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Autore: Seehl    15/02/2015    1 recensioni
“when i find myself in times of trouble, er capitano comes to me, speaking words of wisdom, ao”
Federico è un semplice ragazzo di mezza età, come si definisce personalmente, romano de Roma e innamorato del mondo. Questa è la storia della sua avventura, sei ore e mezza sul regionale per Venezia in cui si ritroverà a pensare a tutta la sua vita, e che vita.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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“when i find myself in times of trouble, er capitano comes to me, speaking words of wisdom, ao”

 

 

Le nove di mattina sono un orario sciagurato, soprattutto di mercoledì. Per questo, non avendo piazzato nessuna sveglia, ho continuato imperterrito a sonnecchiare, la faccia sul cuscino, arrotolato in una coperta troppo leggera per un inizio di febbraio, con l’espressione più soddisfatta e felice che la mia bellissima vita potesse concedermi. Nel dormiveglia, si affacciano pensieri sconnessi: V.. V qualcosa. V. Ve. Ven. Venduti. No, non siamo venduti, cioè, io non sono venduto, la politica fa schifo, sono venduti i politici, quindi l’economia va a rotoli ed è per questo che non ho un soldo. Io. Teodoro è pieno di soldi. Teodoro. V. Venezia.
Cazzo. Venezia.

I lenzuoli planano sul pavimento, i cuscini vengono schiacciati da una valigia tirata fuori dal nulla che, febbrilmente, viene riempita di camice dai dubbi colori, pantaloni slargati, mutande - forse, dipende, servono davvero?, me le presterà, no? - e calzini - stesso discorso. Ma no. Teodoro è noioso, e non avrà mai questi magnifici calzini gialli a righe verdi.

Che poi, pensandoci bene, sono gialli a righe verdi o verdi a righe gialle? La domanda mi lascia spiazzato, ed eccomi immobile, con una valigia sfatta, in ritardo di mezzora su autobus, treni e me stesso in generale, a pormi la domanda dell’esistenza umana: la zebra è bianca a strisce nere o viceversa?

No, Federico, non c’è tempo, non c’è tempo, se ti parte il regionale il prossimo chissà quand’è, e già sono sei ore di viaggio, figurati se vuoi aspettarne anche altre tre in stazione. Quindi, nella valigia viene infilato giusto un album di schizzi e un quadernino tutto spiegazzato, et voilà!, pronto a partire.

Corro giù per le scale - da quanto tempo, ormai, l’ascensore non funziona più? - fino ad uscire nel cortiletto, giusto in tempo per vedermi il 201 - l’unico autobus a passare per ‘sta strada dimenticata da Dio - passare placidamente e saltare la fermata.
Oh, no. Non lo perderò. Cadesse il cielo, non lo perderò. Provo un senso di vertigine mentre imbocco il vicolo che non dovrei mai imboccare perché c’è un cancelletto chiuso alla fine, correndo come un pazzo verso la prossima fermata che conosco. Lo prenderò. Dovessi saltare tutti i cancelletti del mondo- .. ok, forse saltare è una parola troppo grossa. Scavalcare con grazia. Senza grazia. Oh, al diavolo, non sono mai stato in una forma che non fosse sferica in tutta la mia vita, non può cambiare improvvisamente e solo per Teodoro.  Col volto paonazzo, il respiro spezzato e una contusione al bassoventre, arrivo alla fermata. Tossisco, alzo gli occhi.. e quell’autista che è evidentemente arrivata passeggiando dalla Salaria fino a qui non si ferma. Simpatica, dolcissima signorina.

Tiro un sorriso, prima di scoppiare a ridere. Proprio quello che mi serviva, davvero. Ho un funerale a cui attendere, cristo santo, non posso permettere a un autobus di farmi arrivare in ritardo. Quindi.. l’unica scelta è riesumare il vespino scassato, che già era scassato dieci anni fa, figuriamoci dopo due anni di immobilità imposta.

Rifaccio il percorso ad ostacoli, la valigia che salta impazzita dietro di me, fino ad arrivare al garage. Dove sono le chiavi del garage? Attaccate a quelle di casa, probabilmente. E dove sono le chiavi di casa? Sepolte nella valigia o, peggio ancora, in casa stessa. Soffoco una bestemmia, perché anche se è vero che ho la sciagura nel dna una bella spaghettata di fortuna ogni tanto non farebbe male a nessuno, e alzo gli occhi al cielo. Una sola domanda mi riempie il cuore, mentre lancio una preghiera alle nuvole con lo sguardo.

 

Che farebbe er capitano al mio posto?

 

Sicuramente non lascerebbe perdere, nossignore. Se c’è un impegno preso, va rispettato, niente se e niente ma; ed è con questa profonda convinzione che mi inginocchio davanti alla serratura del garage, improvvisando con una forcina arancione un grimaldello, con la speranza che la vita possa essere un film almeno in questo momento disperato.

