LADY DOLL by Hupa
STRUCK BY
DEFLATION
"Oh!
Lady Doll, Lady Doll!
Struck by
deflation,
you can’t
understand.
How
stronger your heart could be,
if only
the wind stopped
to blow
away your affections."
Una
piccola sagoma ferma sulla soglia.
Gli occhioni rubini fissi sul baldacchino.
Una
lacrima silenziosa scendeva lucente sulla piccola guancia soffice.
E lui
che col suo musetto spiava oltre la soglia…
A forza
due piccole manine paffute spinsero la pesante porta in ciliegio per farsi
spazio.
Voleva
sapere.
Perché?
Perché
era così triste?
Cosa
capiva il suo cuore che la mente non afferrava?
Sul
letto stava un profilo addormentato.
Il
corpo abbandonato sulle coltri turchesi.
Il
volto pallido e il petto immobile.
Silenzioso,
mosse i primi passetti nella stanza.
I
domestici all’esterno non poterono fermarlo.
Non
l’avevano visto.
Non
potevano vederlo quando erano troppo preoccupati ad asciugarsi le lacrime.
Coi
piedini sulle punte allungò il collo per osservare.
Ma
qualche centimetro in più non gli bastava per sovrastare l’altezza del grande
letto coperto da veli e coperte.
La
stanza era semibuia.
La poca
luce passava dalla finestra in fondo alla stanza, ma non riusciva a toccare
tutto il baldacchino.
Suo
padre era seduto su un fianco del letto.
Stringeva
una mano.
L’accarezzava
e la baciava.
Piangendo
e singhiozzando.
Di
riflesso, altre lacrime scesero dai suoi occhioni
vermigli.
Piccoli
pometti rossi cominciarono a formarsi sulle gote
pallide.
Eppure
continuava ad avvicinarsi.
Voleva
vedere.
Voleva
vedere quella bella addormentata che riposava sul letto.
Nessuno
poteva impedirglielo.
Raggiunse
il giaciglio, ma solo quando, nel tentativo di arrampicarsi sul letto, cominciò
ad aggrapparsi sulle coperte e sui pantaloni neri del padre l’uomo si accorse
di lui.
Trattenne
il respiro osservando il piccolo esserino che teneva
salda la presa sulla stoffa nera.
Il pugnetto con le nocche sbiancate per lo sforzo.
Il
cuore gli si strinse nel petto, mentre con tutta la dolcezza che poteva afferrò
il corpicino e lo posò sulle sue ginocchia.
Gli
parlò con dolcezza, ma Kei non lo ascoltava.
Cercava
di voltarsi per poter vedere il volto della donna.
Cercò
di mettersi in piedi ma il padre lo abbracciava impedendoli di girarsi.
Infine
voltò la testa e quasi la vide.
Suo
padre se ne accorse e gli coprì gli occhi con una mano così grande che gli
copriva quasi tutto il viso.
Una
mano così grande che gli permise di scorgere la bella attraverso le fessure fra
le dita.
Ecco.
Quello
era il volto.
Il
bellissimo volto perlaceo e addormentato della donna.
Le
lunghe ciglia nere, calate come un sipario sugli occhi chiusi.
I
capelli corvini che le incorniciavano il viso e ricadevano a ventaglio sul
cuscino.
Altre
lacrime continuarono a scorrere sulle guancette
arrossate bagnando la mano che le ricopriva, ma la boccuccia rosata si incurvò
in un dolce sorriso.
“La
mamma è bellissima.”
L’uomo
sobbalzò nell’udire quella voce cristallina rimbalzare sul suo petto.
Smise
di soffocare le lacrime e abbracciò con più forza il corpicino sulle sue ginocchia
infondendogli calore.
Il
profumo di suo padre.
SDUNK.
Entrambi
sussultarono quando la finestra in fondo alla stanza si aprì con forza.
Un
vento gelido proruppe nella stanza.
Le
tende sventolarono violentemente, mentre le coltri del letto sbatacchiarono
contro i pali del baldacchino e si aggrovigliavano sopra il corpo della donna.
