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Autore: Fra_chan22    16/02/2015    3 recensioni
Elizabeth aveva alzato una mano al cielo intessuto di nuvole e lo aveva guardato con uno sguardo profondo e trasudante di serietà:
"Ti prometto che staremo sempre insieme quando verrà il mio turno. Niente ci separerà, nemmeno un re."
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"Facciamo adesso noi un patto, chenille." gli sorride rassicurante, aspettando la sua mano: "io ti prometto, anzi, ti giuro, che finchè sarò in vita, non permetterò a nessuno di portarti via il tuo bel sorriso dalle labbra. Combatterò contro tutti per te. Non ti lascerò mai da solo. Mai più."
[Elizabeth I x Uk] [FrUk]
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Elisabetta I d'Inghilterra, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 The only exceptions 


1559

"Io sono sposata con l'Inghilterra"
Quell'affermazione riecheggia ancora per la sala quando tutti i servitori e consiglieri e baroni alzano il capo guardando con meraviglia e timore la nuova regina. Elizabeth. Una ragazza di appena diciotto anni che aveva preso le redini di un regno distrutto dalla religione, dalla fame, dalla crisi e che aveva deciso di portarlo ai fasti che si meritava. A tutti i costi. Si fida del suo popolo, dei suoi consiglieri, e ora che tutte le congiure ordite contro la sua persona erano state sradicate fin dalle profonde radici, si sente intraprendente ed enormemente coraggiosa. Inghilterra lo può scorgere nei suoi occhi. Ha sempre voluto bene, molto bene, a quella ragazza. L'ha vista crescere orfana dei suoi genitori fin dalla tenera età, quasi ripudiata dalla sorellastra e criticata per la dottrina religiosa che aveva seguito. Ma Elizabeth si è sempre lasciata questo tipo di pensieri alle spalle, continuando a giocare e a studiare. In tutta la sua vita, Inghilterra non aveva visto regnante dedicarsi alle discipline umanistiche e alle scienze più di quella giovane. È molto intelligente, questo Inghilterra lo sapeva dal loro primo incontro. Da quando una Elizabeth di appena sei anni gli si era avvicinato e con vocina sicura gli aveva mormorato: "Tu non sei un essere umano, sei la mia nazione.", Inghilterra aveva avuto la certezza che la piccola se la sarebbe sempre cavata, nel bene e nel male. Non era previsto che sarebbe diventata regina così prestamente ed effettivamente la morte di Mary era stata una bella sorpresa anche per lui, perennemente presente a corte. Non che gli fosse dispiaciuto della dipartita di quella donna, lo aveva ridotto allo stremo delle forze sia fisiche sia psicologiche, condannando centinaia di suoi cittadini al rogo per motivi religiosi contro la sua volontà. Inghilterra ne era uscito lacerato nell'animo. E, come se non fosse stato abbastanza, a corte non era stato più rispettato. Gli interessi suoi e del popolo erano stati ritenuti meno importanti di quelli personali. Spesso aveva avuto timore persino di rivolgersi alla regina, sempre in costante presenza del marito spagnolo. Aveva temuto che qualsiasi sua presa di posizione avrebbe potuto peggiorare le cose. Talvolta, l'atmosfera a Londra si era riempita di tensione, paura e morte. Era stato in quei momenti che la nazione era fuggita in un luogo più sicuro. Si era messo spesso a sorridere tristemente quando pensava che la sua capitale, in teoria casa, era diventata la sua prigione. Comunque, Inghilterra aveva avuto un posto in cui rifugiarsi nei momenti di sconforto. E questo era stato il palazzo di Hatfield, nel Hertfordshire, dalla sua Elizabeth. Insieme avevano giocato, avevano riso e soprattutto avevano parlato. Avevano parlato di storia, di politica, di sentimenti, di persone, di situazioni. E del futuro. Quell'argomento era venuto spesso ripreso col sorriso sulle labbra; solitamente si stendevano sul manto d'erba e immaginavano di compiere grandi imprese, di scrivere opere teatrali romantiche, di viaggiare insieme:
"Lo sai," aveva iniziato una volta la ragazza, qualche giorno prima che le guardie reali giungessero e la portassero a Londra: "se fossi la regina non ti tratterei così. Tu hai molta esperienza, hai vissuto molto più di lei. Non è giusto che venga messo da parte per le idee e il bel faccino di uno spagnolo."
Inghilterra quella volta aveva riso:
"Dovrò aspettare ancora un paio di decine d'anni allora." Elizabeth aveva alzato una mano al cielo intessuto di nuvole e lo aveva guardato con uno sguardo profondo e trasudante di serietà:
"Ti prometto che staremo sempre insieme quando verrà il mio turno. Niente ci separerà, nemmeno un re."

