Perdonate le note all’inizio
della storia, ma in questo caso sono necessarie.
Fanfiction scritta per il contest di San
Valentino indetto nel gruppo “Sherlockians” (che saluto
tanto tanto <3).
Il prompt mi è stato dato da Sasi:
What if Sherlock
e Molly si conoscessero fin dall'asilo e Molly, quando avevano 5 anni, gli
avesse regalato un bigliettino con un messaggio particolare? Non anticipo nulla
e nonsocos’altroscriverequindi..
Buona lettura!
Il biglietto
Tutto era iniziato quando
Sherlock aveva deciso di aggiornare il proprio blog. Non che ci fosse qualche
novità scottante, ma l’unico consulente investigativo ne sentiva il bisogno.
Assenza di nuovi casi interessanti? Può darsi. Noia? Sicuro.
Ripescò dal Mind Palace uno
degli ultimi casi risolti e descrisse con incredibile minuzia di dettagli il
cadavere della malcapitata vittima. Peggio di una storia horror. Avrebbe
perfino fatto vomitare il più resistente di stomaco. Dopo aver finito di
scrivere il punto esatto nel quale una trave aveva fracassato la testa del
pover’uomo, dovette alzarsi per prendere l’enciclopedia medica e continuare la
macabra descrizione. Infatti, mentre risolveva il caso, aveva appuntato tra quelle
pagine delle deduzioni importanti. Come sospettava non era al suo posto. John
l’aveva consultata giorni prima.
Chiamò l’amico che era
chiuso in bagno da almeno mezz’ora e, assicurandosi che non fosse caduto nel
gabinetto, si fece dire che fine avesse fatto l’enciclopedia. La trovò in
soffitta, abbandonata tra la polvere e tra ciarpame vario. La prese e, prima di
riscendere, la sua attenzione venne catturata da una scatola più scura delle
altre e a lui familiare. Prese pure quella e ritornò in salotto.
Tralasciando il blog per
qualche minuto, si dedicò alla scatola. Nella parte superiore, scritto con una
calligrafia elegante, vi era il suo nome. All’interno aveva conservato gli
effetti personali a lui più cari. Ulteriore dimostrazione che non possedeva un
cuore di ghiaccio. Ricordi, emozioni passate, pezzi di sé. Il cappellino da
pirata, il suo primo saggio teorico dell’università, una foto con i genitori (e
sì, c’era anche Mycroft), il primo dentino da latte, un trenino di plastica, un
biglietto di carta bianca ripiegato più volte. Lo prese incuriosito e,
delicatamente, lo aprì.
Avete presente
l’incantesimo di pietrificazione? Quando Sherlock lesse il contenuto del
biglietto fu come se dal nulla fosse spuntato un mago e gli avesse gridato “Petrificus
Totalus!” e con un pop tornato da
dove era venuto.
Infatti John venne
totalmente ignorato quando questi chiamò il consulente investigativo.
“Sherlock, ti ho chiamato
cinque volte! Secondo te è meglio la cravatta blu o beige?”
Il dottore continuava ad
accostare alternativamente le due cravatte alla camicia bianca e si rimirava
nel riflesso della porta. “Non so proprio decidere. Sherlock mi stai
ascoltando?”
“Cosa… eh?” si riscosse.
“John, su quella che tu definisci ‘beige’, sembra che ci abbia vomitato
qualcuno. Blu. Ovvio.”
“Va bene, va bene. Oh,
cavolo, sono in ritardo”, disse mentre tornava a profumarsi. Sherlock alzò gli
occhi al cielo e tornò subito a prestare attenzione al biglietto, stretto
ancora tra le sue mani.
Una mano di bambina, molti
anni prima, aveva impresso un messaggio:
TI AMO
-Molly H
Un turbine di ricordi,
oscurati per trent’anni, lo colpirono.
“Dammi
la palla!”
“No,
è mia. Cercatene un’altra.”
La
bambina strinse i pugni. “Sei cattivo!”
Lui
la guardò scappare via, indifferente.
Qualche
tempo dopo, gli stessi bambini, ma di 5 anni ciascuno.
“Posso
sedermi vicino a te?”
“Uhm?”
Il bambino dai folti boccoli neri la guardò appena. Era tutto impegnato ad
osservare le figure di un libro di favole. “Sì, certo”. I grandi occhi nocciola
della bambina gli sorrisero e lei gli si sedette accanto. Portava un grazioso
vestitino lilla e il caschetto di capelli le incorniciava le gote.
