Videogiochi > Dragon Age
Ricorda la storia  |      
Autore: Nat_Matryoshka    16/02/2015    4 recensioni
"Zathrian il Guardiano piange insieme alla Foresta, mentre nel suo, di cuore, inizia a farsi strada una scheggia avvelenata che distrugge tutto, come le belve umane hanno distrutto la sua famiglia. [...] Una maledizione. Perché neppure i loro figli, e i figli dei loro figli, dimentichino quanto è successo ai suoi.
Elgar’nan, Padre di Tutti, concedimi la Vendetta. Fa che questi esseri imparino una volta per tutte cosa significhi soffrire."

[Pre-DA:Origins || POV di Zannelucenti]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
. Never again shall we submit
 
 
 
 
 



“If you could only see the beast you’ve made of me
I held it in but now it seems you’ve set it running free.
Screaming in the dark, I howl when we’re apart,
drag my teeth across your chest to taste your beating heart…”
[Florence + The Machine – Howl]
 
 
 
 
 

Un ramo si spezza. Un altro lo segue, poco dopo. Una corsa impazzita, forsennata, di chi sa di non potersi salvare se non correndo, correndo, correndo. Polmoni sfiancati. Muscoli che stanno per cedere, logorati da una fuga lunghissima, il fiato che viene fuori in rantoli, prossimo a fermarsi.
 
Sarà stato abbastanza, piccola elfa? Otterrai la salvezza che cerchi?
 
No.
 
 
In un attimo sei a terra, le foglie e la terra ti riempiono la bocca e le narici, quasi a volerti consolare prepotentemente, un giaciglio morbido che tenta di proteggerti dalla follia degli uomini, senza riuscirci. Nessuno può far nulla, nemmeno gli Déi, nemmeno tuo padre. Pregare, forse? Quegli uomini sono sordi alle suppliche. Devi arrenderti, lasciare che facciano quello che vogliono, ma non è mai stato nella tua natura, non vuoi, non puoi lasciarglielo fare, no…
Percepisci delle urla, ma ti rendi conto solo poco dopo di capire a chi appartengono.
 
Sangue
 
Sento delle grida
 
Mio fratello sta morendo
 
Déi, abbiate misericordia…
 

Mani feroci che strappano, graffiano, devastano, violano. Non hanno pietà, non sono guidate dagli occhi, conquistano e straziano quello che vogliono perché è nella loro natura, la devastazione è un canto troppo seducente per essere ignorato, dominato dalla ragione. Corpi brutali si prendono quello che trovano davanti a loro, più volte, col solo intento di umiliare. Ormai non è più neppure il dolore a scuoterti come le foglie durante una tempesta invernale, ma la vergogna, la paura, la desolazione. Sei un pupazzo di carne e terra tra le loro mani e come la terra vorresti inghiottirli, sparire, diventare parte della natura che li sta guardando e che, sicuramente, li maledice.
 
Mythal, Madre di tutti, tu che vegli su di noi…  donaci la tua giustizia.
 
Non ti accorgi neppure delle braccia gentili che ti sollevano, poco dopo, stringendoti come una bambina che ha smarrito la strada di casa, riportandoti nel luogo che hai sempre amato e considerato un rifugio, fino a che quelle belve feroci non hanno sparso morte e dolore ovunque. Non senti le loro parole di incoraggiamento, la dolcezza che cercano di infondere in te aiutandoti, curando le tue ferite e nutrendoti… quelle dell’anima sono più profonde e lasciano solchi, dolorosamente brucianti, tra il cuore e i polmoni. La gola si stringe, le parole iniziano ad uscire con difficoltà, quasi l’umiliazione subita le avesse chiude a chiave in uno scrigno di ossa rotte e grida spezzate, impossibile da riaprire senza pagare un prezzo troppo alto. Non senti nulla: calma, tristezza, malinconia, serenità, sono tutti sentimenti che ti sono stati portati via, smarriti nel fondo della foresta. Non senti le lacrime scivolare giù dagli occhi il giorno del funerale di tuo fratello, ma il dolore che stringe il tuo ventre, la pelle che si tende e si gonfia giorno dopo giorno, la sensazione di portare una vita dentro di te, oh si, riesci a sentirli. Ed è un peso così forte, così opprimente da far fluire di nuovo fuori tutte le parole, insieme ad una consapevolezza spaventosa, nebbia che impregna la tua mente e ti rende ancora più debole, sola, spaventata.
 
Dirthamen, insieme ai tuoi corvi,  porta con te il mio segreto.
 