La nazione ora sorride, a vedere quella stessa ragazzina indossare la corona che avevano sognato insieme e rispettare la sua promessa. Certo, non c'era stato un matrimonio vero e proprio, ma il significato dietro quelle poche parole appena proferite nella sala concepisce qualcosa di molto più profondo di un accordo economico. È un patto, il patto di appartenere sempre e solo al proprio ruolo, al proprio popolo. A lui. A renderlo forte come non era mai stato. Inghilterra la ama, se ne accorge solo adesso. La ama come non ha mai amato nessuno. Per la sua sicurezza. Per la sua forza. Per il suo ottimismo. Per la sua dedizione. Per tutto. Ama Elizabeth Tudor, la Virgin Queen. Così prende coraggio e fa un passo avanti, porgendo il braccio alla sua dama. Gli sorride, la regina, e gli prende la mano alzata tra le sue guantate. Non hanno bisogno di parole, non questa volta. Insieme ce la avrebbero fatta. Insieme si sarebbero difesi contro Spagna e Francia. Insieme avrebbero riunito il Paese.
Le loro mani si stringono un po' di più.


24 marzo 1603

Inghilterra cammina a passo di marcia verso la stanza della regina. Non riesce più a distinguere il rumore dei suoi passi da quello del suo cuore. Il primo consigliere lo ha appena avvertito dell'accaduto. La nazione si maledisce mentalmente. Perchè ogni volta che capitava non era nei paraggi? Non sopporta di essere sempre avvisato dai messaggeri per gli atti avventati della sua Elizabeth. Non bussa nemmeno alla porta quando giunge di fronte alla camera, si precipita a capofitto con il nome della regina sulle labbra. L'oscurità dell'abitacolo lo avvolge e ci impiega qualche secondo prima di inquadrare la forma del letto e della persona distesa sopra.
"Elizabeth." la chiama preoccupato, sperando di ricevere la considerazione negatagli in quegli ultimi mesi. Muove lenti passi verso di lei e cerca di poggiarle le mani sulle spalle. L'anziana donna spalanca gli occhi improvvisamente e lo fissa nella penombra. Nessun ombra di sorriso, nessun occhiolino accennato, come a segnalare uno scherzo. Solo un paio di occhi castani come quelli paterni che lo fissano assenti. Inghilterra si sente morire dentro. Le dà un leggero strattone, per svegliarla da quel silenzio che lo sta uccidendo dentro:
"Arthur." mormora all'improvviso e la nazione sente il proprio cuore fermarsi. Quello è il nome che gli aveva affibbiato molto, moltissimo tempo addietro. Non lo usava spesso, anzi, quasi mai: "Sono molto stanca." Inghilterra la guarda sofferente e le sorride con difficoltà:
"Allora faresti meglio a dormire invece di andare in giro per il palazzo tutto il giorno, non credi?" purtroppo, però, sa che la regina non gli sta parlando della mancanza di sonno. Elizabeth è stanca della vita. Ha visto guerre, sofferenze, crisi. Ha gestito eserciti, flotte, armi. Ha sofferto, ha combattuto, ha parlato al popolo tante volte quanti gli anni della sua nazione. Inghilterra le stringe una mano tra le sue, e restano entrambi in silenzio. Sospira e ingoia l'amara verità a fatica: Elizabeth, la sua talentuosa, bellissima Elizabeth lo sta per abbandonare. Da tempo aveva notato un cambiamento nei modi di porsi della regina, dei suoi gesti e delle sue dichiarazioni sempre più sporadiche. Poche volte usciva dalle sue stanze, i piatti venivano continuamente riportati nelle cucine del palazzo senza che le pietanze fossero state anche solo toccate. Talvolta Inghilterra udiva delle urla provenire dalla sua camera e ogni volta che giungeva trafelato dall'anziana donna la vedeva rannicchiata sotto le coperte, il cuscino umido di