Alcuni
fogli poggiati sulla scrivania volarono per la stanza sparpagliandosi sul
pavimento.
Kei si voltò spaurito verso la finestra.
La
frangetta argentea, spinta via dalla raffica, gli liberava la fronte pallida.
Le
lacrime gli furono strappate dal forte vento mentre gli occhi umidi pungevano
per l’aria invernale.
La
manine chiuse a pugno sul petto del padre.
Le
tende gli ondeggiavano davanti agli occhi e non riuscì a scorgervi attraverso.
Trattenne
il respiro.
Tornerò.
Sembrò sussurargli il vento.
Poi,
come tutto era cominciato, finì.
La
brezza cessò.
Le
tende si abbassarono.
Il
paesaggio oltre la finestra si rivelò ai suoi occhi.
Tetti e alberi ricoperti di neve.
Scheletri
di una città assopita nascosti dietro un manto di ghiaccio.
Un
cielo pallido risucchiava le nuvole verso i colli in lontananza mentre l’odore
della neve gli riempiva i polmoni.
Kei rabbrividì e allarmato si voltò verso la madre e
poi verso il padre.
Altre
lacrime minacciavano ancora di riversarsi da quegli occhioni
lucidi.
L’uomo
ricambio il suo sguardo poi il piccolo scoppiò in un pianto disperato.
- La mamma… ha… ha portato via la
mamma. -
- _ . - ° * ° - . _ . - ° * ° - . _ -
Lo stava
abbandonando.
Lo
stava abbandonando in quella casa sconosciuta.
In
quella villa grande e fredda.
Da
quell’uomo tanto vecchio ai suoi occhi quanto crudele.
Aveva
otto anni… e suo padre già non voleva più vederlo.
Non
riusciva più sopportare lo sguardo penetrante di quegli occhi scarlatti.
Gli
stessi occhi dell’amata.
- Ci sono cose che devo sistemare - Aveva detto. - Tornerò presto a riprenderti.
Mi serve solo un po’ di tempo. Il nonno ti tratterà bene, vedrai. Ti vuole
bene. -
- Più bene della mamma? – Aveva sussurrato lui titubante.
Suo
padre lo aveva guardato colto da un attimo di esitazione.
- No, la mamma ti vuole più bene
di tutti. -
“Anche più bene di te?” Aveva pensato, ma non aveva avuto il coraggio per
dare voce a quel suo dubbio.
- Tornerò. – Aveva infine ripetuto l’uomo mettendo fine alla
discussione e abbracciandolo con affetto.
Tornerò.
E
allora perché i suoi occhi erano così lucidi mentre parlava?
Perché
non lo fissava negli occhi…?
Perché
ogni singolo gesto compiuto sembrava meditato e studiato quasi fosse l’ultimo?
…
Li
stava fissando.
Da
quella finestra che dava sul giardino d’entrata illuminato dal sole.
Il
vecchio e suo padre.
Parlavano,
ma come al solito il vento sembrava essergli ostile portandosi via le loro
parole prima che raggiungessero le sue orecchie.
Non
vedeva i loro volti, ma la schiena di suo padre sembrava più curva.
Come se
qualcosa di opprimente lo stesse schiacciando.
Poco
dopo i due uomini si strinsero la mano e suo nonno diede una piccola pacca sulla
schiena del figlio.
Il
cuore gli saltò in gola.
Suo
padre se ne stava andando.
Lentamente
si incamminava verso il cancello della villa.
Non
l’avrebbe più rivisto…
“Papà.”
Penso
cominciando ad agitarsi.
- Papà!
– chiamò a gran voce.
-
PAPA’! –
Ma nulla.
Il
vento soffiava.
Soffiava
con forza.
Portava
via tutto ciò che riusciva…
…le nuvole, le foglie, le piume…
…le sue parole e le sue grida.
No…no…
Non
andare via…
“Ti prego…
voltati. Guardami un’ultima volta.”
Per un
istante ebbe l’impulso di saltare dalla finestra, ma era ancora abbastanza
lucido da capire che era una follia.
Fissò
di nuovo il giardino.
Suo
padre era scomparso.
