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Autore: _Heartland_    16/02/2015    0 recensioni
{ | Storia di 9.401 parole | Azione, Giallo, Avventura | All'interno un personaggio in AU | }
❝ « Pensa che sia la solita storia, signor Tanner? » domandò a quel punto il moro, una volta lontano da orecchie indiscrete.
« Potrebbe » rispose l’altro, girandosi verso il suo aiutante. « Un furto commesso da qualcuno che conosceva bene la famiglia e la gioielleria, ma non abbastanza furbo da conoscere sé stesso. »
Matt Grace annuì, fissando lo sguardo verso un punto indefinito. Aveva compreso la risposta del detective: non era la solita storia. Vi era qualcosa di più interessante nei modi di fare di quella famiglia, qualcosa di più accurato in quel furto.
Qualcosa di più appassionante in quella nuova e compromettente avventura.
[ ... ]
Sentiva ancora sulla schiena lo sguardo pesante del signor Tanner che, dopo essersi allontanato per pensare in solitudine, non aveva smesso di osservarlo neanche per un secondo. Ma a Matt non importava. Aveva fallito anche questa volta. Non era riuscito nel suo intento e, anche se indirettamente, aveva fatto star male le persone a cui teneva.
Aveva fallito. Quelle parole riecheggiavano incessanti nella sua mente. Era colpa sua, soltanto sua. ❝
Genere: Azione, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prefazione

 In un certo senso, speravo sempre che qualcuno mi dedicasse un suo scritto. Magari nel giorno del mio compleanno. Non mi aspettavo necessariamente un capolavoro o un best-seller, ma semplicemente che qualcuno pensasse a me, quando doveva dedicare un libro o uno scritto di qualunque tipo a qualcuno.  Poteva anche essere una storia semplice che non c’entrasse assolutamente nulla con me, ma era pur sempre dedicata a me.
Fino ad ora, non mi è ancora mai accaduto. Ma non è importante, perché ho deciso di fare il contrario. E forse è proprio questo il motivo per cui pubblico questo racconto giallo – che avevo preparato già un po’ di tempo fa per questa occasione – proprio oggi, 16 febbraio 2015.
Questa storia era già nata molto tempo fa, ed era molto più semplice e corta. I personaggi  –  fra cui anche quelli più esterni, come la segretaria dei due investigatori  – non hanno  subito grandi cambiamenti nella revisione e non ne sono stati aggiunti altri.
I personaggi, così come la storia, mi appartengono e sono frutto della mia fantasia, per cui è vietato qualunque tipo di plagio, sotto qualunque forma. Solo il nome del personaggio di Manuel  Prandera è stato preso da un esercizio del  mio libro – potete crederci o no – di antologia, ma la caratterizzazione del personaggio mi appartiene.
Essendo questo racconto dedicato ad una persona – spiegherò dopo – da cui il personaggio di Matt Grace prende il nome, un piccolo riferimento non è casuale. Mi sono ispirata appena all’aspetto fisico, ma il personaggio rimane pur sempre immaginario.
La storia e le vicende sono assolutamente inventati.
Per il resto, ogni riferimento a persone, luoghi ed oggetti è puramente casuale.
Ah, e Matt… goditi la storia, spero ti piaccia.
 




 

L’enigma del diamante perduto



A Matt,
lui sa perchè.
 
 
 
❝ Da non dimenticare è il furto denunciato questo lunedì stesso dalla prestigiosa gioielleria della famiglia Smith. I proprietari, Elen e Harold Smith, hanno infatti annunciato che un valoroso diamante è stato loro rubato nel tempo compreso fra il sabato sera e il lunedì mattina.
A occuparsi personalmente del caso sarà il famoso investigatore privato William Tanner, questa volta assistito dal suo nuovo aiutante, Matt Grace.
Riusciranno a ritrovare il tesoro ed incastrare il colpevole?

Da un articolo del New York Times risalente a lunedì.


 
New York, The Smith’s Jewelery
Lunedì | Ore 09.00
 
Non vi era alcun rumore. Solo il silenzio, cupo ed opprimente come sempre, che li avvolgeva tutti, come ad interrogarli. Gli occhi cerulei di William Tanner guizzavano da una parte all’altra della stanza, fremente d’attenzione, come a cercare di individuare qualche indizio – un capello, un’impronta, un mozzicone di sigaretta – che però non c’era. Perché era così: non avevano trovato assolutamente nulla.
L’investigatore avanzò di un passo, osservando con sguardo fervido la cassaforte, ora aperta, immaginandosela però chiusa. Ritornò con la mente alla scena, nel momento in cui gli Smith guardavano con occhi ridenti il direttore della gioielleria, Aleksandr Chbosky, posare con circospezione il loro nuovo tesoro in quella cassaforte: era un diamante, ciò che finalmente avrebbe dato alla signora Smith la possibilità di vivere la vita ricca e sfarzosa che aveva sempre sognato. Perché se c’era una cosa che il signor Tanner aveva capito, era che i due proprietari non erano altro che questo: esseri privi di qualunque sentimento, dediti solo a rincorrere il loro desiderio di ricchezza eterna. Forse erano loro stessi il motivo per cui la figlia, Kelsey, non era cresciuta nel migliore dei modi.
William Tanner si girò, incrociando lo sguardo della giovane Smith: si era parata dietro Manuel Prandera, il suo nuovo ragazzo, come a cercare di ripararsi dallo sguardo indagatore dell’uomo.
« Quindi non abbiamo alcun tipo di indizio ». La voce sferzò l’aria come fosse l’ascia di un boia, interrompendo quel silenzio quasi disumano. L’investigatore si voltò, trovandosi di fronte al suo collaboratore: Matt Grace. Per un attimo, gli occhi del signor Tanner si fermarono sul giovane, passando dai capelli scuri e folti agli occhi castani e profondi, per finire sul fisico esile e secco. Non c’era da stupirsi che il ventenne lo seguisse in tutte le sue avventure: Grace non era mai stato felice della propria vita, non era mai stato felice di quella vita. L’aveva trovata sempre troppo noiosa, troppo monotona, e forse era stato quello il primo motivo per cui aveva avuto il forte impulso di diventare il nuovo aiutante del signor Tanner. William, in parte, rivedeva ancora di tanto in tanto il vecchio Alessio, suo ex collaboratore morto mesi prima ormai sepolto nella patria originaria. Anche se non lo dava a vedere, ogni volta che i ricordi lo sommergevano il detective si sentiva sprofondare, perché lui era stato l’unica vera persona di cui si era mai fidato.
« No » negò infine l’investigatore, dopo essersi riscosso dalle sue lunghe ed abitudinali riflessioni. « La scientifica non ha trovato nulla. »
« Stai dicendo che la polizia lavorerà attivamente con noi? » domandò l’altro, perplesso.
Le labbra del signor Tanner si distesero in un sorriso ironico. « Penso che c’entrino anche loro, no?  »
« Certo, signore » confermò il giovane. « Ma la maggior parte delle volte la lasciano lavorare in pace, conoscendo le idee brillanti con cui riesce sempre a scovare i colpevoli ».
« C’è sempre una prima volta, Matt, ricordalo » lo avvertì il detective. « La polizia, più che altro, pensa che da soli non siamo in grado di cavarcela ».
« Hanno paura di un fallimento da parte nostra, no? »
William annuì. « Sì, ma tu devi ricordarti una cosa. Anche dopo una ricaduta, una cosa non superata, devi sempre – e dico sempre – rialzarti » concluse infine, allontanandosi e dirigendosi verso i due Smith.
Matt storse le labbra. Aveva notato che di tanto in tanto l’investigatore approfittava di momenti propizi per non insegnargli soltanto cose sul mestiere, ma dargli anche lezioni di vita. Non aveva mai capito il signor Tanner, e probabilmente mai ci sarebbe riuscito: quell’uomo aveva passato così tanto tempo a risolvere misteri che ormai ne era divenuto uno lui stesso.
Il moro sbuffò, avvicinandosi a grandi falcate all’investigatore e alla coppia che possedeva la gioielleria, in attesa di ricevere qualche nuova informazione. Il ragazzo aveva sempre adorato quel momento in cui tutti i puntini di una vicenda si collegavano, fino a formare un quadro completo.
« Quindi non sapete nulla di quel che è successo domenica  » stava dicendo il detective, scrutando con il suo solito sguardo indagatore i due. In quei momenti i suoi occhi non erano più di una sfumatura chiara come il cielo, ma parevano diventare più scuri, profondi come l’oceano, così intensi da smascherare qualsiasi bugiardo.
« Esattamente, signore » stava rispondendo un ometto basso e grassoccio, probabilmente il signor Smith. « Ovviamente la domenica non siamo venuti qui, non ne avevamo motivo ».
« E siete sicuro che non sia entrato nessuno? »
« E chi sarebbe dovuto entrare, signor Tanner?  » domandò la moglie, con la solita vocetta stridula.
« Non so… magari il colpevole? » azzardò ironico Matt, subentrando all’interno della conversazione. Riuscì a rifilarsi una gomitata da parte dell’investigatore, che lo squadrò dall’alto in basso per ammonirlo. « Comunque, » continuò il ventenne. « Vorremmo chiedervi di venire con noi alla stazione di polizia, per un piccolo interrogatorio. Tutti. »
I due proprietari annuirono, per poi sbrigarsela velocemente ed avvicinarsi all’altro gruppetto, composto da Kelsey, la loro figlia, Prandera, Chbosky e Sarah Jackson, la commessa del negozio.
« Pensa che sia la solita storia, signor Tanner? » domandò a quel punto il moro, una volta lontano da orecchie indiscrete.
« Potrebbe  » rispose l’altro, girandosi verso il suo aiutante. « Un furto commesso da qualcuno che conosceva bene la famiglia e la gioielleria, ma non abbastanza furbo da conoscere sé stesso. »
Matt Grace annuì, fissando lo sguardo verso un punto indefinito. Aveva compreso la risposta del detective: non era la solita storia. Vi era qualcosa di più interessante nei modi di fare di quella famiglia, qualcosa di più accurato in quel furto.
Qualcosa di più appassionante in quella  nuova e compromettente avventura.




