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Autore: The Rocker    17/02/2015    4 recensioni
Quando alzai lo sguardo, credetti per un istante di essere in Paradiso. Possibile che fossi morta e risorta senza neanche accorgermene? Dov’erano il dolore, la luce bianca in fondo al corridoio, le pesanti porte in oro? Dov’era San Pietro?
Perché quello doveva essere il Paradiso. Non poteva essere diversamente.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando alzai lo sguardo, credetti per un istante di essere in Paradiso. Possibile che fossi morta e risorta senza neanche accorgermene? Dov’erano il dolore, la luce bianca in fondo al corridoio, le pesanti porte in oro? Dov’era San Pietro?

Perché quello doveva essere il Paradiso. Non poteva essere diversamente.

Come avrei potuto spiegare quel fisico che mi ritrovavo a venti centimetri dal naso, altrimenti?

Sia chiaro, non sono una che si fa abbindolare da un paio di chiappe belle sode, bicipiti pompati e pettorali da far invidia a una terza di reggiseno. Però, anche gli occhi vogliono la loro parte, insomma!

E così, quando riuscii a deglutire e ricordarmi di sbattere le palpebre, potei finalmente contemplare quel ben di Dio che la Provvidenza mi aveva fatto incontrare. Mai più brutte parole sul destino, il fato o la sorte, lo prometto! Flick, flack; giurin giurella; stretta di mano con lo sputo, qualsiasi cosa chiediate. Mai più brutte parole alla mia sfortuna.

Perché, se non era fortuna quella di essermi trovato come compagno di laboratorio quel ragazzo, allora proprio non avrei saputo dove sbattere la testa.

Dopo un paio di minuti di silenziosa adorazione del bellissimo panorama, e dopo aver arginato la produzione di bava, mi sentii pronta per incrociare i suoi occhi.

Mi ersi in tutta la mia goffaggine, raddrizzai le spalle da armadio che mi trovavo causa anni di nuoto, sfoggiai il mio miglior sorriso da orecchio a orecchio, sistemai la solita ciocca ribelle, e…e lo vidi che faceva gli occhioni da cerbiatto in calore alla bionda tutte curve seduta qualche tavolo più avanti.

Detestavo quella bionda, fin dal primo giorno l’ho detestata. Non perché fosse bionda, non ho nulla contro le bionde, sia chiaro; né perché avesse curve da far invidia ad una pista di Formula Uno, la mia seconda di reggiseno non era affatto gelosa; né perché facesse l’oca con tutti i ragazzi del corso, tanto si sa, le oche hanno poco cervello; ma perché, in aggiunta a tutto questo, era pure dannatamente e fantasticamente intelligente. Intelligente da far paura, capite?

Le bionde tettone e gattemorte non possono essere intelligenti. Ci sarà pur qualche legge della natura che lo stabilisce, no?

Evidentemente no.  Se fosse solamente uno scherzo della natura, allora, maledizione, era lo scherzo meno divertente al mondo!

Cosa avevo detto sulla fortuna? Ecco, cancellai tutto non appena il mio misterioso Adone sbatté i libri sul banco – già, solo i libri purtroppo. Anche se scommetto che tutta la scarsa popolazione femminile dell’università avrebbe voluto essere sbattuta da lui. Sul banco, sulla cattedra, sul tavolo del salotto, il dove aveva poca importanza – e si allontanò senza degnarmi neanche di un’occhiata. Come se non esistessi.

Direzione: la bionda, ça va sans dire.

Bionda che gli si attaccò subito come una cozza:  lo abbracciò, lo baciò sulla guancia, si lasciò abbracciare, lasciò che si sedesse al suo posto, che curiosasse tra i suoi libri.

Perfetto, l’Adone e la bionda, la coppia dell’anno. Consegniamo la coroncina, applausi, fischi, discorso strappalacrime, fine. Posso svegliarmi da questo terribile incubo, ora?

Sospirai, lasciando correre lo sguardo sul laboratorio. Intravidi la mia amica qualche tavolo più avanti, ancora infagottata nel giacchino di jeans, nonostante il caldo straordinario. Almeno lei conosceva il suo compagno di laboratorio. Uffa, perché le cose andavano sempre storte solo a me?