lacrime. I medici continuavano a consigliarle metodi per la guarigione, ma Elizabeth si rifiutava di seguirli, bollandoli come inutili. La nazione si sentiva impotente di fronte alla depressione incurabile della sua regina. Qualunque azione compiesse, qualsiasi frase le dicesse, era inutile. E la regina stava continuando a lasciarsi morire. Inghilterra non avrebbe saputo dire fino a che punto la depressione potesse incidere sulla salute fisica delle persone. Adesso, però, sa di saperlo. Sente il tempo che osserva freddo i loro corpi, sente la morte affacciarsi all'entrata della camera. Il petto della regina si alza e si abbassa lentamente, mentre il suo sguardo è rivolto alla finestra, gli occhi infossati nelle cavità tipiche di chi ha vissuto cento vite in una. Inghilterra non aggiunge nulla, si limita a resistere alle lacrime.
"È così che ti senti ogni giorno?" irrompe la flebile voce dell'anziana: "Ti senti stanco degli affari del regno, delle responsabilità e delle guerre?" volta il capo in direzione dell'amata nazione e con la mano libera gli accarezza il volto:
"No... Arthur, don't cry." Ma Inghilterra davvero non ce la fa più. Porta la mano che tiene ancora stretta tra le sue dita alla fronte e singhiozza, singhiozza forte tutto il suo dolore:
"I'm sorry Elizabeth" sospira tra gli spasmi e Elizabeth si allunga e lo accoglie tra le sue braccia, lasciandogli un tiepido bacio tra i biondi capelli:
"Non c'è alcun motivo per cui tu ti debba scusare, Inghilterra." un sorriso flebile compare tra le guance: "Sei stato il mio sogno e la mia speranza. Mi sento onorata di aver dedicato tutta la vita a te. Ti ho visto crescere e diventare il timore dei sette mari. Ti ho visto fronteggiare a spada tratta Francia e Spagna per difendere il tuo popolo."
Elizabeth scioglie l'abbraccio e lo prende per le spalle. Punta i suoi occhi castani in quelli verdi e Inghilterra si rende conto che, ancora una volta, è lei a prendere in mano la situazione, a infondergli coraggio. Lui non è mai stato capace dello stesso, nonostante i tanti anni vissuti:
"È solo che io non vivo se manchi tu, Elizabeth." riesce a dirle, asciugandosi le lacrime, e si sente così tanto infantile, così tanto egoista. La regina gli accarezza nuovamente il volto, inclinando leggermente il capo. La nazione capisce che è preoccupata per la sua incolumità, come lo è stata per tre quarti della sua vita. Inghilterra si chiede se sia stato davvero giusto che a una persona intelligente e dolce come Elizabeth sia dovuto pervenire l'arduo compito di ricostruire una nazione dal principio. Di sacrificare la sua vita per quella di un regno piccolo come il suo. Per questo aggiunge, una volta calmatosi:
"Ma capisco che tu non possa continuare. Capisco che qualunque cosa accadrà in futuro, dovrò essere io stesso ad agire, nel nome e nella difesa del nostro popolo.".
Vede la regina rilassarsi e riappoggiarsi al letto: "Arthur... no, Inghilterra..." lo chiama, mentre le sue dita vanno a intrecciarsi nuovamente a quelle della nazione: "ascolta quest'ultima mia richiesta." la nazione si fa più vicina e la osserva, convinto, nel profondo, di non poter amare nessun altro tanto intensamente quanto quella regina. Gliela sussurra nell'orecchio, quella richiesta, e quando termina Inghilterra la guarda commosso e gratificato. Annuisce lentamente, come a suggelare l'ultimo patto e si promette di rispettarlo con tutte le sue forze. Elizabeth muove un parvo sorriso:
"Ora, per favore, chiamami un prete: ho intenzione di morire."
Inghilterra abbassa il capo e si alza.
Le loro mani si separano.

