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Autore: visbs88    17/02/2015    3 recensioni
La macchina gira. Gira col suo snervante ronzio – mette la nausea e il mal di testa, l'incessante ruotare degli ingranaggi su se stessi; e lei mastica lettere a vuoto con i suoi secchi schiocchi che fanno sempre sperare in una risoluzione, mentre invece va solo avanti e avanti. Avanti, sempre ferma, sempre così distante dalla meta, avanti con la sua assurda e martellante precisione, così inumana, così metallica, così strana.
Spesso Hugh è l'ultimo che rimane a guardarla insieme ad Alan, se il gruppo si disperde per un'ora di pausa; la ascolta aspettando il silenzio e lei continua ad assordarlo.

[Hugh Alexander/Alan Turing]
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: The Imitation Game.

Pairing: Hugh Alexander/Alan Turing.

Disclaimer: il titolo e i pezzi in inglese riportati sono presi dalla canzone Revolution Roulette dei Poets of the Fall (qui per ascoltarla).

 

 

Revolution Roulette

 

 

[If this machine doesn’t stop
what will you do if it never goes out,
never goes out of season?
It never stops as it turns,
there ain’t no passion, yet it burns,
introducing my prison.
Losing myself in this place,
soon I’m gone without a trace,
freed with that final incision.
Look, my heart is a bird:
it needs to sing and to be heard,
not this clockwork precision.


And the machine grows idiotic...
who’s gonna be its ingenious critic?]

 

 

La macchina gira. Gira col suo snervante ronzio – mette la nausea e il mal di testa, l'incessante ruotare degli ingranaggi su se stessi; e lei mastica lettere a vuoto con i suoi secchi schiocchi che fanno sempre sperare in una risoluzione, mentre invece va solo avanti e avanti. Avanti, sempre ferma, sempre così distante dalla meta, avanti con la sua assurda e martellante precisione, così inumana, così metallica, così strana.

Spesso Hugh è l'ultimo che rimane a guardarla insieme ad Alan, se il gruppo si disperde per un'ora di pausa; la ascolta aspettando il silenzio e lei continua ad assordarlo.

Le mani di Alan stropicciano nervose fogli e appunti, tormentano matite e penne, rispecchiano il fermento che ribolle nella mente geniale che l'ha progettata – e quella è ancora così lontana dall'essere perfetta, ancora dolorosamente inutile, lenta mentre loro tentano di spingerla al massimo, inesorabile lungo un cammino senza fine.

Non ha un cuore, non ha le risorse umane dell'intuizione e della fantasia, ha solo le sue lettere e il suo girare incessante, che risuona nelle orecchie perfino prima di addormentarsi in un letto molto lontano da lei. Brucia energia, quella corrente e la loro, gli occhi stanchi che la osservano e tentano di affrontarne i problemi – a poco a poco cresce, ma i progressi sono così frustranti nella loro futilità. Piccoli, lenti passi mentre una guerra infuria e le ruote dei carro-armati girano allo stesso modo del meccanismo in quella stanza ma seminano morte e invadono terre.

Eppure è da un po' che ha smesso di trovarla fredda. O meglio, lei lo è, ma è Alan a darle vita. Quel nome così concreto e familiare – quello che potrebbe avere il tuo vicino di casa, il lattaio, tuo figlio –, quell'attenzione costante, quella cura metodica, quella fiducia incrollabile che riesce a rianimare perfino gli altri nei momenti peggiori, quando la sirena strilla la sua sentenza crudele e la rabbia scoppia nelle vene per un attimo che rimane impresso a fuoco; tutto sembra vibrare di una passione che finisce per elettrizzare anche l'aria, a volte seccante, a volte incomprensibile, a volte necessaria.

– Pensi ancora che ce la faremo? – gli ha chiesto un giorno, dopo aver fissato per un'ora un foglio pieno di formule senza riuscire a trovarvi una conclusione.

– Sì. Sì, s-sì – è stata la risposta, come sempre a scatti, come sempre senza guardarlo davvero in faccia – F-fidati di lui.

– Alan – ha sospirato alzando gli occhi al cielo – Se ho rischiato tutto è stato perché mi fidavo di te, non di lui, sia chiaro.

Per un attimo ha sperato di averlo zittito, ma si è trattato soltanto di un breve ritardo.

– È la.. la stessa cosa.

– Per te, forse, ma per me no. Comunque, potremmo provare a lavorare su questa parte...

