far sapere che voi siete la mia famiglia. Per proteggervi, lo sai!»
«E?» Perché Kostas è sicuro che sia qualcos’altro, sotto. Qualcosa di grande quanto tutto il Partenone, se non di più.

«E quel tizio mi sta profondamente antipatico. Non voglio farlo sentire a suo agio, qui!»
Sì, certo. Come no? «Quindi, cosa dobbiamo dire?»
«Tu avvisa la nonna e lascia parlare me.»
«D’accordo, piccola canaglia», dice Kostas, lasciandolo andare. «Avete cenato? Nonna ha fatto la moussakà…»
«Perfetto! Ho una fame da lupi!»
«Vai a chiamare il tuo… collega. Vi apparecchio qui fuori!», e Milo schizza via come se avesse un petardo sotto ai piedi. Kostas sorride, le mani sui fianchi, osservando la testa riccioluta di suo nipote sparire oltre il porticato. Raccoglie la bottiglia, il libro della contabilità e spegne la sigaretta nel posacenere.

«Kostas? Si può sapere cos’era quella confusione?», chiede la voce di carta secca di nonna Melpomenê.
«È tornato tuo nipote, mamma», le dice entrando. «Siamo ufficialmente in missione per conto di Athena.»
«Chi?»
«Tu, io, Milo ed un suo amico. Io scaldo un po’ di moussakà per due lupi affamati, tu prepareresti il letto?»


 
L’autobus parte dalla stazione alle sette e mezzo in punto, e nell’aria c’è quella sensazione, quel pizzicorino che frigge lungo il collo e la schiena per avvertire – per promettere – che farà molto, molto caldo.

Milo si è seduto dal lato del finestrino, una maglietta a righe ed i jeans sfrangiati al ginocchio. Il vetro è sporco e pieno di ditate, ma il panorama sarà mille volte più interessante della faccia di Camus. Camus che non ha fiatato quando il compagno si è infilato tra i sedili, senza chiedere dove preferisse sistemarsi. Si è seduto – calmo, placido, tranquillo – ha mostrato i biglietti al controllore ed ha ficcato il naso in un libro. Qualcosa di francese, qualcosa di assolutamente noioso e serio, qualcosa cui Milo è ben contento di affidarlo. E di sorridere, osservando il suo riflesso sul vetro opaco.

Viaggiano leggeri. Niente armature. Vestiti pratici, sandali ai piedi e uno zainetto in cui stipare due panini, due bibite, un libro per ingannare l’attesa e la missiva del Sacerdote per Saga dei Gemelli.

La strategia l’ha pianificata – l’ha decisa – Camus.
«Daremo meno nell’occhio, così», ha detto la sera prima con quel suo accento ballerino e quel vezzo tutto suo di ammazzare i dittonghi.
«Due ragazzini che viaggiano da soli non danno nell’occhio?»
«Siamo bambini. Nessuno presta attenzione ai bambini», ha replicato Camus. «Diremo che andiamo a trovare tuo padre. Staremo due ore su un autobus. Che c’è di strano?»

Milo si è stretto nelle spalle e si è adeguato. Milo è stato ben felice di adeguarsi. L’Acquario si crede uno stratega – anche se la sua pianificazione assomiglia più ad un suicidio? Benissimo. Il giovane Scorpione gli fornirà un altro punto di vista sulla questione. Un nuovo orizzonte, ben più ampio e profondo; una definizione più calzante di cosa s’intende per strategia. O almeno, di come la intende lui.

A Milo quella strategia convince poco. Se il Sacerdote li ha mandati insieme in missione è perché stavolta c’è la possibilità concreta di lasciarci le penne, almeno, così ha affermato il Sommo Sion. In cuor suo Milo spera che sia Camus a non fare ritorno, così da togliersi dai piedi quella rogna di un francese con una patata extralarge al posto delle adenoidi. Ma soprattutto, spera di essere lui, Milo dello Scorpione, a risolvere la situazione – e la missione – tornando al Santuario come un eroe, un salvatore della patria o tutte e due le cose assieme. Magari anche coi ringraziamenti di Saga.

