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Autore: Julia of Elaja    16/02/2015    3 recensioni
Partecipa al contest "Noir: Nella mente dell'assassino" indetto dal gruppo FB "La cremé della cremé di Efp"
Quando la follia dilaga nella mente di una giovane donna, niente può fermarla.
E se la voce Maestra le dice che quel che fa è solo bene, un'altra voce canta tristemente la sua fine.
"There is a house in New Orleans..."
Liberamente ispirata alla ballata "The house of the rising sun".
Ho interpretato a modo mio la canzone, che parla del triste destino di una giovane prostituta, adattandola invece alla mia idea per questa OS.
Genere: Dark, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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13 Novembre 1893 

 
"C'è una casa in New Orleans, la chiamano 'La Casa del sole'.
Ed è stata la rovina di più di una ragazza e io, o Dio, so di essere una di loro"


Mentre guardo l'orizzonte, dai vetri lerci di questa finestrella della mia stanza, ripenso a quel che è accaduto... a quel passato non troppo distante.
Ho forse sbagliato qualcosa?
C'è una voce flebile, dentro di me, che piange e dice che quel che ho fatto non è una bella cosa.
Eppure un'altra voce, la mia Maestra, mi sussurra che va tutto bene, che sono nel giusto.
Che andava eliminato, quel viscido essere.
... lui e tutti quelli come lui.

 
"Se avessi ascoltato mia madre, io oggi sarei a casa... ero un essere così giovane, sciocco e vagabondo... che poveretta.
E mi sono lasciata guidare fuori strada da un vagabondo."

Peter McHoward, quel maledetto schifoso.
Lui ha guidato fuori strada i miei pensieri e la mia mente.
E io, gliel'ho fatta pagare.
... a lui e a tutti quelli come lui.
Quei viscidi, schifosi, ubriachi; uomini senza midollo, che erano buoni solo ad attaccarsi ad una bottiglia per poter andare avanti.

 
"O madre, di' alla mia sorellina di non fare come ho fatto io, di evitare la casa di New Orleans che chiamano 'La Casa del sole' ".


"Jolié, cliente in arrivo!"
Credo sia la voce di Reblé quella che ha urlato velocemente, dietro la mia porta; le nostre camere sono l'una al fianco dell'altra.
Reblé, la "puttana di fuoco"; la chiamano così forse per il colore dei suoi capelli, forse per la sua ustione sulla schiena che le rovina l'altrimenti perfetta pelle perlacea. O forse solo perché a lei piace farlo davvero in maniera spinta. Dev'essere quello, il vero significato del suo nome.
La riconosco da quel rumore di scarpe con il tacco, che fanno su e giù velocemente per il corridoio, che la accompagna sempre.
Oggi è una giornata frenetica; per tutte noi.
Ma poi... quando non lo è?

Mi siedo sullo sgabello di velluto rosso, quello davanti al tavolino per la toelettatura, e fisso il mio riflesso allo specchio.
Le labbra sono ancora rosse, d'altronde ho ripassato il rossetto giusto trenta minuti fa.
I miei capelli, di questo colore biondo scialbo, scendono abbastanza scompigliati sulle spalle; non c'è più traccia dei perfetti boccoli incerati che avevo qualche ora fa... non dopo Robert Anderson.
A lui piace scompigliarmi la chioma, dice che lo eccita così tanto... gusti.
A me eccita ben altro... ma qui non posso farlo.
Che peccato.
Mi mordo un labbro per soffocare quell'impuro pensiero; no, Eleanore, tua madre ti ha detto di non farlo, a meno che tu non voglia finire sulla forca...
Ah, la vita è così ingiusta.
"Mia madre è una sarta, lei ha cucito i miei nuovi blue jeans. Il mio innamorato è un ubriacone, un 'Signore', che beve giù a New Orleans"

Peter era un ubriacone. E di quelli molesti.
L'ho sempre amato con tutta me stessa, donandogli la mia verginità molto prima del nostro matrimonio.
Pensavo di essere la sua unica donna, come d'altronde dovrebbe esser regola.
Salvo poi trovarlo con un'altra sconosciuta in un vicoletto, uno di quelli bui, luridi, solo per gente di malaffare... uno di quelli vicino al porto.
Lì, a New Orleans.
Lì dove la puzza di pesce marcio si mescolava a quella dell'alcool delle bottiglie che i marinai scolavano a qualsiasi ora.
E quella notte lo vidi.
Godere come un maiale affondando in quella sconosciuta sgualdrina dai capelli biondi e sporchi.
Quelle vesti alzate e lui che entrava e usciva, dentro e fuori di lei, e urlava di piacere.
E in quel momento la voce che spesso sento nella mia testa, quella che mi fa quasi sempre compagnia, mi disse con fare deciso: "Fagliela pagare. Uccidilo".
Era quel maledetto alcool che lo aveva fatto diventare quel mostro.


Le sue parole di quella sera, quando un paio di ore prima era uscito da casa mia, mi riecheggiavano nella testa;
"Solo un bicchierino" mi aveva detto, quasi giustificandosi "Solo un po' di cherry con gli amici, giù
al porto".

... ed eccolo là, il suo cherry.
Una prostituta.


 

"Le uniche cose di cui ha bisogno un ubriacone sono una valigia e un porta bagagli. E lui è soddisfatto solo quando è ubriaco".