Sbadigliai: quella notte non ero riuscita ad addormentarmi prima dell’una, e la sveglia era stata traumatica. Ero talmente in ritardo che non mi ero neanche stiracchiata per bene, io che facevo concorrenza ai gatti, quando mi impegnavo. Sciolsi la spalle, maledicendo gli sgabelli, così alti e scomodi, e allungai le braccia dietro la schiena. Niente di eccezionale, solo il minimo indispensabile per sopravvivere fino alla pausa pranzo.

Le tirai per bene, incurante degli sguardi curiosi di un paio di compagni. E poi, d’improvviso, andai a sbattere contro qualcosa. Qualcosa che prima non c’era. Era ruvido, ma morbido. Era caldo.

Aprii una mano, come per saggiarne la consistenza. Qualcuno non me lo permise. Due mani mi bloccarono per i polsi, mentre sentivo un mugolio indistinto dietro di me.

Strattonando i polsi mi liberai della presa e mi girai.

Se non mi cadde la mascella fu un vero miracolo.

I miei occhi si fissarono impudichi sulle mani che mi avevano trattenuto fino a un secondo prima. Mani che si massaggiavano il cavallo dei pantaloni.

Avvampai, raggiungendo tonalità di rosso da far invidia ad un cardinale: ecco cos’avevo colpito!

Era proprio il caso di dirlo, cazzo!

Biascicai uno scusa poco convinto, mentre mi rimettevo composta. Perfetto, avevo appena fatto la figura peggiore della mia vita, potevo avere il pupazzetto in omaggio?

Quando vidi il suddetto massaggiatore di  cavalli sedersi sullo sgabello libero al mio tavolo, avrei scambiato volentieri il pupazzetto  con una vanga. Una bella vanga, resistente, per potermi sotterrare e sparire così dalla faccia della terra. Con tutte le persone presenti in quest’aula, perché sono andata a palpare proprio l’Adone?

Furono le ore più imbarazzanti di tutta la mia gloriosa vita di figuracce. Pesammo ingredienti di ogni colore, preparammo ogni sorta di intruglio, commentammo ogni singolo risultato, riempimmo  le schede assegnateci con meticolosità, senza neanche guardarci in faccia.

Due alunni modello, ma due perfetti estranei.

Mi faceva tanto venire in mente quel film sui vampiri che era andato di moda durante gli anni del liceo. Lei diventa la compagna di laboratorio del bel vampiro, e dopo lunghe, noiose e romantiche vicissitudini, i due finisco, com’è tradizione, a rotolarsi tra le lenzuola di un bungalow sperduto. Io avrei volentieri saltato la parte delle vicissitudini: non mi dispiaceva affatto l’idea di rotolarmi tra le lenzuola con il bell’Adone.

L’unica differenza tra me e la fortunata amante del vampiro? Lei non l’aveva palpato dieci minuti dopo averlo visto. Forse era svenuta, o si era fatta metter sotto da un camion, ma di sicuro non aveva cacciato le mani in zone off-limits. Molto meno imbarazzante.

Quando finalmente risciacquai anche l’ultima provetta, non mi pareva vero di potermela svignare. Sarei andata dritta dritta dalla mia compagna, a sentirla sghignazzare fino alle lacrime per la mia tremenda figura. Le avrei persino permesso di prendermi per il culo.

Mancavano cinque minuti a mezzogiorno, e il mio stomaco stava brontolando in modo assolutamente indecoroso.

“Fame?”

Ci misi qualche secondo a realizzare chi mi aveva parlato. Quando il mio cervello collegò la voce all’Adone, quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. Tenni a mente di rimproverare lo stomaco: doveva imparare a brontolare più sottovoce.

“Già”, mugugnai, cercando di conservare un minimo di dignità, mentre sentivo le guance farsi bollenti dall’imbarazzo.

“Il prossimo laboratorio sarà… credo sarà tra due lunedì. Dovrebbe già avervelo detto il professore: ad ogni lezione di laboratorio bisognerà consegnare la relazione della lezione precedente. Lo schema lo troverete sul sito, potrete usare i fogli che avete compilato, e, mi raccomando, deve essere una relazione di coppia! Non posso correggere centocinquanta relazioni!”

