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Autore: calmali    16/02/2015    2 recensioni
È assurda la vita.Ti fa assaporare la felicità solo per togliertela poco dopo.
Spesso mi chiedo chi sia il responsabile, chi distribuisce la felicità?
C'è un addetto speciale? Si, insomma, funziona come nei supermercati dove c'è l'addetto al pesce, quello alla carne e uno che si occupa solo della verdura? Se fosse davvero così non posso fare a meno di pensare che la prerogativa dell'addetto alla felicità sia solo ed esclusivamente una: crudeltà.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Sam Evans, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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È assurda la vita. Ti fa assaporare la felicità solo per togliertela poco dopo.
Spesso mi chiedo chi sia il responsabile, chi distribuisce la felicità? C’è un addetto speciale?
Si, insomma, funziona come nei supermercati dove c’è l’addetto al pesce, quello alla carne e uno che si occupa solo della verdura?
Se funziona davvero così non posso fare a meno di pensare che la prerogativa dell’addetto alla felicità sia solo ed esclusivamente una: crudeltà.

Ho sempre pensato di avere certezze fisse, soprattutto da bambina. Non ho mai avuto grandi problemi a cui far fronte.
La mia era una di quelle famiglie benestanti cariche d’amore e di affetto; una di quelle famiglie piene di tradizioni stupide ma tanto accoglienti; una di quelle famiglie che ha come motto “tutti per uno ed uno per tutti”.

Mi ricordo di aver sorriso per tutta la mia infanzia e anche per gran parte dell’adolescenza.
Mi ricordo grandi e bellissimi sorrisi sul volto della mia sorellina e sguardi amorevoli su quello dei miei genitori.
Mi ricordo giornate passate al parco e serate passate davanti al camino con i miei che parlavano del niente ed io e mia sorella sempre intente ad inventare giochi nuovi per evitare la noia.
Mi ricordo le favole che mia madre mi leggeva prima di andare a letto e il bacio della buona notte che non tardava mai ad arrivare.
Mi ricordo tutto come se ogni ricordo fosse un marchio a fuoco nella mia mente ma a volte ricordare serve solo a piangere ed io ho finito tutte le mie lacrime.

Ero una ragazza solare, sempre allegra, spesso troppo ingenua, cercavo costantemente il bene nelle persone anche quando era difficile trovarne ma forse all’addetto della felicità non andava bene e così me l’ha strappata via, come si strappa un orsacchiotto dalle mani di un bambino, con la stessa crudeltà.

Una telefonata tracciò una linea tra quella che era stata la mia vita e quella che sarebbe stata. Mio padre era morto.
Come si può uccidere un uomo innocente?
Come si può uccidere un uomo per qualche dollaro?
Come si può uccidere senza provare pietà, senza provare vergogna, senza sentirsi un essere schifoso?

Quella mattina non avevo avuto il tempo nemmeno di regalargli un bacio sulla guancia, lo facevo sempre, era un vizio che avevo preso da bambina e non importava se ormai ero al mio penultimo anno di liceo.
Ero stata egoista, avevo rimpiazzato quel gesto tanto famigliare con Thomas, il mio ragazzo dell’epoca che mi aspettava impaziente fuori dalla porta.
Mi ero limitata ad un “ciao!” fin troppo superficiale, ad uno sguardo fin troppo schivo. Me ne pento ancora.

Da quel giorno mia madre impazzì, lentamente, senza che io e Emily, mia sorella, ce ne potessimo accorgere, perse completamente il controllo di se stessa.
Sapevo quanto amasse mio padre, sapevo che per lei era difficile ma una parte di me aveva sperato fino in fondo che potesse essere forte per me e per Emily, per noi e per la nostra famiglia. Non fu così.

Dopo un anno di squilibri venne ricoverata in un ospedale psichiatrico. Gli assistenti sociali separarono me e mia sorella, lei fu un caso molto più facile, i bambini sotto i dieci anni sono sempre casi più semplici, venne spedita dall’altra parte del paese senza che io potessi fare niente.
Mi assicurarono che sarebbe stata bene, in una famiglia che le avrebbe voluto bene. Non volevo crederci.