 

Ma certo, ogni volta che beveva e veniva a trovarmi per lui era un piacere.
Era l'alcool il vero motore dei suoi pensieri e della sua passione; e questa cosa non andava per niente bene. Non dopo quello a cui avevo assistito.
Non per me.
Io non sarei stata mai tutta una vita con un figlio di puttana che mi tradiva con la prima sgualdrina che gli capitasse a tiro e, soprattutto, si desse all'alcool.
Non nutrivo rancore per il tradimento, no... il vero problema era la sua ubriachezza molesta.
Quella che gli dava man forte quando decideva di picchiarmi.
Di scaraventarmi a terra e riempirmi di calci, così, solo perché era divertente così.
Solo perché era l'alcool che glielo suggeriva.
Quella che lo portava anche al tradimento.


 

"Riempie i bicchieri fino all'orlo, li passa in giro...

L'unico piacere che ottiene dalla vita è vagabondare di città in città".



Ma il tempo passava, la sua ossessione continuava a comandare tutti i suoi pensieri e le sue azioni... i miei lividi aumentavano e le ammaccature erano evidenti non solo sul mio corpo, ma anche nel mio spirito.

Dentro di me.

E quella voce che ormai mi era amica, continuava a ripetere "Fagliela pagare"



Lui non capiva; "Smettila" gli dicevo "O finirai male".
Ma lui rideva.
Povero, stupido ingenuo.

 

"Un piede sulla banchina e l'altro sul treno... sto tornando a New Orleans, con la palla al piede.
Torno a New Orleans, la mia corsa è quasi finita". 



Mia madre sapeva; mi vide ucciderlo a sangue freddo, con una rivoltella che non era stata difficile da recuperare giù al porto.
Non se l'aspettava, quel lurido ubriaco, di trovarmi pronta ad accoglierlo con un colpo di pistola dritto nella testa.
L'unica cosa che poté fare fu guardarmi stralunato mentre gli sparavo; quella sua espressione mi ripagò di tutto il male subìto.
Ma non finiva lì.
La mia voce mi diceva di farla pagare a tutti quelli come lui; ai suoi "amici del bicchierino".

 

 

"Falli tutti fuori" mi sussurrava, forse la mia coscienza o forse un'entità superiore. E io sapevo di doverla seguire.
Ed era inutile spiegare a mia madre; lei non approvava, diceva che stavo impazzendo.
Piangeva quando mi vedeva uscire la sera, incapace di fermarmi per paura che potessi aggredire anche lei.
"Madre" le sussurravo allora con dolcezza "Non temere. Tu non sei come loro".

Era bello girare con quella rivoltella; mi dava una sicurezza che mai prima d'allora avevo sentito mia.
E, complice anche l'oscurità della notte, ogni calar del sole uscivo per tornare con l'alba a casa mia, le mani piacevolmente colorate di rosso, del sangue colpevole di quelle bestie alcolizzate.



Non mi pento di quel che ho fatto e non lo farò mai.
So di essere stata nel giusto. Quel lavoro andava fatto e solo io ero in grado di gestire un compito del genere.
La mia voce Maestra si complimentava con me ogni volta che sparavo a uno di quelle bestie ubriache.


Eppure io non potevo sopportare di vedere mia madre ridotta in quelle condizioni, di vederla piangere disperata ogni volta che uscivo di casa; lei non capiva, fragile creatura, che io agivo per un bene superiore.
Persino mio padre era stato un ingordo ubriaco, ed io ero figlia di quel maledetto alcool.
Il ribrezzo per quel gesto era tale che, se fosse stato ancora in vita, avrei provveduto personalmente ad eliminarlo.
Ma ci aveva pensato già il suo fegato, ben cinque anni fa. "Cirrosi epatica" aveva decretato il medico con fare rassegnato.
Due mesi dopo era morto.


Sono ormai passati due anni da quel giorno in cui, mia madre, mi disse che qualcuno aveva fatto il mio nome alla polizia.

Non mi piacciono i poliziotti; quando compaiono loro è come una promessa di morte certa.
Loro non avrebbero capito il mio scopo, come neanche faceva mia madre d'altronde.
Io volevo ripulire New Orleans da quel lerciume di ubriachi.
Ma la gente comune non avrebbe capito. Non avrebbe approvato.
Che ignoranti.
"Stai attenta" mi sussurrava la mia voce Maestra.

E mia madre, la mia dolce madre, mi suggerì di andar via.
"Vai alla Casa del Sole" mi disse un gelido pomeriggio dicembrino "Vai lì, inventa una nuova vita e un nuovo nome. Parlerò io con Madamé Le Soleil Levant, lei capirà".
Solo così potevo salvarmi dalla morte.



... Ed è così che è andata.

Due anni fa approdai nella Casa del Sole, il più importante e prestigioso bordello di New Orleans con il nome di Jolié.
"La Graziosa".

Oh, se solo sapeste chi sono davvero, mi direste di tutto, tanne che sono graziosa.
La grazia non appartiene al mio stile.

 


La mia voce Maestra continua a chiamarmi, a rassicurarmi che quel che ho fatto è stato giusto. Mia madre è solo troppo debole e ignorante per capire il bene superiore che stavo realizzando.
Ma mi ha salvata dalla forca.
E di questo, gliene sarò sempre grata.

 

"Passerò lì il resto dei miei giorni,
sotto quel Sole.
Nella Casa del Sole"



"Buonasera, Jolié".
Mi volto e sorrido al mio nuovo cliente: "Buonasera" sorrido, alzandomi in piedi e ancheggiando verso di lui.
Lui almeno non puzza d'alcool.
Da me solo uomini sobri, per ordine di Madamé Le Soleil Levant.

Così la mia voce Maestra è soddisfatta e mette a tacere quella che piange, quella più dolce, più triste che a tutte le ore ripensa alla serenità che ho perso lì giù, nei vicoletti più scuri, nelle stradine del porto di New Orleans.


 

"There is a house in New Orleans..."


   
 
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