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Autore: Blacket    17/02/2015    7 recensioni
[...]Rompendo la monotonia del chiacchiericcio provinciale, un ragazzo bruno si fece avanti- nella sua acuta provocazione, i suoi gesti ed il suo fare chiedevano luce ed attenzioni. Era sicurezza e genuina gloria quella di cui si vestiva, e nel suo passo fluido si ricalcava il superiore condottiero.
Fu vicino ad Ariovisto, ed il suo fiato sapeva d’oro.
-Visto da lontano, somigliavi ad una donna.- scherno, mostrò i denti felini con un sorriso accomodante, lo scrutò da sotto i ricci scuri- mostrandosi poi incredibilmente padrone delle proprie parole, sfiorò incauto i suoi capelli biondi. [...]
|Audace AU in un minestrone di antichi. OC!Gallia, OC!Aestii, OC!Scandinavia, OC!Celt, OC!Britannia|AU- start 1755, Torino|
Genere: Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Antica Grecia, Antica Roma, Germania Magna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tempo antico cap 1
Note utili: non volevo iniziare con le note, mi spiace spaventarvi. Sarò più breve possibile, concisa e quel che occorre.
Essendo un AU dove compaiono gli Ancients, spesso dovrò creare la personalità ed informazioni che l'autore stesso non ha mai precisato, o trascurato. Compare immediatamente Diederik, ossia scandinavia, che ho scelto essere fratello di Magna Germania.
Cercherò di essere il più possibile precisa nei legami storici, anche se in un contesto simile è -se non difficile-, impossibile. Se avete correzioni o consigli di qualunque tipo, fatemi sapere!
Note poco utili: si tratta di una fic particolare- non essendo più attiva nel fandom, l'avevo accantonata con dispiacere, ed oggi l'ho ripresa (forse con coraggio, chi tratta ancora degli antichi?)- nonostante gli impegni vari ho già preparato la prima parte della storia, che irrimediabilmente subirà cambiamenti, tant'è.
Spero di poter vedere nuove persone appassionarsi a questi personaggi, che tanto mi stanno a cuore.
Personaggi: Lucio Cincinnato (Antica Roma), Ariovisto Beilschmidt (Germania Magna, il nome suona particolarmente male, è voluto), Diederick Beilschmidt (Scandinavia).


Tempo antico
-capitolo primo-












“All’inizio di una vita ben spesa, Io fui empio, intento a disfare strade percorse da altri e rifarne di mie, e volendole rendere praticabili ho rotto i miei piedi e spezzato le mie gambe, avendo come spettatore il cielo.
Grigio, un uragano, sorrideva verso me.”