 

Si domanda se quella macchina non stia distruggendo Alan. Quelli come lui – quelli così fragili dentro – se li è sempre immaginati alla disperata ricerca di conforto e sicurezza, magari rifugiandosi nell'arte, o in una casa piccola, sicura, accogliente. Ma Alan si è invischiato in quella cinica roulette, in quella missione machiavellica, in qualcosa di così grande che talvolta è difficile perfino per lui, Hugh, rendersene conto; si è immerso nelle lettere e nei numeri più complessi del mondo e ha messo a nudo se stesso, il proprio genio, interagendo con gli altri come forse mai prima di allora aveva fatto, forse dando vita a progetto che covava da tempo. Si è esposto a ogni ottusa critica di persone potenti e cieche, che sembrano quasi non aspettare altro che fallisca. La pressione, quella sì che è incalcolabile, la pressione su un animo instabile che si sorregge con forza strana – e che Hugh ha paura di veder cadere.

E se anche la macchina funzionasse, poi Alan smetterebbe di esserne schiavo? Cosa succederà, dopo? Sono un manipolo di ombre, perse in un luogo chiuso e segreto, e cosa accadrà una volta accesa la luce? Hugh spera che vada tutto bene, senza dubbio – spera di poter dormire una volta finita la guerra e spera che per Alan sia lo stesso.

La macchina gira e divora sonno e nervi, mentre loro due sono in piedi a guardarla, soli, a riflettere. Comincia a essere insopportabile. Hanno appena rimaneggiato il motore, ma le differenze non mostrano di volersi palesare troppo in fretta.

– Giochiamo a qualcosa – borbotta Hugh, chiudendo gli occhi stanchi – Ho un mazzo di carte, da qualche parte.

– No – risponde Alan, lo sguardo fisso su Christopher.

– Invece sì – insiste lui, iniziando a guardarsi attorno – Fatti un cruciverba, o parliamo, ma lascia perdere un po'. Se succederà qualcosa lo vedremo, anche se io avrei voglia di una birra. Te ne porto una?

– No.

Sospira, massaggiandosi la fronte con una mano.

– Ci sono giochi parlati – mormora Alan, nervoso, dopo qualche secondo di relativo silenzio in cui l'unico a borbottare è stato il marchingegno. Lo coglie di sorpresa, ma è una di quelle piacevoli.

– Certo – si affretta a rispondere – Hai in mente qualcosa?

Le labbra tremano appena. Attende senza dire nulla – teme di combinare qualche guaio, l'equilibrio è sempre così fragile tra loro. Ma il filo che è riuscito a tendere non si spezza.

– Il gioco dell'imitazione.

Mentre Alan si volta per guardarlo negli occhi, Hugh si acciglia.

– Che cos'è? – gli domanda, perplesso.

– Con una sola domanda... i-il giudice deve stabilire... se ha di fronte un uomo o u-una... macchina.

L'azzurro delle iridi brilla nella luce giallognola, artificiale della stanza. Hugh cerca di scorgere cosa si nasconde dietro quello sguardo, ma è dannatamente difficile. Le paure, i timori, i segreti, le speranze formano una rete troppo fitta, che si inabissa nell'oceano di quell'anima troppo grande per il mondo in cui è costretta a vivere.

– D'accordo – mormora alla fine, per poi schiarirsi la voce – Faccio il giudice?

Alan annuisce e i suoi occhi si abbassano, il suo volto è teso.

– Una domanda.

Hugh pensa di doverla scegliere con cura, ma la verità è che è già sulle sue labbra, pronta per essere chiesta. Un sospetto, almeno un dubbio da sciogliere nell'intrico delle sue, delle proprie, delle loro emozioni. Sa che Alan sarà sincero – spera di averlo portato a fidarsi a sufficienza di lui. Esita mentre la macchina gira, riflettendo, cercando di capire se sarebbe troppo. Ma alternative non ne ha – ha solo quella domanda, e più pensa più gli pare quella giusta, anche se dovrà sussurrarla perché i pericoli non cessano mai di esistere.

– Sei omosessuale, Alan?

Gli occhi azzurri si sollevano di nuovo, si fissano nei suoi e le ciglia sembrano tremare al pari del suo respiro. Hugh tenta di assumere un'espressione tranquilla – sta giocando a fare il giudice, ma non è un ruolo che gradisca molto, in senso stretto. Vuole solo essergli vicino.