Aveva
oltrepassato il cancello e si era perso per le vie di Mosca.
Se ne
era andato.
Il
cuore gli batteva a mille nel petto.
Gli
faceva male.
Si
precipitò fuori dalla stanza.
Corse
giù per le scale.
Sorpassò
suo nonno alla porta.
Attraversò
il cancello.
E anche
lui si perse per le vie di Mosca.
…
Raggiunse
un piccolo parco da cui era possibile vedere in lontananza un vecchio campanile
che sembrava necessitare urgentemente di un bel restauro.
Le
lancette arrugginite dell’orologio segnavano le sei della sera.
Tuttavia
il sole era ancora alto nel cielo nonostante l’estate stesse ormai per finire.
Il
vento tiepido continuava a soffiare con forza.
Gli
spettinava i capelli e gli asciugava il sudore addosso.
Inspirò
profondamente cercando di recuperare il fiato perso per la corsa.
Si
appoggiò con la schiena ad un albero che cresceva a fianco di una panchina in
legno.
Adesso
era solo.
Abbandonato
in una città sconosciuta.
In una
casa troppo grande anche per due famiglie insieme e accudito da un uomo che
nemmeno conosceva.
Si
sentì pervadere dallo sconforto.
Gli
sembrò che qualcuno gli avesse iniettato una dose di tristezza e adesso,
percorrendo ogni anfratto del suo corpo, si stava riunendo lì, nel piccolo
cuore pulsante.
Gli
occhi si inumidirono, ma si rifiutò di piangere.
Se lo
avesse fatto il vento gli avrebbe rubato ancora quelle preziose lacrime.
E lui
non lo avrebbe permesso.
Si
voltò sfogandosi invece sul ruvido tronco dell’albero, ma si arrestò subito
appena avvertì il dolore e si accorse che le nocche gli sanguinavano.
Fece
per ripulirsi la ferita, ma stavolta un’altra raffica di vento lo investì con
forza costringendolo a coprirsi gli occhi per proteggerli dalla sabbia e dalla
polvere.
Alzò la
mano ferita.
Gocce
di sangue colarono dal graffio.
Arrivarono
sul dorso della mano e caddero rubate anch’esse dal vento.
Lacrime
e sangue.
Tutto
ciò che rende una persona umana.
Un
gemito ruppe il silenzio, ma anch’esso venne presto portato lontano.
Kei si accasciò sulle ginocchia.
Nascose
con vigore il viso nelle braccia mentre avvertiva il suo cuore venire
sopraffatto dalla rabbia, dalla tristezza e dalla solitudine.
Insieme
sembravano corrodergli l’anima portandogli via ogni altro sentimento.
Si
indurirono e inspessirono cominciando a formare una corazza, racchiudendo
all’interno della loro oscurità il suo cuore.
Tutto il
resto…
… tutto
ciò che era stato corroso…
… tutto
ciò che non era più necessario…
…
veniva portato via.
Trascinato
lontano dalla forza del vento.
…
Tornerò.
…
*Sospiro di sollievo*
L’ho
scritta. Ce l’ho fatta! u.u+
Questa one-shot è una specie di parentesi della mia fan fiction
“Lady Doll”.
Non
centra niente con la storia principale di quest’ultima anche se doveva essere
un suo capitolo, ma ho visto che staccava troppo la storia e così ho deciso di
trasformarla in una one-shot.
Parla
del passato di Kei rivisitato dalla sottoscritta…
Spero
che sia piaciuta, non ha un finale proprio alla “happy end”, ma questo perché è
associata all’altra ff… ^^’’’’
So che
avrei dovuto mettere un’intersezione all’inizio per spiegare la situation, ma a
me non piace introdurre le cose… ^^’’’
Ah,
giusto!! Deflation significa deflazione, ma quando io
mi riferisco a questa parola non mi riferisco al suo significato economico.
La
deflazione è anche l’azione che il vento compie quando trasporta via i detriti
dalle rocce dovuti alla corrosione.
Forse
voi lo sapevate già, ma ad esempio io non lo sapevo -.-‘’’’…
Ok.
Me ne vò.
Hola!!