Sbuffai poco decorosamente, accasciandomi sul bancone. Quanto detestavo quell’esercitatore, lui e la sua pigrizia!

Vidi il mio Adone agitarsi sullo sgabello, evidentemente a disagio. Forse temeva che, con la scusa delle relazioni, dalla palpata sarei direttamente passata allo stupro.

Lo sentii borbottare qualcosa di indistinto, di cui colsi solo poche parole, ma sufficienti per farmi comprendere il senso del discorso. Prima della prossima lezione di laboratorio avrebbe avuto allenamenti, gare, lezioni da recuperare, e non avrebbe avuto tempo per la relazione.

 “Se mi dai anche il foglio del terzo esperimento ci penso io”

Offrirmi di fare la relazione al posto suo mi sembrava il minimo; sentivo che dovevo in qualche modo sdebitarmi per la palpata involontaria. Avrei preferito uscire a cena con il mio vecchio e guardone professore di Storia dell’Arte del liceo che passare una serata  a scrivere la relazione, ma volevo dimostrarmi degna della sua fiducia.

Rise, immediatamente allegro e rilassato. “Non dirlo neanche per scherzo! Voglio darti una mano, cosa credi? E poi, diciamo che ho un bonus per una palpatina gratis”, concluse ammiccando.

Stavo per prendere fuoco, lo sentivo. Già mi immaginavo chiusa in una gabbia nel miglior circo russo, accanto a tigri a due teste e unicorni dorati. Sentivo la voce del presentatore annunciare il mio numero, con quell’accento da Europa dell’Est. Signori e signore, ecco la donna vulcano!

Dov’erano i maghi quando servivano? Un bell’incantesimo di memoria, una botta in testa, una lobotomia particolarmente efficace, qualsiasi cosa pur di cancellare dalla sua mente le mie mani sul suo pacco.

Annuii, cercando di farmi piccola sullo sgabello.

Rise di nuovo. “Può capitare”, disse, come per consolarmi.

Sarebbe da maniaci ammettere che l’avrei fatto capitare più che volentieri un altro paio di volte? Non nel laboratorio di chimica, magari su un letto comodo, con la luce soffusa e i vestiti diligentemente abbandonati ai piedi del letto.

Mi stavo ancora facendo la treccia, unica scusa che avevo trovato per fingermi concentrata ed evitare, quindi, il suo sguardo,  quando fummo finalmente liberi di andarcene in pausa pranzo. Sbirciai il mio Adone personale con la coda dell’occhio, e lo vidi che trafficava con la tracolla. L’aveva svuotata borbottando frasi senza senso e parole sconnesse, aveva risposto agli ultimi messaggi, e aveva rimesso  tutto a posto. Stava palesemente cercando di perdere tempo. Il mio orgoglio si gonfiò e mi sentii leggera come se fossi piena d’elio.

Adone stava aspettando me. Non la bionda tutta curve e sorrisi, ma me, la sua imbranata e imbarazzante compagna di laboratorio.

Si alzò solo dopo che mi fui alzata io, e ci ritrovammo imbottigliati nel piccolo corridoio che precedeva l’entrata al laboratorio. Si era offerto di sorreggermi la borsa mentre mi contorcevo per mettermi la felpa, mi aveva tenuto aperta la porta, e mi stava seguendo come se fosse la mia guardia del corpo, evitando che venissi travolta dalla calca di studenti impazienti.  Sentivo il suo profumo seguirmi, e se non mi ero ancora sciolta per la gentilezza che aveva dimostrato durante le tre ore di laboratorio, mi sarei sciolta di lì a poco per la cavalleria che stava sfoggiando.

Sentii qualcosa sfiorarmi leggermene una natica, ma lasciai correre. Dopo due anni e mezzo di università, treni e metropolitana all’orario di punta, avevo imparato a distinguere una palpata da uno sfioramento involontario. Se me la fossi presa per ogni mano, ginocchio, gomito e Dio solo sa cos’altro che aveva sfiorato il mio sedere da quando avevo cominciato a frequentare l’università, a quest’ora girerei in una teca di vetro.