Ok. Adesso stai esagerando.

«I seguaci di Poseidone si aspettano di vedere arrivare due Santi di Athena, non due ragazzini in gita», ha aggiunto l’Acquario riempiendo il proprio zaino. «Li coglieremo di sorpresa», gli ha detto – gli ha assicurato – con quell’espressione serafica che lo manda in bestia. «E potremo tornare al Santuario senza che nessuno se ne accorga.»

E se le cose non andassero così? E se, mettiamo il caso, gli sgherri di Poseidone si accorgessero di noi?, ha pensato Milo fissandolo a braccia conserte. Ma è rimasto in silenzio. A rimuginare. A pensare che se la missione fallirà, sarà tutta colpa di Camus. Lui ha pianificato la strategia, giusto? Al Sacerdote dirà la verità. «Santità, non ha voluto darmi ascolto!», e questa volta il Sommo Sion vedrà di che pasta è fatto questo tanto osannato Santo dell’Acquario. Dovrà vederlo. E farà pace con Aphrodite. Vendicherà l’ingiustizia che il Santo dei Pesci sta patendo a causa di questo stronzetto di un francese. Stavolta non scappi da nessuna parte, pensa Milo osservando il mare di automobili che puntano verso sud.

Capo Sounion si trova a meno di settanta chilometri da Atene. Il luogo ideale per una gita fuori porta di un giorno. Per visitare i resti del tempio di Poseidone o per regalarsi un tuffo nelle acque dell’Egeo. Senza sapere – senza neppure sospettare – che l’accesso ad Atlantide sia poco distante. E che un Santo di Athena monitori la situazione, nascosto in una caletta inaccessibile, di quelle che i turisti salutano appena con la mano, sfilandoci davanti. Ignari di tutto e di tutti, così come lo è Camus, seduto placido e tranquillo accanto al suo predatore…

«Che hai tanto da sorridere?»
«Mi godevo il paesaggio», ribatte Milo senza staccare gli occhi dal proprio riflesso. Maledetto di un francese! Forse ha davvero sviluppato doti telepatiche, e non l’ha detto a nessuno. Perché farlo? Chi ignora è in posizione di svantaggio, giusto? E questo non fa che…
«Goditelo in silenzio, per favore. Sto leggendo.»
Milo stringe la mascella, ma non ribatte. Non vuole dargli soddisfazione. Non vuole fargli sentire che l’astio che nutre nei suoi confronti si fa più profondo e cupo man mano che i minuti – che i secondi – passano. E che l’orologio al suo polso sbuccia il tempo con una lentezza esasperante. Ma l’attesa del piacere non è essa stessa il piacere, come ha detto qualcuno, tanto tempo fa?  Sì che lo è. E Milo ha deciso di godersela tutta. Attimo per attimo. Come una caramella che si scioglie sulla punta della lingua.

Questa missione sarà un fallimento. Io lo so. Ma sarà tutta colpa tua, mangialumache dei miei stivali. Tua, non mia. Io non so distinguere la destra dalla sinistra, no? Stavolta le sconti tutte, femminuccia…
Camus legge, Milo sorride al proprio riflesso, l’autobus avanza a velocità snervante in mezzo al mare di lamiera diretto all’imbocco della 91, la Litoranea. Sono le otto meno cinque.
 

Due ore e una mezza dozzina di fermate dopo, due ragazzini con lo zaino in spalla scendono in un piazzale assediato da autobus, pullman, motociclette e automobili. Fa caldo. Il vento che spira dal mare porta loro il sapore della salsedine e della nafta delle barche al largo. La fila per la biglietteria ha già raggiunto una lunghezza allucinante.