 
New York, stazione di polizia
Lunedì | Ore 16.30
 

« Dunque, signor Smith, mi spieghi attentamente ciò che è successo fra il sabato sera e il lunedì mattina » domandò per l’ennesima volta l’investigatore Tanner, sedendosi al tavolo di fronte all’uomo. Vi era solo una debole luce all’interno della stanza, blu e fredda, perfetta per recare alta tensione ai colpevoli che mettevano piede in quella stanza e farli confessare il reato compiuto. Era una delle tante tecniche psicologiche che Matt gli aveva consigliato di usare, e che William aveva apprezzato perché, nonostante tutto, quel ragazzo gli aveva insegnato più di quanto credesse.
« Ecco, vede, signore… » l’uomo pareva calmo, ma aveva la fronte imperlata di sudore, il che era già un indizio molto prezioso. Era ansioso, quindi c’era qualcosa che non quadrava. « Sabato sera ero presente assieme a mia moglie quando Chbosky ha deposto il diamante all’interno della cassaforte, e dopo di che abbiamo semplicemente inserito il codice, chiuso la cassaforte e siamo usciti, chiudendo il negozio a chiave.  »
« E siete sicuro che non vi era nessun’altro? » domandò l’investigatore.
« Assolutamente certo » rispose l’uomo.
Il signor Tanner annuì, riflettendo su ciò che gli era stato detto. Aveva trovato qualcosa di interessante, un’informazione su cui puntare il piccone. « Mi dica, il signor Chbosky la conosce da tanto? »
« Da moltissimo » rispose l’altro. « Mi fido ciecamente di lui. Non potrebbe mai esser stato lui, ne sono sicuro, anche perché il furto sarebbe andato a suo sfavore ».
Il detective aggrottò le sopracciglia. Sino ad allora aveva trovato campo fertile, avendo già un’ipotesi, ma quell’ultima affermazione del signor Smith lo aveva scombussolato. Gli fece segno con la mano, incitandolo a continuare.
« Si tratta di un patto stipulato anni fa, signore. Vede, quando io e Aleksandr eravamo giovani eravamo molto legati, come fratelli, tanto che ci dividevamo sempre tutto. Quando aprii il negozio, giurammo insieme che avremmo sempre diviso equamente il ricavato ».
Il signor Tanner incrociò le braccia, pensieroso. « Mettiamo caso che Chbosky avesse intenzione di rubare un tesoro tanto prezioso: sarebbe stato meglio, perché il ricavato sarebbe andato solo a lui. »
« Oh, no, signor investigatore. Chbosky è molto fedele e affidabile e, oltre a quello, c’è un fattore più importante » L’uomo si bloccò, come se non volesse andare oltre. Lo sguardo insistente del detective, però, lo puntigliò sino a quando l’altro non si decise a continuare. « Noi… giurammo sulla nostra stessa vita ».
Di colpo, il silenzio si impadronì di quel luogo. Il signor Tanner parve perdere la cognizione spazio-temporale, poi si alzò con tanta fretta che il signor Smith fece un balzo sulla sedia. L’ometto lo osservò per qualche minuto che parve interminabile, aspettando che il quarantenne si decidesse a parlare. 
Poi il signor Tanner si sedette di nuovo al suo posto. « Dunque, signor Morano, mi spieghi attentamente ciò che è successo fra il sabato sera e il lunedì mattina ».