 

24 marzo 2003

 

Una pioggia più fastidiosa del solito batte sulla tela colorata dell'ombrello inglese. Ancora pochi passi lo separano dall'Abbazia di Westminster. Quel giorno di ormai quattrocento anni prima non pioveva. C'era stato sole. Inghilterra lo ricorda ancora bene il funerale. Era rimasto solo tutto il tempo. Nessuno che si fosse avvicinato a lui per fargli le condoglianze. Nessuno che lo avesse granchè considerato. Gli altri lo avevano sempre visto solo come uno Stato, e non avevano avuto tutti i torti in questo. Ma in quel funerale, Inghilterra avrebbe voluto davvero che uno dei consiglieri, dei baroni, del popolo gli si fosse avvicinato e lo avesse sostenuto. Così come cento anni più tardi avrebbe voluto non essere da solo quando si era presentato di fronte alla tomba della sua regina. Così come ogni volta che andava a farle visita. Si sente solo da quel 1603. Ed è sicuro che occorreranno almeno altre centinaia di anni prima di incontrare qualcuno come lei. Aveva conosciuto re e regine succedersi nel suo regno, tra le guerre e gli accordi. Solo dagli ultimi decenni si poteva reputare una nazione in parte in pace con se stessa, in particolare dall'incoronazione della seconda Elizabeth. Anche lei era salita al trono giovane. Anche lei era ottimista e determinata. Ma non era la sua Elizabeth. Inghilterra ci si era illuso. Ma nessuno sarebbe mai stato come la sua Elizabeth.
"Angleterre!" Inghilterra ritorna alla realtà, trovandosi di fronte il faccione sorridente e barbettato di Francia: "Bonjour mon chenille! Come mai anche tu da queste parti?"
L'inglese sente improvvisamente le guance avvampare, ma sicuramente non per una qualche sensazione positiva. Tutt'altro:
"Questo dovrei chiederlo a te dato che sei nel mio territorio, stupid frog!"
"Oh Angleterre, parli ancora di territorio dopo l'Unione Europea? Devi aggiornarti!"
"I miei territori non sono totalmente parte dell'Unione dato che non sono entrato in Schengen, you idiot!" vede il francese sventolargli difronte al volto una mano, ad indicare il suo menefreghismo per tutto ciò che non ha a che fare con il suo stupido amour. Quanto lo fa arrabbiare!
"In ogni caso, non mi hai ancora risposto." continua Francia, prima che l'inglese possa provocare una nuova guerra dei cent'anni di fronte all'abbazia. Quell'affermazione, nota il francese, sembra calmarlo. Vede l'amico abbassare lo sguardo e voltarsi in direzione dell'entrata:
"Oggi sono quattrocento anni che lei se n'è andata." gli comunica, e Francia se lo era già immaginato. Per questo aveva preso il primo aereo e aveva raggiunto Londra quella mattina stessa. I suoi sentimenti nei confronti dell'inglese erano mutati durante quei secoli di guerre. Aveva realizzato che fronteggiarlo in ogni cosa non era tanto divertente e bello come combattere fianco a fianco. E, ovviamente, conosce bene i sentimenti che Inghilterra prova ancora per quella regina spavalda e coraggiosa. Persino lui si ricorda la sua determinazione e la sua forza di volontà. Era stata davvero un punto di riferimento per la nazione britannica, e perderlo aveva significato il suo tracollo per un periodo. Francia all'epoca non se ne era reso conto, anzi, aveva goduto delle