La mia situazione risultò molto più difficili agli assistenti sociali  si limitarono ad aspettare i miei diciotto anni e poi mi liberarono come si libera un uccellino in gabbia io, però, non avrei mai preso davvero il velo, mi sarei limitata a camminare.
A quel punto, quando diventai maggiorenne, non ero più la Brittany di un tempo, non ero più la ragazza solare amica di tutti.
Presi il primo treno per New York.

I primi giorni furono un inferno assoluto, avevo poco con me, giusto una valigia con l’essenziale.
La mia unica fortuna fu l’incontro con Puck, ragazzo un po’ sbandato che mi capì più di quanto potessi immaginare.
Mi diede un letto su cui dormire ma per il lavoro, beh… per quello avrei dovuto cavarmela da sola e così fu. Prostituta.
Pensai che fosse la strada più semplice da intraprendere, avevo diciotto anni, mi consideravo una bella ragazza e gli anni passati nelle sale di danza mi avevano insegnato a muovere bene il mio corpo anche se ero convinta che non fosse davvero necessario.

Avevo iniziato con l'intento che potesse essere una cosa provvisoria, il modo giusto per guadagnare un bel gruzzolo di soldi mentre mi impegnavo nel trovare un lavoro decente ma non avevo niente se non un diploma misero e lo squallore di quel lavoro non fu provvisorio come immaginavo.
Puck non mi fermò, non ci sarebbe riuscito e lui lo sapeva bene pur non conoscendomi da molto.
Le prime volte mi sembrava di essere violentata, come se il mio corpo venisse violato con il mio permesso ma non con la mia coscienza. Poi diventò normale.
Imparai a memoria i vari prezzi e il modo giusto per capire chi era pronto a spendere denaro e chi invece voleva solo fare due chiacchiere per sentirsi figo. Imparai le regole della strada e mi scordai della vita che avevo avuto; mi scordai della famiglia che avevo amato e della sorella che non potevo più avere.

È sette anni dopo che prende luogo la storia che sto per raccontarvi.
Nel momento esatto in cui anche l'ultima briciola di speranza che il mio corpo aveva cercato di tenere disperatamente al sicuro se ne andò, solo in quel momento il destino decise di ribaltare un ultima spero volta la mia vita.

Era il tredici Dicembre. A New York icombeva un freddo malsano e per quanto cercassi di ricercare calore nelle maniche del cappotto nero, rigorosamente aperto per lasciare in mostra fin troppi lembi della mia pelle chiara, non riuscivo a trovarne.
 
La strada, poco raccomandabile, era illuminata da lampioni singhiozzanti. Odiavo il buio, mi metteva paura, era una delle poche caratteristiche bambinesche che il tempo mi aveva permesso di tenere, quella che in realtà avevo bramato meno.

Non avevo orologi con me, non avevo nemmeno un cellulare. Non portavo mai niente con me se non una borsetta per mettere le banconote della serata. Le mie "colleghe" mi avevano messo in guarda ormai diversi anni prima, era rischioso portare con se oggetti costosi. A volte pensarci mi faceva sorridere amaramente, quel lavoro in se era pericoloso anche senza orologi costosi al polso.

Ero certa l'orario, comunque, si aggirasse intorno all'una, mi bastava contare i clienti che avevo già avuto.
A giudicare dal denaro nella mia borsetta avevo ancora molto lavoro da svolgere. Il solo pensiero mi fece salire un conato di vomito che trattenni a stento.

Presi una boccata d'aria che mi congelò i polmoni e mi rinfrescò la mente. Fu utile.

Posai lo sguardo su Quinn una delle ragazze che occupava, praticamente ogni sera, il lampione accanto al mio, non era molto che era entrata nel giro ma avevo comunque avuto modo di scambiare con lei qualche parola nella strada di ritorno a casa.
Mi sorrise, anche al buio riuscii a notare la curvatura delle sue labbra così lo ricambiai.