 
New York, stazione di polizia
Lunedì | Ore 18.00
 
 
« Allora avevo ragione » constatò il ventenne. « Quell’uomo è pazzo ».
Il signor Tanner si lasciò cadere pesantemente sulla sedia accanto al suo investigatore, osservando il rapporto che l’aiutante aveva incominciato a scrivere al computer. « Gli ho fatto ripetere il tutto circa cinque o sei volte ».
Matt aggrottò le sopracciglia, rivolgendogli una muta domanda.
L’investigatore accennò un sorriso. « Chi mente si prepara il discorso già prima, e ripete sempre le stesse parole. Chi dice la verità, invece, ripete lo stesso fatto, ma cambia parole. E’ una cosa assolutamente naturale ».
Grace annuì, colpito. « E se lui si fosse impegnato a fingersi un tipo onesto? »
Il detective scosse la testa. « Non è il tipo. Comunque, quando hanno chiuso la cassaforte Chbosky era con loro.  »
« Quindi, » rispose Matt, rivolgendo di nuovo la sua attenzione allo schermo. « Potrebbe esser stato lui. Insomma, se c’era ha visto anche il codice ».
« Ho conosciuto appena Aleksandr » riprese il signor Tanner. « E non è affatto uno stupido. Uno dei suoi hobby sono gli scacchi, ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che è molto bravo. »
« Intelligente e astuto » commentò il moro.
Il quarantenne annuì. « Quel patto stipulato con gli Smith… lui non l’avrebbe mai rotto, è un tipo leale.  »
« Per i soldi si fa di tutto, però  » osservò l’aiutante, voltandosi verso il detective e osservandolo con il suo solito sguardo profondo.
« Anche a costo di morire? Insomma, avrebbe guadagnato comunque molto, ed essendo un buon uomo d’affari non avrebbe mai rischiato, aveva comunque i soldi assicurati. »
« Mhm » Matt storse le labbra. « Dobbiamo guardarlo sotto un punto di vista particolare, questo Chbosky. Come diavolo si scrive il suo cognome, a proposito? »
Il signor Tanner accennò un sorriso divertito, scandendo le lettere. «  C – H- B – O – S – K – Y .»
« Grazie » sussurrò l’altro, riprendendo a scrivere. « Comunque il caso si sta facendo interessante. Insomma… hanno scommesso sulla loro vita! »
« Hanno giurato, Matt, è diverso » lo corresse il detective.
« Non importa » disse l’altro. « Ho interrogato gli altri e non ho trovato nulla di interessante. Però mi erano sembrati tutti troppo vaghi, così ho fatto delle ricerche per conto mio.  »
« E hai trovato qualcosa? » domandò il signor Tanner, sporgendosi sul piano della scrivania.
« Eccome » un sorriso spavaldo si impadronì del volto del giovane, mentre digitava un nome e le informazioni cominciavano ad apparire sullo schermo. Un volto liscio e candido, incorniciato da boccoli dolci e biondi, con incastonati due smeraldi lucenti e profondi. « Kelsey Smith, ventidue anni, figlia di Elen e Harold Smith, studentessa universitaria. Da quel che mi ha detto sua madre, ha poca voglia di studiare e molta di divertirsi. L’hanno beccata varie volte ubriaca mentre guidava, qualche multa, e alcuni dei suoi amici furono arrestati per spaccio di droga un anno fa. Ce l’ha a morte con suo padre perché l’ha sempre costretta a fare ciò che voleva lui, e perciò spesso fa qualunque cosa pur di procurargli dei guai. Ah, già, una volta il suo ragazzo era – e qui ascoltami bene – Aleksandr Chbosky. Li trovarono insieme una volta, in macchina, mentre lei guidava, ovviamente ubriaca ».
« In collera con il padre, ex ragazza di Chbosky… un soggetto interessante, non credi? » soppesò William Tanner, mentre le sue labbra si stiravano in un sorriso.
« E guarda questa, » stavolta, sullo schermo apparve un viso angelico e paffuto con due caldi occhi marroni. « Sarah Jackson, lavora alla gioielleria. Nessuno si è mai lamentato di lei, ma ho scoperto – sempre da quella pettegola della signora Smith – che pare abbia una cotta per Chbosky, ovviamente non ricambiata. »
« Magari lui è ancora fedele a Kelsey » azzardò il signor Tanner, curioso.
« Mah, io ancora non capisco cosa ci trovano tutte di così affascinante in questo Chbosky… » commentò il ventenne, voltandosi verso l’investigatore.
L’altro sorrise, divertito dal ragazzo. « Evidentemente toccherà a noi scoprirlo. Altro? »
Matt annuì. Ora al centro dello schermo vi era un profilo maschile perfetto, pelle leggermente scura e due occhi di ghiaccio. « Manuel Prandera, nuovo ragazzo di Kelsey – devo ammettere, certo, la ragazza ha gusti particolari. Comunque, la sua famiglia, di origini sudamericane, era trafficante di droga. Ti giuro, ci stavano dentro fino al collo! »
« Matt… » lo ammonì il quarantenne.
Il moro si ricompose. « Sì, ti stavo dicendo… trafficante di droga. Lui però se ne allontanò presto, stabilendosi qui, negli Stati Uniti.  »
« Origini comunque interessanti » osservò William, incitandolo a continuare.
« Pare che avesse un talento naturale per la recitazione, tant’è che da piccolo frequento un prestigioso corso di teatro –  chissà come lo hanno pagato… »
« Questo non è un nostro problema, Matt. Poi? »
« Il suo più grande talento, però, fu la musica. Kelsey ha anche accennato al fatto che il ragazzo non abbia trovato particolare fortuna qui, come invece sperava. »
« Potrebbe volersi spostare, » azzardò il detective. « Magari avere bisogno di soldi. Forse abbiamo un altro potenziale colpevole. »
« Errato » negò Matt. « Benchè si sia allontanato, ha ancora solidi contatti con la sua famiglia. Gira voce che gli inviino ogni volta pesanti somme di denaro. La polizia sudamericana, ciò nonostante, non riesce proprio a trovarli. »
« Una famiglia ricca alle spalle che fa finta di aver ormai allontanato, dici? Allora no, i soldi li ha eccome. » Il signor Tanner si stiracchiò, distendendo la schiena, di colpo meno interessato. « Vado a farmi un’altra chiacchierata con il nostro caro Harold, tu magari preparami un caffè » disse poi, alzandosi e dando una pacca sulla spalla al ragazzo.
Matt, d’altra parte, rimase in silenzio. Aveva provato a bloccarlo, ma il detective si era già chiuso la porta alle spalle.
E se i buoni rapporti con la famiglia e tutto il resto fossero soltanto una copertura?




 
New York, parcheggio antistante alla gioielleria
Martedì | Ore 08.00
 
 
Alle otto in punto del mattino seguente, Matt Grace era stanziato sul luogo del furto, in attesa di parlare con Aleksandr Chbosky. L’uomo lo aveva contattato la sera prima, chiedendogli gentilmente di potersi incontrare, e il ragazzo aveva accettato senza esitazioni.
Fu una decina di minuti dopo che una Porsche nera tirata a lucido parcheggiò proprio di fronte a lui, sotto il suo sguardo stupito. Certo che era vero, era proprio un uomo d’affari. La portiera si aprì, rivelando la figura scolpita e secca dell’uomo che doveva avere una trentina d’anni. Aveva un sorriso impeccabile stampato in faccia, i capelli neri rigorosamente pettinati e un completo accuratamente stirato indosso. Di nuovo, un vero e proprio uomo d’affari.
« Signor Chbosky, buongiorno! » Benchè si fosse sforzato, il tono di Matt era parso parecchio tirato, neanche lontanamente vicino alla gentilezza. Ciò nonostante il ventenne tentò un sorriso cordiale, cercando di rimediare al suo errore.
Chbosky rispose appena al saluto, abbassando lievemente la testa. Poi si diresse a passi frettolosi all’interno della gioielleria, aspettando che l’altro lo seguisse.
Fantastico, iniziamo bene, pensò Grace, sbuffando e seguendolo come meglio poteva.
« Mi voleva chiedere qualcosa, Chbosky? » domandò Matt.
L’altro gli fece segno di abbassare la voce. « Aspetti » sussurrò. Perché parlava a voce tanto bassa?
« Va bene, allora le farò io una domanda » riprese il ventenne, abbassando di poco la voce. « Cosa sa di Kelsey e di Prand- » il moro fu interrotto bruscamente dall’altro, che lo fece accucciare in un batter d’occhio dietro il grande bancone in mogano della gioielleria. Lo sguardo di Grace era corroso dalla confusione, ma Chbosky parve ignorarlo. Gli fece segno, invece, di ascoltare.
« … lo so, lo so. No, il diamante era di medie dimensioni, ma era incredibile. Scintillante, bellissimo, stupendo. Vale una fortuna. »
L’espressione sul volto del ventenne si fece più attenta. Quella voce gli era familiare.
« Certo, signore, lo so… »
Ancora. Mano a mano un’immagine cominciò a farsi spazio nella sua mente. Viso angelico e paffuto, caldi occhi marroni… Matt Grace sbarrò gli occhi.
« No, signore. Va bene. Arrivederci, signore. »
Poi si sentì semplicemente la linea telefonica che si chiudeva, e un oggetto che veniva sbattuto sul tavolo, seguito infine da dei passi. Dei passi che si avvicinavano pericolosamente a loro.
Chbosky strinse le dita attorno al braccio dell’altro, trascinandolo fuori di peso. Lo portò oltre il parcheggio, a rotta di collo fino ad addentrarsi in un piccolo parco lì vicino per allontanarsi abbastanza. Solo allora osò allentare la presa.
« Che cosa significa? » domandò il più piccolo, confuso, ancora scosso dalla corsa e dal fiatone.
« Ecco il motivo per cui l’ho chiamata » spiegò Chbosky, come se fosse la cosa più naturale al mondo. Non pareva affatto scosso da nulla di ciò che era successo. Il respiro regolare, le spalle rilassate, il viso contratto in un’espressione tranquilla. « Non è la prima volta che sento Sarah parlare in  quel modo del diamante. Ne parlò anche lunedì, subito dopo che tornammo tutti dagli interrogatori. Pensava di essere sola, ma anche io mi ero recato nel negozio per controllare che non ci fosse davvero nessun indizio. »
« E perché non ce lo ha detto prima? » sbottò l’altro.
« Attendevo una telefonata abbastanza interessante, ma credo vi basti anche questo. Ma non è solo questa la cosa interessante. »
« Niente qui è interessante » replicò il ventenne. « Lavora lì, è ovvio che sa com’è fatto il diamante! »
Chbosky scosse la testa, divertito. « Prima di tutto, il diamante è arrivato sabato sera, dopo l’orario di chiusura. Anche volendo, Sarah se ne sarebbe già andata. C’eravamo solo io e gli Smith, quando è arrivato il diamante, e la stessa situazione per quando lo abbiamo messo nella cassaforte. »
Matt aggrottò le sopracciglia. Se fosse stato colpevole di qualcosa, non avrebbe detto così espressamente che lui era solo con i due proprietari quando era arrivato il gioiello. Inoltre, il suo tono era tranquillo e onesto e neanche il suo più piccolo gesto corporeo aveva smascherato qualcosa. Era tutto in perfetta linea.
« Inoltre, il giorno libero di Sarah è proprio il sabato. Ragioni! Se il diamante è arrivato sabato sera, dopo la chiusura – e quindi non lo ha visto nessuno, oltre a noi tre – ed è stato rubato domenica, la Jackson non lo ha mai visto. Sarebbe rientrata soltanto lunedì. »
« Non lo ha mai visto, ma sa perfettamente com’è fatto… un furto anticipato, già prestabilito? »
« Già » confermò l’altro, gli occhi duri come il marmo.
« Chbosky, venga con me. Dobbiamo assolutamente parlare con il signor Tanner. E in fretta. »