crisi che si succedevano in Inghilterra. Ma con l'età si era reso conto di essere stato superficiale e crudele. C'era passato anche lui con Jeanne d'Arc, come aveva fatto a non comprendere i sentimenti del vicino? E poi, la scintilla si era accesa nel suo animo durante le guerre mondiali. Vedere quel piccolo bruco combattere contro un mostro come Germania, e vincerlo utilizzando astuzia e buoni accordi lo aveva messo difronte a una strana realtà: si era illuso di conoscerlo, ritenendo che gli anni di guerre e odio potessero avergli dato un quadro completo di quella nazione, di averlo visto in tutte le sue sfaccettature possibili.Quanto si era sbagliato.
Aveva deciso, dunque, di provarci, ma ancora sembrava lontano anni luce dall'inglese:
"Sono qui per questo anch'io." ammette fuori dai denti, accennando a un sorriso. Vede Inghilterra voltarsi nella sua direzione, leggermente basito: "Non pensare che sia un favore fatto a te, chenille. È per commemorare chi mi ha dato filo da torcere molte volte."
Inghilterra lo guarda in silenzio, le labbra leggermente schiuse. Non riesce a realizzare le parole dell'altro. Ma è piuttosto certo di aver capito le sue buone intenzioni:
"Vuoi...vuoi farmi compagnia?" gli domanda in un soffio, e nota Francia cercare di smascherare l'imbarazzo con una risata:
"Farti compagnia? Neanche come vicino di tomba ti ci vorrei!" il francese sa di aver esagerato, e se ne pente pochi istanti dopo aver formulato l'ultima parola. Non voleva essere offensivo fino a questo punto, soprattutto in presenza del luogo in cui è sepolto il grande amore di Inghilterra. In quest'ultimo nota un cambiamento di umore difficilmente rassicurante. Lo vede avvicinarsi con la testa bassa, lo sguardo impossibile da vedere. Sarà sicuramente arrabbiato. Ho esagerato, inizia a ripetersi Francia, ma perchè sono delicato con tutti tranne che con lui? Ora gli è a pochi passi, di nuovo. Si prepara a ricevere il colpo, spera almeno di riuscire a difendersi da un Inghilterra abbastanza adirato. Sa, in ogni caso, di meritarselo. L'inglese sta per alzare le braccia. Ma non lo ferisce. Lo abbraccia. Le circonda attorno al collo di Francia e si tiene stretto a lui, come fosse la sua ancora, il suo salvagente. La nazione non sa come comportarsi. Ha sognato questo momento da almeno un centinaio d'anni, ma sicuramente in un'altra situazione e in contesti decisamente diversi. Rimane quasi paralizzato, Francia, finchè non vede le spalle di Inghilterra fremere, ed alzarsi ed abbassarsi, in un movimento incoerente. Sta piangendo. E quando Francia se ne accorge, avvolge senza indugio le braccia sulle spalle dell'altro e lo stringe a sè più forte che può. Intanto gli ombrelli sono caduti e si prendono la pioggia. Ma al francese non interessa. Quello che più di tutto occupa la sua mente in questo momento è Inghilterra. Lo ha visto piangere solo una volta, ed era stato nel lontano 1776. Francia sa che la nazione inglese è distaccata, scostante, puntigliosa, pignola, ma sa anche che possiede l'importante capacità di provare un affetto illimitato per chi gli sta accanto. Per questo lo lascia sfogare, stando sotto la pioggia, e non dice nulla. Semplicemente, vuole stargli accanto.