“Sherl, che cos’è?”
“Storie
di pirati! Voglio diventare un pirata!” le guance gli diventarono rosse per
l’emozione.
La
bambina rise e prese dalla tasca un biglietto. Mentre ascoltava l’amico
parlare, lo rigirava tra le mani, indecisa se darglielo o meno.
L’altro
si accorse che la bambina aveva cambiato espressione. “Cos’è?” le chiese.
“Niente!”
“Dai
fa vedere!”
“Uffa,
va bene”.
Gli
passò il foglietto e lui lo aprì. L’amica si alzò subito in piedi. “Io devo
andare” gli disse velocemente e poi, troppo imbarazzata per vedere la reazione
del bambino al biglietto, corse via.
Molly, la sua Molly. La
patologa fidata che per anni lo aveva aiutato e gli era stata accanto. Non
aveva mai collegato la bambina timida del biglietto alla stessa Molly Hooper
con cui aveva parlato fino al giorno prima in obitorio. Non era riuscito mai a buttare
quel vecchio biglietto, ormai ingiallito dal tempo, segno di una prima
amicizia, di qualcuno che gli aveva voluto bene, prima che lui inevitabilmente
l’avesse fatta piangere. Dopo aver frequentato l’asilo, entrambe le famiglie si
erano trasferite altrove e non si erano più rivisti. Fino a quando Sherlock non
aveva incontrato la patologa al San Bartholomew
Hospital per indagare su un cadavere. Ora riusciva a collegare i grandi occhi
nocciola a quelli dolci della donna. I capelli non erano più corti, ma lunghi e
raccolti sempre in una fluente coda di cavallo. Il suo profumo, i suoi modi di
fare, la sua vicinanza, non erano più indifferenti all’uomo. Aveva iniziato a
farla soffrire fin da piccolo. L’aveva sembra fatta andare via da lui,
irritata, arrabbiata, piangente, frustata e rassegnata.
Un sentimento, che aveva
provato raramente, si fece strada dentro di lui, e capì che doveva subito
parlare con la donna.
E poi non le aveva mai dato
una risposta.
Sentì suonare il campanello
e John lo sorpassò velocemente e scese ad aprire. Dal piano di sotto si
sentivano le voci allegre della signora Hudson e Mary che si salutavano e,
subito dopo, la padrona di casa si informava dell’andamento della gravidanza.
Sherlock spense il computer
e infilò il cappotto. Prese dal tavolino del salotto il cellulare e aprì il
menu dei messaggi.
A: Molly Hooper
19:02 - Posso passare da
te? SH
Mentre attendeva impaziente
la risposta, John e Mary aprirono la porta.
“Dobbiamo uscire fuori a
cena e già ho mangiato tre pasticcini. Povera me.” Esclamò Mary. “Buonasera
Sherlock!”
“Mmm,
a te Mary. Perché non li hai rifiutati?”
“Oh, erano così invitanti.
Poi mi era venuta voglia.” Sherlock la guardò scettico. Lei trattenne una
risata. “Per il bene della bambina!”
John nel frattempo cercava
la giacca e girava frenetico per la casa. “Oggi non me ne va bene una. Dov’è la
giacca adesso?”
“Nel tuo armadio, terza
anta, sotto la plastica per conservare gli abiti”, gli gridò Sherlock.
“Eccola!”
Il consulente sbruffò e
tornò a guardare lo schermo del cellulare.
Nel frattempo Mary si era
accomodata sul bracciolo della poltrona. “Che farai stasera? Non vorrai passare
San Valentino nuovamente solo.” Ricevette uno sguardo seccato.
“Secondo te come avrei
passato gli altri anni? E lo sai come la penso sulle ricorrenze perpetrate negli
anni solo per spulciare soldi alle ‘coppiette felici’”, fece le virgolette con
le dita.
Un botto e John ritornò in
salotto. “Sono pronto. Andiamo.”
“Sherlock mi dispiace se
non è potuta venire.”
“Venire chi?”
“Sai, la babysitter. Ti
possiamo lasciare solo, vero?”
Sherlock prese il cuscino
più vicino a lui e glielo lanciò.
“Scappiamo Mary!” e,
ridendo, andarono via.
Rassegnato al pensiero che
Molly non gli avrebbe risposto, stava valutando il fatto di introdursi in casa
sua o ordinare una pizza.
Poi, finalmente, il
cellulare vibrò.