 

New York, stazione di polizia
Martedì | Ore 08.30
 
Il signor Tanner sedeva cupo dietro la scrivania, squadrando di tanto in tanto i due uomini.
« Dite che sia stata lei? E per quale motivo avrebbe dovuto, in fondo? »
Matt si sentì mancare la terra sotto i piedi. Se ne era dimenticato. Aveva tralasciato la domanda più importante: perché? Sì, era la stessa cosa che si chiedeva lui. Perché continuava a fare errori?
« Signore, io… » era già sul punto di scusarsi, quando intervenne Chbosky.
« Essendo direttore della gioielleria, conosco bene Sarah. Ha sempre avuto una paga piuttosto bassa, con cui riusciva a malapena ad andare avanti. Gli Smith la trattavano male, chiamandola sempre per cognome ed usandola quasi come un oggetto. Lei si era stufata, lo aveva accennato da tempo. Una volta, addirittura, durante un litigio, avvertì che prima o poi si sarebbe vendicata. »
« Un ottimo movente » osservò l’investigatore, squadrandolo. « Bene, signor Chbosky, la ringrazio, ma adesso devo congedarla. »
L’uomo annuì, con aria formale. « Certo, signor Tanner. E’ stato un piacere. » Salutò cortese entrambi e poi uscì, lasciandoli soli.
« Non dimenticherò mai la freddezza di quell’uomo… » commentò Matt, alzando lo sguardo da terra.
Il detective lo ammonì con lo sguardo, richiedendo serietà. « Comunque, potrebbe andare. Ma… è troppo semplice.  »
Grace evitò di tramutare la sua espressione facciale. Quella frase significava solo una cosa. Aveva fallito. Se una volta aveva avuto paura di far soffrire le persone che amava, ora aveva paura di fallire. Ed entrambe le paure lo aveva inghiottito e corroso lentamente. Ciò nonostante, trovò il coraggio per parlare. « Che intende? »
« Stamattina ho interrogato tutti un’altra volta, fornendomi dei loro alibi. I signori Smith sono stati tutti il giorno a casa per pitturare le mura, e mi è stato confermato dai vicini che li hanno aiutati e altri abitanti del quartiere.
Chbosky è stato dalla madre malata, e anche questo confermato.
Il signor Prandera ha suonato per un matrimonio in un piccolo ristorantino. Tutto confermato. Ma guarda chi altri c’era. »
Il signor Tanner passò al ventenne un foglietto pieno zeppo di nomi. Il ragazzo lo prese con mani tremanti. Cos’era quell’elenco? Quello degli invitati?
« Scorra alla lettera J. »
Matt ubbidì, un groppo in gola. Jackson Sarah. 
« La presenza della signorina è stata confermata da molti invitati. Ha un alibi di ferro, di certo non è stata lei. Almeno non direttamente. E neanche indirettamente. E’ una ragazza molto semplice, non farebbe nulla di tanto complicato. E’ un po’ come il cane che abbaia ma non morde, mi segui? »
Il moro annuì. « E la figlia degli Smith? Kelsey? »
L’investigatore sorrise. « Era in giro, in città. Il problema è che non abbiamo testimoni, e la ragazza ha detto che non è andata in nessun negozio, o roba del genere. Ha fatto solo una passeggiata. Ma sua madre mi ha detto che è una ragazza estremamente fanatica. Va in centro ogni volta che può, e non c’è una volta che non entra in nemmeno un negozio. Ama le marche costose. Inoltre Kelsey avrebbe avuto motivi per derubare il padre: vendetta. Lo odia, in fondo, no? Ma anche per i soldi. La ragazza progetta da tempo di trasferirsi addirittura in Francia, a Parigi. E bisogna ammettere che il viaggio e la vita in quella metropoli non sono esattamente poco costosi.  »
« Sta puntando sulla ragazza, quindi » osservò l’aiutante.
« Il fatto che la Jackson non sia stata lì quel giorno non significa che non sia stata lei. Magari potrebbe averlo preso qualcun altro e poi dato a lei. In questo modo non avrebbe rischiato nulla. Trovarlo a casa degli Smith sarebbe stato troppo scontato, semplice.  »
« Signore, » Matt deglutì. Improvvisamente si sentiva la gola secca. « Lei pensa che…  »
Il signor Tanner si sporse sul tavolo, lo sguardo di pietra. « Che siano complici? Sì, esattamente. »




 
New York, The Smith’s Jewelery
Giovedì | Ore 17.00
 
L’investigatore e il suo aiutante erano appostati al centro del grande negozio, appoggiati al bancone in legno pregiato e guardando fisso negli occhi i signori Smith.
« Dunque la situazione è questa… » osservò Harold, inumidendosi le labbra, mentre faceva scorrere gli occhi dai due investigatori ai poliziotti che stavano entrando dalla porta. Uno di loro, dalla pelle pallida e lo sguardo determinata, si fece avanti, avvicinandosi all’investigatore.
« Abbiamo confermato tutti i suoi sospetti, signor Tanner. Una donna nel quartiere, infatti, passeggiando ha notato Kelsey Smith, la figlia dei proprietari,  gironzolare con aria strana intorno al negozio verso le quattro del pomeriggio, domenica.»
Elen Smith, che sino ad allora aveva patito in silenzio, scoppiò in un pianto isterico. « E’ mia figlia, maledizione! Mia figlia! Non è stata lei! Non può esser stata lei! Non potete accusarla così! Non potete! » urlò, cercando inutilmente di difendere la ragazza.
L’uomo la guardo un attimo, compassionevole, le grandi occhiaie attorno agli occhi. Pareva non aver dormito per niente. « Ciò nonostante, ieri sera ci è arrivato un interessante video via mail. Non siamo riusciti a trovare il mittente, perché era stato mandato da un internet-cafè, ma sappiamo che il locale si trova in Francia. »
« La meta da sogno di Kelsey, che coincidenza » commentò ironico Matt. « E questo video cosa contiene, esattamente? »
Il poliziotto deglutì, passando oltre la domanda. « Non abbiamo dormito tutta la notte. Abbiamo rivisto il video in continuazione, nel tentativo di individuare un solo indizio su un qualche elemento che potesse portarci al luogo dove sono nascosti. Ma non siamo arrivati a nulla. »
« Nascosti? » Il signor Tanner si accigliò. « Chi? »
« Vede, signor investigatore, ieri pomeriggio ci fu una denuncia di sparizione. »
La signora Smith smise di colpo di piangere, gli occhi ancora lucidi. « Di chi? »
« Manuel Prandera, signora » rispose il poliziotto, tornando poi a scrutare i due investigatori.
« E ieri sera vi è arrivato questo video » notò Matt. « E’ stato rapito e portato in Francia, per caso? »
L’uomo pallido annuì. « Sì. Ieri ci sono stati vari voli da New York verso Parigi, soprattutto la mattina, probabilmente… »
« E’ stato preso in ostaggio ». La voce di Colombo era stata così calma ma allo stesso tempo decisa che l’aiutante quasi si spaventò. « Questo lo libera da ogni accusa. Ma perché lo hanno preso? E chi?  »
« E’ quello che abbiamo cercato di capire, signore » lo informò il poliziotto. « Di certo, però, qualcuno che come obiettivo aveva quello di punire Kelsey Smith. Sapevano che fosse il suo ragazzo e quanto lei tenesse a lui. Lo hanno letteralmente torturato davanti all’obiettivo della macchinetta.  »
Matt Grace deglutì un groppo amaro formatosi in gola. « Ci faccia vedere quel video, e in fretta. »