La Torino del 1755 porta nell’aria il nuovo ed il ferro; si fa grande pian piano sotto la sicura dei Savoia, che voglion là le reali presenze, per poi goderne.
Ora che la città alza fiera i fumi del proprio lavoro, la mattina si ferma per poco a sospirare d’impazienza: era il diciotto ottobre, e l’aria pallida tremolava e fremeva attorno ai movimenti sicuri della Torino operaia.
Ariovisto ne annusò l’odore umido e bagnato, e gli ricordò casa.
Cercò, forse illudendosi speranzoso, il muschio scuro degli abeti e la chioma bruna dei pini, il cinguettio lontano dei passeri migranti- trovando solo il ciottolato composto e dei guardinghi pennacchi sulle case più alte.
Impiegò un respiro profondo, quel giovane tedesco, per dissimulare lo stupore e la rabbia ribelle che pungeva le gote, e gli occhi verdi e diffidenti. Questi ultimi, selvaggi, erano divenuti il metodo di comunicazione più efficace in suo uso; puntandoli poi sull’Accademia, si intese la vicendevole repulsione.
Ne osservò curioso la squadratura, la componente di più stabili, e la studiò da lontano come un nemico non voluto, seguendo ad ammirare e detestare la salda figura dell’edificio.
-Non averla così in odio, Ariovisto.-
Il giovane osservò muto il fratello, e la divisa blu che corredava il suo disgusto. Infine rifiutò di vederne lo sguardo buono, ed i capelli legati secondo etichetta.
Diederik era un candido punto bianco fra vie fuligginose e sguardi indiscreti, portava con eccessiva baldanza lo stereotipo base del grande uomo del nord, e sul volto marcato aveva incise le tracce delle sue origini. Le adornava con discreta nostalgia.
La visibile differenza fra i due, per l’appunto, sedeva nell’immagine data di sé e di quella che si rifletteva nei loro occhi chiari- le avrebbero chiamate opinioni, se non fossero stati entrambi così bramosi di scovare novità nel paesaggio, come fa in eugual modo la bestia ferita e tolta dal loco natio.
Se il più grande dei due si adattava ammorbidito dall’esigenza, Ariovisto in cuor suo ancora scalciava urlante, preso nel suo odio verso Torino, e grato di aver ricordi buoni e profumati su cui rimuginare.
-Se non vuoi che ti dia il suo calore, almeno lascia che ti regali un riparo e del cibo. -
Ora Ariovisto sente gli abiti stretti ed il cuore borbottante, è estraneo agli altri e a se stesso- non vi è nulla che lo accolga dopo un viaggio disturbante quanto terribilmente sofferto.
Ha occhi solo per i sapori lontani delle sue terre, e nella sua ignoranza ne trova alcuni nella voce del fratello.

L’accademia militare di Torino, nell’anno corrente, rappresenta l’avanguardia dell’insegnamento- modestamente cosmopolita, d’ampia veduta illuminista, economicamente sorridente, in quanto si dava diritto del vanto di poter ospitare giovani allievi aristocratici e borghesi di paesi differenti.
Orgoglio!, sentimento così ben suddiviso fra studenti e militari, volti inconsciamente o meno verso il progresso, troneggiante nella Guardia reale e l’esercito studente, capace di un caloroso benvenuto alle reclute volontarie.
“Il militare è ora felicemente in ginocchio verso la sua fazione, e nel caso di fortuna avversa se ne aggrapperà con forza, trovando in lei buone parole.”

L’Accademia urlava in faccia la propria rilevanza, e non fossero le mura stesse ad esser austere e fredde, Ariovisto le avrebbe sentite bisbigliare curiose ai suoi lati, fra le divise e i tomi di sapere, riecheggianti sulle alte volte. Vide poi i volti curiosi dei giovani pronti a far carriera, che veloci scivolano fuori dalla loro adolescenza; eppur trovano tempo di lanciare un occhio veloce all’entrata, poiché dei probabili figli d’Asburgo varcavano la soglia di un posto che semplicemente non era loro.
L’ambiente li rifiutò con fretta, cercando di marcare il contrasto delle loro spoglie bianche e selvagge.
Non aspettandosi altro che il delinearsi di una mancanza profonda, Ariovisto prese di nuovo aria, e sperò fosse fredda, poiché poteva saggiarne di uguale al nord- e giusto la presenza di lei, “dolce”, pensò, fu per lui una mera consolazione.
-Ti diranno come e dove lavorare, dove alloggiare…- preoccupazione istintiva del fratello maggiore, che lo portò a stringere con vigore la spalla del suo familiare, nascosta da un vestiario troppo sobrio e semplice, troppo sporco per l’élite. –Parla, Ariovisto.-
Sorrise poi perché in colpa, perché timoroso di dimenticare il volto di un passato più roseo a cui aveva voltato le spalle da tempo.
Il più giovane era sempre stato malinconico e curioso, e pure saltando a piè pari l’adolescenza si trascinava cocciuto la sua frustrazione.
-Non ho niente da dire.- fu semplice, quanto i suoi più fervidi desideri ed il suo essere. Nella sua gioventù, non conosceva altra complessità che quella del suo pensiero.
Vi fu una seconda pacca vigorosa sulle spalle ed un saluto poco formale- lì Ariovisto riconobbe suo fratello, nella camminata sicura e le falcate grandi, ed il curarsi di lui con un sorriso ed un drastico abbandono; osservò più arrabbiato il corridoio ampio, perso.
Si rivide nel quindicenne inesperto quale era, che ignorava sia francese che italiano piemontese, su di lui sguardi ed occhi compassionevoli, sconosciuti ed estranei capaci di vedere il mondo un gradino sopra rispetto a lui.
 Studiò la costruzione con cura, la serie di vetrate in rigida fila, il pavimento liscio e ben levigato, la dispersione dovuta a quell’esagerata e voluta grandezza; e d’improvviso la solitudine gli pesò meno, poiché altro aveva da pensare.
Il suo senso felino si acuì, ed il respiro si fece leggero, gli occhi grandi e l’udito teso ad un equilibro più precario. Si sentiva osservato, e gli occhi che indecentemente lo tastavano nascondevano un’anima feroce.
Voltandosi vide la sua preoccupazione, che crebbe e si assestò poi sul suo orgoglio, impietrita.

