Non
era uscita tutto il giorno. Avrebbe voluto dire che era
perché si sentiva
incredibilmente
stanca, che gli eventi del giorno prima l’avevano spossata,
ma
la verità era che aveva
semplicemente paura. Di ciò che sarebbe potuto accadere
se, ancora una volta, si fosse
attardata troppo. Così, era rimasta a letto
finché non aveva visto il sole alto nel cielo, poi
si
era arrischiata fuori
dalla sua camera ed aveva vagato per il corridoio del piano
superiore.
Non era
coraggio o curiosità la sua, ma un’incredibile
voglia di fare un bagno caldo.
Ovviamente,
pensò, non ci sarebbero state di certo docce, si sarebbe
accontentata di una tinozza e un paio
di brocche d’acqua. Doveva pur esserci
qualche domestico, altrimenti chi puliva le stanze?
E i pavimenti, che
sembravano sempre brillare?
C’erano
altre tre stanze da letto vicino alla sua, ma dentro non vi era
nessuno. E più
si allontanava
dalla sua camera, più l’ambiente si rabbuiava,
come se qualcuno
avesse coperto tutte le finestre.
Giunta al limite del piano, vide che sulla
destra si allungavano delle scale a chiocciola di pietra.
Stava per salire,
quando una voce la fece sobbalzare.
-Miss,
cosa fate? Di lì non potete andare-
Dio,
grazie! C’era davvero qualcun altro..
O
qualcos’altro. Si immobilizzò, gli occhi sbarrati
dalla sorpresa.
Si
era voltata per trovarsi di fronte una figura sottile quanto eterea,
formata da
tante piccole fiammelle.
-Oh-
fu tutto ciò che riuscì a dire. La figura non
aveva volto, né forma, eppure le
sembrò che le
tendesse la mano. Sentì una lieve risata e
ipotizzò fosse la sua.
-Faccio
sempre questo effetto. Vi prego, miss, scendete-
-Io..
volevo solo vedere cosa ci fosse-
-Oh,
nulla di interessante, sono le stanze del padrone, ma le vostre sono
decisamente più belle-
-Io
mi chiamo Belle-
-Ed
io sono Rebecca, al vostro servizio-
Si
piegò appena in avanti in un inchino che la fece sorridere.
Che strana
domestica.
-Sapete
come posso fare per.. uhm.. vorrei fare un bagno-
-Certo,
certo, tornate in camera, vi porterò subito
l’acqua-
Fece
come le era stato ordinato. Aspettò che Rebecca tornasse con
una tinozza e poi
con più
di una brocca colma d’acqua riscaldata sul fuoco. Come
immaginava. Quel
bagno le sembrò il
migliore della sua vita. Ma forse era semplicemente il fatto
che Rebecca continuò a parlarle per
tutto il tempo e lei, solo ora riusciva ad
ammetterlo, si sentiva così sola in quel posto.
-Io
non sono sempre stata così, sapete? Un tempo avevo
lunghissimi capelli rossi e
delle gambe
per niente male- rise delle sue stesse parole.
-Cosa
vi è successo?-
-Cosa
è successo a tutto questo posto, vorrete dire. Anche il
padrone, prima, era
davvero un bell’uomo-
-Cosa
è successo, Rebecca?- si sporse verso di lei, ma la figura
si allontanò piano.
-È
stato tanto tempo fa, miss-
Uscita
dalla piccola vasca improvvisata, si asciugò e
indossò nuovamente la camicia da
notte.
Aspettò che Rebecca se ne fosse andata, portando con
sé tutto ciò che
era servito per il bagno e
tirò fuori dall’armadio tutti i vestiti. Uno ad
uno,
li soppesava, li appoggiava sul petto per immaginare
come le sarebbero stati e
poi passava al successivo. Alla fine aveva scelto un abito con la gonna
e
la
parte del corpetto che le fasciava il seno argentati, il resto del
corpetto fin
giù alla gonna superiore,
arricciata così da essere sollevata fin sotto il
ginocchio, erano invece di un intenso blu oceano. Si
sistemò i capelli in uno
chignon morbido con giusto qualche riccio più corto che le
ricadeva sulla
fronte,
davanti alle orecchie e sul collo e infilò un paio di scarpe
blu senza
tacco che aveva trovato in un altro cassetto.