 
New York, The Smith’s Jewelery
Giovedì | Ore 17.30
 
Gli occhi di tutti erano incollati allo schermo. Inizialmente, però, questo era rimasto semplicemente buio. Il signor Tanner aveva osservato attentamente le espressioni facciali del poliziotto in quel momento, e vi aveva letto solo tantissima preoccupazione: un pessimo incipit, per cominciare. Accanto a lui erano seduti i due Smith, Sarah Jackson e, poco più in là, il suo aiutante Matt.
Poi, di colpo, vi fu un fascio di luce abbagliante. Si erano stanziati in un magazzino vuoto della gioielleria con un piccolo proiettore, e l’investigatore cercò di pararsi la vista con una mano. Cercò di scorgere qualcosa e solo dopo un po’ riuscì a distinguere due figure.
Una era certamente Prandera. Era legato ad una sedia in una posizione innaturale, con vari nodi sin troppo stretti che lo tenevano fermo. Il viso, rivolto verso il basso come se fosse svenuto, era sporco di terra cruda e sangue vermiglio e scrostato. La bocca era semiaperta, come se avesse già esalato il suo ultimo respiro, e da essa colava ancora un rivolo di sangue viscido e scuro.
« Questo è solo il primo avviso, signori » ora la seconda figura aveva l’attenzione su di sé. Era un uomo alto, vestito completamente di nero, con indosso un passamontagna. Al lato, sul piano di un tavolo vicino a lui, aveva poggiata una pistola, mentre in mano teneva un coltellino imbrattato di sangue secco.
Dell’ambientazione di sfondo, però, non si notava nulla. Era tutto oscurato. E anche la voce era stata certamente modificata al computer. Era rauca, quasi fosse uscita da un film horror, e totalmente innaturale. Di certo, il lavoro di un professionista nel campo dell’editing. « Se il colpevole non darà a me il diamante, questa sarà solo la mia prima vittima. Avrete tempo fino a sabato. »
Poi l’uomo alzò la testa di Prandera, facendo palesemente notare che era svenuto. « Vi sarete chiesti come si è ridotto così  » la voce pareva echeggiare nella sala. « Spero che vi divertirete a vederlo, perché vi offrirò una bella vista.  »
Poi lo schermo si oscurò. Una piccola scritta bianca e scintillante, in alto, recitava codeste parole:
 
Dedicato a Harold ed Elen Smith.
A Aleksandr Chbosky e Sarah.
E, certamente, alla cara Kelsey Smith.
 
Poi la scena cambiò ancora, e il signor Tanner riuscì a pensare soltanto una cosa: si sarebbe pentito per tutta la vita di averlo visto.
Un Manuel Prandera urlante e scalciante era legato con delle pesanti catene all’interno di una vasca, ma non pareva essere una vasca semplice. Era trasparente, affinchè si potessero notare i movimenti dell’uomo sott’acqua: una danza orribile, sovrumana. Dall’acqua uscivano rivoli di fumo, segno che fosse calda, bollente. La pelle dell’uomo era rossa, lo si poteva notare perfettamente, e le grida – stavolta non modificate al computer, il signor Tanner ne era certo – erano rivoltanti. Animalesche. Così forti da lacerare l’anima. Pareva impossibile che il corpo umano fosse in grado di produrre dei suoni simili. Erano così intense che quasi ti facevano credere di provare lo stesso dolore, di immaginare tutto su te stesso. Da farti venir voglia di unirti a quel coro di voci orribili, a quelle grida strazianti che riecheggiavano ancora e ancora, agghiaccianti.
Durò solo per pochi secondi, poi la scena cambiò di nuovo.
Prandera era incatenato ad un muro, scosso dai fremiti. Aveva tagli freschi e ferite profonde lungo braccia, gambe e viso, da cui colava sangue denso e viscido. Si intravedevano appena i muri, ma già osservando l’ambiente circostante si poteva notare che era freddo, ghiacciato. Ciò nonostante, la pelle del signor Prandera era ancora rossa, segno che fosse stato spostato subito lì. Un cambio di temperatura così pesante e veloce non aveva fatto altro che peggiorato la sua situazione. Il signor Tanner notò che aveva le vesti strappate ed era sena più forze. In un angolino intravide una poltiglia disgustosa, giallo-verde. L’uomo era svenuto, aveva perso conoscenza, ma era ancora scosso, reazione naturale del corpo causata da quel cambio e dal fatto che probabilmente fosse stato a digiuno. Fu travolto da un conato di vomito, ma dalla sua bocca uscì soltanto un rivolo di sangue caldo, e poi la parete su cui il tutto era stato proiettato si annerì.
Solo allora tutti parvero rendersi conto dell’urlo terrorizzato che si era levato da un angolo della stanza, dove Kelsey Smith, scioccata, si era fermata ad osservare.




 
New York, stazione di polizia
Sabato | Ore 18.00
 
Matt Grace cercava inutilmente di calmarsi, bevendo la cioccolata calda che gli era stata offerta. Cosa sarebbe successo? Ora era necessario risolvere il caso: era in gioco una vita umana. Il suo sguardo scuro e profondo era inchiodato sulla strada che dominava da sempre la vista dalla finestra del loro ufficio, e quel giorno era stranamente deserta. L’aria era cupo, il cielo grigio e piovoso.
« Signor Grace, ho delle informazioni per lei » la voce di Sophia, loro segretaria, lo fece sussultare. « Ho scoperto qualcosa su Chbosky. »
L’aiutante del signor Tanner tornò a sedersi alla propria scrivania, osservando con circospezione la ragazza dai capelli rossi come fuoco. « Di che si tratta, cara? »
Lei avanzò di qualche passo, sedendosi su una sedia di fronte a lui. « Una volta, prima di diventare direttore del negozio, Chbosky era un ottimo grafico ed editor. Modificava e creava video e immagini in modo supremo, o almeno così dicono. Era famoso in quel settore, molto ricercato, ma poi un giorno decise di chiudere quella storia, sparì letteralmente e decise di occuparsi di altro. »
« Strano » commentò il ventenne, digitando qualche parola sul computer. Con un po’ di fortuna, avrebbe trovato delle informazioni chiave. Tornò ad osservare Sophia. « Mi faresti il piacere di chiamarlo, per cortesia? »
« Ho già tentato, signor Grace, ma c’è un problema. La segreteria. »
« Per l’amor del cielo, chiamami Matt e dammi del tu, ti prego. Mi fa sentire solo più vecchio. »
L’altra soffocò un sorriso divertito.  « Sì, dicevo… immaginavo l’avresti chiesto, perciò ho mandato due poliziotti a casa sua. L’hanno trovata chiusa e hanno chiesto informazioni ai vicini, che non hanno saputo rispondere. »
Il moro si accigliò. « Mhm, interessante. Ottimo, però. Hai trovato informazioni molto interessanti, cara ».
Un cigolio fece sussultare entrambi, mentre la porta si apriva lentamente.
« Ah, è lei, signore. Mi aspettavo già un ladro o un mostro » sospirò il ragazzo, appena ironico.
« Matt, metti da parte la tua ironia, dobbiamo parlare di questioni serie » lo ammonì il detective.
Lui annuì. « Certo. E’ per Chbosky? »
Il signor Tanner annuì, cupo. « Escludendo coincidenze, è partito mercoledì, lo stesso giorno in cui è stata denunciata la scomparsa di Prandera. »
Matt Grace annuì, alzandosi e preparandosi a seguire l’investigatore, ma quest’ultimo lo bloccò. « Oh, no, vorrei che tu restassi qui, mio caro. Io devo andare a parlare con la signorina Smith. Tu, invece, potresti rivedere il video con uno specialista e magari in compagnia della nostra cara Sophia. Informatevi su come lavorava Chbosky, quali erano le sue tecniche, delle cose particolari che riapparivano in tutti i suoi lavori, e confrontate tutto con il video che è stato mandato alla polizia. Poi fatemi sapere. Ho un brutto presentimento. »