Lo sguardo di Alan guizza verso la macchina un'ultima volta, prima che la risposta arrivi, portata da una voce flebile.

– Sì.

Hugh prende un profondo respiro.

Se lo aspettava, ovvio. Non sa se lo abbia anche sperato.

– Che cosa sono? – chiede Alan, con la stessa voce, stavolta cercando i suoi occhi. Hugh sorride.

– Sei un umano, chiaro. Senza ombra di dubbio.

È lieto di coglierlo di sorpresa. E anche di vedere l'ombra di gratitudine che passa sul suo volto, insieme a un pallido sorriso.

 

Il loro obiettivo è così alto, così immenso, così schiacciante. Lo sanno entrambi.

E la ricerca di una soluzione perfetta è così disperata che nella mente di Hugh spesso si accumulano perfino sciocche fantasie, sogni di trionfo e di risoluzioni geniali che arrivino in un lampo e spazzino via ogni singolo problema. Così irrazionale – come presentarsi da Alan dopo la mezzanotte, dopo l'ennesimo fallimento, come baciarlo sulle sue labbra umide e nervose e spingerlo sul letto togliendogli la giacca che aveva ancora addosso.

Stanno solo complicando le cose, sfiorandosi e stringendosi, le mani tra i capelli e sulla pelle sotto le coperte ruvide, le luci accese – stavano lavorando a un'ipotesi che si è rivelata infondata, racconteranno domani se qualcuno chiederà; Hugh bacia il collo bianco e il corpo magro, temprato dallo stress e dalle corse, le gambe di Alan strette attorno a lui.

Umani senza ombra di dubbio – ne è sempre più convinto – e hanno il diritto di esserlo, di sentirsi caldi, di provare piacere, di sospirare l'uno nell'orecchio dell'altro, avvinghiati in un ritmo impreciso, così lontano dal secco scorrere di una macchina, riprendendo fiato e accarezzandosi, imperfetti ed effimeri, i nervi tesi e i cuori in tumulto.

La macchina riprenderà presto a girare, ruota della fortuna su cui è inutile scommettere ma su cui puntano ogni cosa; e non si sa nemmeno cosa vinceranno davvero se il destino vorrà tendere loro la mano. Le speranze più rosee non si avvereranno mai – solo il fatto di pensarle le rende impossibili – e i problemi continueranno a rincorrersi come le tappe del meccanismo, sostituendosi poveramente a vicenda. Ma una fine ci sarà, perché nello sconforto Hugh si fida davvero di Alan, si fida della sua mente impenetrabile e del suo carattere ingestibile, sa che tutte le loro possibilità vorticano attorno a lui e al suo mostro d'acciaio – binomio inscindibile, molto più di quanto non lo siano loro due, anche se il loro pericoloso abbraccio ancora non si è sciolto.

Il mondo sembra fermo, eppure vortica col suo miscuglio di ingiustizia e violenza, perpetuo come la macchina, volubile come loro. E il gioco è fermare la roulette che cambierà ogni cosa nell'istante giusto, provare a mettere le mani nella storia senza farsi travolgere dal presente.

Christopher gira e girerà, lo stanno trascurando. Le sei arriveranno in un lampo e sarà il momento di tornare un po' macchine anche loro, calcolare, riflettere, scoprire.

Ma – glielo mormora stringendolo più forte – non si deve mai dimenticare quanto valga, sempre, un attimo di felicità.

 

 

[Everybody loves the perfect solution,

to beat the odds
against the poorest possible substitution.
What you see is never what you’re gonna get…
Everybody’s playing Revolution Roulette.

 

Everybody has the perfect solution,
but it’s just hard to resist the sweet seduction.
There ain’t no trick to winning double what you bet…
Welcome to Revolution Roulette.]

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Ho amato questo film e la canzone la conoscevo da prima di vederlo; il collegamento è stato quasi istantaneo e avendo un po' di tempo... perché dire no all'ispirazione? Anche se so che è venuto fuori qualcosa di piuttosto inconcludente e probabilmente banale. Ma niente, avevo un po' di feels da sfogare.

Se qualche altro paladino dello sfigafandom farà un passaggio lo ringrazio a prescindere. Un parere mi farebbe piacere, ma riempio di coccole anche solo chi avrà il coraggio di leggere.

Un bacione, visbs88.

   
 
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