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Autore: Koira    22/02/2015    0 recensioni
Cosa successe il giorno in cui Hermione Granger scoprì di essere una strega? *Non tenete conto di eventuali incoerenze con la serie, sicuramente presenti*
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Una strega


Ero persa nella folla di centinaia e centinaia di uniformi nere, tutte uguali, molto insolite, in effetti. Davanti a me un omone di oltre due metri, con una fitta e nera barba incolta e una criniera altrettanto lunga e selvaggia. “Seguitemi”, disse, rivolto alla calca. Mi guardai intorno e mi accorsi che, stranamente, eravamo tutti bambini, più o meno della mia età, tutti spaventati e, a un tempo, incuriositi. Seguimmo il gigante senza fiatare, diretti chissà dove, circondati dal buio più totale. Intraprendemmo quello che sembrava un sentiero. No, forse era un bosco. Aspettai che i miei occhi si adattassero a quell’oscurità ed ebbi la certezza di trovarmi, effettivamente, nel mezzo di una foresta. Quella situazione era a dir poco bizzarra, ma non ci facevo caso. Usciti dalla boscaglia, mi si presentò davanti un grande lago nero. Non so perché, ma associai quell’immagine al Loch Assynt, un lago del Sutherland, in Scozia, che avevo visitato per il mio nono compleanno con i miei genitori. La leggenda narrava che in quelle acque vivesse una sirena, la “sirena di Assynt”, ovvero Eimhir, la figlia scomparsa di MacLeod, che, promessa sposa al Diavolo (Clootie, per gli scozzesi), per disperazione si gettò da una delle torri del castello del padre, costruendosi poi una nuova casa nelle profondità del lago. Quanto mi piaceva quella storia … e, guarda caso, anche all’estremità di quella raccolta d’acqua, come nella leggenda, c’era un castello, un grande castello con tante torri figlie che illuminava l’oscurità circostante con le sue sfavillanti luci. L’omone ci chiamò da lui, invitandoci a salire su un piccolo battello, e poi ….

<< Hermione! Hermione! >>.

La voce di mia madre mi riportò bruscamente alla reltà. Era stato solo un sogno. Ma era così realistico ...

<< Mamma, sono sveglia >> le strillai in risposta.

Quel giorno, il 19 Settembre, compivo undici anni: era il mio ultimo anno di scuola primaria. Mi vestii in fretta: erano già le otto, e non mi piaceva ritardare a scuola. Avrei dato il cattivo esempio, in qualità di rappresentante di classe.

<< Buon compleanno, Hermione Jean Granger >> mi accolse mio padre, non appena entrai in cucina.

<< Grazie, papà. Sei sempre il primo >> gli dissi, abbracciandolo.

Incredibile come già alle otto del mattino profumasse di dentista: un misto di colluttorio e deodorante per ambienti. Dall’altra parte della stanza, la mamma stava preparando la colazione. Si avvicinò a me con la padella e mi versò nel piatto le uova e due salsicce.

<< Auguri, amore >> disse, baciandomi sulla fronte e accarezzandomi una guancia. << Stai proprio diventando una signorina >>.

Uscì dalla cucina e, dopo pochi secondi, fu di ritorno con in mano un pacco.

<< Questo è il tuo regalo da parte mia e di papà >>.

Me lo porse e lo scartai, pur sapendo perfettamente cosa fosse. Erano mesi che la pregavo di regalarmi quel libro. Non appena ebbi di fronte il testo richiesto e tanto agognato, “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, non riuscii a trattenere le lacrime.

<< Mamma, grazie mille! >> strillai, gettandomi tra le sue braccia.

<< Ricordati che è il romanzo più lungo del mondo >> mi ammonì mio padre. << Ti sfido a leggerlo in tre giorni >>.

<< Ci metterà anche meno tempo, la mia Hermione >> esclamò mia madre, liberandosi dall’abbraccio e dandomi un altro bacio. << Però adesso mangia, che è tardi >>.

Finii in fretta la mia colazione e mi preparai ad uscire. Scorsi della posta nella cassetta delle lettere ; la presi distrattamente e la gettai sul tavolino del salotto: sicuramente erano tutte tasse per mamma e papà. Salii sullo scuolabus, accolta da un inaspettato e – apparentemente -  spontaneo coro di “tanti auguri a te”. Che strano, i miei compagni se ne erano ricordati. Li ringraziai e mi sedetti in prima fila, dietro all’autista, come sempre.

<< Auguri, signorina >> mi disse lui.

<< Li ha obbligati a cantare per me, vero? >> gli domandai.

Ero sicura che c’entrasse qualcosa con quel coro d’auguri.

Annuì in risposta.

<< E’ il minimo che possa fare, per una bambina speciale e dotata come lei >> mi sorrise.

Ammiravo quell’uomo. Nonostante avesse almeno settant’anni – come rivelavano i suoi capelli argentei e le rughe sul volto -, il signor Bludedorme ogni mattina accompagnava noi studenti alla scuola della città, e tutto gratuitamente. “E’ il mio modo per tenermi in forma”, diceva spesso. In quegli anni, parlando ogni giorno con lui, avevo scoperto che aveva ben due lauree, ed un’immensa cultura. Era stato lui a consigliarmi di acquistare il libro di Proust: “visto che divora libri come dolci, le suggerisco di cimentarsi con le opere di Proust”, aveva detto. Ormai mi conosceva molto bene, sicuramente meglio di tutta la mia classe, con cui non avevo proprio legato: erano tutti troppo … normali. Normali e banali. Per non parlare del fatto che mi detestassero: non c’era un giorno in cui non mi lanciassero battutine. Per loro, io ero la “signorina so-tutto-io”, vittima ideale dei loro scherzi crudeli. Ancora ricordavo mestamente il giorno in cui, per non avergli passato il compito di storia, mi avevano chiusa a chiave nel bagno della scuola, lasciandomi lì dentro per quasi sei ore.