Come
si sentiva sciocca, ora, sulla cima delle scale che
l’avrebbero portata da lui.
Era stata così stupida.
Tutti quegli abiti stupendi e l’ambiente da favola, le
avevano fatto perdere di vista la realtà. Stava
eseguendo l’ordine impostole
dal suo carceriere. Si era imbellettata per una bestia. Quanto, quanto
si
sentiva sciocca. Per un istante, soppesò l’idea di
tornare indietro per
indossare di nuovo il suo
jeans logoro e la felpa nera. Oh, ma quel vestito era
così bello e lei aveva sempre sognato di essere
come una di quelle principesse
che danzavano formando spirali di tulle e colori.
Così,
aveva fatto un gran respiro e si era affacciata nel salone. Come al
solito, il
camino era acceso
e riscaldava l’ambiente. Era l’unica fonte di luce
nella
stanza. A capotavola, nel posto più lontano
dal fuoco, la bestia le dava le
spalle. Indossava il solito mantello nero.
-Siediti-
ordinò.
Sbirciò
oltre le sue spalle e vide che il posto preparato per lei era al capo
opposto.
Col cuore che
batteva frenetico, irrequieto, si sedette sulla sedia
dall’alto
schienale e alzò lo sguardo sul suo cavaliere.
Ancora non riusciva a vederlo
bene in volto, ma distingueva l’abito rosso che portava. Con
un certo
stupore,
si rese conto che il suo, in realtà, era l’unico
posto preparato. La bestia non
aveva piatti
davanti a sé né posate. E mentre lei
guardava il brodo fumante nel
suo piatto, la bestia guardava lei.
Sentiva i suoi occhi addosso, come se
potessero perforarla. Di cosa si cibava?
-Mangia-
ordinò ancora.
-Voi
non mangiate?-
-Non
ora-
Rabbrividì.
Un tempo era stato un uomo.. almeno così aveva detto
Rebecca. Mangiava come
tutti
gli altri uomini? Mangiava animali? Represse un brivido. O persone?
Immerse
il cucchiaio nel brodo, concentrandosi con tutta la sua
volontà per non alzare
lo sguardo su di lui.
Ne prese solo pochi sorsi, prima che il tremore alla mano
la costringesse a fermarsi. Perché voleva
che lei mangiasse lì? Perché voleva
che mangiasse con lui? Se quello era un modo per metterla a
disagio e
ricordarle chi comandava, era riuscito nel suo intento. Tuttavia, che
modo
crudele era.
E lui l’aveva salvata solo poche ore prima. Per un momento,
le
balenò nella testa l’idea che forse
voleva solo compagnia. Magari, pensò, si
sentiva terribilmente solo, proprio come lei. Ma fu solo
un attimo e quel
pensiero volò via.
Incapace
di mangiare oltre, abbandonò le mani in grembo e si
voltò per guardare le
fiamme.
Il calore le riscaldava il viso e le spalle. E quella danza sinuosa la
incantò, incatenandola a quella visione.
Una
volta, quand’era bambina, aveva sognato le fiamme. Si era
svegliata in lacrime
e col cuore in gola.
Sua madre le aveva accarezzato la testa, sussurrandole che
era solo un sogno e che ciò che ci
spaventa col buio, con la luce cambia
aspetto. Ma le immagini che tanto l’avevano spaventata di
notte,
la
terrorizzarono di giorno, quando videro scoppiare un incendio in un
palazzo
accanto al loro.
-Perché
non mangi?-
Nella
sua voce traspariva dell’ irritazione malamente repressa. O
era rabbia?
Voltandosi
verso di lui, vide che teneva i pugni tanto stretti da far sbiancare le
nocche.
-Non
ho più fame-
-Avresti
più fame se io non ci fossi?-
Abbassò
gli occhi.
La
bestia si sollevò con furia, scaraventò la sedia
a terra, ringhiò, gettò per
aria tutto quello che gli capitò
davanti, afferrò il tavolo per un lato e lo
rovesciò. Con poche falcate furiose fu da lei. Strinse i
braccioli
della sedia
su cui era seduta, imprigionandola. Avvicinò il volto al suo
ed espirò.
Ora.
Solo ora, per la prima volta, lo vide in viso.