“Hei, ti chiedo scusa in anticipo per quello che sto per fare. Diciamo che mi sembra un dovere morale verso il metodo scientifico sperimentale”

Mi piantai nel bel mezzo del corridoio a sentire quel sussurro. La sua voce contro il mio orecchio era calda e indecorosamente eccitante. Sospirai e reclinai la testa all’indietro. Lui sospirò di rimando e mi poggiò una mano alla base della schiena.

Neanche al liceo ero mai arrivata a flirtare nel bel mezzo del corridoio. E sì che all’epoca i miei ormoni avrebbero dovuto essere sufficientemente impazziti da annullare qualsiasi concezione di pudore.

Tutt’intorno a noi, gli altri studenti si muovevano rapidi ed ingombranti. Un paio mi pestarono un piede, qualcuno mi insultò per aver bloccato il traffico, le mie amiche mi salutarono squadrandomi come se improvvisamene mi fossero spuntate le antenne. Possibile che la gente non riconosca un po’ di sano flirt adolescenziale?

“Cosa…cosa vuoi fare?”

Risposi al sussurro con un altro sussurro, la voce incerta e insicura.

Sentii la risata del bell’Adone scompigliarmi un paio di ciuffi caduti dalla treccia e infrangersi sul collo, provocandomi brividi di eccitazione lungo tutta la colonna verticale.

“Vorrei solo verificare con mano la mia teoria”, sibilò, andando a piantare la sua mano aperta sulla mia chiappa sinistra. Sobbalzai come se mi avesse punto uno scorpione. Il suo palmo si era perfettamente modellato al mio sedere, e sembrava che dovesse rimanere piantato in quella posizione imbarazzante ancora a lungo.

“Avevo proprio ragione”, disse, strizzando leggermente la natica.

“Hei!”

Quasi urlai per la sorpresa di quel gesto, era decisamente oltre i confini dell’accettabile.

Mi girai a fulminarlo con lo sguardo, pronta a sbranarlo se non avesse tolto quella mano dal mio sedere. Anni di lotte femministe e poi mi facevo strizzare una chiappa senza alcun pudore dal primo arrivato?

Mi ritrovai di fronte ad un sorriso degno di un bambino dimenticato nel reparto caramelle, e ogni mio proposito omicida si eclissò.

“Sarebbe questo il dovere morale verso il metodo scientifico sperimentale?”, sputai quasi inacidita.

“È da quando ti ho visto alzarti ieri in classe che volevo verificare con mano quanto fosse sodo il tuo sedere”, ammise, arrossendo giusto quanto prevedeva la buona educazione.

Non che avessi chiappe di marmo, sia chiaro. Anzi, nonostante il nuoto qualche filo di cellulite spuntava ancora a intervalli regolari. Non ero proprio nata con il fisico da atleta.

Ero pronta a lasciargli cinque dita su una guancia come ricordo, quando realizzai che mi aveva appena fatto il complimento più bello dei miei ventun anni.  Rimasi con la mano ferma a mezz’aria, a contemplare il vuoto, finché non sentii le sue dita cingermi gentilmente il polso e farmi recuperare una posizione un filo meno buffa.

Non sembrava arrabbiato, forse leggermente divertito dalla mia espressione non troppo intelligente.

“Sì, in effetti anch’io prima volevo verificare con mano certe voci che circolano sul tuo…su di te, insomma”, tergiversai, sfruttando la mia decennale esperienza di arrampicatrice di vetri.

Il bell’Adone ridacchiò leggermente, mentre si avvicinava pericolosamente al mio viso.

Le poche sinapsi rimaste attive dopo la palpata involontaria di qualche ora prima saltarono nell’istante in cui capii che mi avrebbe baciata. Fu una fortuna che entrambi avessimo gli occhi chiusi, perché se avesse visto la mia faccia da triglia avrebbe sicuramente cambiato idea.

“Lunga vita al metodo scientifico sperimentale…”, mi sussurrò ad un centimetro dalle labbra, prima di baciarmi.
  
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