 
New York, casa Smith
Sabato | Ore 20.00
 
 
Kelsey Smith era distesa sul letto a piangere a dirotto. Era tutta colpa sua se tutto ciò era accaduto. Avevano torturato il suo ragazzo per questo. Per uno stupido errore commesso dalla ragazza, era successo tutto ciò.
« Non avevo intenzione di provocare tutto questo » piagnucolò lei, prima di lasciarsi cadere sul proprio letto ed accendere il tablet. Le era capitato spesso di parlare da sola negli ultimi giorni, segno di evidente stress o, come credeva lei, di follia. 
Fece scorrere velocemente le dita sulla tastiera touch-screen, fino ad arrivare alla sezione Mail: ce n’era una nuova.
La ragazza, con dita tremanti, la aprì, e subito un altro video si mostrò ai suoi occhi. Stavolta vi era solo l’uomo incappucciato, che la fissava con occhi duri come marmo e stranamente familiari. « Signorina Smith, la informo che non dovrà condividere la visione di questo video con nessuno, o ne varrà la sua vita e quella del signor Prandera ».
Dalle labbra della ventiduenne uscì un tremolio soffocato, mentre il suo cuore batteva all’impazzata, quasi volesse schizzarle in gola.
« Mi ascolti attentamente. Dovrà ammettere pubblicamente di essere colpevole. Se non lo farà entro oggi, Prandera morirà. Dopo averlo fatto mi mandi un e-mail, verificherò a modo mio.  »
E il video si chiuse.
Poi la porta si aprì di colpo, e Kelsey si affrettò a nascondere il tablet sotto la moltitudine di cuscini, mentre il suo sguardo incontrava un secondo dopo quello del signor Tanner.
« Signorina Smith, spero di non disturbarla ».
La ragazza si asciugò frettolosamente una lacrima dalla guancia, accennando un sorriso. « No, signore, sto bene. »
Lui annuì, sedendosi sul letto di lei ed osservandola. Aveva uno sguardo tranquillo, dietro il quale, però, si celava paura. Con gli anni, l’investigatore aveva imparato ad individuarla.
« Ho saputo che ha avuto relazioni discordanti con il signor Chbosky e il signor Prandera. E’ vero, signorina? »
La ragazza annuì, mordendosi il labbro inferiore, nel tentativo di bloccarne il tremolio. « Signore, io dovrei confessarle una cosa. »
Lui inarcò le sopracciglia, squadrandola con calma benevola. Ma lei non era calma, era ansiosa. Lo stomaco era ridotto ad un nodo stretto da una morsa, la gola le pizzicava, il cuore le batteva all’impazzata e gli occhi le bruciavano. Deglutì. « Sono stata io. »
« Mhm? » l’uomo la guardò di sottecchi, aspettando un qualche reazione. Si alzò, squadrandola dall’alto.
« Ho commesso io il furto, e ora me ne prendo la responsabilità. » ripetè a voce più alta, anche se per un attimo le vacillò la voce. « Mi arresti, avanti. »
La ragazza si alzò a sua volta, di colpo determinata, osservando l’uomo che aveva di fronte con i suoi occhi verde speranza. Ora una leggera malinconia la pervadeva, perché sapeva che ce l’avrebbe fatta. Avrebbe fatto un enorme sacrificio, ma sarebbe stata una vittoria in partenza.
« Venga, signorina. La porto alla stazione di polizia. »
Uscirono entrambi dalla stanza, percorrendo a passi lenti il grande appartamento.
Di colpo, Kelsey aveva perso la voglia di festeggiare e divertirsi in continuazione che aveva una volta.




 
New York, stazione di polizia
Sabato | Ore 23.50
 
 
Il signor Tanner avrebbe ammirato il coraggio di Kelsey Smith per sempre, di questo era certo. E se ne era accertato anche dopo che Matt gli aveva spiegato attentamente tutti i punti in comune dei due video che aveva analizzato. Erano sin troppi.
Il ventenne era in piedi accanto a lui, osservando dalla vetrina la ragazza che rispondeva alle domande di un altro uomo. Avevano entrambi uno sguardo serio e cupo, ora che non riuscivano più a capirci nulla. Prima non avevano nessun colpevole, ora ne avevano più di uno.
« Come faremo a trovare una soluzione a tutto ciò?  » domandò di colpo il moro, continuando a tenere lo sguardo fisso verso la stanzetta dell’interrogatorio.
« Come sempre » rispose il detective, portando le mani dietro la schiena. « Tirando avanti.  »
Di colpo, Matt tornò a sedersi accanto alla scrivania, accendendo il computer.
« Secondo me non è stata Kelsey » osservò l’investigatore, girandosi verso il suo aiutante. « La situazione le è sfuggita di mano in modo estremo. E, oltre a quello, ho scoperto perché la domenica del presunto giorno del furto si aggirava intorno al negozio. Aveva un appuntamento con Prandera. »
Matt Grace aggrottò le sopracciglia, interrogandolo con il solito sguardo profondo.
« Un hacker professionista della polizia ha visto i messaggi sul suo telefono un po’ di tempo fa, prima che la portassi qui. »
« Allora perché l’ha portata comunque? » domandò il moro.
« Se il colpevole vuole giocare ad avere tante maschere, ne indosseremo altrettante » rispose sempliemente il detective, osservando la ragazza alzarsi scortata dal poliziotto. Fecero il breve tragitto che li separava dall’ufficio dei due investigatori, poi entrarono.
« Tranquilla, Kelsey » la rassicurò William Tanner, ancora prima che lei potesse aprire bocca. Fece cenno all’altro poliziotto di lasciarli soli, e lui obbedì subito. « Mi dica, signorina, ha ricevuto delle mail in questi giorni? »
La ragazza deglutì. « No, neanche una ». Nonostante tutto, il suo tono di voce era forte e determinato, convincente.
« Io però ne ho appena ricevuta una » li interruppe Matt.  « Il titolo dell’oggetto è: “Morte del signor Manuel Prandera. “»
Il ventenne non seppe mai dire chi dei due fu più veloce ad aggirare la scrivania, puntandosi alle sue spalle.
« Avvia il video! » lo incalzò Kelsey, l’ansia nello sguardo. Il ragazzo premette il tasto Start, gli occhi del trio incollati allo schermo.
« Kelsey Smith ha affermato di essere colpevole del furto. » Era tutto nero, vi era solo una voce fuori campo. « E ho deciso di farle un regalo per premiarla: potrà assistere con immenso piacere alla morte di Manuel Prandera. In diretta. »
La ragazza cercò di bloccare un verso strozzato, che alla fine si diffuse nell’aria come un gorgoglio appena percepibile.
Poi lo schermo si fece chiaro, e riuscirono finalmente ad intravedere una figura. Manuel Prandera era come al solito legato alla sedia, ma stavolta la corda era solo attorno alla sua vita. Le braccia e le gambe erano libere, seppur piene di graffi e ferite. Aveva la testa rivolta verso il basso, e su di essa era puntata una pistola, tenuta in mano dall’uomo.
« Ed è con immenso piacere che segno la fine della mia prima vittima, Manuel Prandera! » esclamò l’uomo col passamontagna, un secondo prima di sparare.
Ma successe tutto troppo in fretta. Prandera, come per magia, riprese conoscenza. Le sue membra, di colpo rinvigorite dall’energia, si mossero velocemente, andando a colpire l’uomo in faccia. Le sue unghie rotte e imbrattate di sangue fecero appena in tempo a togliergli il passamontagna e mostrarne il viso, prima che l’obiettivo si oscurasse sul volto di Aleksandr Chbosky.