Dicono che tu abbia preso un pugnale tra le dita sudate, una lama lunga e sottile dall’elsa meravigliosamente dipinta e incisa, una di quelle opere d’arte mirabili che costruiva il vostro armaiolo. Lo hai osservato con lo stesso terrore con cui si fissano gli occhi di vetro giallo di un predatore, soppesandolo tra le dita, anche se nel cuore covavi la rassegnazione di chi sa già cosa fare ma cerca il coraggio per compiere il suo gesto, una spinta in un abisso che si può solo richiedere da qualcuno, non produrre da soli. Lo fissavi e basta, mentre dentro di te qualcosa si muoveva, scalciava.
Aspettavi un figlio.
 
Quando hai trovato il coraggio che cercavi, hai spinto la lama. Il cuore l’ha accolta, inghiottendola come se avesse fame.
 
Un grido
Le parole finalmente si sono liberate dallo scrigno, per non ritornare.
 
 Sei caduta sul pavimento senza peso, piccolo fantoccio pieno di dolore e di tristezza, senza emettere suono. Un mantello scarlatto si è allargato sotto di te, caldo, umido come le tue labbra, mentre i tuoi compagni cercavano di sollevarti, gridando, le voci concitate che riempivano l’accampamento e danzavano rabbiose, disperate, maledicendo gli umani e la tua sorte. Ti toccavano il ventre con rispetto, non incolpavano quel piccolo essere per averti sconvolto vita, ma chi lo aveva gettato nel mondo senza preoccuparsene minimamente, come se la sua vita fosse inutile, uno scherzo crudele giocato per umiliarti. Cantavano per te, donandoti parole: forse quelle che avevi tenuto sotto chiave erano tornate da loro, dopotutto non sarebbero potute sparire.
I tuoi occhi erano chiusi, ma le preghiere restavano ancora nell’aria, quasi fossero solide, vetro leggero che tintinnava con la voce.
 
O Falon’Din, Amico della Morte, nostra Guida, porta questa figlia verso il  riposo.
 
Voci che diventano schegge di vetro impazzite, che feriscono con rabbia, col dolore di un padre privato dei suoi figli. Zathrian il Guardiano piange insieme alla Foresta, mentre nel suo, di cuore, inizia a farsi strada una scheggia avvelenata, che distrugge tutto, come le belve umane hanno distrutto la sua famiglia. Inizia a roderlo piano piano, a scavare lì dove la morte dei figli ha lasciato un vuoto, vi prende posto e da lì domina il resto, fino ad arrivare alla mente e a dominarla con l’idea della vendetta, di un’azione che resti impressa nei secoli e li maledica tutti quanti, dal primo all’ultimo.
Una maledizione. Perché neppure i loro figli, e i figli dei loro figli, dimentichino quanto è successo ai suoi.
 
Elgar’nan, Padre di Tutti, concedimi la Vendetta. Fa che questi esseri imparino una volta per tutte cosa significhi soffrire.
 

Dammi ciò che cerco.
Sacrificherò ogni cosa.
Lo giuro.
 
 
 
 
Ero solo un piccolo lupo, un cucciolo bianco dagli occhi vivaci. Non conoscevo il mondo: umani, elfi, nani… per me erano tutti uguali, non facevano parte dei miei interessi, non vagavano per la foresta a cui ero legata. Così li ignoravo, lasciavo che vivessero la loro vita, bastava che loro mi lasciassero vivere la mia.
 
Dopo averlo incontrato, nulla è stato più come prima.
 
Ho iniziato a vedere cose, a sentirmi in maniera diversa. A percepire il mondo come un enorme distesa di desolazione, a sentire una fame che non pensavo di poter provare, piena di rabbia, impossibile da estinguere, sempre più bruciante. Se prima la natura mi guidava, era dolce e benigna, ora mi lasciava in un angolo, ridendomi in faccia per la mia debolezza, istigandomi a continuare, a non smettere mai di odiare, mordere, spargere dolore così come era stato instillato dentro di me, goccia a goccia. A ululare senza posa alla luna, così lontana, sperando che almeno lei mi ascoltasse, che placasse la mia fame. Ma non è cambiato nulla.
 
Che diritto avevi di strapparmi alla mia esistenza? Di farmi abitare da uno spirito, così che potessi creare dei miei simili per spargere il seme della vendetta che tu, vigliaccamente, avevi gettato su di me?
Non pensi di aver sacrificato troppo pur di trovare la pace?
 
Non ottenevo risposte, solo risate di scherno. Ero solo uno strumento, dopotutto.
 
Sia fatta la volontà degli Déi.
 