Durante il tragitto, iniziai a leggere il libro che mi aveva regalato la mamma, trovandolo stupendo sin dalla prima riga. A scuola, anche quel giorno i professori non furono per niente stimolanti; per colpa dei miei stupidi compagni, tutt’altro che studiosi, erano mesi che ripetevamo sempre le stesse cose. Decisi quindi di proseguire nella lettura, certa che nessuno mi avrebbe disturbata. E infatti fu così. Nessuno si degnò di scrivermi un bigliettino di auguri, né di rivolgermi la parola. Quando uscii da scuola, nel tardo pomeriggio, avevo solo voglia di tornare a casa a festeggiare con mamma e papà.

<< Scusa il ritardo, Hermy. La figlia dei Kent non voleva aprire la bocca, e ha almeno tre carie >> si giustificò mio padre, spalancando la portiera dell’auto.

<< Non preoccuparti >> dissi, salendo.

Ci dirigemmo verso casa nel più assoluto silenzio. Facemmo una sosta allo studio dentistico per prendere la mamma, ancora in camice.

<< Il signor Kent >> dichiarò, a mo’ di giustificazione. << E’ quasi peggio della figlia >>.

Una volta aperta la porta di casa, salii le scale, diretta nella mia cameretta. Sul letto, trovai un grande pacco tutto rosso, con un bel fiocco verde. Lessi il bigliettino d’accompagnamento: “Da un amico”. Mi affrettai ad aprirlo, curiosa, e scoprii che si trattava di un altro libro. Sul frontespizio campeggiava, a lettere d’oro, il titolo: “Manuale degli Incantesimi, Volume Primo”, di Miranda Gadula. Non avevo mai sentito nominare quel testo, né tantomeno quell’autrice. Aprii il libro e trovai una dedica nella prima pagina: “A Hermione Jean Granger, bambina incredibilmente dotata e con un acuto spirito d’osservazione. A.S.”.

Che libro strano, pensai. Bussarono alla porta della mia stanza.

<< Hermione, è arrivata questa lettera per te >> dichiarò mio padre, entrando.

<< Per me? >> esclamai, meravigliata.

Non arrivava mai niente per me, dai tempi in cui avevo annullato l’abbonamento mensile ai fumetti. Mi porse la lettera ed uscì. Era una busta spessa, molto pesante, di pergamena. Curiosamente, l’inchiostro era verde smeraldo: una cosa insolita, molto insolita. La voltai e scorsi un sigillo rosso porpora con uno stemma strano: una H con intorno quattro animali. Li osservai meglio: erano un serpente, un corvo, un tasso e un leone. Aprii la busta con mani tremanti, quasi fosse l’ingiunzione di un tribunale, e lessi:

Cara signorina Granger,

siamo onorati di informarLa che ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Troverà in allegato l’elenco dei libri di testo e di tutto l’occorrente.

I corsi inizieranno il 1° Settembre dell’anno prossimo.

Attendiamo una sua risposta.

Con ossequi,

M. McGranitt”.

Scuola di Magia e Stregoneria? Doveva essere qualche scherzo dei miei compagni. Eppure, effettivamente, c’era un elenco di libri di testo, tra cui figurava – guarda caso – il “Manuale degli Incantesimi, Volume Primo”, di Miranda Gadula. In un altro foglio c’era un elenco di accessori, tra cui una bacchetta magica, un calderone in peltro e un telescopio, e di indumenti da indossare “obbligatoriamente”. Ma perché proprio quello scherzo? Che senso aveva? Decisi di sfogliare il libro di incantesimi, pronta a verificare la veridicità della lettera. Aprii una pagina qualsiasi e ne lessi uno: Wingardium Leviosa. Il testo recitava: “Il Wingardium Leviosa è un incantesimo di Levitazione, il cui scopo cioè è di far volare gli oggetti. Fondamentale è che la pronuncia sia corretta, con l’accento tonico sulla seconda sillaba di entrambi i nomi – Wingàrdium Leviòsa -, per non rischiare effetti spiacevoli*, e che il movimento del polso sia esattamente uguale a quello riportato nella figura accanto. Insomma, agitate e colpite!”. L’asterisco rimandava ad una scritta a fondo pagina: “Vi devo ricordare del Mago Baruffio, che disse “s” anziché “z” evocando un orso?”. Divertente. Peccato che non avessi una bacchetta. Provai a cercarla nel pacco regalo, speranzosa, e, incredibilmente, la trovai. Una piccola e sottile bacchetta di legno. Dubitavo seriamente che sarebbe successo qualcosa, ma tanto valeva tentare. Agitai la bacchetta verso l’orsacchiotto di peluche sul letto, seguendo pedissequamente il disegno sul libro, e recitai quelle strane parole, “Wingardium Leviosa!”, sperando che nessuno mi sentisse. E, incredibilmente, funzionò. L’orsetto iniziò a levitare. Quasi svenni per la meraviglia; non potevo credere ai miei occhi.

In quel momento, capii realmente chi ero: Hermione Jean Granger, una strega.

   
 
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