Solo che la forcina è enorme in confronto alla serratura. Come pensano di rendere le pellicole realistiche, se gli attori possono fare cose inumane come scassinare una serratura così piccola? A meno che.. a meno che ad essere inumani non siano gli attori! Questo significherebbe che le mie teorie secondo le quali Brad Pitt è troppo perfetto per esistere sono più che fondate. Magnifico.

La questione più urgente, però, mi torna presto alla memoria. Mi accascio a terra con un suono di disperato sconforto: perché, perché, perché proprio oggi dovevo svegliarmi tardi? Con tutti i giorni che il Signore dei Gelati mi ha regalato nella vita per dormire fino alle tre del pomeriggio, oggi. Guà, Signore dei Gelati, potrei smettere di crederti e convertirmi alla Madonna delle Tinte Esagerate se non mi procuri un miracolo nei prossimi trenta secondi.

Molto convinto di me stesso e, tra l’altro, ormai talmente in ritardo da non poter fare nient’altro, mi metto davvero a contare; il trenta lo raggiungo e lo supero pure, e devo arrivare a settantadue prima che un suono familiare mi risvegli dalla trance di disperazione in cui sono caduto.

Qualcuno sta aprendo il garage. Da dentro. Signore dei Gelati, tu sia lodato. Aspetto con pazienza che il furgoncino della simpatica e aitante vecchietta del piano di sotto si trasferisca placidamente sulla strada, poi entro di corsa in cerca Del Vespino, identificandolo in un angolo a prendere la polvere. Le chiavi sono ancora nel cruscotto, da chissà quanto; strano che nessuno me l’abbia ancora rubato. Il bello di vivere in un condominio di anziani, probabilmente. Monto in sella, la valigia tra le gambe, e provo ad accenderlo.

Il Signore dei Gelati vuole veramente provarmi la sua esistenza, mettendo in discussione le convinzioni di sfortuna genetica che ho da sempre, perché al primo tentativo sento il motore scoppiettare e partire senza problemi. Grazie, Signore dei Gelati. Grazie.

Incredibilmente, viaggiando ad una velocità decisamente illegale senza essere fermato da nessuno – la qual cosa sarebbe stata problematica, dato che dubito fortemente che la mia patente sia ancora valida – riesco ad arrivare incolume alla stazione. Stavolta è definitivo, Il Vespino verrà rubato, ma lasciarlo nel parcheggio illegale è necessità, vista l’ora. Sono già le dieci e tre quarti e il mio treno parte alle undici e cinque, devo farmi le peggio corse per prenderlo. Tiro fuori il portafoglio, mi lancio alla biglietteria automatica, si blocca, la insulto, è ancora bloccata, allora la adulo, le propongo di sposarmi, lei, intenerita, mi sputa il biglietto, un bacio sotto gli sguardi scandalizzati della gente è d’obbligo e sono le undici meno dieci: grandioso, ho il tempo di fumarmi una sigaretta – la mia ultima, prima di salire sul treno che ci metterà sei ore ipoteticamente – e di prendermela comoda.

Sono al binario. Il treno è lì, davanti a me. Sorrido. Raggiungo la tasca dei pantaloni dove tengo le sigarette, tranquillo e rilassato, e apro il pacchetto senza fare caso a nulla.

Sennonché, il pacchetto è vuoto.

Paralizzato, sento il capotreno chiamare per chi deve salire. L’Apocalisse è arrivata: le mie sigarette sono finite e un regionale di Trenitalia è in anticipo su se stesso.

Salgo col muso lungo, mi lascio cadere sul primo sedile disponibile e butto l’occhio fuori dal finestrino. Il treno parte, la stazione si allontana lentamente e, finalmente, realizzo che sono in viaggio.

Sorrido ancora, appoggiandomi col gomito al bracciolo. Sì, sono in viaggio, sto andando al funerale del marito del mio migliore amico a consolare il suo cuore spezzato, spendendo i miei ultimi spiccioli nel biglietto di un treno che ci metterà ere geologiche ad arrivare a Venezia, e non ho la più pallida idea di come e quando riuscirò a tornare a Roma.

 

.. E allora ‘nnamo.

 

 

 

 

 

NdA

Salve, da quanto tempo che non posto con le note dell’Autore. Fa così 2012- ma divago.

La storia di Federico mi sta alquanto a cuore. E’ uno dei miei personaggi più importanti e, soprattutto, il personaggio che mi ha insegnato a ridere di tutte le disgrazie del mondo per farle andare giù più tranquillamente. Che dire? Spero possa lasciare delle buone vibes anche a chiunque leggerà questa storia.  Non sono sicura di quando verrà aggiornata, perché tutto dipende dall’ispirazione, ma questo si può considerare quasi un prologo, direi- la storia vera sarà quella raccontata sul treno.

Devo anche avvertire che lo stile non potrà sempre essere così giocoso: dietro ad un sorriso come quello di Federico ci sono tante lacrime da nascondere, tante delle quali verranno affrontate in quest’Odissea per Venezia. .. Vabbe’, continuare a chiacchierarne così è inutile.

A tutti voi che avete letto fino a qui, grazie. Apprezzo davvero. Cya!

 

Courf_

   
 
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