 

La cameriera poggia il servizio da tè e una brioche sul tavolino rotondo del bar e se ne va, lasciando il conto accanto alla teiera. Le due figure al tavolo sono silenziose da almeno un paio di minuti, e non sembrano aver intenzione di parlare. Sono entrambi zuppi d'acqua fino alla punta dei capelli, le gocce cadono ancora sul pavimento. Inghilterra non riesce ad alzare lo sguardo dal suo tè, Francia lo continua ad osservare, pazientando. E pazienta per un po' di minuti, finchè non decide di rompere quel silenzio orribile:
"Guarda che il tè non si beve mica da solo." non nota alcuna reazione da parte dell'altro. Il silenzio cade nuovamente tra di loro. Francia cerca una posizione comoda sulla sua sedia, segno che è abbastanza preoccupato. Inghilterra ostina un ammutolimento senza fine:
"Angleterre..." lo chiama, abbassando leggermente il capo per cogliere il suo sguardo, che l'inglese gli pone pochi secondi dopo: "mi vorresti dire che succede?" glielo chiede con la massima gentilezza e avvicina una mano alla parte opposta del tavolino, come a chiedere un contatto. Inghilterra si limita a guardarlo, lo sguardo è ritornato quello crucciato che a Francia avrebbe fatto sorridere il cuore, in un'altra situazione. In questa, non lo fa che rendere più impaziente. Il francese ha compreso benissimo cosa sta succedendo. E Inghilterra è conscio di questo fatto. Per questo, senza mezzi termini, Francia decide di passare alle maniere più dirette:
"Ti manca." Inghilterra sposta di nuovo lo sguardo in un punto indefinito del tavolino:
"Tu non potresti capire. Hai fatto saltare la testa ai tuoi ultimi monarchi." il francese si avvicina maggiormente al tavolino:
"Ti potresti meravigliare di quante cose io riesca a capire, chenille." la nazione britannica sposta lo sguardo nuovamente sugli occhi celesti del compagno, prima di chiuderli stancamente:
"è solo che... ho paura." lo dice flebilmente, ma Francia riesce a comprenderlo. Non interviene, lo lascia continuare. Intanto Inghilterra lo osserva, il suo paio di occhi smeraldini accesi dallo sconforto e dalla tristezza: "ho paura di provare di nuovo le stesse esperienze. Ho paura di affezionarmi a qualcuno. Tutte le volte che l'ho fatto ne sono uscito più ferito e devastato di prima. Prima Elizabeth, poi America..." fa una piccola pausa, e chiude di nuovo gli occhi: "Sono sempre stato solo. Ti sei mai chiesto il motivo?" lo osserva di nuovo, gli occhi leggermente velati da lacrime: "io non sempre sopporto la solitudine, Francis. Ma se è il prezzo da pagare per evitare che mi succeda di nuovo..." alza le braccia e indica la sua situazione, osservandosi spezzato nell'animo: "tutto questo, sono disposto a pagarlo." Francia resta in silenzio ancora per alcuni minuti, mentre cerca di assimilare le sue parole. Lo odia. Odia vederlo in questo stato. Gli lacera il cuore. Vuole vedere Inghilterra solo sorridere, e vuole essere lui motivo del suo sorriso e della sua serenità. L'inglese continua, questa volta con una smorfia stanca e tirata sulle labbra:
"Tempo fa feci una promessa ad Elizabeth." giunge le mani in grembo: "era più una richiesta che una promessa. Cercai di rispettarla ad ogni costo, e ci cerco tutt'ora. Ma sono ben lontano dal riuscirci."
Francia decide di intervenire:
"In cosa consisteva?"
Lo vede alzare lo sguardo verso di lui e sorridere tristemente prima di rispondere: "Voleva... lei voleva che io fossi sereno con me stesso e che non mi dessi le colpe per quanto successole." Entrambi restano in silenzio, finchè il francese non si alza dal tavolino. Inghilterra lo guarda un po' confuso quando quest'ultimo gli porge la mano:
"Facciamo adesso noi un patto, chenille." gli sorride rassicurante, aspettando la sua mano: "io ti prometto, anzi, ti giuro, che finchè sarò in vita, non permetterò a nessuno di portarti via il tuo bel sorriso dalle labbra. Combatterò contro tutti per te. Non ti lascerò mai da solo. Mai più."
Inghilterra stringe i denti e trattiene le lacrime, ancora una volta. Non vuole ricaderci. Ha sofferto già abbastanza, pensava di essere stato chiaro a sufficienza con lui su questo fatto. Eppure, una parte di lui vuole fidarsi di quella mano, ancora tesa di fronte al suo sguardo. Vuole riprovare a fare un salto nel vuoto:
"Why, stupid frog?" Francia non gli smette di sorridere:
"Pourquoi je t'aime, mon Angleterre." gli sussurra. E Inghilterra decide di ascoltare la sua parte coraggiosa. Di fare un salto nel vuoto. Di tentare, ancora una volta, ad amare. Di cercare di abbandonare i fantasmi del passato e la solitudine.
Francia gli prende il volto tra le mani, e Inghilterra si sente rassicurato di nuovo.
Francia lo guarda con occhi innamorati, e Inghilterra si sente amato di nuovo.
Francia lo bacia, e Inghilterra sa che non rimarrà più solo.
Le loro mani si stringono più forti che mai.

 

 

Angolo dell'autrice

Okay, prima fanfiction in questo fandom e mi sento relativamente soddisfatta. Spero che non sia troppo scontata o confusionaria. il personaggio di Arthur potrebbe essere un po' OOC, sta a voi decidere comunque :') Volevo precisare che alcune frasi di Elizabeth non sono farina del mio sacco, ma sono dichiarazione dette da lei stessa. Ah, e nemmeno la depressione è una mia idea: la Virgin Queen ne ha sofferto negli ultimi anni della sua vita e si dice che fosse stata la principale causa della sua morte.

In ogni caso grazie mille per chi la leggerà e chi la recensirà!

Fra_chan22

  
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