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Autore: Amaya Lee    17/02/2015    2 recensioni
«Un giorno ricorderai con me.»
Dieci anni senza sole fanno presto a trascorrere. Portano risate infantili, cadute dalla bicicletta e lacrimuccie riconducibili a lievi sbucciature, subito guarite da baci soffiati.
| Hisalisa || What-if? || Mother!Lisa || Finale della serie immutato |
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Lisa Mishima, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Desiderio di un bambino.
{Ricordo Al Sole}







Vetur, sumar
saman renna.
Vetur, sumar
saman renna.









«È davvero bellissima» mormora la donna, rivolgendosi a alla lignea, semplice asta.

Sul suo giovane volto, carezzato dalla luce mielata del pomeriggio, permane il sorriso più sincero, più tiepido e felice che abbia mai sfoggiato. Profondamente commosso, e più brillante di un milione di soli; pare addirittura inappropriato, quasi sfacciato, essere in grado di sorridere così al cospetto di una tomba.

È un sorriso innamorato.

Lo sguardo di Lisa erra da un'asta all'altra, sugli intagli grezzi ed abbozzati dei due numeri a lei così familiari. «La adorereste entrambi.»
 

 

All'ora del tramonto, la donna prende nella sua la piccola mano della bambina dai riccioli castani che è corsa in sua direzione. «Ti sei divertita al parco?»
Lisa osserva, riconoscente a lui che gliel'ha donata, gli occhioni della bellissima creatura, che a sua volta la scrutano con attenzione ed infantile curiosità, nonostante conoscano il viso della donna fin nei minimi, irrilevanti particolari. Quella annuisce timidamente, stringendo le dita della madre.

Ella lascia una delicata carezza sul capo della bambina. Le parole scivolano sempre dalle sue labbra dolcemente, facendo allargare un po' gli occhi grandi e caramellati della piccola. Lisa un giorno gliene racconterà la ragione.

 

 

Un giorno ricorderai con me.

 


***



 

L'azzurro terso ed uniforme, disturbato soltanto dalle rade nubi, pareva sporgersi quasi con interesse sul proprio riflesso, infinitamente distante dallo specchio che glielo offriva.

Il fiume sinuoso dipingeva con le proprie placide onde un cielo vivido, mutevole. Allegro.

Qui e là avevano origine movimenti perfettamente concentrici, che andavano amplificandosi per poi diradarsi e scomparire, provocati dalla caduta di minuscoli sassolini nell'acqua cristallina.

La superficie imprigionava il riverbero dei raggi del sole, in quel giorno estivo caldo e prorompente, ma non infastidiva gli occhi del bambino seduto sulla sponda erbosa. La maglietta bianca lo teneva al fresco, e le gambe sottili, scoperte fin sopra le ginocchia, sguazzavano nel fiume sollevando giocosi spruzzi. A loro volta, quelle goccioline ritornavano al fiume, generando curiose orbite circolari. Il piccolo osservatore, incantato, ripeté il gesto ancora e ancora. Non sembrava nemmeno più che fosse in attesa, ormai.

Gettò una pietruzza un po' più distante dalle altre, dove un'ombra si stava allungando lentamente sull'acqua. Non si voltò.

Non distolse lo sguardo dal fiume neppure quando qualcuno si acquattò alla sua sinistra, poggiando un sacchetto di cartone a metà strada fra loro.

«Non ti sei nemmeno tolto le scarpe. Hai solo quel paio.»

Non voleva essere un rimprovero.

Un sorriso distese il viso del bambino, ma questo non rispose nulla. Un altro schizzo d'acqua, e i grandi occhi nocciola si illuminarono divertiti.

La quiete scandita dal timido scrosciare dell'acqua allontanò il trascorrere del tempo da quella riva, e i due bambini credettero per un momento che quella fosse la pace. Che non ci fosse nient'altro.

«Una donna mi ha dato del denaro. Forse pensava che facessi l'elemosina.» La voce era indifferente come al solito, magari il suo possessore non era capace di dargli una diversa intonazione. Finalmente, due occhi dal colore caldo e accogliente si volsero a lui, incuriositi.

«Che gentile, l'hai ringraziata?»

«Certo.»

Il bambino giocoso lanciò un sassolino nel fiume e sorrise nuovamente, mentre quello dalla voce fredda roteava gli occhi.

«Ho deciso di comprarci qualcosa, comunque,» proseguì, afferrando il pacchetto che aveva portato con sé. Ci infilò la mano e la tirò fuori che reggeva una ciambella glassata e un po' deforme. Non era chiaramente appena uscita dal forno, a giudicare dal secco rivestimento, ma sembrava comunque un dolce miracolo.

«Tieni.» Con quell'ultima parola, due piccole mani si ritrovarono a stringere il dolciume, scoprendolo unto e pastoso. Occhi dilatati ed esterrefatti lo fissavano.

«E tu?»

Con un impercettibile sbuffo, l'altro bambino estrasse dal sacchetto un tramezzino, uno sfizio più frugale, che però lo allettava senza dubbio più di quell'ammasso informe di calorie.