Non so precisamente quanto tempo passò prima che una macchina, dopo essersi accostata, mi sfalanò per farmi segno di avvicinarmi. La prima cosa che inquadrai fu la qualità della macchina, a primo sguardo il nuovo porco aveva molti soldi e non aveva paura di spenderli. Non mi feci scappare l'occasione e come una pantera, su quei due trampoli lucidi che avevo ai piedi, mi appoggiai con le mani laccate di rosso al finestrino che l'uomo aveva già aperto. 

Posai gli occhi azzurri sulla figura al volante e il fiato mi si bloccò immediatamente. Non era un uomo, non aveva la barba o i capelli unti. Non era di certo la prima donna in sette anni ma non si era mai avvicinata una donna tanto bella e giovane, una donna così non aveva bisogno di una squallida prostituta.

«Entra in macchina biondina!»

Non feci obbiezzioni, le mie gambe decisero per me e prima che potessi accorgermene ero già seduta nel sedile del passeggero con il getto d'aria del riscaldamento che, piacevolmente, mi scongelò l'anima.

«Non mi hai chiesto le tariffe, immagino tu abbia molti soldi da spendere.»

Aspettai che la macchina fosse in movimento per provocarla, volevo essere sicura di avere un cliente; volevo essere sicura di finire bene la nottata. Non mi importava davvero della sua bellezza, anche se dovevo ammettere che il suo profumo aveva un che di divino infinitamente meglio alla puzza di cipolle.

Non ricevetti risposta dalla latina, sembrava nasondere un certo nervosismo che, però, potevo riscontrare nel continuo picchiettare delle unghie sul volante. Non sapevo quale fosse la sua destinazione, non mi importava davvero, mi avrebbe riportato al punto di partenza, almeo era così che facevano in molti.

«Dove mi stai portando?»

Chiesi con il tono più sensuale che avessi quando mi accorsi che ci stavamo mettendo un po' troppo. Guardai fuori dal finestrino, riuscivo a riconoscere vagamente la zona, per lo meno sapevo per certo che quella non era una delle zone dove bazzicavo solitamente.

Altri secondi interminabili di silenzio riempirono l'abitacolo. I miei occhi azzurri si posarono nuovamente sulla figura della donna che mi stava accanto. Era di una bellezza sconvolgente, sembrava quasi irreale.

«Scusami. Non mi piaceva quel posto e sinceramente la macchina non mi fa sentire a mio agio.»

Mi spiegò con tono fintemente disinvolto. Percepii per la prima volta il suo timbro vocale che prima non ero riuscita a cogliere per la frase troppo veloce e secca che mi aveva dedicato. In quel momento, alle mie orecchie, risultò molto più caldo, roco e quasi familiare.

Rimasi in silenzio guardando davanti a me per il resto del viaggio che non durò più di dieci minuti. Parcheggiò la macchina all'interno di un garage molto moderno così come la casa che senza dubbio, tanto quanto la macchina, sottolineava la grande quantità di denaro che aveva a disposizione.

Scesi dalla macchina e la seguii all'interno, mi fece accomodare in un salotto ampio con grande vetrate e un divano in pelle bianco. Si accomodò di fianco a me dopo il mio rifiuto alla domanda "ti posso offrire qualcosa da bere?". Come seconda regola avevo quella di non bere mai, spesso gli uomini lo facevano per approfittarsene con più facilità.

«Allora... »

Lasciai cadere con un tonfo sordo la borsetta sul lato del divano e con un movimento veloce mi posizionai a cavalcioni su di lei. Potevo percepire chiaramente la sua rigidità, non sapevo da cosa derivasse. Da una parte sapevo per certo che non poevo perdere tempo nel scioglier ogni sua paura, dall'altra sapevo altrettanto bene che se non si fosse sciolta non avrei guadagnato neanche un dollaro.

«Come ti chiami?»

Mantenni quel tono provocante che usavo solo ed esclusivamente duante quello che mi ostinavo a definire lavoro. Le posai un baio sul collo, non ero lesbica, non mi ero mai etichettata come tale ma ero certa che a lei nessuno sarebbe resistito, ne' uomini ne' donne e mi risultava impossibile non chiedermi il perchè della mia presenza lì.