19.25 – Scusami Sherlock,
stavo finendo il turno. MH
19.25 – Certo che puoi
venire :) MH
E fu così che per la prima
volta, il nostro consulente investigativo ebbe un impegno per San Valentino, e questo non fu con
il proprio lavoro.
La patologa era arrivata da
pochi minuti in casa quando sentì suonare il campanello. Era strano che lui non
fosse entrato dalla finestra. Lasciò perdere il computer ed andò ad aprire.
“Oh, ciao Sherlock.”
“Buonasera Molly”. Per
qualche attimo rimasero in silenzio a fissarsi. “Non mi fai entrare?”
“Certo! Scusami, ma oggi al
lavoro hanno portato sei cadaveri e…”
“Giornata piena.” Sherlock
chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò al bancone della piccola cucina.
“Giornataccia.” Anche se
molto stanca, Molly gli regalò uno dei suoi caldi sorrisi e lo invitò a
sedersi. “Che ci fai qua? Cioè, volevo dire, posso offrirti qualcosa?”
“Un pancreas.”
“Cosa?”
“Hai un bel pancreas.”
Molly sbarrò gli occhi. Sherlock si corresse “No, no. Hai un pancreas?”
“Un pancreas?”
“Sì, un pancreas.”
“Dove?”
“Qui.”
“Io non ho pancreas in
casa! Però in obitorio c’è quello del povero Smith.”
“No, no. Parlo del tuo.”
La donna lo guardò
stranita. “Ti senti bene?”
“Certo, perché non dovrei
esserlo.”
“Oh, cielo. Sei così
strano. Va bene che lo sei sempre, però…”
“Molly.”
“Sì?”
“Accetto molto volentieri
qualcosa da bere.”
Poco dopo erano entrambi
davanti a due tazze fumanti di thè ai mirtilli, seduti sui comodi sgabelli del
bancone della cucina. Avevano anche acceso la televisione, che in quel momento
trasmetteva un noto quiz serale.
“Come può sbagliare pure
questa? Era Capitan Uncino!”, disse Sherlock tutto infervorato facendo
ridacchiare Molly.
“Forse non gli avranno mai
raccontato una favola quand’era bambino.” Ipotizzò lei mentre sorseggiava il
thè. Lui si limitò a storcere il naso.
“Sherlock, non vorrei
sembrarti scortese, ma perché sei venuto? Non è da te venire a trovarmi.”
“Tu eri irrimediabilmente
occupata stasera?”
“No. Ero liberissima.”
“Allora va bene così.”
Guardò il fondo della tazza, ormai vuota. “Il tuo era un bel thè.”
“Grazie”, rispose Molly e,
con fare noncurante, ritornò a vedere se l’ultimo concorrente avrebbe vinto il
montepremi.
“E anche la tua tazza è
bella.”
La patologa lo guardò di sottecchi.
Non riusciva a capire il perché di tutti quei complimenti, prima fatti agli
organi umani e poi alle sue stoviglie. “Va bene.”
“Hai anche delle belle
rughe.”
“Sherlock!” lo rimproverò
subito lei, ma non si era offesa.
“Cosa? Sto dicendo la
verità.”
“Stai insinuando che io sia
vecchia?” scherzò lei, divertita dalla perplessità del consulente.
“Beh, considerando che nel
Medioevo la vita media era di 30 anni, dovresti ritenerti fortunata se sei
ancora viva.”
“Oh, ma insomma! E poi
anche tu rientri in questa fascia. Le vedi?” gli indicò la fronte “Anche tu hai
le rughe!”
Lui si toccò sopra le
sopracciglia.
“Molly ho un problema.”
“Esistono il lifting e la
crema antirughe, non preoccuparti” gli rispose punzecchiandolo.
“No, un altro problema.”
Il viso della donna si fece
subito serio. “Non vorrai per caso far finta di suicidarti un’altra volta?”
“No, per carità. John mi verrebbe
ad ucciderebbe personalmente.”
“Cos’è successo?”
“Ho un problema con te.
Devo risolverlo.”
“Sherlock se ti ho detto o
fatto qualcosa di sbagliato, sarà stato sicuramente per errore e…”
“Tieni.” Aveva uscito il
biglietto dalla tasca e glielo stava porgendo. “Aprilo.”
Titubante, Molly lo prese e
lo aprì. Inizialmente Sherlock la vide leggere le parole con un’espressione di
pura confusione. Successivamente, dopo che ebbe letto il biglietto molte altre
volte, l’uomo comprese che Molly iniziava a capire e ricordare.