 
Francia
Domenica | Ore 15.00
 

Fu solo dopo, rivedendo il video, che si accorsero che vi era finalmente ambientazione. Kelsey aveva fatto veder loro anche quello precedente e, dopo accurate ricerche, erano riusciti a trovare la posizione del luogo. Un edificio ormai abbandonato in Francia, ai confini estremi con l’Italia.
Il trio era ormai già nello Stato francese, in viaggio verso la postazione dove erano state registrate tutte quelle crudeltà. Dopo varie ore di macchina, giunsero finalmente sul luogo. Avevano parcheggiato dietro una baracca che minacciava di crollare da un momento all’altro, ma da lì avevano una vista perfetta sul presunto posto dove il colpevole si nascondeva.
Uscirono uno dopo l’altro, osservandosi attentamente intorno. Non vi era anima viva. Puntarono poi lo sguardo sul grande edificio grigio vecchio e scrostato. La maggior parte delle finestre era rotta, in alcuni punti le tegole del tetto minacciavano di cadere. Non era di certo piacevole.
« Alla fine ci siamo riusciti, Matt, hai visto? » lo stava rassicurando l’investigatore, mentre aspettavano che i poliziotti li raggiungessero. « Abbiamo trovato il nostro colpevole. »
Matt Grace annuì poco convinto, osservando con sguardo cauto l’espressione orgogliosa e rilassata che si intravedeva sul viso del detective. Perché per lui c’era ancora qualcosa che non quadrava, un puntino che non si collegava con gli altri?
« Oh, eccoli! » squittì Kelsey, non appena vide il corpo di polizia arrivare. Era così entusiasta di poter rivedere il suo ragazzo che non si era resa conto della gravità che aleggiava in quel luogo.
Il ventenne abbassò il capo, cercando di evitare lo sguardo del signor Tanner. Che si fosse reso conto che lui era insicuro? Oh, era ovvio. Lui riusciva sempre a scoprire tutto.
« E’ sepolto qui vicino, no? » domandò ad un certo punto il moro.
L’investigatore si accigliò. « Chi? »
« Il tuo ex collaboratore. Siamo al confine con l’Italia, qui. »
Sul volto del quarantenne si distese un sorriso malinconico. « Parli di Alessio, eh? No, lui non è sepolto qui vicino. Era del Sud Italia. Ha una tomba in un cimitero, sì, ma in realtà la sua famiglia lo ha fatto cremare. Ma lui mi aveva sempre detto di odiare il fuoco. Così presi le sue ceneri e le buttai in mare. »
Matt deglutì. Era la prima volta che il signor Tanner gli raccontava qualcosa sul suo conto.
« Voi due! Muovetevi! » ringhiò una voce. « Abbiamo un uomo da arrestare! »
I due annuirono velocemente al poliziotto, prendendo due pistole. Seguirono poi gli uomini lungo un tragitto tutt’intorno all’edificio, cercando di farsi vedere il meno possibile.
« Voi passate sul retro » sussurrò il signor Tanner. Con quello sguardo energico negli occhi, i movimenti precisi e secchi e la pistola in mano non sembrava poi così innocuo come quando era seduto dietro la scrivania a ragionare sui suoi classici misteri. « Io, Matt e altri due poliziotti entriamo da davanti. Kelsey dov’è? »
La bionda fece capolino dal gruppetto. « Non riuscivo a restare in macchina. Vengo con voi ».
Il ventenne fece un passo avanti. « No, è meglio se torni in macchina. Non puoi venire. »
« Certo che verrà » lo interruppe il detective, mentre un sorriso di trionfo si stagliava sul volto della ventiduenne. « Ma adesso dovete smetterla, voi due. E’ una questione seria, questa ».
Matt bofonchiò qualcosa, poi seguì il quarantenne lungo l’altro tragitto. Si fermò poi di fronte alla tenda nera che fungeva da porta, ascoltando nient’altro che il silenzio.
Doveva essere sicuramente quello il luogo dove erano state fatte le riprese. Contò con le dita fino a tre e, sotto gli occhi attenti degli altri quattro, strappò la tenda con un potente scossone. Questa si depositò a terra, i cerchi di metallo che la reggevano tintinnarono contro il pavimento. All’interno, però, nessuno fiatò.
« Siete in arresto! » gridò uno dei poliziotti, puntando l’arma ed entrando per primo, seguito poi da tutti gli altri.
I due investigatori, però, rimasero fuori insieme alla ragazza, i muscoli tesi e le orecchie attente a recepire quella che sicuramente sarebbe stata una sparatoria. Eppure, per un bel pezzo l’unica cosa che udirono fu il silenzio.
Il panico cominciò a irradiarsi nel sangue del signor Tanner, scorrendo nelle sue vene, anche se lui cercava come meglio poteva di non darlo a vedere. I suoi occhi si sbarrarono all’improvviso, mentre l’uomo sbiancava. Dalla sua posizione dall’altra parte della porta riusciva certamente a vedere qualcosa.
« Che c’è? Che succede? » domandò insistente Matt, che dalla sua postazione assieme a Kelsey non riusciva a veder nulla. Lo sguardo dell’altro, però, era perso. Vuoto. Come se avesse subito una sconfitta.
E di colpo il cuore del ragazzo perse un battito, mentre sentiva già il suo stomaco contorcersi il una morsa. E se si fossero sbagliati? Se avessero sbagliato tutto? Magari qualcuno sarebbe morto sul serio, magari loro stavano solo perdendo tempo, lì. Magari sarebbe stata solo colpa loro.
Avrebbero fallito. Non di nuovo.
Il ventenne entrò come una furia all’interno, senza neanche rendersene conto. Si guardò per un attimo intorno, spaesato. C’era qualcosa che non quadrava. I due poliziotti che li avevano scortati stavano discutendo a voce bassa con gli altri entrati dal retro, senza dare evidente segno di voler spiegare. C’era qualcosa che non quadrava, un tassello che non entrava al proprio posto, un puntino che non si collegava.
« Ehi! » esclamò Matt, per attirare l’attenzione su di sé, frustrato. Era stufo di quella situazione. La sua voce era impregnata di delusione e rabbia. Si era perso qualcosa, qualcuno gli era sfuggito. La sua grande occasione di riuscire finalmente a mostrare chi era e ciò che era in grado di fare si era sciolta come neve al sole. « Che diamine… »
Ma il ragazzo non fece in tempo a completare la sua domanda. Le parole gli morirono in gola, quando il suo sguardo profondo andò a posarsi sulla telecamera ancora accesso e il cadavere di Chbosky ai suoi piedi.