Consumarono il pranzo in silenzio, sereni.

Una manciata di minuti dopo un'automobile nera comparve in lontananza, ed entrambi si schermarono gli occhi per poterla scorgere mentre percorreva lentamente la strada asfaltata, bollente sotto il sole schiacciante.

L'auto parcheggiò sullo spiazzo accanto al convenience store, proprio dal lato opposto della strada.

Un paio di occhi nocciola seguì curiosamente tre persone scendere dalla vettura. La bambina era tenuta per mano dai genitori; veniva fatta dondolare avanti e indietro, come un pendolo, per gioco.

Un piccolo cuore venne scosso da un fastidioso, nostalgico brivido, al sapore di veleno.

All'improvviso, la vivacità quasi surreale del mezzogiorno, dell'estate, della realtà, era soltanto un'irritante falsità.

«Non mi ricordo quando mi hanno portato via, Nine.»

L'altro lo guardò, senza mutare espressione. «Lo so.» Era effettivamente consapevole di cosa significasse, per Twelve, non riuscire a ricordare qualcosa. Diceva di sognare i volti degli altri, di notte; di non riuscire a toglierseli dalla testa, una volta sveglio. Comparivano divampanti come fiamme, particolareggiati e fedeli agli originali.

Ricordava ogni cosa. Pregio o maledizione, tracciare la differenza non aveva senso. Twelve era fatto così.

«Non me li ricorderò mai. Ma voglio che loro pensino a me.»

Nine guardava il fiume, in silenzio.

«Vorrei essere ricordato.» Per la prima volta, Twelve esprimeva un desiderio di fronte a lui. Per la prima volta, con quel tono un po' sofferente, un po' nostalgico, un po' capriccioso, si comportava come un bambino normale. L'altro si limitò a voltare la testa dall'altra parte.

La famiglia uscì dal negozio sulla strada con un sacchetto di plastica, nel quale probabilmente si trovava il pranzo appena acquistato. La piccola scorrazzava entusiasta da un genitore all'altro, evidentemente più affamata di attenzioni, e i due adulti la fecero montare in macchina dopo non pochi sforzi, sospiri e sorrisi.

Twelve non si domandò come ci si dovesse sentire, né se sarebbe mai riuscito a percepire l'incondizionato affetto materno, o la carezza ruvida di un padre. Conosceva già la risposta.

Twelve promise a sé stesso che non avrebbe mai abbandonato senza ricordi una creatura così speciale.

Lui non voleva né compassione, né carezze.

Il suo desiderio non era come quelli degli altri bambini, eppure era espresso con la stessa puerile intensità.

 



 
***




 

Dieci anni senza sole fanno presto a trascorrere. Portano risate infantili, cadute dalla bicicletta e lacrimuccie riconducibili a lievi sbucciature, subito guarite da baci soffiati.

Tredici anni racchiudono la spontaneità di un fiore, colto con pura ed elementare passione dal prato e offerto immediatamente, con fierezza e semplice amore.

Quindici anni bussano alla porta di casa, che si dischiude dolcemente e lascia intravedere un ragazzo su un motorino, ad attendere con pazienza la principessa dalla fanciullesca bellezza appena sbocciata.

Diciotto anni adornano di matura e ancora candida determinazione una donna dalle gote opalescenti, sollevate in un sorriso adulto e senza sbavature.

Vent'anni sollevano ricordi dalla polvere, memorie a lungo conservate, in attesa del giusto momento per essere esposte tutte, nella loro completezza.
Ormai non più bambina, la legittima erede di quei ricordi può sorridere alla voce paglierina della madre; non le è stata riversata nell'animo una disgrazia, quanto una pace che non sapeva di cercare.

La speranza nella realizzazione del suo desiderio non è mai scomparsa, e Lisa spera che, ovunque lui sia, nonostante l'attesa, l'abbia vista crescere; proprio la speranza.

Una lacrima sfugge da quegli occhi scuri.

Ha trascorso troppi anni senza sole.


*****

 
 


Salve, e grazie mille per aver letto la mia one-shot. Spero sia stata di vostro apprezzamento (nel qual caso, recensioni e pareri sono sempre accolti a braccia aperte, ovviamente), altrimenti mi scuso, cercherò di fare di meglio la prossima volta.
Sono sinceramente contenta di poter pubblicare il mio secondo lavoro nel fandom di Zankyou no Terror, naturalmente con del tenero e malinconico Hisalisa che non guasta mai, a parte ai feels, magari. Quest'headcanon di una Lisa intenta a fare la mamma mi ha ossessionata dal momento in cui ho visto una certa fanart, poco dopo la fine dell'anime. Quando sarebbe successo il "fatto" (se capite ciò che intendo)? Onestamente, non mi sono fatta troppe domande. Date per buono il "what-if". Vi prego.
Oh beh, che altro dire? Grazie di tutto cuore e alla prossima!
Amaya
 
  
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