«Santana»

Non era titubante, sembrava sicura di se ma allo stesso tempo c'era qualcosa che la spaventava. Le posai un secondo bacio sulla mandibola e in risposta mi arrivò un respiro più profondo da parte sua.

«Santana. Mi piace, è sexy.»

Le risposi senza pensarci due volte. Sapevo bene cosa un uomo voleva, in quel caso mi risultava leggermente più difficile capire cosa fosse la cosa giusta da fare, come scioglierla il più velocemente possibile. Seguii l'istinto ed evitai di schiaffarle davanti il listino prezzi come una lavanderia o una compagnia telefonica. Iniziai a spogliarla lentamente.

«Dovresti rilassarti Santana. Mi sembri tesa»

Il mio tono non cambiò neanche per una frazione di secondo intensità o intenzione. prima che lei potesse obbiettare le tolsi la camicetta rossa. L'intuizione sulle sue forme che avevo avuto divenne certezza. Mi mordicchiai le labbra, sapevo che il suo sguardo non aveva smesso di fissarle.

«Non sono tesa»

Disse testardamente e a quel punto un sorriso spontaneo comparì su quelle stesse labbra che poco prima stavo mordicchiando in modo provocante. Non sapevo davvero perchè ma il suo modo di fare non faceva altro che farmi una grande tenerezza. Sembrava una donna forte, indipendente e carismatica ma allo stesso tempo sembrava fragile quanto un vaso di ceramica. Delicata ma bellissima.
Le tolsi i pantaloni facendoli scivolare lentamente sulle sue gambe magre. Una parte di me sapeva perfettamente che doveva essere una cosa veloce, l'altra continuava a sussurrarmi che quella latina si meritava di meglio, che aveva bisogno di qualcosa di meglio.

                                                                                               ***

Il sole che entrava dalla finestra mi svegliò. Non domivo così bene da secoli. Il materasso che avevo sotto al culo non era sicuramente il mio, quando me ne resi conto spalancai gli occhi in panico.

Mi guardai intorno, decisamente quella non era la mia camera da letto, quello su cui ero sdraiata non era il mio letto e la ragazza che aveva la testa appoggiata sul mio petto ancrora nudo... 

«Cazzo!»

Ricordavo ogni singolo dettaglio della notte passata con Santana. Perchè ne ero così sconvolta? Non avevo bevuto, era normale ricodare ogni dettaglio ma proprio perchè non avevo bevuto non riuscivo a reputare nomale la situazione in cui mi ero infilata.

Chiusi gli occhi per qualche istante per riprendere il controllo di me stessa e flashback della ser precedente mi inindarono la mente senza il mio cosenso. Ricordavo il momento in cui aveva preso il coraggio e mi aveva baciata, quando mi aveva condotta n camera da letto  quando dopo che io ero riuscita ad appagarla completamente aveva ricambiato il favore. Nessuno in sette anni si era mai preoccupato di appagare me, ero io quella che doveva dare piacere, il mio di piacere non interessava a nessuno.

Santana dormiva ancora beatamente, neanche la mia imprecazione l'aveva svegliata. Posai gli occhi chiari sul suo volto tranquillo e sorrii dolcemente. Dovevo andarmene, non potevo rimanere, non mi mportava neanche più dei soldi, dovevo assolutamente andare va di lì. Mi liberai dalla sua stretta il più delicatamente possibile e mi rivestii se i miei si potevano definire vestiti silenziosamente.
Pronta per uscire da quella camera, da quella casa per sempre mi immobilizzai.

«Non andartene. Ti prego, resta.»







Serendipity's space
ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia. So che sto già portando avanti una long parecchio impegnativa ma quando l'ispirazione mi colpisce non riesco a non scrivere. Spero che vi piaccia. Aspetto i vostri commenti :)
Se volete seguirmi su tumblr : http://iwillloveyouuntilinfinity-love.tumblr.com/

   
 
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