 
Francia
Domenica | Ore 19.30
 
 
Si era seduto per terra, vicino alla baracca dove avevano parcheggiato, cercando di calmarsi. Credeva che i colori dolci del tramonto lo avrebbero aiutato, ma così non era stato. Sentiva ancora sulla schiena lo sguardo pesante del signor Tanner che, dopo essersi allontanato per pensare in solitudine, non aveva smesso di osservarlo neanche per un secondo. Ma a Matt non importava. Aveva fallito anche questa volta. Non era riuscito nel suo intento e, anche se indirettamente, aveva fatto star male le persone a cui teneva.
Aveva fallito. Quelle parole riecheggiavano incessanti nella sua mente. Era colpa sua, soltanto sua.
« Non capisco » mormorò il ventenne, quando l’investigatore andò a sedersi accanto a lui.
« Non capisci cosa? » gli domandò l’altro, con sguardo comprensivo. Aveva una voce calma, come se non fosse successo nulla.
« Era tutto così giusto, calcolato… » rispose il più giovane, portandosi le mani dietro la nuca. « E invece no.  Non ce l’abbiamo fatta, signore. »
Aveva fallito.
Il signor Tanner abbassò lo sguardo, accennando un sorriso. Il ragazzo, in quelle situazioni, non riusciva mai a capire perché si comportasse in modo tanto disinvolto e spensierato.
« Cosa c’è da ridere? » domandò infatti poco dopo, quasi irritato dal comportamento del detective.
L’uomo si fece di colpo serio, alzando lo sguardo duro come pietra. « Il piano era sin dall’inizio quello di incolpare Sarah Jackson e Kelsey attraverso un’attenta strategia. La signorina Jackson, dopo il furto, avrebbe semplicemente parlato con lo stesso signor Smith al telefono per le dimensioni e le caratteristiche del diamante. E’ vero, non lo aveva mai visto dal video, ma erano state mandate molte foto scattate minuziosamente alla famiglia prima che essa comprasse il diamante. E questo spiega ciò che Chbosky ti aveva detto martedì, al parco.
Sarah era perfetta come inizio – e qui ti faccio notare che l’unico che la chiamava per nome era proprio Chbosky, infatti nei video che ci sono stati mandati l’uomo col passamontagna la chiamava per nome – perché il signor Smith l’aveva sempre trattata male. Poi la colpa sarebbe scivolata su Kelsey, la quale sarebbe stata esemplare come colpevole, dato che voleva “vendicarsi” del padre per tutto ciò che era costretta a fare.
Poi Chbosky sarebbe partito il mercoledì mattina – cosa che la polizia aveva ritenuto irrilevante e che mi ha comunicato solo poco fa. Prandera avrebbe fatto lo stesso, ma senza farsi vedere da nessuno. Ecco perché i vicini, quando non lo hanno visto tornare, si sono allarmati e hanno denunciato la sparizione. Non lo aveva visto uscire nessuno. Era, appunto, sparito. E quindi Prandera era in ostaggio.
Poi avrebbero filmato quei video in cui, in un certo senso, entrambi mettevano in mostra delle loro doti segrete. Prandera recitava la parte della vittima presa in ostaggio – infatti ha fatto dei corsi di teatro, e risulta molto bravo – e Chbosky si sarebbe occupato dell’editing dei video, delle modifiche e degli effetti speciali – affascinante, no?
Sarebbe stato perfetto. Nel primo video avrebbero avvertito, nel secondo avrebbero costretto Kelsey ad incolparsi e il terzo non ci sarebbe dovuto essere. Ma Prandera si era reso conto che noi due non eravamo molto convinti – insomma, non poteva essere solo una coincidenza il fatto che Chbosky non era con noi alla gioielleria, giovedì, quando abbiamo visto il video. Se ne era reso conto, inoltre, da delle telecamere che aveva piazzato nell’appartamento degli Smith – altra cosa scoperta poco fa dalla polizia.  Perciò Prandera doveva allarmarci e rigirare il manico del coltello dalla sua parte, ed ha girato questo terzo video. Nel terzo video Chbosky ha una faccia spaesata alla fine, segno che lui non sapeva che Prandera l’avrebbe smascherato. Infatti, subito dopo averlo girato, il ragazzo ha bellamente ucciso l’uomo d’affari – ecco perché nell’ultimo video l’ambientazione si vede: non c’era più nessuno per fare l’editing.
A quel punto Prandera sarebbe scappato con il diamante e tutti avrebbero creduto che fosse stato Chbosky. Poi purtroppo lui era morto, il diamante sparito e altrettanto il ragazzo. Su di lui molti avrebbero avuto dei dubbi, ma nessuno delle vere prove.
Ma ci fu qualche sbavatura e non tutto andò bene, dato che Prandera dovette improvvisare spesso all’interno del suo piano. Ma anche la sua fuga non è stata perfetta.
E per quanto riguarda il movente, il nostro colpevole aveva bisogno di soldi per viaggiare fino in una qualche isoletta sperduta. Dopo che si sarebbero calmate le acque avrebbe fatto un po’ di fortuna in Europa – tanto con il diamante i soldi li aveva – e infine si sarebbe stanziato in Australia, il più lontano possibile da noi.
Aveva usato Kelsey per avvicinarsi al diamante e anche per ingannare Chbosky ad aiutarlo.   »
Matt era esterrefatto. « Un delitto perfetto. Un piano assolutamente geniale. »
« Andato però un po’ storto » gli ricordò il signor Tanner. « Ti ho detto che la sua fuga non è stata perfetta. Ha dimenticato una cosa fondamentale. »
Poi il detective cacciò la mano in tasca e, quando la tirò fuori, un diamante luccicante, di medie dimensioni, giaceva al centro del suo palmo. « Gli sarà caduto nella fretta di scappare. »
Il ventenne sorrise. « Sei riuscito a risolvere anche questo! »
L’investigatore scosse la testa, divertito. « Siamo riusciti a risolvere anche questo caso, mio caro Matt » lo corresse, depositandogli il tesoro fra le mani.
Poi l’uomo si alzò, spolverandosi i pantaloni. « Se non ti dispiace, devo andare a consolare la signorina Smith e fornire qualche spiegazione a poliziotti e giornalisti. Ti aspettiamo lì. » concluse infine, allontanandosi a grandi falcate.
Matt Grace, dal canto suo, con il diamante ancora fra le dita, osservava l’orizzonte con aria soddisfatta.
Gli pareva di udire qualcosa in lontananza, ma forse era solo un’eco.









 


Angolo Autrice
 

E per la prima volta sono riuscita a scrivere un giallo. Spero non sia una cosa troppo penosa, ricaduta nel banale o chissà cos’altro. Mi sono impegnata molto per scriverla – and again, lui sa perché – e spero sia venuta bene. Ho lasciato molti collegamenti indiretti che, per diletto, non vi spiegherò neanche qui. Se avete qualche idea, dubbi e perplessità (?) scrivete pure tutto nelle recensioni, rispondo a tutti!

Ringrazio moltissimo Alessio, che c’è sempre per me, per essersi sorbito tutte e tre le versioni di questa storia leggendola pezzo per pezzo, vivendo tutta l’ansia e la suspence che avevo intenzione di creare.

Allo stesso modo ringrazio anche Drew, che ha pazientemente letto tutto e controllato perfettamente, dandomi consigli ed aiutandomi nella pubblicazione di questa storia.

Adesso passiamo a Matt. Come già detto nella prefazione, dato che non ho mai ricevuto una cosa del genere ho deciso di fare il contrario. Prima ti ho stuzzicato un po’ per tutta la giornata per incuriosirti, ma spero ne sia valsa la pena. So che ti avevo promesso una storia carina dove non soffriva nessuno, ma questo giallo mi piaceva troppo. Il personaggio a cui tengo di più e che probabilmente piacerà a molti lettori, chissà perché, ha il tuo nome –  in un certo senso, almeno. Il Matt della mia storia magari è un po’ diverso da te, in fondo è un personaggio immaginario, ma mi sono lasciata ispirare. E poi avete una cosa in comune: dopo una ricaduta, avete trovato la forza per rialzarvi. E con risultati soddisfacenti, a quanto mi dicono.
Comunque, basta con i ragionamenti filosofici, ‘che oggi è il tuo compleanno e bisogna festeggiare. Ho scritto tutto ciò per questo motivo. Spero che ti sia piaciuta.  

Buon compleanno, caro.








 

 
 



 
  
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