Alzò lo sguardo su di lui,
rossa in viso come una ciliegia. “Come fai ad averlo tu?”
“Ero io quel bambino.”
“Tu?”
Lui annuì.
“Ero piccola allora, non
sapevo che quel bambino fossi tu. Dio, non ricordavo assolutamente di averti
già conosciuto. Come ho fatto a scordarlo? Oh, dimentica tutto!”
“No, no, no. È qui che
sorge il problema.”
“Quale problema?”
“Non hai mai avuto una
risposta.”
Un pennarello rosso
vermiglio sarebbe impallidito di fronte alla tonalità delle guance di Molly.
"Una r-risposta?"
Si alzò di scattò dallo sgabello e indietreggiò, "Non c'è bisogno che tu
mi dia una r-risposta".
Anche lui si alzò e la
raggiunse. "Certo che devo dartela!" le rispose come se fosse la cosa
piú ovvia del mondo.
Molly si limitò a torturare
nervosamente con le mani la manica del maglione.
"E q-quale sarebbe?"
Sherlock si avvicinò per
osservarla in volto.
"Ti stai surriscaldando".
"N-no. È colpa del
tempo!"
"Ma se fuori ci sono 2
gradi".
Si fecero più vicini.
"Quindi sei giunto ad
una conclusione?"
Nessuna risposta.
Sempre più vicini. Molly
avrebbe potuto contargli le ciglia.
"Oh, guarda, un’altra ruga...”
E poi fu paradiso.
Quando Sherlock poggiò le
labbra sulle sue, Molly si convinse che quello era un sogno. Sicuramente si era
addormentata in laboratorio. Doveva essere così e non poteva essere altrimenti.
In nessun universo, reale o
alternativo, l’uomo di cui era da sempre innamorata l’avrebbe baciata.
Lei era l’unica che contasse,
ma non era la Donna.
Tuttavia, quel bacio, lieve e
delicato, non sarebbe potuto essere così reale in un sogno; il modo in cui lui
le stava accarezzando la guancia, la sensazione di inspirare il suo profumo così
intensamente, di assaporare le sue labbra e di udire il suono dei respiri che risuonavano
all’unisono nella piccola cucina.
Quando si separarono fu come
se la mezzanotte fosse arrivata troppo presto. Lui poggiò la testa su quella
della donna e strofinò il proprio naso con quello di lei.
“Sherlock?”
“Mmm...”
“Puoi darmi un pizzicotto?”
“Non voglio farti del male”.
“Ma no, voglio sapere se ho
capito bene la risposta”.
Lui alzò la testa e le sorrise.
“Se vuoi te la posso spiegare
meglio”.
Lei ricambiò il sorriso.
“Sono tutta orecchi”.
O tutta baci, fate voi.
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Erano le otto di sera in
Baker Street. Particolarmente innervosito, John cercava di leggere un libro in salotto,
comodamente seduto sulla propria poltrona. Era da almeno mezz’ora che dalla
stanza accanto Sherlock continuava a fare un trambusto molto fastidioso per la
lettura del dottore.
“John! John!” Il consulente
investigativo gli si piazzò davanti e gli mostrò due camice. “John, porpora o
bianca?”
“Stai chiedendo veramente
consiglio a me? Non fai altro che criticare il mio modo di vestire”.
“John!”
“E va bene. Porpora. Lo sai
che piace a tutte”.
L’altro annuì e tornò in
camera. Credendo di poter proseguire con la lettura, John riaprì il libro.
Tuttavia Sherlock tornò alla carica con due giacche, una nera e l’altra grigio
scuro.
“Nera”, lo precedette il dottore,
“Nera andrà benissimo, è quella giusta”.
Sherlock lo guardò e sembrò
rilassarsi. “Hai ragione, è quella giusta”.
Con più calma di prima andò a
vestirsi, e John seppe che finalmente avrebbe potuto leggere in pace.
“Sono in ritardo!”
Più o meno.
FINE
****
Buon San Valentino a
tutti!
Spero che la storia
vi sia piaciuta! Se ho reso i personaggi un po’ OOC (ad esempio Sherlock xD) è stata una scelta volontaria. Un pizzico di dolcezza
non fa mai male a nessuno. Ovviamente aspetto sempre i vostri commenti –positivi
e negativi-.
Oggi cercate di non
farvi regali forzati, ma di continuare a volervi bene (per chi è già fidanzato)
o di non deprimervi e odiare tutte le coppiette (per chi è single - *alza la
manina*).
Alla prossima!
Irene.