Rompendo la monotonia del chiacchiericcio provinciale, un ragazzo bruno si fece avanti- nella sua acuta provocazione, i suoi gesti ed il suo fare chiedevano luce ed attenzioni. Era sicurezza e genuina gloria quella di cui si vestiva, e nel suo passo fluido si ricalcava il superiore condottiero.
Fu vicino ad Ariovisto, ed il suo fiato sapeva d’oro.
-Visto da lontano, somigliavi ad una donna.- scherno, mostrò i denti felini con un sorriso accomodante, lo scrutò da sotto i ricci scuri- mostrandosi poi incredibilmente padrone delle proprie parole, sfiorò incauto i suoi capelli biondi.
Parlò ed Ariovisto non capì, l’accento particolare lo confuse, le parole ignote lo intimorirono; il suo sguardo rimase vigile su quel particolare ragazzo, sugli occhi voraci e la barba appena accennata.
-Barbaro.- un sospiro da parte dello sconosciuto, un’altra parola vuota per Ariovisto. Gli occhi scuri scivolarono intraprendenti sulla sua figura, ed il tedesco si sentì abbracciato da un’attenzione spinosa e scomoda, punto poi dalla ridente superiorità dell’altro.
Cercò di scostarsi, diffidente, quando di nuovo sentì il tono pretenzioso del riccioluto conquistatore.
Il tedesco era così giovane e poco istruito al pensiero astratto, che ancora non era in grado di analizzare l’effetto bruciante che quello sconosciuto dedicava agli altri, ed il suo rimuginare si traduceva solo in confusione.
-Se parlo tedesco, mi capisci? È questa la tua lingua?- sorrise ora, quasi intenerito; e per Ariovisto fu solo una vergogna montante, devastata nel colorito del viso, non pudico ma rabbioso.
-Adoro gli animali esotici.-
La risa ironica non scomparve, ed il ribollire nei suoi occhi divenne lacerante, insostenibile per un’indole tanto impulsiva e orgogliosa come quella di Ariovisto- che avrebbe voluto scorgere la bruma mattutina, le fronde cariche d’acqua e la natura prepotente, il cielo plumbeo e turbolento, il calore del focolare di casa.
I suoi occhi reclamavano il verde vivo delle colline, chiedevano delle case profumate e dei fiori e delle poche parole pronunciate, dato che a lui non ne sono mai servite molte.
Fu per questo, che caricò il pugno destro e lo colpì.














Note volanti:
Grazie! Grazie lettore, che con pazienza e forse curiosità sei arrivato al fondo.
Chiunque abbia idee, correzioni, probabili aggiunte (perchè no?) e consigli, non esiti a farmelo sapere lasciando un commento o una breve opinione.
Buone cose, un abbraccio!
  
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