Milo sospira. Se si chiede ad un ateniese come raggiungere Capo Sounion, questi sbatterà le palpebre perplesso e ribatterà che sono solo quattro colonne in croce, una tappa quasi obbligata delle gite scolastiche o una trappola per turisti. Gli ateniesi scendono prima, a Glyfada, per godersi le spiagge attrezzate ed il mare, mentre i turisti proseguono, desiderosi di ascoltare sulla pelle il respiro della storia, il profumo del mito e di scoprire l’autografo che Lord Byron ha lasciato alla base di una colonna, prima di scendere a bagnarsi i piedi in mare o di pranzare in uno dei tanti ristorantini che punteggiano la costa più in basso.

«Ok. Adesso che si fa? Visitiamo il Tempio?»
Camus si dirige all’ombra di un cartellone e studia la mappa sul retro.
«Dobbiamo dirigerci dall’altra parte. Alle rovine del tempio di Athena Sounia», dice, le mani su entrambi gli spallacci dello zainetto e il naso all’insù.
«Ti faccio notare che quel sito è chiuso», ribatte Milo, i pugni sprofondati nelle tasche dei jeans e i sandali di cuoio impolverati. «Vedi? C’è anche scritto. Chiuso», aggiunge, indicando la scritta con un cenno del mento.

«So leggere», replica Camus.
«Davvero?»
«Abbiamo due strade. O ci accodiamo alla gente in fila per la biglietteria e poi ci dileguiamo, rischiando di venire scoperti, oppure…»
«Oppure, cosa?»
«Oppure sgattaioliamo oltre le transenne e ci caliamo lungo la scogliera.»

Milo si sporge e getta uno sguardo oltre al parapetto. «Tu sei pazzo! L’hai visto quant’è ripido?!»
Camus si stringe nelle spalle. «La strada dell'eccesso porta al palazzo della saggezza.»
«E questa dove l’avresti sentita?»
«William Blake», risponde Camus infilandosi un cappello da pescatore in testa.
«Chi?»
«Lascia perdere. Allora, andiamo o ti ci vuole un invito scritto?»
Smoccolando insulti sempre più creativi, Milo stringe pugni e denti e si avvia verso le rovine del tempio di Athena Sounia, pestando il terreno coi piedi come se volesse ucciderlo. Passo dopo passo.

 
 


Aggiornamento a sorpresa! Non tanto per S. Valentino, quanto perché il 7 è stato il compleanno di Camus e perché il 22 di Febbraio la chiesa ortodossa ricorda S. Milo. Due piccioni con una fava, insomma.

Le note sono davvero risicate, stavolta.
Le poche informazioni che ho su Capo Sounion le ho ricavate spulciando la rete, ché non ho mai avuto l'occasione di farci un salto. Magari, in futuro, chissà?
Capo Sounion si trova a circa settanta chilometri a sud di Atene, e vi sorgono i resti di un tempio che Pericle fece erigere in onore di Poseidone, l'altro protettore della città. In realtà, vi sono lì accanto anche i resti di un tempio dedicato ad Athena, Athena Sounia, ma il sito è accessibile solo da pochi anni. Se vi interessa, pare che da qui Egeo si sia buttato in mare vedendo che la nave che rientrava da Creta aveva delle vele nere, e non bianche. Credendo suo figlio Teseo morto (figlio che aveva ritrovato giusto cinque minuti prima di spedirlo a Cnosso, ricordiamolo!), si gettò in mare in preda alla più nera disperazione.
Il sito archeologico è collegato con un servizio di pullman che costeggia la statale 91, la Litoranea, ed effettua diverse fermate lungo la costa.

Non ho resistito ed ho fatto entrare in scena Kostas, Melpomenê ed il Kallistê. Chi fosse curioso e volessere conoscere questo luogo e i suoi abitanti può affacciarsi qui, qui, qui, e qui.

La moussakà è un delizioso sformato di melanzane, formaggio, pomodoro e carne tritata. Assomiglia alle melanzane alla parmigiana, almeno nella visione delle melanzane alla parmigiana che aveva mia nonna.
Sapete com'è che si dice, no? Una faccia, una razza.
Alla prossima!
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine