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Autore: _Frame_    21/02/2015    3 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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25. Fidati e Non avere paura

 

 

Una piccola fogliolina piovve da un ramo di quercia. Svolazzò sotto il raggio di sole e un bagliore giallo la fece splendere di un intenso color smeraldo. La foglia si depositò ai piedi di Romano, tra i sassolini della strada.

Romano annodò le braccia al petto, scollò la schiena dal muro della caserma di postazione e fece tamburellare le dita sulle spalle. Calciò un sassolino che rimbalzò sulla strada e colpì il cerchione dell’autocarro che trillò come il fondo di una padella. Romano ruotò gli occhi al cielo, le dita sempre più nervose picchiettanti sugli avambracci, e fissò il tetto di rami che lasciava passare il sole a lunghi e luminosi fili d’oro. Scalciò un’altra pietra lasciando un solco più profondo sul terreno. Camminò avanti e indietro a passo pesante, allargando la scia tra la polvere e la ghiaia. Lo sguardo si scurì, divenne più rigido e teso.

Gli occhi impazienti volarono sullo spigolo dell’edificio. Nulla. Romano sbuffò via un ciuffo di capelli dal viso, fece roteare gli occhi e riprese a camminare avanti e indietro, rifilando piccoli calci ai sassi con la punta dei piedi.

Altri passi, più leggeri e silenziosi, fecero scricchiolare il ghiaieto dietro l’edificio di postazione. Romano si voltò con una veloce piroetta, le dita strinsero le spalle smettendo di tamburellare.  

Spagna camminò sotto il raggio di sole che aveva illuminato la caduta della foglia. La stessa luce verde si posò sulla stoffa dell’uniforme militare. Due scintille dorate attraversarono i gradi da tenente cuciti sulle spalline, scesero lungo il petto, sulle medagliette colorate, circondarono il perimetro della targa nominativa sulla tasca sinistra della giacca, e discesero lungo i fianchi, sulla fibbia della cinta allacciata, fino a spegnersi sulla punta degli stivali laccati di nero.

Romano stette immobile. Lo guardò di nuovo da cima a fondo, avvolto in quell’involucro francese che lo faceva sembrare un’altra persona.

Spagna fece un altro passo avanti. La luce si spostò sul suo volto, carezzò le guance e il bagliore smeraldino del bosco accerchiò le iridi che brillarono di luce propria. Si mise di profilo, raddrizzò le spalle come mettendosi sull’attenti. Prese due lembi della giacca, sulle taschine, e diede una piccola spolverata alla stoffa. I palmi scesero dal petto, aderirono ai fianchi sottili fasciati dal tessuto morbido e attillato, e rimasero fermi in vita. I pollici si infilarono nella cinta di cuoio.

Spagna sorrise. “Come sto?”

Romano separò le labbra senza dire una parola.

Il fascio di sole scivolò dal viso di Spagna, tornò sull’uniforme che lo avvolgeva sul petto, aderiva ai fianchi, alla vita e ai muscoli delle gambe, fino al ginocchio stretto dall’orlo dello stivale di pelle. I bordi dorati sulla stoffa verde brillavano come gioielli, le toppe dei gradi sembravano spille preziose.

Romano voltò il capo. “Orribile.” Le dita tornarono a tamburellare con movimenti rapidi e nervosi sulle spalle chine. “Ti sta da cani, ti fa più basso e largo. Sembri una botte.”

“Sul serio?” Una fioca luce di sincera delusione appannò lo sguardo di Spagna.

Spagna sfilò le mani dai fianchi, prese di nuovo un lembo della giacca, sotto la toppa con il cognome del tenente, e guardò i riflessi verdi del tessuto sollevandolo dal petto.

“Uffa,” sospirò con aria sconsolata. “Per una volta che ho l’occasione di indossare delle divise belle come quelle dell’esercito francese...”

Romano fece roteare gli occhi. Gli diede le spalle senza guardarlo e camminò verso l’autocarro parcheggiato. Il tepore del sole fece arrossare le guance.

Spagna sollevò la mano, voltò il sorriso verso l’angolo dell’edificio, e aprì il palmo in segno di saluto. “Grazie ancora, amigo.”

Il tenente barcollò da dietro l’ombra della casetta di postazione. Si appoggiò al muro con un gomito e il colonnello gli corse in contro, sorreggendolo per un braccio. La manica stesa gli toccò le nocche, il colletto aperto e sollevato dietro il capo copriva la pelle della nuca e l’angolo su cui era cucito il bottone gli sfiorava la guancia. La cinta ancora slacciata lasciò scivolare su un’anca l’orlo dei pantaloni di una taglia più grande. Il povero tenente scosse il capo, lo sguardo ancora mezzo intontito, e si passò la mano tra i capelli, pettinandoseli in modo da lasciare la fronte scoperta. Aggiustò il colletto della giacca che tornò alto dietro la nuca.

Il colonnello gli diede una piccola spintarella per rimetterlo in piedi e scoccò un’occhiata storta, confusa e allucinata a Spagna e Romano.

Spagna saltò sul sedile del guidatore, sollevò il braccio oltre il tettuccio dell’auto e sventolò il palmo. “Attenti ai tedeschi, adiòs!” Richiuse lo sportello, il motore compì il primo giro ruggendo, e l’auto sgommò sul ghiaieto. Sparì in un rombo secco e lungo che sollevò una nuvola di polvere gialla, fitta come nebbia.

L’auto sparì nella nube e il ronzare del motore si perse in lontananza.

I due ufficiali non mossero un muscolo fino a che la polvere non si dissolse. L’aria tornò limpida, illuminata dal bagliore della vegetazione.

Il tenente sbatté le palpebre un paio di volte. Si tenne in piedi da solo, passò di nuovo le dita fra i capelli, dalla fronte alla nuca, e la mano si aprì sul volto. Un sottile ringhio gli storse le labbra.

“Gliel’ho detto che non capisco una parola di spagnolo.”

Lisciò la sua nuova giacca dal petto ai fianchi, tirandola per gli orli stropicciati, e allungò la mano sui pantaloni. Rientrò nell’edificio reggendoseli in vita, e con il braccio del colonnello che lo teneva sorretto per il gomito.

 

.    

 

“D’accordo, sentiamo questa tua idea geniale.”

Due buche fecero sobbalzare l’abitacolo. I sedili vibravano sotto il rombo dell’autocarro che correva lungo la stradina sterrata circondata dalla foresta. Non passava aria. I finestrini erano chiusi e la luce del sole cominciava a scaldare i vetri e i sedili di pelle. Romano si aggrappò con una mano al cuscinetto imbottito e strinse l’altra sul cruscotto.

Spagna restò in silenzio. Le mani bianche attaccate al volante, gli occhi abbagliati dal sole, attenti e concentrati sul parabrezza.

Romano inasprì la voce e serrò i denti. “Perché mi auguro che quel tuo cervello bacato sappia che stiamo andando dritti contro i crucchi.”

“Mi dici un nome?”

La presa della mano sul sedile allentò, lo sguardo truce sbiadì lentamente. Romano inarcò un sopracciglio, storcendo lo sguardo come un punto interrogativo. “Co-come?”

Spagna scrollò le spalle. Le dita si stesero, ma i palmi restarono incollati al volante. “Un nome qualsiasi, dai.” Tornò ad agguantare il volante e svoltò una curva, immettendosi in una parte più scura e fredda di bosco. “Il primo che ti viene in mente, anche italiano.”

Romano aggrottò la fronte. “Stai scherzando?” Le mani e i denti tornarono a stringere. “Come puoi chiedermi una cosa del genere in un momento simile?”

Spagna non rispose. Gli occhi continuarono a brillare, anche con la poca luce, e sulle labbra tornò un piccolo e soffice sorriso. “Com’è che si chiamava quel vostro musicista?” Tolse una mano dal volante e schioccò le dita due volte davanti al viso di Romano. “Quel compositore, sai, quello delle stagioni.”

“Err...” Romano guardò fuori dal parabrezza, le labbra balbettarono in silenzio, come stessero cercando le parole. Rispose dopo qualche secondo. “Ehm, Antonio Vivaldi? Ma adesso cosa –”

“Sì, ecco, lui!” Il viso di Spagna tornò a splendere. Riagguantò il volante con entrambe le mani e l’auto accelerò. Spagna appoggiò la nuca sul sedile. L’espressione sciolta nell’estasi. “Adoro quella musica.”

Gli occhi di Romano tremarono per un istante assieme a tutto il corpo. Un brivido di paura, confusione e agitazione gli percorse la spina dorsale, prendendogli lo stomaco.

Ma cosa stai dicendo? Che diavolo hai in mente, perché mi stai facendo –

“Che diavolo stai dicendo?” Romano sbatté il palmo sul cruscotto, strinse le dita sul sedile fino a sentire i fili di stoffa spezzarsi sotto la pressione delle unghie, e inclinò le spalle verso di lui. “Spiegami cosa diavolo stai pensando di fare, ora.”

L’auto avanzò ancora. Nell’abitacolo, il silenzio, interrotto solo dal rombo del motore e dal pesante respiro di Romano contro il collo di Spagna.

Spagna non si mosse e prese un piccolo sospiro. “Romano.”

Romano storse un sopracciglio. I muscoli rigidi come pietra, il fiato fermo.

“Devo rifarti quella domanda.”

Una mano scese lentamente dalla pelle del volante, scorse verso il fianco Romano. Il palmo si aprì sul dorso della sua mano, ancora fredda e rigida, aggrappata al sedile. Romano sobbalzò quando sentì la pelle calda carezzargli le nocche. Non si retrasse.

“Ti fidi di me?”

Spagna distolse lo sguardo dal parabrezza. I profondi e lucidi occhi verdi si incrociarono con quelli di Romano. Il rombo del motore, lo scricchiolare dello sterrato, il vibrare dell’auto e la luce del sole si spensero. L’aria si fermò. C’era solo quello sguardo fermo e intenso, e le loro mani unite sul bordo del sedile.

“Guardami negli occhi e rispondimi,” disse con voce calma.

Romano sentì di nuovo la stretta allo stomaco. Il formicolio risalì il petto, solleticò il cuore e gli annodò un groppo alla gola.

“Gu...” Strinse i denti e ingollò un nodo di saliva in fondo allo stomaco. Le guance bruciavano, andavano a fuoco. “Guarda avanti o ci schiant –”

“Rispondimi.” La mano si strinse con un gesto fermo, forte, ma caldo e delicato. Gli occhi più vicini, tanto da potersi specchiare. L’aria tornò immobile, i suoni ovattati. Solo la sua voce. “Ti fidi di me?”

Il groppo al petto si sciolse, il sangue tornò a fluire, l’ondata di calore si espanse dalla mano che Spagna stava stringendo, salì il braccio con un formicolio e gli intorpidì i muscoli rigidi e tesi. La testa smise di girare, il suono fermo della sua voce soffiò via le vertigini.

Lo sguardo di Romano vacillò. “S...” Tremò di nuovo e smise di lottare, lasciandosi andare. Disse solo la verità. “Sì.” Un lungo e profondo sospiro uscì insieme al monosillabo.

Spagna sorrise e gli lasciò andare la mano. “Bene.” Tornò a guardare la strada. Una piega scura gli mise il viso in ombra, la voce lievemente scossa da una nota di timore. “Perché sto per fare delle cose che...” Le dita sbiancarono sul volante, fino a far gemere la pelle sudata sul cuoio. “Che potrebbero spaventarti.” Un sottile tremolio scosse la sua voce.

Romano sollevò un sopracciglio e gli lanciò un’occhiata confusa.

Spagna trattenne il respiro. Il viso tornò luminoso e agguerrito. “Ho bisogno che tu da adesso in poi sia coraggioso e che faccia tutto quello che ti dico, d’accordo?”

Romano non riuscì a rispondere. La testa ronzava in un lungo fischio continuo che gli appannava i pensieri.

“Se ti fiderai di me, allora non ti capiterà niente e potrai tornare in Italia senza che accada nulla né a te né a tuo fratello.” Spagna si strinse nelle spalle, aggrottò la fronte. “Ma dovrai fidarti di me.”

Romano separò le labbra, sforzò la voce ma passò solo un fioco e roco filo d’aria attraverso la gola secca.

Dei tremori più forti, bruschi e violenti scossero il vibrare costante dell’autocarro. Spagna e Romano gettarono lo sguardo fuori dal finestrino, Spagna schiacciò il piede sul freno fino a che il pavimento non assorbì la leva. La frenata fischiò sul terreno scricchiolante, le chiavi girarono e il motore si spense.

Il ruggito dei carri armati fece vibrare l’aria, il terreno tremò in un seguirsi di scosse lunghe e ripetute. Le ombre dei panzer uscirono dalla foresta, investirono il piccolo autocarro e continuarono ad avanzare come un nastro sulla pellicola.

Spagna sgranò gli occhi. “Eccoli!” Tornò a mettere in moto e spinse tutto il peso sull’acceleratore. La sgommata fece schizzare l’auto in avanti, verso la cima della fila di carri.

“Aspetta, che stai...” Romano si aggrappò al sedile. Un’ondata di panico lo fece raggelare. Le ombre, i rombi e i tremori dei panzer sempre più vicini, tanto da rintronargli sulle pareti del cranio. “Così gli andiamo addosso!”

Vicino, più vicino. Le sagome sempre più scure e delineate. I bagliori metallici dei cingoli e dei cannoni scintillavano sotto il sole, i raggi di luce si riflettevano sulle croci bianche e nere tatuate sui fianchi dei giganti.

Romano si raggomitolò stringendo le dita tra i capelli. “Oddio, oddio, questi ci ammazzano.”

“No.” Spagna scosse il capo. “Andrà tutto bene, te l’ho promesso, no?”

Spagna accelerò di colpo facendo sprofondare Romano nello schienale.

Le ombre dei panzer sparirono alle loro spalle, la foresta si aprì e l’autocarro si arrampicò sulla salita di terra schizzando sassolini e zolle d’erba da sotto le ruote. Con un rombo, Spagna sterzò di colpo a sinistra e si mise perpendicolare alla direzione della carovana di panzer in lontananza. Voltò il mazzo di chiavi con un gesto secco, l’auto si spense, smise di vibrare.

Romano non riusciva a muoversi. Quando sentì la mano di Spagna di nuovo sulla sua e il suo sguardo premere sui suoi occhi, sussultò per la seconda volta.

“Sii forte, va bene?” La mano calda e morbida strinse sulla sua, così rigida, fredda e tremolante. Spagna lo guardò dritto negli occhi e gli puntò l’indice al petto. “Non ti muovere dall’auto fino a che non te lo dico io.”

Il terreno riprese a vibrare, l’aria e le chiome degli alberi tremarono. Il rombo dei panzer scosse il silenzio, le ombre in avvicinamento si allungarono, oscurando la luce del sole.

Romano non ebbe tempo di rispondere, di pensare.

Spagna gli lasciò la mano. Solo quando spalancò lo sportello dell’auto, Romano reagì allungandosi verso di lui.

“Asp –”

Le dita tese sfiorarono il braccio, toccarono la schiena che si allontanava, senza riuscire ad afferrare la divisa.

Spagna saltò giù dall’auto, si mise dritto. Le ombre dei cannoni dei panzer tedeschi lo investirono.

 

♦♦♦

 

Le lancette dei quadranti tondi sul cruscotto interno del panzer scivolarono lentamente verso sinistra, abbassandosi sotto la striscia arancione che copriva metà della circonferenza. Le vibrazioni dell’abitacolo diminuirono, il pavimento tremò con minor intensità. Il soldato chino sui comandi laterali sollevò il volto dalla facciata luminosa della radio e si sfilò le cuffie dalle orecchie. Voltò il capo all’indietro e l’anello di plastica ciondolò sul collo.

“Perché ci stiamo fermando?”

Il soldato al centro del mezzo salì sulle punte dei piedi e restò con la fronte incollata al riquadro rettangolare del visore esterno. Allungò un braccio verso il collega e sollevò l’indice, facendogli cenno di aspettare. Il viso dell’uomo si stropicciò sotto l’ombra del grande binocolo appoggiato sulla fronte. Il buio e le luci verdi e arancioni accentuavano le parti buie del suo volto.

Il panzer rallentò ancora. Gli ingranaggi e i cingoli delle ruote gemettero con fischi più lunghi e acuti. Il soldato tolse il visore dalla faccia e resse il quadrante con una mano sola, senza farlo rientrare nel tettuccio.

“Signore, venga a vedere.”

Germania voltò il capo verso il suo richiamo. Piegò un sopracciglio e stette in attesa, sotto le luci della postazione di guida che gli illuminavano la pelle di arancio.

Il soldato scese dalle punte dei piedi. Fece correre una mano sulla fronte, le dita entrarono sotto la visiera del berretto, e asciugò le minuscole goccioline di sudore che gli imperlavano la pelle. Voltò il riquadro del visore in direzione di Germania.

“C’è un problema,” disse, con tono più grave.

Germania si tolse dal lato del panzer e si avvicinò al centro. Prese entrambi i manici del visore estraibile che si ritirò di qualche centimetro sul soffitto. Germania accostò gli occhi al quadrante segmentato e guardò attraverso la nebbiolina verde e grigia che offuscava il panorama esterno.

La prima cosa che notò dell’uomo in piedi davanti ai carri fu l’uniforme. Il colore del tessuto era storpiato dal campo visivo del panzer, tuttavia i gradi disposti a fascia sulle spalline, le decorazioni sul petto e sul colletto... Una divisa in dotazione all’esercito francese. Solo dopo sollevò la vista. Germania lasciò scorrere il campo visivo fino a inquadrare il volto dell’uomo che teneva il braccio teso davanti alla processione dei carri.

Un forte e profondo formicolio assalì le dita che stringevano la manopola. La scossa risalì le braccia, strinse un blocco al petto e seccò la gola, incapace di parlare. Germania raggelò.

Spagna fece un passo avanti, lontano dall’autocarro posteggiato nel mezzo della via. La sua bocca si mosse, disse qualcosa in direzione del panzer che apriva la fila. Sollevò anche l’altro braccio. La mano impugnava una rivoltella puntata al cielo. Spagna sbottò qualcos’altro. Le labbra si mossero con più violenza, come se avesse alzato la voce.

Il formicolio che paralizzava il corpo e la mente di Germania si sciolse. Violenti brividi di rabbia lo scossero facendo vibrare il visore.

Ma cosa sta...

“Ha un’uniforme francese,” disse il soldato che gli aveva ceduto la postazione. “Gli facciamo sparare, signore?”

“No.”

Germania staccò la fronte e mollò il visore. Il tettuccio del panzer riassorbì il riquadro retrattile con un lieve cigolio.

Germania strinse le mani dietro la schiena e voltò il capo, rivolgendosi al soldato. “Mi faccia scendere.”

Il panzer si fermò del tutto. Alcuni quadranti sul cruscotto dei comandi si spensero, scurendo l’interno del carro. L’intensa luce che bruciava negli occhi furenti di Germania illuminò l’abitacolo.

“Ci penso io.”

 

.

 

I piedi del primo soldato sceso dal panzer in cima alla carovana saltarono sul suolo della foresta. Avanzarono, spezzarono un ramo che schioccò sotto le suole degli stivali e si tolsero dall’ombra del carro armato alle sue spalle. Le armi dei soldati al suo seguito fecero saltare le sicure.

Spagna strinse i pugni. Prese un lungo respiro, lento, intenso, che gli gonfiò il petto, e pestò un passo in avanti. “Fermate l’avanzata.” Un braccio teso verso la punta del primo cannone, e l’altro sul fianco, stretto alla rivoltella.

Il primo ufficiale tedesco si fermò a qualche metro da lui. Schiena dritta, mento alto, e mani strette dietro la schiena. La pistola ancora nel fodero.

“Metti le mani in alto!” tuonò. I soldati dietro di lui stesero le armi. Le ombre delle canne si allungarono sul suolo. L’ufficiale a capo indurì il tono, masticando le parole come sputandole. “Getta la pistola.”

Spagna sollevò un angolo della bocca, scoprendo un piccolo spazio bianco dell’arcata dentale. I suoi occhi non ridevano. “Oh, no, no.” Scosse piano il capo e fece un passo all’indietro, verso l’autocarro. “Siete voi che dovete abbassare le armi da me.”

Lo sguardo dell’ufficiale tedesco non cedette. Un grugno scuro e feroce, gli occhi piccoli e grigi, penetranti come punte di spillo.

Spagna esitò per un istante. Aggrottò la fronte, sostenne il peso di quello sguardo, e sollevò la rivoltella dal fianco. Raggiunse lo sportello dell’autocarro. “Se ora non girate i tacchi e ve ne andate di qui...” Infilò le dita attorno alla maniglia e la fece scattare. Spalancò lo sportello.

Alle spalle dell’ufficiale di ferro, un soldato sobbalzò per la sorpresa. Due di loro fecero qualche passo in avanti e strinsero forte le mani sulle pistole.

Spagna allungò la mano all’interno dell’auto.

L’esercito tedesco non mosse fiato. Occhi di Ferro sgranò le palpebre, la mandibola cadde socchiusa.

Il braccio di Spagna riemerse tirando il corpo di Romano fuori dall’auto. Romano guardò in basso, gli occhi intontiti vacillarono, e il corpo molle e dondolante si lasciò trascinare all’esterno, giù dal sedile. Spagna lo strattonò per il gomito, tirandolo a sé. Gli fece passare il braccio dietro la schiena, attorno alle spalle, e chiuse pugno sul suo petto.

Lo indicò con un gesto del capo. “Lui è un vostro alleato, giusto?”

Occhi di Ferro sobbalzò. L’esercito dietro di lui smise di respirare. Le ombre delle armi puntate verso Spagna si ritirarono lentamente.

“Fate quello che dico io.” Spagna alzò la mano che stringeva la rivoltella, piegò il gomito verso l’esterno e appoggiò la canna della pistola sopra l’orecchio di Romano. “O dite addio al vostro Sud Italia.”

Romano sbiancò. Gli occhi ristretti e vacillanti non si sollevarono da terra, continuando a fissare il vuoto tra i suoi piedi. Tremò. Le sottili dita si aggrapparono al braccio di Spagna che lo sosteneva sul petto. Le ginocchia cedettero. Spagna lo attirò contro di lui per evitare che cadesse a terra come un grumo di neve sciolta.

Occhi di Ferro prese un ampio passo verso i due. Spalancò la bocca, lasciando uscire solo una parola. “Fermo!”

La canna della rivoltella si mosse tra i capelli di Romano, stette incollata alla sua tempia. Romano si appese all’avambraccio di Spagna e rabbrividì ancora. Il viso sempre più pallido e le pupille sempre più piccole, vacillanti nel bianco dell’occhio lucido. Spagna inclinò il capo di lato senza distaccare lo sguardo dall’esercito di panzer e di soldati davanti a loro. Accostò le labbra al viso di Romano e gli sussurrò qualcosa sulla guancia, vicino all’orecchio.

Pesanti e lunghi passi avanzarono sul terreno del bosco. Calpestarono il suolo sgretolando i sassi e i grumi di terra seccata. La sua ombra si allungò superando quelle dei soldati e fiancheggiò l’ufficiale a capo.

Romano sollevò gli occhi, squadrò la figura che avanzava verso di loro. Solo allora, una rapida luce gli diede una piccola scossa, facendo rivivere lo sguardo contratto.

“Cosa sta succedendo?”

Germania si fermò di fianco a Occhi di Ferro. L’uomo riprese fiato. Si mise rigido sull’attenti, battendo i tacchi a terra.

“Signore.” Guardò Germania, e gli occhi siderali tornarono a raggelare l’aria in direzione di Spagna. “Ha un ostaggio, signore. Lui è...” Si pizzicò il labbro. La luce metallica delle iridi vacillò. “Non possiamo permettere che lo uccida.”

Spagna strinse l’indice sul grilletto. Fece impennare il pollice e lo premette sulla cima del cane. Roteò il polso, insistendo con la canna della rivoltella sulla tempia di Romano. Il suo sguardo e quello di Germania si incrociarono. Germania aggrottò la fronte, gli rivolse la stessa occhiata storta che lo aveva osservato da dietro il visore del panzer. Spagna assottigliò il piccolo sorriso. Gli strizzò una palpebra e tornò ad avvolgere Romano con il braccio, tenendolo stretto.

L’ira sul volto di Germania si intiepidì. Il suo corpo, il suo sguardo e la sua voce, rimasero fermi come pietre.

“Prendetelo.”

Le armi tornarono alte. Quattro soldati avanzarono davanti ai due, accerchiarono Spagna mostrandogli le bocche delle pistole.

“Fermo!”

“Getta l’arma!” abbaiarono.

Spagna rivolse gli occhi al cielo. Scrollò le spalle esibendo un risolino da sciocco e mostrò i palmi aperti. “D’accordo.” La rivoltella cadde ai piedi di Romano, centrò un sasso, si ribaltò, e giacque a terra.

Romano non si mosse. Le ginocchia tremarono, piegando le gambe e le spalle in avanti, ma lo tennero in piedi.

L’uomo alle spalle di Spagna gli spinse la canna della pistola tra le costole. “Non ti muovere,” gli ordinò.

Spagna sventolò le mani sopra le spalle e fece roteare gli occhi. “Oh, no, mi hanno preso,” disse con voce stridula. Mostrò la fronte al suolo, tenne il labbro stretto tra i denti, rosso in viso per i risolini trattenuti.

Occhi di Ferro pestò un altro passo davanti a lui. Allargò le gambe e gli mostrò il petto rigonfio. “Identificati, soldato,” tuonò.

Spagna emise un piccolo sbuffo e capovolse il sorriso, facendo comparire una smorfia d’irritazione. “Tenente,” precisò. “Sono il tenente Antonio, uhm...” Abbassò gli occhi verso la toppa dorata sul pettorale sinistro della sua uniforme. Lesse la targhetta. “Fernandez Carriedo.”

Uno dei soldati al suo fianco rivolse un’occhiata storta a un collega. “Ci sono spagnoli nell’esercito francese?”

“Suo nonno, ehm...” Spagna tossicchiò. “Mio nonno era spagnolo.”

Romano aggrottò la fronte, guardandolo da sopra la spalla. I suoi piedi non avevano ancora mosso un passo.

Spagna e Germania tornarono a osservarsi. Le dita di Spagna, sempre tese insieme ai palmi sopra le spalle, si mossero lievemente. Spagna inclinò il capo di lato, indicò Romano. Sollevò le sopracciglia cercando l’attenzione di Germania e tornò a compiere il gesto un paio di volte. Le palpebre larghe svelarono gli occhi imploranti. Germania non smise di guardarli.

“Lo giustiziamo, signore?” Occhi di Ferro batté nuovamente i tacchi a terra e sollevò il mento. “Ha preso in ostaggio il nostro alleato e lo stava per uccidere.”

Romano mosse la bocca, un sibilo di fiato strozzato gli uscì dalle labbra. Spagna lo colpì alla caviglia con la punta del piede e Romano ammutolì.

Germania prese un forte respiro. Il vento che soffiava tra le foglie si fermò. I rumori della foresta tacquero. Solo la sua dura e secca voce che scandì piano le parole.

“Italia Romano.”

Il corpo di Romano rimase rigido. Si mossero solo gli occhi. Le scure e strette pupille ruotarono verso Germania, nascoste dall’ombra del viso. Romano strinse i pugni.

Germania lo chiamò con un gesto del capo. “Veni qua.”

Romano fece stridere lo smalto dei denti. Il sottile ringhio gli fece tremare le spalle, la schiena, e i pugni serrati incollati ai fianchi. Non si mosse.

Spagna tornò a calciarlo sulla caviglia. Gli punzecchiò la gamba con la punta della scarpa, inclinò anche lui il capo e indicò Germania con rapidi e veloci movimenti delle sopracciglia e delle palpebre. Lo sguardo implorante si spostò da Germania a lui.

Romano affondò i denti nel labbro fino a far sbiancare la carne. I tremolii del corpo lo scossero in un lungo e potente brivido, i pugni tremanti si paralizzarono. Romano socchiuse le dita, aprì la mano e si guardò i palmi sfregiati dai segni delle sue stesse unghie. Piccolo, debole e impotente. Si piegò sulle spalle, non osò rivolgere lo sguardo verso l’alto e lo allontanò da Spagna. Un lento e sofferto sospiro gli fece rilassare la pressione sui muscoli.

Romano sollevò un piede e mosse il primo passo, esitante. Camminò a testa china, schiena gobba, capelli sulla fronte. Un condannato alla gogna.

Si fermò tra Occhi di Ferro e Germania. Non rivolse lo sguardo a nessuno dei due.

“Riportatelo in Italia,” disse Germania. “Tenetelo al sicuro e fate in modo che non ricapiti più un fatto del genere.” Inarcò le sopracciglia, indurendo la voce. “Se dovesse succedere, chi ne sarà responsabile ne risponderà a me.”

Occhi di Ferro sollevò il mento e irrigidì l’attenti. “Sissignore.”

Il soldato che aveva la bocca della pistola premuta tra le costole di Spagna fece salire la canna metallica fino alle scapole, e tornò a percorrere la schiena fino ai fianchi passando su ogni singola vertebra. “Che ne facciamo di lui, signore?”

Spagna sentì una scia di brividi rosicchiarlo dove la pistola passava il suo tocco.

“Consegnatelo alle autorità francesi,” disse Germania. “Loro sapranno cosa fare con lui. Io non ho intenzione di perdere altro tempo.”

Il soldato annuì e staccò la pistola dalla schiena di Spagna. “Sissignore.” Lui e gli altri tre soldati lo spinsero sulle spalle, forzandolo a proseguire tra di loro. “Cammina!”

Spagna rivolse il capo all’indietro prima che uno di loro gli coprisse la visuale. Ultimo, fugace sguardo incrociato con Germania. Spagna mosse piano la bocca e Germania gli lesse tra le labbra.

Grazie. Un soffice e sincero sorriso di gratitudine terminò la parola.

Occhi di Ferro sciolse l’attenti. Sfiorò un gomito di Romano e tese il palmo verso la coda di panzer. “Da questa parte, signore. La riportiamo a casa.”

Romano fece un gobbo passo in avanti, sotto lo sguardo di Germania. Si fermò davanti a lui. Levò gli occhi contro i suoi, e l’intera foresta divenne un blocco di ghiaccio.

Il vento agitò le spire tra le sue gambe, vorticò attorno al suo busto e gli agitò i capelli sulle guance, sulla fronte. Una nuvola nascose il sole, e calò un buio denso e pesante.

Le spalle di Romano rimasero piegate come stessero sorreggendo un macigno. Gli occhi si sollevarono piano da terra, man mano che salivano diventavano più scuri, entravano nell’ombra che avvolgeva la fronte. Il viso nero. I capelli davanti agli occhi si agitarono di nuovo per gli sbuffi del vento ghiacciato. Le pupille in fiamme. Due larghi pozzi di pece che riempivano completamente l’iride e il bianco dell’occhio. Le palpebre infossate risucchiarono quello sguardo in una fitta e pesante maschera di rabbia e odio rivolta a Germania. Romano contorse le labbra. Si morse la bocca, trattenendo nel petto le grida di rabbia. Il fiato pesante che soffiava dalle narici e dagli spazi tra i denti parlavano per lui.

Germania non mosse una piega. Continuò a guardarlo dall’alto, senza battere ciglio o muovere muscolo.

Romano lo superò e sparì alle sue spalle. Il vento calò, la luce del sole sbucò da dietro il buio della nuvola e riprese a intiepidire l’aria fresca e umida del bosco.

“Proseguiamo,” disse Germania, rivolto a Occhi di Ferro.

L’ufficiale annuì e scortò Romano verso i panzer.

 

.

 

Diari di Romano

 

Okay, a quanto pare devo fare anch’io questa stronzata dei diari ma non ho intenzione di starci dietro a perdere tempo.

Se devo dire qualcosa su quello che è successo nelle Ardenne, quella volta, voglio subito mettere in chiaro una cosa: non sono andato dall’altra parte perché me l’aveva chiesto il crucco bastardo, chiaro? Dio, se... se ripenso al modo in cui mi ha chiamato e alla maniera in cui ho dovuto umiliarmi tornando a casa come se niente fosse, riesco ancora a sentire il pugno pronto a finire dritto sul suo muso. Per un momento, a dir la verità, ho pensato di sbandierare tutto. Avrei voluto urlare a quei rincoglioniti dei soldati di non osare toccarci, che il bastardo stava fingendo tutto, che non era chi diceva di essere, che la pistola era scarica, che stava inscenando quella commedia solo per...

Alla fine non ho detto niente. Mi sono semplicemente lasciato trascinare da quello che mi accadeva davanti agli occhi. Non so se l’ho fatto per stare al gioco o semplicemente perché avevo paura di quello che avrebbero potuto fare a me o a Veneziano se avessero scoperto l’inganno.

Avevo promesso a Spagna che gli avrei dato retta, che avrei fatto tutto quello che mi avrebbe detto di fare. Adesso, ricordando tutto in questa maniera, mi sembrano solo scuse. La verità è che non sono stato abbastanza coraggioso, né prima né dopo. Non ho avuto il coraggio di starne fuori e non ho avuto il coraggio di rimanerne dentro quando Veneziano aveva più bisogno di me.

Dopo l’incidente delle Ardenne, mi guardavo allo specchio cercando di convincermi di avere fatto la cosa giusta, di aver fatto la scelta migliore sia per me che per il bastardo, decidendo di obbedirgli e stare al suo gioco per non sollevare i sospetti nei crucchi. Mi guardavo e vedevo solo il riflesso di un vigliacco e di un bugiardo.

 

 

 

   
 
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