Nel mio isolamento, altri figli della maledizione mi hanno seguito: non ero più sola. Ma quando le voci di chi aveva subito violenza e mai ottenuto giustizia arrivavano a me, cosa potevo fare? Allora ero davvero sola, come non mi ero mai sentita prima, come nessuno dovrebbe sentirsi. Abbassavo la testa, mi poggiavo le zampe sulle orecchie e ululavo piano, sempre rivolta alla luna, chiedendo a quella lacrima opalescente di placarmi, di aiutare i miei nuovi fratelli ad accettare quel tormento, di porre fine alle loro sofferenze e alle mie: in qualche modo, funzionava, anche se per poco. La maledizione era sempre forte, ma lo spirito dentro di me mi ha guidata, mi ha insegnato a resistere, a non ripiegarmi su me stessa facendo sprofondare il dolore in una cassa di ossa e sangue come avevi fatto tu, piccola elfa dagli occhi spenti, ragazzina violata, spirito inquieto che mi teneva sveglia vagando per la foresta, piangendo la sua famiglia a gran voce, sperando che qualcuno accorresse in tuo aiuto. Il tuo dolore doveva essere ricordato, ma non in quel modo, non facendo soffrire altri innocenti, no… non era giusto. Avremmo dovuto essere migliori di chi ci aveva fatto soffrire, non eguagliare la loro malvagità.
 
Ululavo ancora alla luna, disperata. Una figlia della foresta che non conosceva pace.
Ululavo per i miei dolori, per quelli dei miei fratelli, per i figli che pagavano le colpe di padri mai pentiti, colpe che ormai erano solo parole secche, delitti racchiusi nel cuore della foresta, parole spezzate e canti.
Per quanto potesse servire, continuavo ad ululare. Sperando che qualcuno mi ascoltasse.
 
 
Fino a che, oggi, un Custode Grigio non si è presentato alla mia porta.
Gli ululati, per un attimo, si sono placati.
Forse potrò finalmente raccontare a qualcuno questa storia di sangue e di morte, di maledizioni e di tormento. Forse potrò affidare a qualcuno la storia di Zathrian e dei suoi figli, affinché la giustizia di Mythal arrivi davvero e conforti il suo cuore, insieme al nostro.
 
Siediti davanti a me, lascia che ti narri la mia storia: per troppo tempo l’ho tenuta dentro di me, soffocandola nell’aria gelida delle notti insonni, senza suoni né sogni. Ascoltala senza giudicare, come ascolteresti un’anziana che ti apre il suo cuore raccontandoti il suo passato, le storie che l’hanno accompagnata e tutto quello che verrà… quello che sono, in fondo. Ascoltami senza chiedere nulla, le domande arriveranno dopo, tutte insieme. Solo in quel momento, finalmente placata, risponderò.
 
Gli ululati intorno a me sono cessati. La luna ci guarda, brilla lontana, mi sta proteggendo.
 
 
Dèi, vi prego, accompagnate le mie parole.
Datemi la forza necessaria per portare avanti il mio compito.
 
 
Spezzare la maledizione potrebbe far tornare la pace: solo allora lo spirito riposerà. È stanco di correre in tondo per la foresta, di cercare qualcuno a cui affidare il suo tormento, ha soltanto voglia di dormire.
 
Anche io, insieme a lei, potrò smettere di ululare, tornare ad essere uno spirito della foresta, una creatura che non conosce fame, sonno, rabbia, vendetta. Camminare tra i rami e le foglie, sentire il respiro della natura su di me, alzare lo sguardo sulla luna e sorriderle: sono di nuovo me stessa. Mi vedi, madre?
 

Sono libera.
 














Ho da poco iniziato a giocare a Dragon Age: Origins e mi sono totalmente, irreparabilmente innamorata di questo videogame. tanto che, quando ho incontrato Zannelucenti durante la missione di Brecilian, la sua storia mi ha conquistata e mi ha spinta a scriverci qualcosa su, anche solo un semplice tributo senza nessunissima pretesa. Sono reduce da un periodo di blocco dello scrittore - l'ennesimo, purtroppo - e in piena sessione d'esami invernale, ma scrivere senza pensare, guidata solo dalla musica mi ha fatto davvero bene: spero che la storia possa piacervi quanto io ho amato scriverla, e che non sia un orrore di OOC come temo. I nomi degli Déi elfici e le loro caratteristiche vengono, ovviamente, dalla wiki di Dragon Age, che mi ha aiutato tantissimo a ricordarli tutti.
La storia è dedicata alla mia meravigliosa donna, nonché betatrice ufficiale, TsunadeShirahime: è stata lei a introdurmi a questo universo meraviglioso e a coinvolgermi con il suo entusiasmo, tanto che non potrò mai ringraziarla abbastanza (tesoro <3). E ad Ant, un altro compagno di scleri che allieta le mie giornate. Thank you, guys. <3
Se potete, leggetela ascoltando Howl e Blinding di Florence + The Machine, sono state le mie "canzoni guida" durante la stesura e mi hanno ispirata tantissimo, per cui mi sento di consigliarvele assolutamente!
Come sempre, pareri e consigli sono più che benaccetti :3

Nat
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dragon Age / Vai alla pagina dell'autore: Nat_Matryoshka