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Autore: TimesNewMozzi    17/02/2015    1 recensioni
Lovecraft alle tre di notte non fa bene alla salute. Se vi siete mai chiesti cosa ci sia nel buio, beh non posso aiutarvi. Se invece volete sapere perché vi faccia così tanta paura potreste essere nel posto giusto. Enjoy!
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di notte cammini in un corridoio buio. Hai paura. L’abbiamo tutti, chi sa cosa possa germogliare da quella massa di oscurità viva che sembra quasi accarezzarci la pelle, giocare con i nostri sensi facendo tendere ogni nostra corda di cellule, facendoci aspettare il bagliore di una zanna, il fiato marcio di un troll di caverna o il volto contorto di una strega.
Quella è la paura che nasce dall’ignoranza, la più grande spinta dell’essere umano, un essere curioso di scoprire, assetato di novità e di conoscenza poiché dannatamente spaventato dall’impotenza dell’ignoranza. Il buio ci fa paura perché non vediamo, perché siamo abituati a conoscere il mondo con un senso in più che ci viene portato via, tutto resta uguale, il mondo non cambia, i mobili restano dove sono sempre stati e così le pareti. Senza luce però ogni cosa diventa grande, immensa, tanto che il nostro sguardo non riesce a raggiungere nemmeno le nostre mani, nel buio realizziamo la separazione tra la nostra esperienza del mondo e la realtà, realizziamo di essere pesci immersi in un oceano che credono di poterlo vedere dall’alto come se non ne facessero parte e si vantano di ciò mentre vengono trasportati dalle onde, mentre nelle loro branchie fluisce un liquido vitale pieno di ossigeno di cui non sono nemmeno consapevoli e che nondimeno li mantiene in vita, manda avanti la loro esperienza.
Perché io mi perda in queste discussioni resta un mistero ancor più grande di quant’ho appena esposto.
Sto scappando.
Le gambe stanno gridando, ma io so di non essere le gambe, conosco le mie priorità e, mi dico, posso permettermi di perdere una o due gambe, sono muscoli ossa e tendini, non fanno parte di me, sono il guscio che mi permette di scegliere dove giocare, non quello che mi permette di continuare a giocare.  
Ho sfiorato un cespuglio di rami secchi e appuntiti. Forse l’ho più che sfiorato, il braccio sinistro pulsa, ma Io devo andare avanti, il corpo può rimanere indietro, può lasciarsi strappare da me e fermarsi sulle spine di qualche pianta rinsecchita, ma io non cadrò a terra, devo andare avanti.
So di dover andare avanti, lo so perché so solo quello, so di non dovermi fermare e di dover continuare a scappare, so di dover girare a destra tra quei due alberi per non farmi prendere. Prendere da cosa? Da cosa sto scappando?
Potrei voltarmi e vedere cosa ci sia alle mie spalle, non lo farò. Potrei, ma non ho idea di cosa possa riflettersi nei miei occhi e non posso nemmeno iniziare a dire quanto questo mi spaventi.
I rumori dietro di me si fanno più intensi, forse mi sta raggiungendo, forse dovrei rallentare. Solo per un attimo, giusto il tempo di caricare di energie le due vecchie e stanche gambe per poi scattare via come un ghepardo durante la sua migliore battuta di caccia. O forse dovrei rallentare e basta, magari fermarmi e lasciare che qualsiasi cosa ci sia alle mie spalle mi inghiotta. Finirebbe tutto, il cuore non martellerebbe più i miei polmoni, il mio diaframma non li spingerebbe più a pompare aria e a mantenermi vigile. Basterebbe un minuto, potrei svenire, potrei smettere di essere, di avere esperienza di ciò che mi circonda, potrei finirla di estraniarmi dalla realtà e diventarne parte incosciente, inconsapevole,
Non sarebbe così male.

 
CRACK!


Il ramo è rotto, sono inciampato. Il mio corpo deve avermi sentito pensare, o forse è stato qualche dio, qualche spirito terribile che ama prendersi gioco delle paure umane, perché un attimo dopo aver desiderato che tutto finisse, nel momento in cui tutto sembra davvero per finire, non sto provando nessun senso di sollievo.
La paura non è scomparsa, da ansia di dover fuggire, di dovermi salvare e continuare a vivere, è diventata disperato bisogno di sopravvivere, di smettere di vedere e sentire, di rannicchiarmi come un feto nell’utero materno e pregare che, come un bambino durante un incubo, se io non guardo l’abisso lui non si volti a guardarmi.
Ma l’abisso non ha bisogno di voltarsi, mi guarda da molto tempo, mi ha accarezzato le spalle mente mi scaraventavo tra gli alberi aspettando che mi decidessi a guardarmi indietro o mi arrendessi ad una delle tante leggi della fisica e mi lasciassi cadere.
Beh, l’abisso ha vinto. Se devo andarmene tanto vale vedere cosa mi trascinerà dall’altra parte.
Apro gli occhi, lo guardo e non vedo nulla, nulla di conosciuto, nessuna forma, nessun colore, niente in cui uno dei miei sensi possa mettere senso, niente che il mio cervello riesca a tradurre in segnali elettrici.
Nulla, vedo il nulla.
E poi lo realizzo. Realizzo perché avevo tanta paura fino ad ora, perché non riuscivo a guardarmi indietro: dietro di me c’era l’ignoranza, dietro di me le mille e mille bocche aguzze e gli artigli e gli sguardi invisibili e le figure viste con al coda dell’occhio e i sospiri e i passi.
Dietro di me solo il Buio. 
  
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